mercoledì 4 febbraio 2015

Tu sei bellissimo


Quanto si parla a questo mondo.
Un fiume di parole che non arriva mai al mare. 
Sarebbe saggio tacere, anche non scrivere...

Di cosa si parla?
Del tempo, della politica, delle donne e degli uomini, del campionato di calcio, della moda: l’elenco è lungo. 
A guardar bene si parla di se stessi o meglio di ciò che ci riguarda.
La dimensione soggettiva ci sovrasta e ci imprigiona.
Pare impossibile uscirne. Sul fondo di ogni pensiero, filosofia e azione c’è un riferimento a noi stessi, cioè ai nostri desideri. 

L’uomo è un’entità biologica desiderante.  
A differenza degli altri animali, l’uomo desidera di più dei semplici bisogni quali mangiare, avere una tana, scopare e curare la prole generata da quest'ultima pratica. I desideri umani sono proiettati anche nel tempo, la sue brame così non conoscono riposo né fine.
Senza desiderio non c’è azione in questo mondo, e nell’uomo nemmeno la felicità cioè la sua felicità ordinaria. 

Desiderio e felicità sono le due facce della stessa medaglia.
Quando il desiderio si estingue, la felicità sparisce.
Desidero una bella bistecca, la gusto come qualche cosa di sublime al primo boccone, al secondo, ma al quarto già diviene meno eccezionale. 
Se sono sazio poi, non ha più nessun sapore per me, anzi da anche un po’ fastidio se avanza nel piatto e devo finirla per forza. 
Quello che prima sognavo, una volta estinto il desiderio, diventa indifferente, a volte perfino molesto.

Con le persone ci comportiamo diversamente?
Cioè i rapporti umani sono liberi da questo meccanismo d’interesse e desiderio?
Ognuno ha già la risposta nella propria esperienza personale.
Quando sento parlare dell’uomo, del mondo (inteso come umanità) di quanta strada abbiamo fatto, di quanto siamo bravi, emancipati, democratici e divenuti migliori rispetto ai nostri antenati e predecessori: sorrido.
Per almeno un paio di ragioni.
La prima, è nel costatare che il problema che ha determinato il fallimento di ogni uomo che abbia voluto cambiare il mondo è stato solo uno: il mondo stesso. 

La seconda, è nel vedere chiaramente che l'uomo non cambia, sono solo le circostanze che lo rendono diverso.
C'è chi sostiene che è possibile cambiare un essere umano...Certo! Ma solo se ha meno di tre anni e si è cagato addosso.
Immaginando di togliere a uno stimato e un po’ sedato ragioniere il suo lavoro, il mutuo da pagare, i soldi in banca. Lasciando cadere intorno a lui questa società costruita su un'economia traballante, liberandolo da ogni regola e legge, in cosa si trasformerà?
Nello stesso uomo preistorico che correva nella foresta del neolitico, solo con la pancetta e le lenti bifocali sul naso.
 
Nella società umana sono a disposizione la ricchezza e il benessere che per alcuni sono il prodotto di tanti sacrifici,  a volte la conseguenza di qualche reato impunito; Per altri il lascito delle scoperte e delle esperienze di chi li ha preceduti.
Questo stato di cose elargisce per i più fortunati alcuni comfort, una vita più lunga e un po' di istruzione: più tempo rispetto agli uomini delle epoche precedenti. 
Solo un po’ più di tempo per essere esatti.
L'umanità odierna ha così a disposizione più elementi per pensare, non è detto che li sfrutti, ma potenzialmente li ha. 
Inevitabilmente chi comincia a ragionare, giunge all’ovvia constatazione che nonostante tutto il suo daffare vivrà comunque un’effimera esistenza, breve e con una fine certa.
Una deduzione che avevano già colto anche i nostri avi a onor del vero, nonostante avessero in media meno tempo, ma probabilmente erano più svegli dei contemporanei. 
Notizie non troppo allegre, ma questa è la merdosissima realtà della vita.

