venerdì 21 maggio 2010

Amare è un dolce naufragare

Il cuore in petto gli batteva forte come un tamburo.
Quanto tempo l'aveva desiderata, pensò, e un brivido percorse la sua schiena.


La sera, fresca di primavera, pareva magnifica sotto un manto di stelle galeotte. Era una notte meravigliosa, una notte come forse ce ne possono essere soltanto quando si è giovani. La vide scendere dalle scale, con quel vestito lungo azzurro.

Appena lo scorse nella penombra del vicolo gli sorrise come solo lei sapeva fare; poi titubante si guardò alle spalle, per assicurarsi che nessuno in casa si fosse accorto della sua uscita proibita.

Era così giovane, pensò ancora lui, così bella e fresca.

Improvvisamente una carrozza rumorosa passò vicino. Gli zoccoli dei cavalli risuonarono sull'acciottolato come nacchere spagnole.

La prese per mano e si nascosero nel buio.

Finalmente l'eco si perse fra le case addormentate. Tutto tornò quiete.

Lei si abbandonò dolcemente contro il suo corpo. Lui la strinse delicatamente in un abbraccio e finalmente si baciarono. Il tempo allora, parve fermarsi e nel suo cuore eruppe un caleidoscopio di sentimenti dolcissimi. Fu così certo di amarla. Domani l'avrebbe chiesta in sposa al padre di lei, in fondo lui aveva già 19 anni e lavorava da un bel pò come aiuto del Connestabile del borgo.

Non era certo un ingenuo, la peste del 1620 gli aveva portato via tutti i parenti, ma lui era sopravvisuto, aveva imparato un mestiere; Ora era tempo di ricominciare, ricominciare con lei. Finalmente una futuro insieme, senza più sotterfugi, senza doversi incontrare di nascosto, vide innanzi a se una lunga vita che attendeva solo di essere vissuta.
Era felice. Poi si svegliò.

Nella stanza dell'ospedale avvolta dai neon vide i monitor di controllo che emettevano ritmici tintinnii. In bocca il sapore amaro della malattia. Intorno a lui scorse anche i volti dei figli e dei nipoti. Sembravano però al di là di un vetro coperto dal ghiaccio, ma nessuno mancava. Spostò lentamente la maschera di ossigeno e disse: "Ah! Potersi innamorare, ancora una sola volta".
Parlò piano, con un filo di voce e nessuno comprese le sue parole.

Non aveva più tempo. Allora sorrise di se stesso e si lasciò cadere per sempre in un dolce, lunghissimo silenzio.

giovedì 20 maggio 2010

Qual piuma al vento...


Mancava poco alla fine della sua giornata di lavoro.
Il pensiero di lei lo perseguitava ormai sin dalla mattina, da quando cioè finalmente era arrivata a casa sua.
Aveva dovuto recarsi in ufficio ma pregustava il momento del suo ritorno e del loro primo incontro romantico.
Avevano a disposizione non solo questa notte ma anche le altre a venire che avrebbero protetto come una morbida coperta il loro amore.
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Per quanto tempo l’aveva bramata! Ed ora, finalmente era arrivato il momento.
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Con il fiato corto salì le scale ed aprì la porta. Entrò in casa e si diresse subito in camera da letto.
Lei era stesa ad attenderlo… Soffice, sinuosa e con la bocca lasicva leggermente aperta lievemente piegata in un sorriso tentatore.
Era bella oltre ogni pensiero, le curve del corpo perfetto e liscio si intravedevano da sotto il lenzuolo che la copriva appena.
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Lui ebbe un’erezione tremenda, quasi dolorosa e deglutì anche le ultime parole che gli erano rimaste in gola.
Si spogliò lentamente. L’accarezzò in ogni sua intimità con le mani brulicanti e la baciò con la sua lingua avida.
Poi fu in lei e tutto si consumò nel silenzio, il loro amore non aveva bisogno delle parole.
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La luce rossa dell’abat-jour tingeva del color del tramonto i loro corpi e anche i mobili della stanza.
Facevano l’amore con un’intensità indescrivibile e in quel momento la sua mente fu ottenebrata dall’estasi; Così i movimenti delle sue pelvi si fecero frenetici.
Lei gonfia di tanta mascolinità, assorbiva in se la forza dirompente di questa passione virile.
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Poi accadde: Pam!....Un rumore molesto e inaspettato bucò questo momento di magia.
La sua venere gli sfuggì da sotto e cominciò a roteare velocissima per la stanza.
II Destino, beffardo e invidioso del loro amore, trovò nella finestra semiaperta un complice crudele.
La bambola gonfiabile uscì da quel pertugio con un sibilo sinistro e volò via sopra i tetti di questa città indifferente.
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Solo una lacrima calda e salata scese lungo il suo viso attonito come epitaffio di amor perduto.
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martedì 18 maggio 2010

