lunedì 15 marzo 2010

Sulla senescenza


Dipingere un quadro realistico del divenire non aiuta spesso il buon umore.
Ricordarsi poi che: "Invecchiare è l'unico modo per non morire", non giova a sopportare gli anni che passano e lasciano in noi molte cicatrici dolenti che fanno male anche quando non cambia il tempo.

La Vita ci insegna con severità a fare a meno del superfluo, ma spesso si indugia nel voler ripetere la lezione credendo così di godere ancora per un po' i privilegi di quando si era giovani alunni.
Si sfiora invece il ridicolo se solo ci si confronta con i compagni di classe. Si rimane a scuola come eterni studenti, quando si dovrebbe essere, a momenti, già pronti per la pensione.
Uomini e donne troppo grandi per quei banchi fatti per bambini.

Il tempo concesso non dovrebbe essere un bene da sprecare, ma una riserva da centellinare.
Non potendo aggiungerne sarebbe saggio non buttarlo via. In particolare non ripetendo gli stessi errori.
Il cambio di prospettive che l’Esistenza ci chiama ad osservare nello svolgersi della vita ci costringe a modificare i nostri orizzonti.
A volte restringendoli ma allungandoli in profondità.

Si dice che nell’antichità (chissà se poi era così) la vecchiaia era esaltata, ora mi pare sia invece negletta.
Costantemente i messaggi subliminali dell’informazione ci vogliono e ci spronano a riamanere eternamente giovani.
In pubblicità ci presentano vecchietti che fanno snowbord e copulano come quindicenni infoiati, grazie a questo o quel prodotto.
Siamo forse condannati a sembrare o peggio essere sempre dei teenagers?

Mi domando quale maturità si acquisisca nel trastullarsi sempre nei soliti giochi.
Sarà questa la ricetta della felicità? Vivere come a vent'anni avendone il triplo?
Mi viene da dubitarne.
Se non altro in ossequio alla Natura che, molto più saggia di noi, ci insegna obbligandoci a restituire ciò che ci è stato prestato; Essa ci aiuta così a comprendere il reale valore di ciò che è nostro, delle poche cose realmente importanti. Rilevanti proprio perché conquistate sull'unica terra cui valga la pena di dare battaglia: cioè dentro di noi.
Un luogo dove niente e nessuno può togliere ciò che è stato messo, diminuire e corrompere ciò che è stato edificato.

Parole come Amore, Amicizia, Onore, Dignità, Saggezza, Valore, additano qualità nobili, ma che fanno sorridere invece i nostri contemporanei che giustificano così con lo scherno le loro mancanze.
Queste persone apprentemente "soddisfattissime" disprezzano come sentimenti anacronistici ciò che sanno, in cuor loro , di non meritare.

Viviamo in momenti di esaltazione del mito, che mai come in questi tempi trova seguaci.
L'eroe (sempre giovane, bello e maledetto) deve morire nel momento di massima grandezza perchè il suo ricordo duri per sempre.
Egli baratta la sua giovane vita per non conosere il decadimento della Natura e l'oblio del tempo che passa.
E' dunque la celebrazione, nell'immaginario collettivo, dell'immortalità.
E' l'identificazione dei molti con una vita apparentemente straordinaria, ma breve; Per giustificare la propria, insignificante e quindi in ogni caso inutilmente lunga.

Questo excursus verso la senescenza mi ricorda Omero che sintetizza molto bene l’assurdità del senso che diamo talvolta al nostro vivere.
Scriveva così il grande narratore delle gesta degli eroi, e se lo dice lui contemporaneo di uomini come Ulisse, Achille, Ettore e donne come Elena o Clitennestra possiamo credergli:
"Non è del forte la guerra né dell'agile la corsa, perchè il Fato e il Tempo raggiungono ogni uomo".
Il Fato e il Tempo ci raggiungeranno certamente, ma solo se noi non gli andiamo incontro...magari con coraggio e con la serenità di un sorriso di chi ha finalmente compreso che quando non desideri nulla...hai già tutto.

martedì 9 marzo 2010

Fughe immobili


La vita sembra correre, ma noi spesso non ci muoviamo di un passo.
Confusi da paesaggi diversi, distratti da volti che si sovrappongono tra loro come maschere Kabuki durante lo spettacolo, siamo straniti da questo moto apparente dell’Esistenza.
Come treni attigui in una stazione, chi parte e chi resta? Non si è mai sicuri della risposta.

Poi, capita che le circostanze ci sorprendano; Ci giriamo un attimo indietro ed è passata, a volte, una vita intera.
Come è stata spesa? Una domanda tanto imbarazzante cui evitiamo sovente di rispondere con sincerità.

Un giorno stavo andando in aeroporto in taxi e incontrai un mio amico che non vedevo da anni, proprio in un altro taxi che procedeva a passo d'uomo come il mio nel traffico.
Vivevamo nella stessa città ma eravamo stati, sino a quel momento, ugualmente lontani come la terra degli unicorni.
Lui andava all’aeroporto di Orio al Serio, io a Malpensa, pronti a salpare ognuno per la sua meta.
Cammini diversi che avevano deciso di arrestarsi per qualche attimo nella stessa strada su sensi di marcia inversi.
Un saluto, una stretta di mano fugace tra i finestrini abbassati e via...

E' forse malinconico pensare che in fondo la vita è la stessa cosa.
Chiusi nel taxi del nostro corpo, sfioriamo gli altri senza mai toccarli veramente. Ci saziamo con la curiosità che non diventa mai però adulta, attraverso una reale conoscenza.
Cerchiamo di dissetarci e beviamo acqua salata.
Manca il tempo, si dice come giustificazione, ma mentiamo a noi stessi.

Come diceva l'anziano monsieur Ibrahim al giovane Momo, nel libro -I fiori del Corano-: "La felicità é nella lentezza".
Allo stesso modo direi della vita, delle persone, dei momenti, colti dalla nostra anima finalmente attenta grazie a questa "lentezza".
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Colti come fiori ma senza reciderne il gambo.
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