Oltre questi amari  punti fermi,  arriva l’inevitabile depressione o almeno l’ansia, la nevrosi e l’angoscia della propria gabbia con un'unica uscita,  una cella che per alcuni è dorata, ma resta comunque una prigionia.
Un percorso obbligato, apparentemente diverso per ognuno da cui però non è possibile uscirne che con i piedi in avanti in una cassa di legno.
Tutte le nostre macchinazioni, patemi d'animo, aspirazioni, poesie, amori ed egoismi finiranno in una fossa, dopo più o meno venicinquemila giorni.
L'epitaffio a tante tribolazioni scritto su ogni lapide sarà l'oblio. 
Alcuni per non vedere l’orrore di questa cella cercano di amarne le sbarre.
Si convincono che la vita è un bel film, un luogo felice dove fare esperienza  ma a cosa servirà l'esperienza acquisita in vita se poi non c'è più una vita? Stupidate ottimiste. 
Ingannano se stessi credendosi senza data di scadenza.
A questi uomini che sorridono sempre come avessero una paresi facciale, ricorderei che anch'io ho sentito parlare dell'eternità, ma non l'ho mai vista, anzi nessuno è mai durato tanto per vederla.
E' paradossalmente più fotrunato l’uomo che lotta, almeno non ha tempo per queste speculazioni. 
Quando ti corre dietro un Leone nella Savana non c’è tempo di essere depressi o per avere attacchi di panico.  
Questo cosa dice?
Che la frustrazione e quasi tutte le malattie psicologiche che affliggono l’umanità sono determinate dal benessere, o meglio sono un lusso che paghiamo per esserci affrancati (momentaneamente) dalla battaglia per la sopravvivenza.
Pare che sia congeniale per l’umanità vivere nel dolore; Nella disperata lotta per mangiare, coprirsi e assicurare un po’ di vita a se e alle persone della propria famiglia. 

Al di fuori da questa dimensione di conflitto e di sofferenza, l’uomo sembra che cominci a sentirsi nuovamente a disagio.
Sembra proprio che più la sedia è imbottita più diviene scomoda.
Si generano nell'umano ogni tipo di problema psichico, e così è risospinto nella sofferenza da cui voleva affrancarsi.  
Un comportamento che la psicologia definirebbe di un maniaco depressivo, in quanto è notorio che alla maggioranza delle persone piace complicarsi la vita per poi giustificare la propria depressione;  Oppure con un po' più di tatto, il destino di uno sfigato cronico, perché è comunque vittima della fortuna che magari lo favorisce per un pugno di giorni, ma in ogni caso mai per sempre.
Quando l'uomo si pone qualche quesito esistenziale in merito al senso di questo inferno, la Natura gli risponde di solito con uno spintone, a volte con un calcio nel sedere. 
Ti vuole proprio dire: "Non rompere i coglioni e vai avanti. Pensa solo ad andare avanti. Vai, cazzo!"
Il motore con cui gira la nostra giostra è come detto, il desiderio.
A volte è chiamato "speranza" ma è solamente desiderio procastinato nel tempo ed abbelito di buoni sentimenti.
E' palese come il fatto che stò respirando che Il desiderio  non solo ci muove, ma ci domina.
Nella classifica delle desiderazioni umane schematicamente annoterei che, tirata una riga sopra alle prime necessità, poi alla ricchezza e al potere, apparirà la voglia di conoscere, intendendo con "sapienza" non certo la cultura o l'erudizione, ma la conoscenza reale, profonda,  riguardante se stesso e il mondo.
E' un tentativo di liberazione probabilmente, dopo che una persona realizza (se mai lo farà) che i primi obiettivi una volta conseguiti non daranno che un'effimera soddisfazione, e in ogni caso non dureranno per sempre.
Cerca così un investimento più solido, redditizzio qualcosa che in qualche modo gli sopravviva e lo possa aiutare a eludere il mattatoio che lo attende alla fine di questo rodeo.
L’uomo cerca la conoscenza per convenienza, e in questo atteggiamento commerciale e pragmatico non trovo nulla di disdicevole.  
E' una vanità? Una velleità? Magari è l'ennesima ambizione? Non so che dire, certamente tra tutte le umane follie è sicuramente la più innocua.
E’ mia opinione inoltre che l’essere umano non è fatto dalla Natura per il sapere, ma per la mera sopravvivenza.
Quindi, si pone un bel problema.
Alla Vita non interessa che acquisiamo conoscenze o addirittura viviamo in una dimensione di felicità; Essa vuole che nasciamo, viviamo, ci riproduciamo e poi una volta esaurito questo compito biologico: moriamo.
Non sostengo questo per cinismo, ma per la semplice osservazione di come vanno le cose nella Natura stessa.
Se guardiamo al mondo naturale e perfino alla vita umana con disincanto è evidente questo semplice riscontro nella sua purezza, ma anche nella sua crudeltà.
Molti definiscono questo mondo: imperfetto. Quando la realtà li tocca però si accorgono che invece è: impietoso.
 
L’uomo è l’unico essere vivente su questo pianeta che tenta di “pervertitire” questa naturale disposizione della Vita per scegliere un destino diverso, ma è veramente così?
E se lo è, lo è per tutti?
Se dovessi rispondere a questa domanda, direi che il giusto quesito è: di quale tipo d’uomo stiamo parlando?