Amici e Sacrifici


Era disperatamente innamorato, quasi alla follia.
Vederla, anche per un attimo in ufficio dove lavoravano assieme, gli faceva tornare il cuore in gola come da ragazzini.
Inaspettatamente una sera gli aveva chiesto di accompagnarla e poi, saliti in casa, avevano fatto l’amore.
Da allora viveva per un suo cenno.
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Fredda e scostante, a volte bambina, spesso si sfogava con lui per la relazione saltuaria con il loro “capo”, dal quale era continuamente sedotta ed abbandonata.
Lui soffriva e l'agognava nello stesso istante, avrebbe anche avvelenato l'altro se solo lei glielo avesse chiesto.
Lo teneva su una corda tesa e ogni tanto (ma molto raramente) gli donava il Paradiso.
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Mi raccontò questo, il mio amico, guardandosi le mani bianche e stringendole così forte da far impallidire ancora di più le nocche.
Fissava così un punto indefinito della stanza, mentre parlava con un tono imbarazzato di questo suo amore disperato.
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“Ti aiuterò”, gli dissi e lo congedai pensoso.
La cercai e dopo un paio di giorni la vidi in quel locale, che sapevo frequentava di solito con le amiche.
Chiacchiere amene, molti drink insieme, poi le sussurai una proposta indecente nell'orecchio. Lei rise e accettò con un sorriso malizioso.
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Giunti a casa ancora fumo, alcol e anche altro...Poi arrivò Tano, il mio conoscente superdotato.
La possedemmo entrambi, anche insieme, con inaudita passione e libidine. Togliendoci ogni voglia, senza pietà.
Alla fine, esausti ci salutammo ed era quasi l'alba, ma con la certezza che non ci saremmo più rivisti.
Quello che volevamo lo avevamo avuto ampiamente.
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Dopo, nel silenzio della stanza ancora satura dell’odore dell’orgia sorrisi e visionai il filmato amatoriale che avevo fatto di nascosto.
Ne mandai una copia con una e-mail al mio amico innamorato e una invece, per mio piacere, la pubblicai su you-tube.
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Prima di addormentarmi profondamente pensai: “A volte il male si vince con un male più grande però, quella...Che gran bella troia!”.
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venerdì 14 maggio 2010

Il Rito Genovese della Loggia Scozzese.


La notte era senza luna e senza stelle come si dice siano le notti adatte per i Sabba.
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Il bar Ottolina in via Tito Milvio era deserto. Forse perché semplicemente era il suo giorno di chiusura o magari perché era stato prescelto dalla confraternita come sede del rito; Il Fato era sempre benigno con i membri della Setta.
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La società segreta “I cugini de Ball” era molto attenta alla scelta delle sedi per la liturgia iniziatica.
Solo un Bar di periferia o in subordine una Bocciofila potevano avere i crismi geomantici necessari.
Dopo attento vaglio era stata scelta questa sede per la messa più importante, ovvero l’ingresso di una nuova adepta.
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Con fare circospetto, a bordo della sua Ape 50 amaranto tempestata di opali, il dott. Haemo Royd, ovvero il Gran Sacerdote, aspettava nervoso stringendo con le sue mani grandi il manubrio del Motopiaggio.
Intanto, il suo vice-vice assistente Jean du Yacht, stava cercando di forzare la saracinesca, ormai da circa venti minuti ma senza successo.
“Belin, ma quanto ci mette quel bradipo sedato?”, disse il Gran Muftì rivolto al suo primo Ciambellano seduto nel veicolo.
Visir, nel suo abito da Batman, calmo e silente viveva un momento di raccoglimento catartico a fianco del Gran Maestro di Loggia.
Le sue energie erano concentrate ad evitare la devastante flatulenza che aveva in “canna” e con cui lottava da una buona mezz’ora per evitare che detonasse, ma a denti stretti rispose.
“Pazienza, o Sommo, sapete com’è…Il vice-vice Ciambellano e svelto di lingua, ma tardo di mano”.
“Umpf!”, sbottò il Semprecalmo guardandosi nello specchietto retrovisore e sistemandosi il Turbante Sultanato con il vistoso rubino (falso) nel centro e con piuma (vera) di pavone che adornava il nobile copricapo, simbolo del suo potere.
Un fragore nella notte avvisò i cospiratori che la barriera era stata finalmente forzata.
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All’interno del locale li accolse un odore stagnante di superalcolici e gazzosa mista a un'effluvio di brioches scadute.
“Jean ancora un po’ e facevamo mattina”, disse Haemo con il suo tono cantilenante, ma avvolgente.
“Quella puttanazza di una schifosissimabaldracca di saracinesca non voleva cedere”, disse il sempreducato Jean, dondolando sui piedi imbarazzato e ricomponendo il giustaccuore del suo vestito Louis XIV azzurro, in sapiente abbinamento cromatico con i pantaloni alla zuava zebrati.

