martedì 29 novembre 2016

Introspezione ahia!


La teoria della coscienza bicamerale ipotizza un doppio cervello nell'uomo, in particolare nell'uomo primitivo che percepiva il soliloquio interiore (pensieri) come la voce degli Dei. 
E' curioso che il concetto di responsabilità personale, inteso come libero arbitrio sia in realtà un concetto relativamente recente nella storia umana. Per un uomo moderno è un fatto accettato, direi scontato. Nell'antichità invece, cioè sino al tempo della Grecia antica, la psicologia era completamente ignorata. L'uomo non era responsabile delle proprie azioni, perché egli obbediva al volere degli Dei che parlavano dentro di lui. 

Se si legge Omero questo risulta evidente. 
Nella modernità il significato di coscienza assume valori diversi secondo la scienza che la indaga. in neurologia, è lo stato di vigilanza della mente contrapposta al coma. 
In psicologia, è lo stato o l'atto di essere consci, contrapposta all'inconscio: esperienza soggettiva di eventi o di sensazioni.

In psichiatria, come funzione psichica capace di intendere, definire e separare l'io dal mondo esterno.

Nell'etica, come capacità di distinguere il bene e il male per comportarsi di conseguenza, contrapposta all'incoscienza.

In filosofia, acquista un valore teoretico in quegli autori che intendono la coscienza come interiorità e fanno del ritorno alla coscienza del raccoglimento in sé stessi, lo strumento privilegiato per cogliere verità fondamentali, altrimenti inaccessibili. Nel corso della storia della filosofia ha assunto significati particolari e specifici distinguendosi dal termine generico di consapevolezza, attività con la quale il soggetto entra in possesso di un sapere. 

Al di là delle definizioni c'è una particolare teoria, quella suggerita dal fisico Roger Penrose che la indaga attraverso la teoria quantistica che trovo interessantissima anche se ostica.

La Coscienza nella sua espressione più significativa e nella sua comprensione più profonda è, e resterà, un mistero, perché la coscienza è irreale. 

Essa è l'impalcatura illusoria su cui si sostiene un ego altrettanto illusorio. 
Ad una osservazione disincantata apparirà come il presunto "libero arbitrio"  ovvero l'espressione della volontà dell'ego, in definitiva non esiste se non nel puerile tentativo di controllare la propria esistenza e la realtà. 
A ben vedere le nostre vite si sviluppano in cicli, in cerchi, spesso simili e ripetitivi. 

In definitiva la vita è un'attesa... Che qualcosa o qualcuno ci dica cosa fare.

giovedì 13 ottobre 2016

La strada più breve è l'arabesco



E' il nostro rapporto con il tempo che determina la nostra natura.

C'è da considerare che la conoscenza è un elemento esperienziale non solo intellettuale. 
Mi domando quante delle teorie, principi e opinioni che reputiamo validi e reali si basano realmente sulla nostra esperienza?
La nostra esperienza infatti si fonda sulla percezione, ma allora per un essere umano è impossibile come sostenuto dalle teorie della fisica quantistica e da alcune filosofie mistiche concepire un tempo simultaneo o circolare (secondo altre teorie) quando le sue sensazioni e successive percezioni si formano in un tempo lineare; Se mai ci può essere una modifica così profonda, essa avverrà solo se le percezioni si espandono, viceversa sarà solo uno strumento intellettuale, un modello di pensiero e in definitiva una opinione, non una realtà.

Sono perplesso anche sulle cosiddette vite passate anch'esse ipotizzate da alcune religioni e da alcuni movimenti spirituali. Se consideriamo che non siamo l'unica forma di vita su questo pianeta ed è plausibile che non lo siamo nemmeno nell'universo, mi domando, perché in questi "ricordi" si vive sempre un'esistenza umana e non per esempio aliena o animale? 
Amerei invece conoscere la reminiscenza delle avventure erotiche di un Astice, le grandi passioni di un Pollo, gli amori disattesi dello Zibetto delle Palme. insomma cose così.