Parliamo dell’uomo ordinario? Cerca forse la verità? 
Ma per favore.
Non credo proprio, infatti constata quasi subito che la verità di rado lo rende felice, in particolare perché distrugge le sue illusioni.  Ammettendo  che volesse andare, oltre questo immediato rigetto, avrebbe la possibilità di farlo?
Riuscirebbe quest’uomo a vedere la realtà per quella che è cioè a non proiettare i propri desideri, attese e paure su ciò che accade?
Riuscirebbe poi, a guardare con questo distacco la sua vita?
Se un uomo desiderasse un destino diverso da quello di vivere secondo la legge naturale di nascita, sviluppo, riproduzione e morte;  Prima di tutto dovrebbe sapere come funziona, e successivamente trovare il modo di usare questa conoscenza per cambiare questa strada già segnata per lui.
Lo potrebbe fare se fosse libero, e potesse in questo modo esprimere una reale volontà univoca, costante, incondizionata. 
Quindi, ognuno devrebbe chiedersi: sono libero?

A un’osservazione oggettiva appare evidente che l’uomo è una macchina, una specie di burattino.
Come nella favola di Pinocchio che ben rappresenta la condizione umana. E' una  feroce critica all'uomo e ce lo mostra in forma allegorica solo per non offederci. 
E com'è questo burattino?
Inaffidabile, irriconoscente, immaturo, cambia idea a seconda delle circostanze. Senza altri valori se non quelli che gli sono imposti; Corre sempre e solamente dietro al piacere che chiama ipocritamente felicità.  
La gratificazione immediata è per lui l'unica saggezza. Mente costantemente in particolare a se stesso.
Cerca sempre un guadagno facile e presta credito a qulunque truffatore che gli promette una ricchezza senza merito.
Non gli importa di nessuno tranne che di se stesso.
Soprattutto è un vigliacco.
Questo Pinocchio non ci somiglia? No, Si? Ah! Ecco.
Non lo dico in senso dispregiativo o riduttivo, ma come una semplice presa d'atto.
Molti pensano di essere spontanei, creativi, originali, ma a un'analisi precisa si vedrà che ogni cosa nell'essere umano è una citazione, un rimando a qualch'cosa d'altro che è stato prima, alla meglio la conseguenza causale di stimoli antecedenti.
Accumuliamo pseudo conoscenze durante l'esistere in maniera fortuita e queste poi sedimentano in noi.
Questo magazzino pieno di polvere e oggetti raffazonati è la memoria; Il contenitore della nostra vita, un archivio molto impreciso perchè selettivo.
Alla resa dei conti siamo il prodotto di una programmazione biologica (DNA) e di un condizionamento sociale/familiare. Una omologazione capillare generata dalla morale e dall’educazione.
Inoltre, l'uomo ubbidisce a influenze esterne e interne su cui non ha nessun controllo né quasi mai percezione.  
Quando parlo d’influenze interne, intendo quelle determinate dalla chimica e dalla biologia, mentre quelle esterne sono legate al rapporto con gli stimoli della realtà percepita e alle influenze che hanno le altre persone su di noi.
Il libero arbitrio è così un dato presunto. 
Quasi mai si cerca una verifica,  poiché siamo tutti convinti di averlo già e anche perfettamente funzionante.

Nell’area sottesa della cosiddetta “risposta personale” che si suppone libera da queste influenze e da questi meccanismi, la maggioranza delle persone colloca il proprio brandello di libertà che sventola come un vessilifero ad ogni pié sospinto;
Pensano infatti  (ingannandosi) sia possibile essere qualche cosa che trascende questi meccanismi, quando per la maggioranza sono inconsapevoli.
Questo spazio  alcuni lo ritengono ampissimo, proprio quando tutti i fatti della vita si incaricano di dimostrargli il contrario.
Questa libertà è in definitiva inesistente, illusoria, alla meglio è il risultato dall'ignoranza di cosa accade in noi.
Non conoscendo l'origine di ciò che avviene lo si definisce come un'evento spontaneo, ma di spontaneo non ha proprio nulla.
E' impossibile essere liberi da un meccanismo se non lo si percpisce, lo si osserva, lo si comprende e si abbia infine gli strumenti e la volontà per liberarsene.
Ecco che non c'è peggior schiavo di chi si crede un uomo libero.

Infatti qualè l'elemento più rappresentativo del libero arbitrio se non la libertà di sbagliare? 
E' evidente però che ogni essere umano non può fare a meno di fare la scelta giusta anche quando sbaglia.
Nel momento della scelta c'è sempre il convincimento che quella sia la decisione migliore, solo a posteriori è possibile darne una valutazione eventualmente negativa.
Appare dunque chiaro come la presunta "libertà umana" non è che un inganno.
Almeno finchè si esercita nel vivere la mente e la coscienza.
La tanto esaltata "coscienza" di cui si va così fieri è in definitiva la nostra prigione.

