giovedì 29 novembre 2012

Attimi

L'abbraccio caldo di mia madre, quello forte di mio padre, il sapore della sera nella minestra. Il silenzio.
Il corridoio lungo, la credenza rossa, il libro dei disegni, l'odore del cortile bagnato di pioggia.
Il mistero delle foglie d'autunno, la castagna lanciata ridendo, la corteccia dell'albero che parla, i giorni che scorrono lenti. La neve sul davanzale da mettere in bocca.
Dov'è finita la mia spensieratezza, chi me l'ha portata via?
Dov'è la noia felice di quando ero bambino?
Allora andavo a dormire sempre contento. 

venerdì 16 novembre 2012

Oblio (Halit Mortis)

Zenit, aspirando voluttuosamente da una sigaretta artigianale edulcorata con chissà che: "Ma chi te lo fa fare?".

Nadir: "Non perché mi piace, ma perché non posso fare a meno".

Zenit: "Ti capisco io e pochi altri, forse il tre per cento del mondo".

Nadir: "Sarebbe già molto...per il mondo".

Zenit: "Poi, scrivere su un Blog, che idea".

Nadir: "Un modo come un altro per entrare nell'immortalità senza troppe pretese. Forse per esorcizzare quello che vorremmo non conoscere, ma ci guardiamo bene dallo scordare".

Zenit: "Già, in fondo nessuno vuole essere dimenticato, neanche Lei".

martedì 13 novembre 2012

Train de vie

Se volessi descrivere con un aggettivo quel particolare momento del esistere in cui si comincia a sperimentare una vita autonoma, cioè la gioventù, allora dovrei semplicemente dire: è ricca.

Una ricchezza fatta non solo di salute, forza e bellezza generalmente proprie di quel momento, ma costituita da una percezione più sottile, profonda e nascosta; La sensazione di una ricchezza che è determinata dalle possibilità.
Quando si è giovani dunque si è ricchi di opzioni, di occasioni, di prospettive, ma è un’abbondanza che si depaupera presto.
Infatti, tutti siamo chiamati dalla vita a muoverci all’unisono con il mondo, restare fermi equivarrebbe a rinunciare alla vita stessa. In questo procedere si è obbligati in un modo o nell’altro a fare delle scelte.


Così ogni decisione intrapresa preclude tutte le possibilità non correlate a questa scelta.


Per usare una metafora direi che i “quasi infiniti” binari che vediamo a bordo del nostro treno dalla stazione di partenza man mano passa il tempo si riducono. Ogni scambio attivato nella processione del nostro convoglio ci porta è vero avanti, verso una direzione, ma anche ci limita nella possibilità di scegliere una nuova destinazione.
Arriva così un tempo che non ci sono più scambi, le stazioni intermedie sono ormai alle spalle e le opportunità significative svaniscono, a meno che non si desidera ricominciare da zero.
Tornare però alla stazione di partenza spesso è impossibile o se è ancora fattibile non si ritornerà con le medesime prerogative.
Il costo del biglietto per il viaggio già fatto deve essere comunque pagato.

Ecco che al conducente di questo locomotore si presenta dopo un tratto che appare lungo ma che a posteriori è durato un baleno, solo un binario da percorrere. Ha speso quasi tutto il suo credito e non resta che constatare dove è arrivato.
Dopo molti anni di viaggio egli osserva che è a un punto in cui le azioni della propria vita si ripetono e che in questa dimensione unidirezionale si hanno a disposizione ben poche modifiche.
Il panorama non cambia, anche se si ha l'impressione di procedere e non serve certo cercarne un nuovo orizzonte con una breve vacanza al club Mediterranee.
In vecchiaia così ci si sente in alcuni casi poveri, ma particolarmente se si è mancato il bersaglio, se il luogo cui si è giunti non è quello voluto.
Nonostante il conto in banca, la posizione sociale, la buona reputazione, quello che gli altri dicono, la cosa che conta è come ci si sente dentro e non sempre quello che appare un bene è un bene per chi lo vive.

Queste semplici considerazioni, direi quasi scontate, in una persona adulta che abbia un minimo di saggezza non sono in generale facilmente comprese in tutta la loro profondità da una giovane, in quanto è un’informazione che deriva principalmente dall’esperienza, magari dalla constatazione amara di essere la rappresentazione vivente di tanti buoni propositi andati a ramengo.
Sarebbe così utile presentare con obiettività ai ragazzi questa realtà della vita in maniera convincente.

