giovedì 31 luglio 2014

Un miraggio chiamato Domani


Come detto tante volte non parlo mai di me stesso. Faccio seguito ad alcune riflessioni che desidero trascendere.
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Nella mia prima giovinezza ho conosciuto la miseria e la brutalità di un conflitto militare; Grazie al cielo quella tragedia non riguardava la mia terra.
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Se mai c’è un esperienza che può togliere il velo di romanticismo che avvolge l’avventura delle armi è proprio la guerra stessa. Non vi è niente di nobile nella distruzione e nella morte che si presenta nuda per quello che è: semplicemente la fine di tutto.
La prima vittima di un conflitto è la speranza, la speranza che esseri umani diversi per etnia, cultura, storia familiare possano andare d'accordo.
Tutti sono bravissimi a costruire muri, ma pochissimi uomini riescono a vedere oltre di essi.
Un'avventura che ho voluto sperimentare per quella sorta di incrollabile sensazione di invincibilità che è propria della gioventù, cioè di chi ha poca esperienza del mondo e di se stesso.
Essere giovani è un momento magnifico della vita, anche se dura poco. Cadi e non ti ferisci, sei sempre allegro e hai un'inesauribile voglia di scopare, però con gli anni ti rendi conto che guidavi una Ferrari F40 ma non sapevi dove andare. La Natura ti aveva dato un sacco di optional nella tua automobile sportiva e velocissima, ma non il GPS.
 
Considerazioni a parte, sono partito che ero un ragazzo e sono tornato dopo pochi mesi che ero un uomo, certamente non per ciò che avevo imparato ma per quello che  avevo  perso. 
Molte illusioni infatti sono rimaste in quel luogo che avevo visitato con una spedizione militare che eufemisticamente si era chiamata missione di pace.
Passati più di venti anni quei territori bruciano ancora, e questo la dice lunga sul senso di ciò che è stato fatto o meglio non fatto per una fattiva volontà di pace che appartiene a pochi uomini nella realtà ed è invece proprietà di molti solamente nelle parole.
 
Altre esperienze, a volte addirittura più traumatiche, mi attendevano lungo il percorso della vita, ma non le potevo immaginare allora. Come avrei potuto? La nostra ignoranza ci condanna e ci salva nello stesso momento: non sappiamo cosa siamo, perché esistiamo e cosa accadrà tra un minuto. Non conosciamo nulla di quello che ci riguarda, figuriamoci del resto.
Penso che questa cecità che tutti abbiamo sul domani, un domani che rincorriamo lanciando avanti i nostri desideri, sia stata per me una fortuna; Altrimenti avrei avuto la tentazione fortissima di tirarmi indietro.  Così, invece di venir trascinato dal mio destino gli sono andato incontro.
Oggi però sono ancora in piedi,  pieno di cicatrici ovviamente, le più dolorose non si vedono, ma sono segni che vivo come tatuaggi rituali e virtuali: mi ricordano chi sono, cosa ho fatto e soprattutto di cosa sono fatto.
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Tra i più vividi ricordi c’è ne uno apparentemente banale, avevo più o meno otto anni. Un giorno mentre stavo giocando mi fermai a pensare alla miseria;  Un pensiero inaspettato che non avevo mai formulato in me stesso e che mi investì con uno schianto con la forza potente dell’immaginazione che è propria dei bambini.
Mi sentii veramente solo al mondo.  Nessun genitore, nessuna casa,  povero e senza garanzie di fronte a un mondo grandissimo. Un mondo bello, ma indifferente. 
Un pensiero suggerito da chissà cosa, non ho idea cosa lo abbia ispirato, magari solo il parto della mia fervida fantasia che con gli anni è divenuta ancora più ricca. Forse un suggerimento del mio animale totemico.  
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Provai in quei momenti, pensando alla povertà, una sensazione di acuto orrore e di sordo terrore.  Credo di non aver mai più vissuto così intensamente la paura e con un tale gelo paralizzante. Neanche nei momenti in cui ho visto la morte in faccia.  Neanche negli attimi dove le circostanze mi hanno obbligato a combattere per la mia vita e così a conoscere la misura del mio coraggio e della meschinità generata dalla pochezza di ogni uomo, me compreso. 

Rovistando in questo ricordo mi imbatto involontariamente in altri attimi vissuti che valgono in certi casi, una vita intera. Momenti dove ho percepito l'amore, la  grandezza, il mistero e la bellezza del sacro che si nasconde perfino nelle peggiori apparenze.
Di quello però non parlo, forse per pudore nei confronti di questa dimensione senza misura e perché le parole sono inadeguate.
Ad ogni modo grazie alle esperienze, al confronto con la realtà, ho potuto vedere tutte le mie mancanze. Nulla è dimenticato in questo inventario.
A volte questi difetti si addormentano, ma non muoiono mai.
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Come dicevo, certe esperienze ti cambiano profondamente, ma non posso dire se in meglio; Tuttavia sono sicuro che se una persona vuol vivere contenta è meglio che non guardi in faccia la realtà e non si metta mai con le spalle al muro.
Nelle situazioni senza via d'uscita paradossalmente l'ho scampata entrandoci dentro ancora di più. 
Cosa è meglio allora? Posso parlare solo per me stesso:  A una vita spesierata e felice ho preferito cercare una vita autentica.
 