Questa libertà invece  secondo la moltitudine è una specie di diritto di nascita cioè solo per il fatto che ogni individuo ha  la possibilità di prendere delle piccole decisioni, a ben vedere ininfluenti, pensa che ugualmente abbia il potere dell'autodeterminazione e di prendere delle grandi decisioni fondamentali a riguardo della sua vita.
La distanza fra questi due mondi è invece siderale.
Questa qualità volitiva che non dimostra quasi mai in nessun aspetto della vita, egli la riconosce come propria  grazie alla sua "natura divina" che, sempre secondo questo ipotetico individuo, molto somigliante a quasi tutti, ha addirittura un'anima (invisibile, intangibile ed eterna) come risultato naturale di essere  la suprema emanazione di Dio.

Se questo essere umano è la corona della creazione come mai è così coglione?  Com'è che combina solo casini?
Se è così ben costruito dal Grande Ingegnere, perché il pelo nell'uovo per lui è un dato di fatto?

Il ragionamento che sostiene il muro di presunzione  che nasconde la realtà è edificato grazie a enti immateriali. 
Infatti di solito l'essere umano si crede benedetto e plasmato da un Essere Superiore (mai visto né sentito) che guida e protegge il cammino di ogni uomo, donna e bambino che cammina su questo pianeta di pazzi scatenati.
Com'è che questo Essere Celeste prende le decisioni però a comandare è il Caos? 
Una domanda semplice che pochi si pongono.
E' singolare che questo Dio  funziona  come risposta onnicomprensiva finché permane il convincimento che esso esiste. 
E' un riferimento logico circolare che quelli che hanno studiato chiamerebbero: teutologico.

Quando smetti di credere a questa e alle altre favolette, esse (puff!) non esistono più e la vita si mostra come Lady Godiva, nuda senza vergogna, quindi queste interpretazioni possono essere definite in tanti modi, ma nessuna in maniera educata.

Come con Babbo Natale, finché sei bambino e ci credi ti fa felice, poi diventi grande ed è solo una rottura di palle, perché devi andare a comprare i regali, fare gli auguri per forza e ti accorgi che è solo business.
In diverse parole è un'ipnosi autoconsolatoria, ogni volta che una credenza è promossa a certezza. 
La moderna scienza del linguaggio ha dimostrato che la religione riscrive i processi neuronali, rendendo un'illusione ripetuta molte volte una realtà.
Più il processo ipnotico di illusione (fede) è profondo, maggiormente la religione lo eleva a virtù. 
In definitiva è un delirio indotto.

In sostanza, questi sono enti mentali che si basano secondo me, sul preconcetto cioè su dati presi per buoni e mai verificati obiettivamente.
Queste fantasie, tutt'altro che innocue, sono alimentate dal bisogno patologico di dare una risposta a ciò che non si conosce, ma soprattutto a ciò che fa paura.
 
L'esistenza, l'uomo, la Natura invece potrebbero essere funzionanti anche con un modello più semplice, senza bisogno di tirare in ballo queste puttanate.
La Fisica ci insegna che non è necessaria una causa primaria e scatenante per l'esistenza dell'universo.
Questi voli pindarici con cui l'umanità tenta di elevarsi a volte in maniera suggestiva, hanno come ali il bisogno di sentire che ognuno è unico e speciale; Senza questa vanità cadrebbero giù.
L’albero si riconosce dai frutti, è scritto nel Vangelo.
 
Se si utilizzasse questo precetto rivelato da Dio, per valutare Dio stesso guardando come si comportano i suoi adoratori e le religioni che lo rappresentano, penso che molti comincerebbero a porsi dei seri dubbi la domenica mattina quando lo invocano con gli occhi al cielo.
Si accorgerebbero (sorpresa, oh, oh!) che la vita continuerebbe assolutamente uguale anche senza le preghiere, ma si allegerirebbe dai sensi di colpa.
Ripenserebbero forse a quando, infervorati e un po' ipocriti, rivolgevano le loro suppliche alla Divinità e blasfemamente constaterebbero che tutto il tempo trascorso in devozione,  tutti i soldi che hanno infilato nella cassetta delle elemosine per ottenere qualche perdono o merito, sono stati  una perdita di tempo assoluta.
A meno che non si voglia considerare che alla maggior parte dei credenti piace aggregarsi ad un Onnipotente serial killer, infatti ammazza tutte le sue creature;  Un sociopatico visto come conduce i suoi figli lungo questo oscuro calle.
Tante sofferenze elargite a piene mani dal Creatore alle sue creature durante questa breve permanenza su  questo sasso roteante perso in uno spazio senza vita che è plausibile attribuirgli una spiccata propensione al sadismo.
Lo spirito che dovrei venerare è dunque il Suo humor nero?
 
In definitiva i fedeli adorano un procastinatore colossale, dove la felicità promessa dai suoi rappresentanti in terra arriva sempre dopo, domani, nella prossima vita, nell'altro mondo, alla fine dei tempi.
Intanto che si aspetta il Suo intervento le cose vanno come vanno.
Ci si può credere?
Ebbene si. Niente è più credibile dell'impossibile per quel rimbabito dell'essere umano.