Dico convincente perché i giovani sono sempre sospettosi nei confronti dei cosiddetti "consigli" che gli sono elargiti dagli adulti e dai genitori. E con ragione direi.
Infatti, sono gli adulti che gli hanno insegnato a mentire e non parlo solamente della favola di Babbo Natale o di altre che gli si raccontano per riempire dei momenti particolari di magia e stupore.
Intendo invece le menzogne stridenti che, crescendo, i bimbi constatano nell’evidente diversità fra le parole degli adulti e le loro azioni.
Appena dopo i primi anni di fiducia incondizionata nei “grandi” i bambini e poi gli adolescenti sentono che c’è qualche cosa che non quadra. Spesso le indicazioni e le regole che gli sono imposte non sono per il loro bene, ma per la loro manipolazione.
Come potrebbe non nascere in loro, giustamente, il sospetto che dietro le belle parole vi sono solo gli interessi degli altri?

Quindi, questa causalità dell'esistenza andrebbe non solo ribadita, ma anche sottoposta al loro giudizio critico sulla base dell’esperienza personale che è un dato soggettivo incontestabile.
L’esperienza determina in noi non solo la conoscenza delle cose del mondo, ma anche la scoperta delle nostre qualità e delle nostre mancanze.
Senza un confronto onesto con la realtà si resta prigionieri di un mondo di idee, magari seducenti, ma che non servono a nulla.
Questa presa di coscienza dovrebbe generare un profondo senso di responsabilità, quella responsabilità che spesso dimenticano perfino le persone anche un po’ più in là negli anni. Credono di vivere ed è invece alla fine sono vissuti dalla vita.
Quindi, è fondamentale la valutazione responsabile di ogni scelta, perfino quelle banali, perché le conseguenze di ogni decisone anche apparentemente innocua può essere imprevedibile e determinante.

Determinante per chi, vale la pena sottolinearlo, abbia un obiettivo.

Viceversa ogni scelta è lasciata alle circostanze ed è come sperare che la pallina lanciata in una roulette con milioni di numeri finisca sul numero segnato dalla nostra “fiches”, tra l'altro una puntata lanciata a caso sul tavolo verde. Il premio poi, di tanta fortuna sfacciata sarà proprio quello che desideriamo, ma non sapevamo di volere. Pare un po’ troppo perché accada a tutti.
Avere un obiettivo è dunque non solo auspicabile ma necessario per chi non è baciato con tanto ardore dalla Dea bendata.

Un obiettivo che deve essere definito però con precisione.

Che tipo di uomo o di donna sarò fra dieci, venti, trenta anni? Quali risultati giudico fondamentali? Risultati materiali certamente come il tipo di lavoro da svolgere, ma anche che genere di famiglia vorrei e che qualità di rapporti umani avrò con gli altri.
Sarò una persona di riferimento oppure una comparsa? I rapporti con i miei simili saranno su basi solide o generati solo dall’interesse? Farò un lavoro utile o superfluo? Sarò una persona profonda o mondana?
Il quadro, per così dire una sorta di ritratto di Dorian Gray al contrario, deve essere dipinto in ogni più piccolo dettaglio.
Inoltre per tutto il tempo che si è separati da questo ipotetico traguardo bisogna sempre domandarsi ad ogni bivio: questa scelta mi avvicina o mi allontana al mio obiettivo?

Tutto questo richiede molta disciplina, me ne rendo conto, ma non c'è altra strada per dirigere la propria vita.
Questa linea di arrivo deve essere, però, almeno secondo la mia idea, alla fine di una strada che ha un cuore.
Altrimenti la sensazione di vuoto interiore che ne deriverebbe, mi pare ovvio, invaliderebbe lo sforzo profuso.
Per fare un esempio semplice. Se un obiettivo potesse identificarsi con una vita realizzata materialmente sarebbe utile che lungo il percorso di questa realizzazione sia contemplato un lavoro e un impegno che ci arricchisca anche spiritualmente ed emotivamente.