In fondo, era l’unico del gruppo che aveva seguito il corso per corrispondenza della Scuola Radio Elettra: “Scasso e furto facile in dieci lezioni”. Però nessuno aveva pagato le rate della scuola e il corso si era interrotto alla seconda dispensa...ma questi erano dettagli irrilevanti.
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“Dov’è Visir? Dove sono Porporina, Bluvelvet e l’iniziata non ci sono ancora?”, ruggì il Profondo, chiamando a raccolta i suoi prodi come Leonida gli Spartani alle Termopili, ma intorno a lui c’era solo il vuoto.
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Jean, appollaiato sul bancone era intento a scofanarsi le brioches del bar e bere a garganella da una bottiglia di Chinotto; Visir invece era in bagno a disincagliarsi dalla cintura lancia dardi di Batman per fare un varco ai vapori che avevano gonfiato enormemente il suo costume.
Un sospiro, uscito da sotto i baffi alla Magnum P.I. del grande figlio di Ippocrate e uno sguardo verso il soffitto furono gli unici segni rivelatori del suo disappunto.

Improvvisamente all'esterno si udì un rombo di ciclomotore smarmittato e uno stridire di freni stile "Fast and Furiors".

Erano arrivate le "ragazze", pensò il Semidivino e si sistemò la veste leopardata che sfiorava l'impiantito slanciando (per quanto possibile) la sua figura bassa ma ieratica.

All’interno del Tabernacolo Ottolina ferveva il fermento.
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“Jean, vacca troia sistema l’altare per il rito, almeno!”, disse il Gran Sacerdote Royd con un ringhio molossoide.
Con la bocca ancora piena di brioches avariate il buon vice-vice Ciambellano scese malvolentieri dal bancone e cominciò ad apprestare nella sala biliardo i paludamenti sacri.
“Visir!”, chiamò Haemo a se il fido Primo Ciambellano.
“Yawoll!”, disse l’uomo pipistrello aprendo le falde del grande mantello nero e calandosi dal soffitto dove era appena levitato a causa dei gas nobili prodotti.
“Pensaci tu ad istruire l’Iniziata…Mi raccomando: PRECISIONE!”, scandì lentamente l’ultima parola per essere certo che tutto funzionasse a dovere.
“E apri la finestra…Non capisco com'è in questo bar, specie in questo angolo, c'è una puzza tremenda”.
“Ri-yawoll!”, aderì Visir che conosceva le lingue straniere in maniera approssimativa.
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Le candele furono disposte a pentacolo, il tavolo da biliardo fu ricoperto dalla sacra coperta patchwork, dono della nonna di Haemo e adorna nel centro del vistoso emblema della Loggia: un barboncino con la lingua penzoloni che tenta una copula impossibile su uno dei bracci di un grande compasso.
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La luce era fioca a causa delle candele di sego prese al discount da quel “genovese” di Jean du Yacht che facevano poca luce. Solo il neon dell'ingresso funzionava, così il volenteroso vice-vice tentò di accendere tutte le luci pasticciando con il quadro elettrico, ma causò invece un corto circuito mostruoso.
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“Belan la madama! Prima le donne poi i bambini”, gridò Royd, sorpreso dal buio inaspettato e immaginando un blitz delle Teste di Cuoio.
Comparve invece Jean con una candela accesa in mano, ma tutto bruciacchiato. Aleggiava un curioso vapore azzurrino intorno alla parrucca bianca da cicisbeo che indossava usualmente nelle grandi adunanze; Poi disse: “L’impianto elettrico è andato! Celebreremo nell’ombra”.
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Solo il pensiero delle Vestali che stavano per fare il loro ingresso nell’abside lenì il disappunto del grandissimo figlio di Ippocrate che strorse inspiegabilmente e solo per un attimo il naso appena fu affiancato dal fidato Visir nel suo abito da supereroe ormai quasi sgonfio.
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Questo quadro, che per maestosità ricordava un dipinto di Velasquez, presentò i tre figuranti agli occhi delle due vestali e della novizia che entrarono in pompa magna (scusate la parola).