La nota comica è che il senso ispiratore di questo Essere Celeste dovrebbe essere l'amore.
In particolare l'amore per l'umanità: Figuriamoci se gli stavamo sulle palle.
 
Invece nella Natura e nella società umana si vedono chiaramente altre cose come la violenza, l'avidità, la soppraffazione; Nel migliore dei casi nell'uomo appaiono talvolta dei sentimenti, sempre condizionati a qualche cosa d'altro e a ogni modo che dureranno poco.
Le migliori emozioni sono dunque dei surrogati affatto durevoli di questo sentimento sacro d'amore che dovrebbe permeare la vita.
La peculiarità di questo moto del cuore invece dovrebbe essere, diversamente da come si realizza, la profondità, la costanza, la libertà, dovrebbe essere più forte di ogni avversità e delusione.
Perché l'amore è per sua natura: incondizionato.
Aggiungerei immeritato, perché se ci fosse la necessità dei meriti per essere amato si amerebbero in realtà i meriti e non l'essere in sé.
  
In giro comunque si vedono solo copie di scarso valore di questo splendido sentimento che evaporano velocemente proprio perché inconsistenti. 
Tornando per un attimo ai presunti sentimenti di "Vostro Signore" le domande che sorgono spontanee sono: Dov'è questo Amore Divino?  
Perché ci crea  carenti e inadeguati per poi tormentarci in questa breve vita con i sensi di colpa e con delle aspettative di così alto livello? 
Non gli bastano le tribolazioni che già patiamo?
Commettiamo sicuramente azioni discutibili,  ma fatti proprio a causa delle inadeguatezze con cui ci ha fatto; Poi ci sono  il Destino, il Fato, le circostanze, tutti eventi determinati da Lui. 
In queste condizioni come può essere nostra la responsabiità?
In ogni caso la retribuzione di tutte le azioni umane che siano giuste oppure sbagliate sarà comunque la distruzione, la morte, senza un motivo plausibile per farci vivere storie diverse ma con il medesimo epilogo.
Non c'é dunque una vera colpa, perfino per i colpevoli.

Inoltre, è ragionevole immaginare un Dio che pretende dall'uomo qualcosa che non possiede?
Che ascrive all'uomo una colpa per errori e peccati che sono  il risultato della propria incapacità costitutiva di determinarsi autonomamente soprattutto  in una realtà su cui non ha alcun potere?
Ovviamente è un paradosso.
Penso creato da alcuni per generare il senso di colpa in altri, e rendere questa umanità già molto confusa, cerebralmente limitata, ancora più debole, stupida e manipolabile.
Questo Dio è così un mistero. La sua logica un enigma per non osare affermare che è delirante. 
Non bastassero queste semplici considerazioni non si è mai visto nei millenni il Suo intervento diretto.  Quindi dov'è il Suo amore ? Dov'è almeno il Suo interesse?
Magari non si è mai visto per il più semplice dei motivi: Forse non c'è.
Nella migliore delle ipotesi è un Padre distratto e anaffettivo.
Se non è morto come sosteneva Nietzche sicuramente si è rotto i coglioni della sua creazione.

Planando dall'alto dei cieli per tornare sulla nuda Terra, provo a osservare l'amore umano, anche se stenderei volentieri un velo pietoso di tristezza infinita su questo argomento.
Direi che giusto al cinema e in televisione lo si può vedere, ma nella sua rappresentazione più banale, mielosa, sentimentale. 
Nella realtà si assiste invece a una brutta farsa in costume, dove i protagonisti dietro la bella maschera sono invece: il desiderio, il possesso, la gelosia, la prevaricazione, la manipolazione, l'abitudine, l'interesse, il conformismo e la paura. 
Qualità morali non molto edificanti che si esibiscono particolarmente nei confronti del cosiddetto amato, usato sempre come riempitivo per lenire la propria desertica solitudine.
Il più delle volte nel rapporto di coppia c'è la finzione, la bugia e la menzogna, specialmente per aderire alle aspettative che a turno si esigono.
E' una vicendevole cortesia a tiranneggiarsi.
Dove l'accordo fra le parti è fondato in larga misura sul fraintendimento.
Quale grandezza c'è in questo?
Quale Amore può macchiarsi di una simile meschinità estorta con la minaccia del biasimo e del rancore del compagno e definirsi ancora tale.

L'Amore è coraggioso, rischia tutto senza chiedere niente, mentre tra umani c'è sempre una contabilità aperta, un dare/avere  computato con un'aritmetica molto opinabile. 