Se inoltre consideriamo come realistico l'inconscio collettivo è presumibile anche che esso possa essere l'espressione di un'Anima collettiva; allora quest'Anima vivrà tutte le esistenze possibili, in tutti i modi possibili, in tutti i tempi possibili, nello stesso eterno momento simultaneo. 
Perpetuandosi continuamente in un concomitante passato, presente e futuro che coesistono nel medesimo spazio/tempo ma su piani diversi e infiniti. 
Se tutto è Uno allora qual'è il senso del Karma cioè della legge di causa ed effetto? Questo Uno in definitiva se la canta e se la suona tutta da solo. 
Chi o cosa poi terrà questa contabilità di opere e omissioni? Il computo di ogni azione si limiterà solo agli uomini o anche agli animali? E i virus e i batteri che ammazzano tanta gente? 
Miliardi di addizioni e sottrazioni ogni secondo, altro che lavoro da Dio sembra l'incubo di un ragioniere questo insulso bilancio.

Ogni filosofia portata al suo estremo lambisce così il grottesco.

C'è da perderci la testa dietro a questi ragionamenti se non si temesse di perderci anche l'anima.

Questo per dire che le ragioni, e le idee a sostegno di queste, sono moltissime, affascinanti, accattivanti direi, ma in definitiva nessuno può affermare nulla di certo. 
Uomini molto migliori di me non hanno mai avuto la sicurezza di parlare di una verità assoluta, qualcuno con pudore ha provato a indicarla solamente. 
Solo i Profeti hanno palesato una tale sicumera, ma quelli sentivano le voci...

Forse è vero che "Quando si smette di parlare si può cominciare a comprendere" e a titolo personale aggiungerei: "Quando si smette anche di scrivere". Comunque questa comprensione sarà in ogni caso non trasmissibile. 
E' un paradosso divertentissimo che chi conosce la Verità (ammesso che esista) non possa dire nulla a riguardo della propria conoscenza, perché il percorso per giungere a tale conoscenza (ammesso che esista un percorso) può essere solo unico, individuale, personale e nuovo. 

La Vita dunque cuce per noi un solo abito su misura.

E' così estremamente difficile per chi sia interessato alla comprensione del vero separare l'orzo dal grano, ovvero i dati oggettivi dalle speculazioni. I fatti dai preconcetti; Le percezioni dal limite della mente che le processa. I risultati dalle speranze.

Quello che posso dire è che la conoscenza è in definitiva una ricerca della libertà; Una libertà però che non si identifica nella mente umana o per dirla più semplice nel come le persone intendono la libertà. 
Infatti, la nostra coscienza vede la felicità e la libertà come la conseguenza del soddisfacimento di un desiderio o di tutti i desideri, e nella possibilità di questa coscienza di contemplare e realizzare tutto quello che immagina, desidera, vuole. 

Di fatto le persone per adeguarsi alle esigenze connesse alla realizzazione di tali desideri, diventano schiave della propria libertà.

E' invece l'emancipazione dalla coscienza la chiave per un'evasione da questo grande inganno. 
Essa è la trappola, la gabbia e la prigione dove ci richiudiamo per sentirci liberi; Quando in definitiva lo siamo già. 

L'esca usata per portarci in questo penitenziario a misura singola è la felicità, il desiderio. Un amo cui abbocchiamo senza discernimento che paradossalmente ci conduce inevitabilmente al suo opposto cioè alla sofferenza, perché ogni cosa in questo mondo è transitoria e destinata inevitabilmente alla distruzione. 

Su cosa dunque costruiamo la nostra coscienza personale se il tempo vincerà sui nostri sogni e perfino sui nostri peccati? 
Senza sofferenza e senza ricordi non avremmo idea di chi siamo in questo breve tragitto che chiamiamo vivere. 
Una strada di cui presuntuosamente ci sentiamo i padroni. 
Ma questo mondo non appartiene a chi è passato come non appartiene a chi ora vi cammina sopra, forse apparterà a chi verrà dopo, ma solo se questo essere sarà immortale. 
Solo questa peculiarità con il Tempo gli potrà dare il diritto per reclamare questa proprietà.

Personalmente sono convinto che è fuori dalla mia coscienza umana che è possibile reclamare la libertà; E' solo in questo non-luogo nascosto in piena vista, che potrò forse comprendere il mondo per quello che è, conoscere la verità da me stesso e nessuno e niente potrà più ingannarmi.