Il trio Virago, così denominato amabilmente dai membri maschili della confraternita esoterica fece il suo ingresso nel Tempio già perfettamente allestito.
Bluvelvet in abito tradizionale tirolese da pastorella con pecora impagliata al seguito.
Porporina con un vestito seicentesco, modello “Pompadur” (scusate di nuovo), di tafetà rosa e un neo finto a forma di hamburger sulla gota sinistra.
Da ultimo, la novizia Pipoca, in gonna scampanata, scarpe basse e golfino aderente da ballerina di rock acrobatico, perfetta riproduzione di teen-ager anni 50’.
Jean du Yacht deglutì rumorosamente, forse alla vista delle splendide dame o forse per le brioches non ancora perfettamente masticate che gli occludevano l’ugola con un bolo di calcestruzzo.
Il sempre concentrato Visir accese il suo Mp3 collegato all’impianto Hi-Fi della sua cintura multiuso e diffuse nei locali una musica liturgica: l’adagio di Albinoni cantato dagli Abba, una versione live quasi introvabile.
Il grande Taumaturgo Haemo Royd apri le braccia in un inequivocabile gesto benedicente.
Vennero così eiettati petali di rosa dal suo dispenser portatile sistemato nella fascia infrascapolare a mo' di zainetto.
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La tensione era palpabile come avrebbe detto un maniaco sull’autobus.
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La supplice adepta Pipoca, si inchinò con leggiadria verso i compagni e fu raggiunta dal Ciambellano Visir per essere accompagnata all’altare nella stanza rituale.
Visir, non molto pratico del vestito di Batman che aveva preso in prestito dal suo vicino di casa (noto pervertito), inciampò nel mantello e avanzò, a testa bassa, di alcuni passi rapidissimi e scomposti verso la danzatrice di Boggy-woggy; colpì così la poveretta con una “craniata” tremenda proprio sulla fronte e la fece stramazzare a terra a gambe all’aria in un volteggio degno della Comaneci.
“Cominciamo bene”, fu il commento lapidario della sagace Porporina.
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Il Lenitivo Royd, sollevando le maniche in un gesto che gli era congeniale disse: “Fate largo sono un medico…Opererò immantinente”, poi rivolto a Jean du Yacht continuò, “il bisturi e il divaricatore e acqua calda, presto!...La stiamo perdendo”.
Per fortuna, la giovane allieva si riprese quasi subito evitando così una tracheotomia lampo che era una delle specialità, insieme alle cozze marinate, del Grande Vate della chirurgia.
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La messa continuò quindi dopo questo piccolo disguido con le fasi di rito.
Haemo leggeva dal sacro libro della Loggia, recitando le frasi dal sapor antico ed oscuro che si srotolavano sul pavimento come un rosario blasfemo.
Gli occhi di brace, la voce cavernosa, il viso ispirato, davano alla figura un pathos immenso.
Non si era avveduto, il grande sacerdote, pregno dell’estasi, che la candela sorretta dal vice-vice Ciambellano Jean era pericolosamente vicina al suo turbante, il quale aveva cominciato a prender fuoco proprio dalla lunga piuma di pavone che gli dondolava sulla fronte.
Visir tentò di avvertirlo con piccoli colpi di tosse, ma il Sommo lo zittì con uno sguardo furioso.
Gli eventi degenerarono in pochi istanti quando il fumo invase la stanza.
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Dimentico della celebrazione il Semidivino Royd gridò: “Chi cazzo si fa le canne durante il rito? Eh?”, poi guardò inquisitore l'ignaro Jean du Yacht che cercò di indicargli di rimando con l'indice teso il turbante ormai divorato dalle fiamme, ma fu inutile.
Il captativo Visir, azzardò una reazione; Estrasse da una tasca segreta del suo costume un mini-estintore al Protossido di Azoto e diresse un potente getto criogenico verso il fuoco, ma probabilmente a causa della concitazione degli eventi, sbagliò di poco la mira beccando invece il dito indice teso del povero Jean Du Yacht e congelandolo all'stante.
Il malcapitato emise nel mentre un barrito terrificante.
Bluvelvet e Porporina cominciarono a gridare anche loro, forse per suggestione ipnotica o magari semplicemente si erano rotte le palle di questo casino e volevano andare a casa; anche perchè l'indomani ci sarebbero stati i saldi e bisognava svegliarsi presto.
L’Adepta si alzò di scatto dal biliardo votivo sul quale era distesa e disse: “Io me ne vado con le mie gambe, finchè sono in tempo”, indi ratta fuggì dalla saracinesca divelta.
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Il buon Royd con il turbante ormai preda del fuoco capì che forse aveva ingiustamente incolpato il suo vice-vice di fumare senza “passare”.
Prima di bruciare come un Bonzo, roteò su se stesso alla maniera di un Derviscio in una disperata danza Sufi che spense, giusto a tempo, il suo cervello.
La tragedia però incombeva ugualmente.
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L’ululato della sirena che si udì in lontananza riportò la concentrazione per un attimo nel famigerato gruppo.
“LaPulaCazzoPuttanaTroiaLuridaBagasciaImpestataeFetente!”, disse il sempre garbato Jean mentre si alitava disperatamente sul dito congelato simile ad un Calippo.
“Via, via”, gridava Porporina dalla strada già in sella al suo motorino: “Lotar”.