Le esperienze cui mi riferisco non si trovano nei corsi di autostima e sviluppo personale cui gli annoiati del Pilates  si dedicano durante i week end liberi. 
Parlo di togliersi la pelle di dosso per arrivare sino al cuore e vedere di cosa è fatto: E’ proprio come un pugno chiuso immerso nel sangue.
Sono giunto col tempo e le circostanze al fondo di me stesso, ma invece di risalire ho preferito cominciare a scavare.
 
Allora però, quando ero bambino e riflettevo sulla povertà queste esperienze non le avevo ancora realizzate.
Mi accadde invece una cosa strana. In quel momento feci un patto, forse nel tentativo puerile di esorcizzare quel mostro che avevo involontariamente evocato.  
Promisi a me stesso che non sarei mai stato povero, debole e bisognoso.  Un patto scellerato, una promessa terribile che avrei pagato…e molto, ma il costo di quel contratto aperto da me con me stesso lo avrei compreso molto più avanti con lo srotolarsi del copione di questa farsa tragicomica che chiamiamo esistenza.
Ho così lavorato negli anni per costruire una posizione materiale sicura. Un corpo forte per quanto possibile e una psiche libera dai falsi problemi.
Non è il caso di lodarmi, perché c'è sempre qualcuno che ha fatto di meglio e ottenuto di più; Come insegna un proverbio africano: "Un bufalo non si vanta della propria forza quando ci sono in giro gli elefanti".
Se dovessi esprimermi in sintesi direi che: “Me stesso è bello, anche se non ci vivrei.”
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Ho conosciuto la ricchezza, sfiorandola. Ne ho potuto così sentire se non proprio il sapore, almeno l’odore.
In modo inaspettato  mi sono ritrovato a vagare su una strana terra. La cosiddetta terra di nessuno. 
Il luogo più pericoloso durante una  guerra, perché  è delimitato tra due schieramenti opposti. Quando cioè due eserciti si fronteggiano e creano  un  lembo di terra che  non appartiene né a uno né all’altro.
Chi passa per quell’angusto corridoio è nemico di entrambi.
Mi trovo già da molto  a non amare la povertà con i suoi disagi, con la sua perdita di possibilità e a volte, di dignità e ad odiare la ricchezza  o meglio a disprezzarne la meschina indifferenza con cui pare avvolgere i suoi possessori; L'agiatezza eccessiva è come un serpente che prima sembra abbracciare dolcemente la sua preda per poi soffocarla. 
Questi detentori del "troppo" non si accorgono di ciò che gli accade, perché il denaro prima di strangolarti ti acceca e ti rende sordo.

In questo immaginario campo di battaglia entrambi gli eserciti sono in realtà poveri.  I miserabili di risorse, i ricchi di sentimenti veri.
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Quanto a me, dove sto andando?
Percorro la sottile linea rossa che divide questi schieramenti e la sensazione che ne ricavo è' come quando si combatte per la vita o per la morte, nel senso che questo conflitto non mi trova a sostenere nessuna bandiera, mi rivela facendomi sentire più reale, perché se combatti non hai tempo di avere paura.  La paura c’è prima, a volte dopo, ma durante l'azione mai, almeno per me è così.
La pace, in questa mia solitaria battaglia fra la povertà e il superfluo non è un'opzione.
Il mio compagno che mi tiene sveglio e striscia con me sotto il filo spinato dei luoghi comuni è la Serena Inquietudine.

Vivo dunque la mia quotidianità a volte routinaria come un'avventura.
La mia vita scorre, punteggiata appena dai beni voluttari acquisiti grazie al meschino tran-tran cui mi adeguo per guadagnarmi il pane.
E' però una specie di sogno vigile. Sono presente eppure è come se non appartenessi più a quel presente.
E’ uno stato un po' meditativo, denso e vuoto insieme.
Mi incazzo, godo, rido, amo, qualche volta piango.
Mi dispero la notte per sorridere il giorno, ma non perdo il contatto con quel silente testimone che vede tutto e non parteggia per nessuno, nemmeno per quella cosa che illusoriamente definisco -me stesso-. 
Costantemente e naturalmente cerco di tornare alla "cosa vera", non so definirla meglio. 
Se dovessi descrivere con un'immagine questo stato dell'essere, affermerei semplicemente: E' una porta, ma senza ante che traccia un immaginario passaggio; Prima c'è il vuoto e poi il nulla. 
E' il mio contatto con l'Energia primigenia, la Grande Aquila: l'Infinito. 
E' stata chiamata in tanti modi, ma Lei risponde solo a se stessa.
 