Se mai mi sbagliassi, mal che vada, in questo non -luogo ci farò due spaghetti aglio, olio e peperoncino...Che te devo dì.



martedì 13 settembre 2016

Il grande semplice


Dopo aver girato mezzo mondo, attraversato ogni genere di esperienza, errore  e sofferenza  non ho mai smesso di  cercare una risposta alla mia esistenza.  La mia domanda è sempre stata: Cosa devo capire?

Ebbene l’unica norma, nozione, conoscenza e saggezza che è alla base di ogni sofferenza e di ogni felicità è racchiusa nella nostra attitudine ad amare.  Dobbiamo solo capire questo. 
Una lettura unica e chiara, semplice, ma non facile. Senza emozioni la vita non è degna di essere vissuta e il sentimento più totalizzante è uno solo.

Tutto il grande mondo sembra una scuola dove è continuamente ripetuta la medesima lezione.

Non parlo solo dell’amore sentimentale che lega un uomo a una donna e viceversa  che spesso è il più banale e frainteso, poiché ognuno lo colora con le più fantasiose aspettative. Parlo dell’amore generalizzato per ogni cosa che compone  la realtà, e per quanto è possibile alla nostra limitata struttura umana, verso il maggior numero di esseri biologici ma addirittura anche verso la materia.

L’amore non come espressione di volontà, di sentimentalismo, di precetto religioso o di morale, ma come naturale conseguenza alla percezione di non separazione, di collegamento  o più esattamente come comprensione totale che tutto è manifestazione della medesima cosa in tutte le forme possibili.
Solo in una tale comunione è possibile trascendere la solitudine che a volte percepiamo fortissima e in altre in maniera indistinta, anche quando siamo circondanti dagli altri e che ci indica se ci siamo allontanati da questo abbraccio. Ho letto una volta: "L'abbraccio non è fatto per allargare le braccia intorno ad un'altra persona, ma per avvicinare due cuori."

Allora: Se vuoi essere felice, ama. Se soffri, ama di più. 
Soprattutto: Amare nonostante tutto, direi.

Tanto è bello, e tanto è difficile.