Credo sia giusto volere la sincerità, ma in definitiva domandiamoci tutti cosa vogliamo veramente? 
Desideriamo solo le cose che ci piacciono e quelle che ci sono utili.
Non si accetta l'altro per quello che è.
Non si sospende il giudizio neanche per un attimo, e l'interlocutore poi dovrebbe sentirsi a suo agio comportandosi liberamente?
Si sale sullo scranno del giudice e ci si lamenta se "l'imputato" mente.
Non è follia?
Si infilano le nostre relazioni personali, ma anche le regole della nostra società, dentro a  dei paradossi per lamentarsi che non ci sono soluzioni.
Se non mi toccasse vivere queste contraddizzioni riderei dalla mattina alla sera assitendo a questa farsa.

Sono convinto che se si desidera la verità, la verità umana, bisogna prima di tutto accettarla; Nei suoi egoismi, nella sue piccolezze più abiette.
Quindi, l'accettazione completa dell'altro è la condizione per ricevere in dono la sincerità. 

Perché la  verità non è una casa dove rifugiarsi ma un ponte da attraversare.

Un ponte però ha bisogno di due sponde.
Un lato poggia su una mente aperta, soprattutto un cuore che non accusa, perchè in questo mondo nessuno è senza errori.
L'altra riva è la volontà e il coraggio di mostrarsi nudo con chi ci guarda con tanta magnanimità che nella sua etimologia (magnus animus) ci indica la qualità che esige cioè un'anima grande . 
E' come incontrare lo sguardo di un bimbo.
Di fronte a suoi occhi così attenti, curiosi  e innocenti nessuno si sente in imbarazzo, come mai?
Perché i bambini non giudicano, almeno sino a quando non imparano a farlo dagli adulti. 
Senza ritrovare questa purezza in noi non si va da nessuna parte.
Non si attraversa quel ponte che in definitiva è l'unico, reale passaggio verso l'altro e in questo incontro raggiungere la pace e la serenità di non essere soli, senza accontentarsi di "non sentirsi soli".
 
Mi spiace, ma questa balla dell'amore non me la riesco proprio a bere. Almeno l'amore a disposizione in questo mondo, quello comunemente inteso, ovvero l'omologazione acritica agli stereotipi romantici sostenuti dalla morale.
Una proiezione del solito soggetto idealizzato che è venduto a buon mercato come norma e mai mi potrà rappresentare come singolo.

Bisognerebbe avere l'onestà di chiamare le azioni e i sentimenti con il loro nome. Senza falsi pudori e così, magari, trascendere la meschinità che è parte integrante e rilevante di questo strano bipede apparso da pochissimo su questo pianeta.
Un animale destinato ad una inevitabile estinzione che percepisco come infelice, mai veramente tranquillo e il peggior nemico di se stesso.
Una specie animale di cui non mi vanto d'appartenere.

Non è nulla di nuovo o di terribile nel negare l'amore ordinario, addirittura Carl Gustav Jung sosteneva che amare l'altro è in definitiva una fuga da se stessi.
E' paradossalmente la via più facile (?!) che però non porta a nulla di significativo.
La sfida che ci lancia l'Amore è secondo la mia opinione, quasi impossibile da raccogliere.  
E' quella di amare per prima cosa noi stessi, nel senso più completo e ampio del termine.
 
E' buffo che molte persone parlano d'amore, del loro amore verso il partner oppure verso gli altri,  e poi non riescono ad amarsi, anzi per molti versi neppure si piacciono.
La cosa ancora più incredibile è che non riescono neppure ad accettarsi...semplicemente.
Di che amore parlano questi mentecatti?
Poco ma certo, non sanno neanche quello che dicono.  

Gesù (?) disse: "Amerai il prossimo tuo come te stesso."
Non era un'esortazione come molti presumono, ma una constatazione.
Un'osservazione oggettiva della natura umana nella sua struttura.

Noi amiamo e  odiamo gli altri nello stesso modo e grado in cui amiamo e odiamo noi stessi.
La differenza tra comportamento esteriore e sentire interiore è puramente illusoria, come è illusoria la differenza fra noi e gli altri.
Come potrebbe essere diverso?
Visto che tutti viviamo e partecipiamo nello stesso momento alla stessa Vita.

Quando poi la percentuale personale di odio e di insofferenza supera il 50% un  essere semplicemente si suicida.
Altrimenti, altalena questo percentile intorno a un rischioso 49% che gli consente di vivacchiare.

Non stupisce che la maggioranza si condanna da sola a una vita di merda. Svolgendo per lo più lavori ridicoli e inutili che odia.
Frequentando amicizie di facciata che alla prima difficoltà gli volteranno le spalle, consumando matrimoni che rasentano la condanna a vita e "dulcis in fundo" instaurando rapporti umani che definire conflittuali e di mercimonio è un vero eufemismo.
L'indiffernza di molti nei confronti dei propri simili non è che la misura dell'indifferenza con se stessi.
Se fossimo esseri completi, se ci amassimo veramente, non realizzeremmo per noi stessi una vita felice?
E' così evidente.
Così i nostri comportamenti non sono diversi da quello che siamo come il contenitore e il contenuto sono in definitiva la stessa cosa, uno senza l'altro non avrebbero senso. 
Azione e stato dell'essere sono dunque corrispondenti su un piano di verità, quando il nostro fare supera il nostro essere diventiamo dei millantatori ed entriamo nel teatrino della falsità.
Un teatro con tanti posti a sedere e un palcoscenico grande come un orizzonte. 
 