A volte, mi rendo conto che questa entità biomeccanica che abito, subisce degli effetti collaterali determinati dalle esperienze trascorse.
L'onda lunga del passato non mi sommerge certamente, però mi lambisce. Mi raggiunge così una seduzione rievocativa  dei momenti estremi.
E' una "quasi innocente" patologia psichica. Un'architettura neuronale che mi rimprovero bonariamente, ma non mi decido mai a smaltellare e in tal modo, curare da me stesso.
Ammesso che per la stupidità ci sia una vera cura definitiva.
Devo soddisfare una leggera dipendenza da adrenalina. E’ come una droga.
Certo, potrei smettere;  E poi? Forse non mi divertirei più? Perché
rischiare allora, e rinunciare ai rischi.
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Piccole cose, niente di che,  mi ritrovo sulla mia superbike a sfrecciare a 250, finché sento che nel  culo non mi potrebbe entrare neanche uno spillo. Altre volte salgo sul cornicione del balcone di casa all'ultimo piano, rimango in bilico ad ascoltare la notte che parla. La misteriosa notte,  mentre l’aria entra ed esce dai polmoni. Piccole follie che mi tengono sano di mente.
Quando voglio veramente sfidare il pericolo provo ad innamorarmi.
Non è facile per me, ma in fondo per chi lo è? Almeno innamorarsi veramente.
In un mondo di sentimentali io sono uno dei pochi romantici.
Qual'è la differenza?
Beh! I sentimentali credono che le cose dureranno, mentre un romantico ha la certezza disperata che tutto passa, finisce e muore.
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Mi somministro emozioni, ma in dosi omeopatiche.
Ovviamente non posso definirmi "normale" anche se la normalità comunemente accettata è una condizione apparentemente rassicurante, ma noiosissima.
Non parlo dei miei demoni con gli altri viventi, invece scrivo di loro, perché è il mio modo per liberarmi da questi ospiti che non sono propriamente degli amici.
Li accompagno alla porta con educazione e promettendogli in regalo l'eternità della parola scritta gli do commiato.
Nulla però in fondo mi disturba veramente.
Il futuro non mi angustia nello scorrere della mia seconda giovinezza appena iniziata. 
Il domani è per me solo un dato presunto; E' la nebbia che avvolge la cima di una montagna senza nome.
 
Forse è a causa della vita che ho vissuto che esisto come in una sorta di distacco da questo mondo.
Con il dovuto rispetto per la vita direi che di morire non mi importa. Non temo l'arrivo della nera signora, perché ho visto che Lei è sempre con me, anzi è sempre con tutti.
Ci accompagna come un'ombra fino a quando diverrà una cosa sola con il soggetto che la proietta.
Cosa posso sperare per il momento estremo?
Una morte onorevole, rapida, magari con un po' di presunzione: utile.
Poi finalmente...La fine della sofferenza.
 
Effettivamente, mi rendo conto che sono morto alla realtà condivisia dalla maggioranza già da molto. A differenza di altri, da allora ho cominciato a vivere con maggiore attenzione; Con maggiore riconoscenza.
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E' vero il mondo è dolore, ma solo un cuore grato ti può rendere felice.
 
 

mercoledì 2 luglio 2014

Brand new day

Giunto al termine, almeno spero, della mia settennale crisi catartica, sancisco il mio nuovo inizio con un progetto di viaggio.
Destinazione Birmania, fra sessanta giorni lascio l'occidente per il Sud Est asiatico.

E' un viaggio non solo nella dimensione spaziale ma anche nel tempo.
Tornerò indietro di trenta anni, in una nazione dove non ci sono cellulari, internet e canali satellitari.
 
Gironzolerò senza itinerario, senza orologio e senza fretta per uno dei paesi meno conosciuti e più belli dell'Asia.
Unici compagni saranno il mio zaino, un serramanico affilato e la mia anima rigenerata.
 
Tra templi buddisti inerpicati tra le montagne, spiaggie incontaminate nel Golfo del Bengala ; Mi inoltrerò sino a raggiungere le ultime primitive tribù cannibali che vivono nelle foreste e solo recentemente aperte agli stranieri,  aborigeni ex antropofaghi che incontrerò, ovviamente, dopo l'ora di pranzo.
Certo l'avventura è rischiosa ma lo è molto di più la routine.
Nel caso non tornassi lascio i miei scritti come dono ai posteri.
 
Via dal solito quindi. 
Libertà estrema, perché l'essenza dello spirito dell'uomo sta nelle nuove esperienze…