mercoledì 31 agosto 2016

Ombra e Luce


Fin dagli anni 40' gli USA hanno lavorato, anche attraverso i propri servizi segreti, per favorire la nascita e l'affermazione dell'Unione Europea intesa come governo sovranazionale.
Questo in linea con una strategia di controllo per manipolare meglio i paesi d'Europa. E' notizia dell'anno scorso, ma passata in sordina che la CIA spiava e sorvegliava le commissioni europee perfino durante le riunioni riservate.
Appare evidente che l'interesse Americano è finalizzato non certamente alla pura curiosità, ma a indebolire la struttura politica e l'economia concorrenziale europea, adottando azioni mirate che contraddistinguono generalmente i suoi piani operativi di ingerenza.
Di solito le linee d’intervento aggressivo statunitense sono tre: destabilizzazione sociale, pressione economica e azione militare, preceduta e promossa dai cosiddetti agenti provocatori. Non a caso la Gran Bretagna non ha aderito all'euro e non è più in Europa. La sincornicità della visita del futuro presidente americano Trump, alla vigilia del voto referendario inlglese appare evidente come segnale ai referenti di qusta strategia.
Nel piano operativo di destabilizzazione gli USA favoriscono tra le altre azioni, un'immigrazione incontrollata direttamente in Europa. Usano e veicolano poi il terrorismo con agenti infiltrati (per esempio è noto che il mullah Omar numero due di Al Qaeda fu per anni un collaboratore CIA) e in maniera indiretta con il boicottaggio delle informazioni, avverso i servizi di Intelligence europea. Favoriscono e coprono le loro manovre tramite la manipolazione dell'informazione che sostiene la tesi abbracciata dai cosiddetti intelletuali che i flussi migratori sono da agevolare per motivi umanitari. quando invece dimenticano che sono conseguenti ai conflitti militari generati proprio dall'ingerenza USA negli stati arabi e africani. Così spesiamo le conseguenze dei conflitti promossi e combattuti dagli USA, addirittura con un sostegno militare che allo Stato Italiano costeranno l'anno prossimo 102 miliardi di euro per gli interventi militari all'estero.
Una strategia subdola ma vincente, quella dei flussi migratori dei cosiddetti "profughi" già usata con successo dagli israeliani nei primi anni 80'  che spinsero via i palestinesi dai territori occupati militarmente dai soldati con la stella di David, mandandoli in Libano.
Innescando il conflitto grazie allo spostametno della delicata bilancia sociale, in favore dei mussulmani (poveri) contro la minoranza cristiano maronita che con la propria ricchezza stava creando  lo sviluppo economico del paese e un pericoloso polo bancario alternativo alla lobby ebrea. 
Il Libano da quel momento è stato annientato, e si son generati i prodromi delle future organizzazioni terroristiche con la nascita delle prime formazioni islamiche combattenti: le milizie Hezbollah. Infatti prima degli anni 70' il terrorismo era sconociuto con gli USA impegnati  sino ad allora nella guerra di occupazione del Vietnam, un paese composto da brave persone che avevano l'unica colpa di voler vivere secondo la loro filosofia politica. 
Sono stati uccisi un milione e mezzo di vietnamiti su una popolazione totale che non arrivava a 20 milioni di persone alla fine degli anni 60'. Praticamente gli USA hanno distrutto un'intera generazione di giovani uomini, uccidendo civili invermi, violentando sistematicamente donne adolescenti nei villaggi del nord (il caso della strage di  My Lai non fu certo una'eccezione ma la regola), utilizzando gas e defoglianti (Orange) che hanno prodottio generazioni successive con gravissime deformità genetiche, non contenti hanno sganciato dagli aerei milioni di mine anti uomo ancora attive sulla Cambogia e il Laos che erano Stati non belligeranti .
Una storia che si ripete continuamente e vede sempre, guarda caso, gli americani presenti, favorendo i propri interessi e quelli israeliani e generando così le cellule terroristiche che giustificano ulteriori misure di intervento altrimenti improponibili all'opinione pubblica; Sino ad arrivare alle più recenti organizzazioni terroristiche partorite dai conflitti promossi oppure combattuti direttatmente dagli USA e cioè in Somalia, Libia, Afganistan, Kuwait, Iraq, tanto per citare gli ultimi coflitti.
Tralascio volutamente lo scenario del Sud America, perché non pertinente a questa riflessione, ma lo lambisco perché emblematico della spietatezza "made in USA" con lo scandalo "Contras" ovvero armi ai guerriglieri del Nicaragua finanziati da Cocaina venduta nei ghetti afroamericani per mezzo della CIA. Sembra un' iperbole affermare che il più grande spacciatore di droga e venditore di armi al mondo è il Governo statunitense, se questo non fosse supportato dai fatti che trapelano tra  le notizie di cronaca. 
A chi si domandasse il senso di una tale impegno nel determinare conflitti e sofferenze ad un'umanità già tormentata dalla povertà e dalle difficoltà, non risponderei con le parole, ma con i numeri. 
572 miliardi di dollari è il budget annuale per la difesa stanziato dal Congresso USA.
Una cifra enorme ma che non è che un misero dieci per cento del volume d’affari dell'industria statunitense delle armi.
E' noto che i produttori di armi sono i maggiori finanziatori (diretti o indiretti) della politica americana, ed è per questo che nessun Presidente americano si è mai azzardato a fare una legge contro la libera vendita delle armi da fuoco negli USA, almeno se vuole vivere abbastanza o avere ancora un lavoro.
A questo mostruoso fiume di denaro si aggiungono i costi della Homeland Security ovvero di quelle agenzie che operano nel Intelligence dentro e fuori dai confini americani i cui stanziamenti sono però segretati. 

Ci sono inoltre  i costi degli studi e della sperimentazione e poi dello stoccaggio delle armi batteriologiche, chimiche e nucleari. 
Esistono teorie complottistiche che guardo alla luce del dubbio che sostengono che il modello multirazziale o multietnico (come più politically correct è detto) sia la copia  esportabile della società statunitense. Una società che giustifica il proprio forte potere alimentando i conflitti interni, derivanti dalla coabitazioni di etnie inconciliabili poiché culturalmente ed economicamente diverse. Se fosse un modello vincente gli Stati Uniti non avrebbero il maggior numero di detenuti al mondo, ma questo non ha importanza per  chi ha il potere anzi è funzionale al suo esercizio discrezionale. 
Di fatto una società priva di conflitti sociali porta inevitabilmente ad un suo sviluppo e a una struttura politica realmente democratica, mite ed efficiente, poiché la democrazia funziona bene solo se le persone che la decidono e la vivono sono evolute ed economicamente benestanti da poter prendere decisoni sagge e indipendenti. E' ovvio che la democrazia in Brasile non è la stessa democrazia della Svezia , il modello è simile ma non lo sono le persone.
Pare allora che gli Stati Uniti o perlomeno il suo Governo, abbia preso a motto ispiratore della propria politica il titolo di un film italiano: "Fin che c'è guerra c'è speranza".