Accelerava al massimo nell'attesa di Bluvelvet, la quale in una fuga un po' scomposta saltò al volo atterrando con impeto sul sellino e facendolo impennare. Il ciclomotore partì come razzo verso il cielo, pareva una V2 tedesca diretta su Londra.
I tre bischeri, ormai nella confusione più totale, salirono alla bella meglio sull’Ape 50.
Il cicisbeo Jean non trovando posto all’interno dovette accontentarsi del cassonetto scoperto, abbrancandosi ai montanti pareva Sansone fra le colonne del tempio Filisteo.
La fuoriserie a tre ruote, rapida come una lumaca con l'artrosi, si dileguò appena a tempo mentre baluginavano nella notte le luci blu della forza pubblica.
La “Gazzella” dei Carabinieri si fermò con uno stridere di freni.
Nel momento che scesero i due prodi militari con le armi spianate si guardarono in faccia perplessi.
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“Brigadiè”, esordì l’Appuntato, Esposito Lo Cascio, rivolto al capopattuglia Rotunno Romolè.
“Stò a pazzià o aggé visto nu cicisbeo du setteciento cou’na parrucca da frocio in'goppa a n'Ape Piaggio tempestata te pietra preziuse?”
“Appuntà…io aggé visto Batman, assieme a uno co’u tubante preciso allo mio medico della mutua int'a'chilla fetenzia du motocarro!”
“Veramenta?”, disse Lo Cascio, stupito.
“Faciteme o piacere!”, rispose Rotunno con le mani congiunte e aggiunse: “Simmo vittime do mobbing…Appuntà, o'mobbing fa pazzià,! O’sapete?”.
“O’sape, o’sape”, concluse rassegnato l’Appuntato.
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Poi entrambi decisero di entrare nel bar oggetto di effrazione.
Quando stilarono il rapporto all’Autorità Giudiziaria fu omesso naturalmente ogni riferimento ai fuggitivi.
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L'intervento portò invece all'arresto della pecora impagliata sorpresa in flagranza di reato.
L'animale, dopo una condanna esemplare, aggravata dalla reticenza, fu tradotto presso il penitenziaro cittadino e, forse complice la convivenza coatta in cella, divenne l'amante di un noto Boss dei Caruggi , ma questa naturalmente è un'altra storia.

Della consorteria esoterica da allora non se ne seppe più nulla, anche se pare continui in gran segreto la sua opera munifica e visto come vanno le cose nel mondo pare abbia buon gioco.

Fine.