Perché il tempo della vita è poco è non c’è tempo per essere tante cose, ma alla meglio realizzarne una; Almeno nella dimensione della eccellenza se non è proprio possibile giungere alla perfezione. Eccellenza fatta non solo di un riconoscimento condiviso, ma sviluppata nei tre piani dell'essere umano, cioè materiale, emotivo e mentale. Poi sarà possibile da quella conoscenza vissuta pienamente dedurne tutte le altre.
Come ci si sentirebbe, infatti, a vivere in un’immensa residenza con un bel parco secolare e senza problemi finanziari ma in una solitudine desolante nonostante molte persone attorno? Penso non molto bene.
Mi domando ancora. Come ci si sentirebbe a godere della medesima grande disponibilità materiale se conseguita con l’inganno, la frode o con lo sfruttamento degli altri?
Anche in questo caso penso non ci si sentirebbe molto bene se l’ambizione è di essere non solo una persona ricca, ma anche di valore; Cioè un essere umano di un certo spessore e sensibilità.
Il senso di responsabilità che ne consegue ad un’indagine un po’ più seria della vita è enorme.
L’individuazione di come vorremmo essere deve, come già detto, essere molto precisa e rinnovata continuamente perché durante il viaggio possono capitare molti incidenti, ritardi e ogni fatto può allontanarci da dove vogliamo arrivare.
Inoltre il viaggio è lungo e non si può mai sapere cosa ci potrà servire, allo stesso modo ogni cosa superflua è un peso in più che ci farà rallentare.
Se lascio, però qualche cosa indietro non potrò poi tornare a prenderla. Bisogna pensarci bene.

Cosa dunque desidero sul serio? Cosa è in definitiva quello che sento di volere?
Domande alle quali tutti possiamo rispondere, ammesso e non concesso che ci conosciamo così bene da sapere non solo cosa non vogliamo (abbastanza facile) ma a cosa aspiriamo effettivamente.
Il nostro traguardo deve essere quindi solo nostro e lungo la "nostra strada" non si è mai abbastanza indipendenti, questo vale la pena rimarcarlo.
Ecco perché un’esperienza precoce di vita vissuta è fondamentale per comprendere questa realtà della vita e usarla con vantaggio.
Invece la nostra società e la famiglia tende a mantenere i bambini e i ragazzi in una sorta di limbo, dove si proteggono da ogni confronto e gli si danno delle regole che poi non troveranno nella vita vera.
Appena cresciuti quegli stessi ragazzi scelgono professioni fantasiose o banali sulla scorta di un condizionamento sociale o familiare. A volte per un adeguamento ai messaggi che pervengono della televisione e non si domandano quasi mai onestamente: Chi sono? Cosa sono capace di fare? Quali sono le cose che mi nutrono veramente? Ma soprattutto: Me lo merito?


Il confronto con la realtà è, come già detto, non solo importante ma indispensabile.

Nel definire “ciò che voglio essere” bisogna anche considerare molto bene le risposte che ricevo dagli altri e i risultati che ottengo dal mondo cioè dalla realtà.
Se desidero, per fare ancora un esempio, vincere il premio Nobel per la Fisica
con un’innovativa teoria delle stringhe e ho un quoziente intellettivo che arriva a malapena, nonostante cinque caffè prima del test, ad ottanta, forse non è la strada giusta; Così se voglio essere il più grande velocista al mondo sui cento metri, ma “sbanfo” già dopo una rampa di scale magari c’è qualche cosa da sistemare nel mio mirino di puntamento.
Vi è da considerare un altro aspetto della realtà che manco a dirlo è paradossale.
A volte un riconoscimento di una vita spesa per essere e per fare non è ravvisato da nessuno. Non lascia traccia alcuna di se e questo potrebbe far pensare che si è sbagliato tutto.
Esempi in campo artistico, scientifico e umano si sprecano.
Non parlo solo del caso eclatante di Gesù che quando morì sulla croce aveva vicino solo sua madre, una puttana e poche vecchie; Dei suoi amati discepoli, di quanti lo acclamavano e di tutti quelli guariti e miracolati non c’era nessuno. Se avesse giudicato la sua vita da quella fine miserevole, dalla solitudine con cui era stato ricambiato del tanto amore donato agli altri non avrebbe forse dovuto avere più molta fiducia nell’uomo e nel Padre Celeste. Senza parlare di come i suoi insegnamenti sono stati nei secoli fraintesi.
In definitiva una vittima innocente di un errore giudiziario che, però nella storia dell’umanità non fu il primo e purtroppo neanche l’ultimo
Un altro esempio: Vincent Van Gogh; le cui opere oggi sono forse le più quotate sul mercato mentre in vita non ha mai venduto un quadro. Le sue fatiche per i suoi contemporanei erano prive di gusto. Oggi invece ne siamo incantanti.
Dunque ha mancato il segno oppure no? Chi può dire se il grande pittore è morto con dei rimpianti, oppure nell’istante estremo era consapevole della sua riuscita?
Emily Dickinson, non ha mai pubblicato una poesia (forse un sonetto su un giornale di provincia) e quando è morta la sorella ha trovato centinaia di poesie nei cassetti come dimenticate che ha poi raccolto e pubblicato. Ora è considerata una delle più grandi poetesse Americane.
Franz Kafka, è morto anche lui sconosciuto, Friedrich Nietzsche, in manicomio senza nessun riconoscimento accademico. Galileo, ha dovuto abiurare le sue teorie rivoluzionarie. Quanti di quelli che studiamo e di cui apprezziamo le opere oggi sono stati apprezzati anche in vita? Pochi per non dire pochissimi.