Non esagero dicendo che se tutto il denaro usato per combattere  fosse usato per risolvere i conflitti che sono alla base del disagio che detemina le situazioni belliche, ovvero povertà e ignoranza, il mondo non avrebbe più bisogno di eserciti così agguerriti e costosi.
I generali promettono ai soldati che sarà sempre l'ultima battaglia e l'umanità non comprende che i conflitti non uccideranno mai la guerra, a morire saranno solo gli uomini. 
E' curioso che proprio l'asso dell'aviazione tedesca della prima guerra mondiale il famoso "Barone Rosso" una volta ha detto: "Anche se giustificato dalla guerra, l'uccisione di un altro essere umano sarà sempre e comunque un omicidio". 

Dunque,  lasciando da parte i miei pensieri idealistici su un'irrealizzabile umanità senza crudeltà, l'America si permette di fare tutto, ma si giustifica di solito sostenendo di garantire e proteggere la democrazia nel mondo. Di fatto invadendo per esempio l'Iraq (falsificando le prove di presunte armi di distruzione di massa) e generando poi l'ISIS e dimostrando solo che essa è la causa dei problemi che ipocritamente dice di voler risolvere. 
Nella realtà storica passata gli USA sono stati coinvolti in scandalose ingerenze in tutti i paesi che hanno una rilevanza strategica o economica, Hanno persino i bombardieri nucleari in Italia nella base ad Aviano, e dicono che siamo alleati!  Non si costuiscono centrali nucleari relativamente sicure e manteniamo nei depositi di casa nostra delle bombe atomiche all'idrogeno a disposizione di bombardieri intercontinentali senza poter neppure sottoporli a controlli di sicurezza da parte del nostro paese. Se non è follia questa...
E' ovvio che la difesa della democrazia da parte USA è una colossale menzogna. Tutti hanno visto cosa è successo in Libia (maggior produttore petrolifero dell'Africa) in buoni rapporti con l'Italia e con l'Europa, ma in conflitto con gli Stati Uniti, dove si è prima favorito il disagio interno e successivamente bombardato i libici della fazione governativa, colpendo anche civili innocenti nonostante il "No Flight" dell'ONU. Tutto ciò per operare una svolta politica che lasciasse spazio agli Stati Uniti.

Non è fantasioso immaginare uno scenario dove la strategia militare americana utilizzi l'ingresso migratorio di uomini giovani (e abili alla guerra) di religione mussulmana e di etnia arabo/africana per preparare un conflitto futuro direttamente nei nostri confini; Eliminando così l'unico vantaggio tattico dell'Europa cioè la supremazia aerea. Spostando la guerra d'Europa da un fronte difendibile in una guerriglia civile interna, estesa e incontrollabile.
Una strategia più congeniale ai mezzi e alle tecniche dei popoli arabi e africani di religione islamica. 
Tutto ciò potrebbe garantire inimmaginabili opportunità per l'industria pesante americana (la prima produttrice di armi al mondo) e notevoli occasioni per la loro industria civile senza più concorrenti occidentali. L'ingresso incontrollato di queste etnie aventi cultura diversissima, religione incompatibile e usi inconciliabili, rispetto a quelli europei non è affatto un problema umanitario, ma sono elementi strategici che innescheranno molto probabilmente un conflitto durevole permettendo agli USA di avvantaggiarsene stabilmente.
 