Invece di affidarsi a "verità" precostituite non sarebbe meglio cercare da soli il proprio bene? Cucinare così con le proprie mani la ricetta preferita. 
Costruire una personale opera d'arte senza uniformarci al concetto di bello degli altri.

Chi meglio di me sa cos'è giusto per me stesso?
A patto che l'analisi personale sia libera, saggia, obiettiva e guardando dritto negli occhi il proprio egoismo, almeno per quanto possibile.
Avendo  nella maggior soddisfazione condivisibile la sua aspirazione.  
E' un frutto che prima di essere raccolto dovrebbe germogliare da una pianta sana, cresciuta con radici profonde  che si abbeverano alla fonte delle cose vere.
 
Bisogna tenere presente che ciò che non entra realmente nell'esperienza personale non entra nemmeno nella vita di una persona.

A una visione più acuta, apparirà  forse come è accaduto a me che non c’è una strada che porta da qualche parte, infatti non c'è un'altra parte.
Davanti e dopo me stesso non c'è un bel niente.
E' una cosa magnifica. E' meraviglioso.  Da un gran valore a ogni momento. Lo libera dal dovere e lo lancia verso un bel cielo blu: la  gratuità.
Le scelte sono sempre appesantite dall'investimento, si passa la vita con la bilancia in mano e il pallottoliere sotto l'ascella pronto a valutare costi e ricavi.
Nella costante e  puerile  speranza di una retribuzione futura, magari  di una qualche Potenza Superiore; oppure con il capo chino nell'attesa titubante di una punizione di chissà quale Legge Celeste.
Nella vita non esiste nessuna realizzazione solo nella morte ci si realizzerà e nel passaggio si vedrà chi aveva ragione. Chi dice di conoscere cosa ci sarà dopo mente.
Questa indeterminatezza a molti terrorizza ad altri come me incuriosisce.   

La religione ti tratta come un deficente che non è capace di vedere come l'arcano meraviglioso del Mistero, dell'Astratto, dell'Infinito  è appiattito dal piccolo investitore che abita dentro di ognuno.
E' il medesimo ego che con ogni sorta di acrobazia cerca di scansare le proprie responsabilità.
Lo stesso folle nano che si crede il padrone della nostra vita che si palleggia tra un passato morto e un futuro indeterminabile; Disperdendo la nostra energia nel ricordo e nella preoccupazione.

Non sento il bisogno di un Genitore Onnipotente che mi tuteli, mi sono bastati quelli biologici che mi hanno amato.
Perché, mi domando,  avrei bisogno di un curatore, sarei dunque incapace di capire da solo? Nemmeno guardandomi nel cuore con onestà potrei capire ciò che è giusto oppure è sbagliato?
Eppure non mi maca nulla per fare da me stesso, perché dovrei andare in giro a mendicare con la mano tesa una moneta quando sono già ricco?
Però se mi sbagliassi e fossi invece così mancante, come sostengono i cosiddetti mediatori tra me e Dio, beh! Allora, sarebbe meglio tirarmi subito un colpo; Cazzo esisterei a fare così ottuso da dover passare una vita facendomi tenere per mano. Quale sarebbe il merito del bene se non è spontaneamente voluto e autonomamente fatto?
Esistere come un animale ammaestrato che esegue gli esercizi per un pezzo di cibo senza conoscere il senso di quello che fa non è vivere.

La religione e la società ci additano entrambe come esempio da seguire un modello di uomo che è come un bambino stupido.
Ubbidiente ma incapace.  Questo simulacro umano dovrebbe caraccolare lungo la vita  come fosse uno ragazzino tonto, grazie alle ricompense e agli sculaccioni .  Un ritardato diretto dalla morale, dalla legge e  delle norme religiose.
Questi tre capisaldi sociali che, guarda caso, non bisticciano mai tra loro, e coincidono così tanto che è evidente che sono il frutto della stessa mente: la piccola mente umana avida,  imprigionata nell'ego e nella costante brama di comandare gli altri per affermare se stesso.
 
Sono invece convinto che la condizione necessaria per iniziare un processo di comprensione è nel non avere nessuna scusa. 
Diventare adulti è prendersi oneri e onori delle proprie iniziative.