Insomma la storia migliore dell’umanità è fatta da grandi esseri umani trattati come dei derelitti e con una vita a ben guardare infelice. Il premio del loro genio? E’ stato quasi sempre l’incomprensione, la persecuzione, l’isolamento.
Tutto questo panegirico per chiarire che forse sono le circostanze che fanno l’uomo e soprattutto il suo successo in vita (superando così i suoi programmi), ma è sempre e solo l’uomo che coglie nelle circostanze, l’opportunità.
In questo è la sua responsabilità, l’intento deve essere perfetto, la preparazione scrupolosa, mentre il risultato è molto spesso in mano a qualche cosa di più grande.

Esiste dunque una via che collega ciò che mi sento di essere a quello che gli altri percepiscono di me, e su questa cammina la persona che sono veramente.
Come scriveva il grande Kafka: “La vera via passa su una corda, che non è tesa in alto, ma rasoterra. Sembra fatta più per inciampare che per essere percorsa”.

Non conosco augurio più bello per chi inizia la vita di quello di inciampare in se stesso.



mercoledì 7 novembre 2012

Sostanza e apparenza

E’ molto semplice.

Come una fiamma che arde sopra una pietra nascosta bruciamo la nostra vita, ed è una fiamma quasi senza peso; momentanea e inevitabilmente destinata a spegnersi dopo un breve bagliore.
La pietra invece non si osserva, non si esprime, ma continua a esistere: eterna, immutabile, immota.

Abbagliati dalla luce consideriamo come reale questo fuoco ma è come guardare se stesso in uno specchio che a volte distorce l’immagine che rimanda, altre volte questa superficie riflettente è coperta da strati di polvere accumulati in anni e anni di vita: Parimenti ridà un riflesso in cui non possiamo mai riconoscerci completamente.
Così ciò che è apparenza insostanziale è percepito come reale e invece ciò che è eterno è sentito come immateriale, ma se guardo nel abisso vedo che io sono quel abisso che guarda un Egli, esso è in realtà ciò che sono stato, sono e sarò.

Esisto come parte di uno spazio indivisibile che non è più confine perché è senza dimensione, in un momento eterno perché al di là del tempo.
Scopo della vita per quanto mi riguarda è pulire questo specchio, levigare ogni distorsione, vedermi per quello che sono e riconoscendone il riflesso: abbandonarlo.

La fiamma vive dunque la sua esistenza illusoria identificandosi nella somma delle proprie emozioni, nelle esperienze e conoscenze vissute e acquisite, ma non può che trovare in ciò altro che delusione, poiché ogni gratificazione è temporanea e ogni risposta è in definitiva un vincolo.

Questo costrutto apparente non può conosce la reale felicità perché legato alla propria natura effimera.
Ogni cosa sorta da questa struttura è indissolubilmente incatenata alla nascita, al divenire e alla fine, da questo deriva la sofferenza di ogni uomo nato per morire, fino a quel limite estremo dove egli si riconcilierà con il reale Sé, l’Infinito.
La pietra della vita è così detentrice di un altro tipo di gioia, di una pienezza fatta di un silenzio tangibile, di quel particolare vuoto che tutto contiene.
Essa è la natura autentica che non conosce il bisogno, il desiderio, la frustrazione, la brama insaziabile.
Esiste semplicemente al di là.
E’ un canto antichissimo che è melodia oltre la forma e l’idea.

Spesso l’uomo non ode o peggio ancora non vuole udire questa armonia che lo supera, lo sovrasta, lo contiene e lo annulla vivificandolo.
Dove "io non siamo" si trova la dimensione del vivere reale.