Tra tutti questi elementi destabilizzanti, lo ribadisco, quello dell'immigrazione incontrollata è il più pericoloso, non solo socialmente ma militarmente.
Invece, secondo molte persone che evidentemente non hanno una coscienza nazionale né lungimiranza previsionale e non hanno nemmeno voglia di informarsi del quadro politico generale, un po' oltre quello che gli dicono i telegiornali (che sono complici di questa strategia), l'immigrazione è una specie di benedizione. Questi uomini (principalmente maschi adulti e sani) dovrebbero integrarsi invece "magicamente" grazie ad un pluralismo che non si è mai visto in tutta la Storia dell'umanità; Arricchendo i paesi europei di non si sa bene che cosa, visto che anche al loro paese non hanno mai realizzato nei secoli un minimo di benessere economico e ci sono disparità sociali profondissime perfino tra uomini e donne della stessa nazione. Ci si domanda se è di questa ingiustizia sociale che abbiamo bisogno?
Credere allora in una società priva d'identità etnica, culturale e religiosa che si costituisca in una sorta di miscuglio, perdendo ogni peculiarità e confondendosi con etnie arabe/asiatiche/africane di importazione, sostenute da un traballante legame dissonante di religioni diverse, cioè in altre parole credere di poter vivere in una nazione composta da popoli diversi è un'idiozia.
Quando mai in tutta la storia del genere umano si è avuto una convivenza pacifica fra popoli diversi nello stesso luogo?
E' la natura umana e la sua Storia che è negata dai sostenitori dell'immigrazione senza controllo che dovrebbe invece secondo i criteri della scienza sociale, non superare il 5% della popolazione autoctona e con normative d'ingresso rigorose,  atte a garantirne la coabitazione pacifica con i residenti ed esigendo perciò il rispetto del modello sociale dello Stato che li ospita e non imponendo il proprio che fra l'altro ha determinato il loro esodo.
E' un gravissimo pericolo che bussa alle frontiere e credo in un decennio anche alle porte di casa di ogni europeo non di lingua inglese. 
Purtroppo suppongo ma a ragion veduta che questo quadro sarà non solo pensato ma anche dipinto in favore degli USA.
E' per questo motivo che i nostri uomini politici non vogliono dire di no all'America e di conseguenza sono complici di questo stato di cose. Se mai è possibile giustificare l'avidità di un altro paese non c'è scusa per chi volta le spalle per interesse al suo stesso popolo con l'aggravane di rappresentarlo grazie alla fiducia degli elettori. 



lunedì 29 agosto 2016

Aborigeno sarà Lei





Se volessimo capire cosa siamo con onestà, dovremmo guardare all'essere umano nella sua dimensione più semplice e meno civilizzata; Agli Aborigeni e ai primitivi anche se ormai sono quasi completamente estinti. 
Essi sono uomini liberi (o meglio più liberi) dai condizionamenti della Società civile, vivendo in una struttura sociale molto più semplice.

In tale dimensione primitiva essi non conoscono menzogna, invidia, gelosia e soprattutto possesso se non in forma embrionale. In definitiva non conoscono fino in fondo il peccato. Non sono necessariamente "buoni" almeno nell’accezione morale del termine e nemmeno migliori, ma semplicemente sono quello che sono senza sovrastrutture.
In cosa sono diversi? 
Sono diversi nella mente, o meglio la mente è diversa, perché non si occupa più di tanto del futuro

E' il rapporto con il tempo che cambia la nostra natura.

L'uomo moderno investe quasi totalmente l'energia della propria coscienza e le proprie fatiche nella capacità di previsione, e nella preoccupazione di edificare il -dopo-.
Un atteggiamento ragionevole, ma che esasperato diviene "innaturale" e lo porta necessariamente a vivere in una dimensione non umana, di accumulo, di sfruttamento e di paura, e anche di profondo smarrimento. La maggior parte delle persone in questo mondo "evoluto" non sono più esseri umani a causa del rapporto esagerato che hanno con il Tempo.
Probabilmente anche io ho perso molto della mia umanità, costretto a convivere con questa follia da troppo tempo oramai. E' triste, ma è così E' mia intenzione porvi rimedio ma questo è un altro argomento.
Più in generale si è perso il contatto con la realtà del tempo cioè con la propria vita, perché essa s’incontra solo nel Presente.

E' anche importante capire cosa ci muove. 
Il piacere spinge tutte le nostre azioni, ma molti ipocritamente lo chiamano: felicità. Si giustifica questa pulsione naturale con i sentimenti, si mistificano le proprie azioni con una distorsione dell'obiettività per aderire ai canoni morali e religiosi che non corrispondono alla natura umana, perché funzionali alla società, non alla persona in se. E' così fondamentale capire cosa sia per noi il piacere vero.