Personalmente sono ormai quasi a mio agio nel Nulla.
Perché oltre non c'è niente. L'ho gia detto? Allora, lo ribadisco con un sorriso, perché è anche una figata.
La condizione di insostanzialità è sicuramente vera se ci si riferisce al corpo e alla personalità che lo abita, mentre se parliamo dello spirito, dell'anima di cui nessuno ha un dato certo, allora rientriamo nel condizionale, nel dubbio, nei forse, nel mondo onirico dei sogni.
Secondo me è meglio rimanere svegli.
Quando poi sento dire che nel mondo c'è dolore, scoppio a ridere.
Nel mondo non c'è dolore: il mondo è dolore.
Questa dimensione è sofferenza.
E' fatta di sofferenza. E' la sua matrice costitutiva.
E' metaforicamente come la gravità, è dappertutto, poi fare un salto, costruirti un aereo, ma alla fine sempre sulla terra devi ritornare.

A chi non si è ancora tagliato le vene, nonostante la lettura di questa lunga "spiega" per altro in alcuni punti un po' ovvia, posso dire che nella mia modesta esperienza di questa curiosa singolarità chiamata pomposamente vita   ho intuito una possibilità di emancipazione dal "grande gioco".
Solo che non voglio parlarne, anche perché parlarne non serve a nulla. Inoltre è un vero progetto di evasione non ancora completato, quindi il riserbo è d'obbiligo.
Mi manca ancora di limare qualche sbarra, annodare qualche lenzuolo, corrompere qualche secondino e poi si vedrà.

Aggiungo che chi non ha colto questa "opportunità di avere un'opportunità" non la può capire. Chi invece ne conosce la natura: Beh! Non c'è bisogno certamente che gli sia spiegata.
Nella mia indagine che ho iniziato da quando esisto, e un po' più speditamente da quanto cammino sulle mie gambe, ho visto due elementi che entrano in una dimensione diversa da quella puramente materiale e che fanno riferimento a questa "possibilità di avere una possibiità".
Il primo elemento è l’Energia che si manifesta nel corpo  dell'uomo e negli esseri biologici e più in generale in tutte le cose del mondo.
Definibile nella sua manifestazione ma non nella sua essenza.
Semplificando al limite del banale direi che è una sorta di corrente invisibile, ma percettibile che è generatrice di ogni aspetto materiale e che lega ogni cosa in una connessione.
A volte una connesione molto sottile come il rumore del respiro che rimanda a quello della risacca del mare.
Una specie di forza, scevra da qualunque morale né buona né cattiva che agisce, a prescindere da uno scopo se non quello di esprimersi.
Essa si mostra più evidentemente nella Natura, dove oserei dire che si manifesta: perfettamente. 
Invece, quando questa energia è confinata(?) in una entità biologica c'è bisogno di una ricerca volontaria da parte di quell'entità per il suo miglior utilizzo cioè negli esseri viventi essa è: perfettibile. 

Come secondo dato sperimentato in me stesso (?) ho trovato un cosiddetto "punto di coscienza"  posto oltre il costrutto dei pensieri e delle valutazioni, forse oltre la mente ammesso che sia possibile.

Un punto di coscienza indifferente per la precisione.
Indifferente alla mia stessa vita e a tutto quello che la riguarda. 
Un "semplice osservatore" com’è stato descritto. E' una definizione che trova senso nella mia esperienza e che non saprei esprimere meglio. 
Un "testimone" che però non è minimamente influenzato dalla vita che faccio né la influenza. 
Un punto di coscienza quindi, se posso chiamarlo ancora così, cui nulla si può togliere né aggiungere.
Verrebbe da domandarsi perché allora voglia esistere e  perché si manifesti appena oltre il perimetro del mio ingombrante ego?
Ma questo "punto" non parla né fa gesti, non da segni, quindi...
Cosa avrà da guardare? Mah!

Probabilmente tutte le domande cui vale la pena di porsi sono senza risposta.
Penso sia oltre e basta.
Così mi affaccio sul mistero e mi godo almeno il panorama.
In ogni caso questo osservatore, questo eloquente silenzio che "abita" in me  senza occupare spazio, mantiene un contatto costante, solo apparentemente separato.
Ha un'oscura luce, un'abbagliante ombra, un'abissale altezza, una saggezza senza nozioni.
E' l'alfa e l'omega di un alfabeto senza lemmi.

In alcuni momenti mi ricorda un Buddha di pietra che ho visto per caso, mentre attraversavo la fitta foresta Birmana.
Parve veramente spuntare fuori dal nulla e rimasi incantato da quella faccia impassibile, imperscurtabile.
Mi soprese la contemplazione come fossi morto. Lo guardai per un tempo lunghissimo, senza pensieri.
In altri momenti invece questo Mistero mi ricorda l'ebrezza di un  sabato sera  con "free drink" nell'inestinguibile notte di Bangkok.
Strano, no?

Dunque le cose non sono come sembrano, ma neppure diverse.

https://www.youtube.com/watch?v=_fPncXbAfyc