L'essere umano può essere a suo agio solo nel trovare questo "piacere vero" nella semplicità e nella bellezza di ciò che è, nell'unico tempo che ha a disposizione per coglierlo: l'Adesso. 
Questo è secondo me un piacere reale, perché emancipato dal desiderio che non è che un'altra forma di seduzione e schiavitù che ci spinge nel futuro. 
Il presente nella nostra quotidianità è l'unico tempo reale ma ormai è quasi completamente assorbito da un futuro che ancora non esiste.
Quasi tutti siamo così trascinati in un altro momento irreale che chiamiamo a secondo delle circostanze: passato o futuro. Maggiore è la nostra capacità di organizzazione del futuro e più grande sarà la nostra integrazione nella società; Questo atteggiamento è così elevato dall'opinione condivisa, a virtù. Una virtù che però è tale solo se è accettata acriticamente. In definitiva è una perversione che ci rende profondamente infelici e insoddisfatti, ma in maniera subdola, dandoci solo un'illusione di un piacere, nel voler cogliere gli obiettivi che ci sono proposti dall'esterno o dal capriccio senza mai domandarci  se ci appartengono per una libera espressione della nostra volontà. 
E' evidente che per esprimere una volontà bisogna essere prima liberi dai condizionamenti e dai bisogni, viceversa sarà solo una risposta a questi fattori la nostra decisione, e non una scelta indipendente.

E' emblematico lo stimolo, anzi la pulsione ad avere cose: Spesso inutili, sacrificando noi stessi; Quando dovremmo essere invece “noi” la cosa più importante di cui occuparci.
Tali desideri sono indotti, infatti, appena raggiunti evaporano e si spostano più avanti in nuovi e diversi
E' un'eterna corsa senza nessun traguardo. 
Tutto ciò lo chiamiamo assurdamente: normalità. 
Si è così abituati e assuefatti a questo stato di cose che non se ne percepisce più la follia.

Forse andare via dal mondo, da questo mondo, potrebbe essere un modo per ritrovarsi se mai è ancora possibile.
Non lo so.
Temo che la semplicità, una volta persa, non sia più possibile averla indietro. 
Il "soddisfatto o rimborsato" non pare essere previsto dalla Vita.

A differenza di come si è abituati dal nostro sistema, in una dimensione più vera, si avrà in conformità a quanto si è disposti a perdere.

mercoledì 24 agosto 2016

Arte, sport e frivolezze

E’ l’uomo che fa l’arte o viceversa?

Tutti possiamo dipingere, ma un quadro di Caravaggio è un’altra cosa.
Michelangelo Merisi è diventato “il Caravaggio” grazie all'arte della pittura che ha imparato, ma in seguito ha portato quello che aveva appreso oltre, grazie a se stesso.
La vetta si tocca avendone il talento, ma il talento si scopre grazie al mezzo che lo esprime. Vi è dunque un collegamento inscindibile tra le due cose.
Le peculiarità e le doti contano, ma anche il carattere personale, perché l'abilità da sola non permette di essere tra i migliori.

Penso però che è' necessario qualcosa di più, perché l'arte possa chiamarsi “Vera Arte” cioè vi è la necessità di esprimere attraverso di essa un "principio universale" che nell'arte figurativa può essere: la Bellezza.
Una bellezza diversa dalla rappresentazione di quel semplice piacere dell’occhio che subisce il decadimento delle novità e il capriccio del gusto.
Per essere Vera Arte, la Bellezza espressa in un opera dovrà essere una bellezza universale cioè non corrotta come accennato prima dal senso personale del bello né dalla moda, né dal tempo.

La definizione di “principio universale” non è affatto semplice da chiarire, visto che ogni verità è soggettiva.
Parlare di universalità appare presuntuoso, oltre che quasi sempre sbagliato.
Potrei però azzardare affermando che è comunque possibile averne la misura se lo definiamo “quel qualcosa” che può essere percepito da tutti, anche se -non da tutti- può essere compreso.

Infatti, se è vero che siamo tutti diversi e che tutti siamo influenzati dalle interpretazioni e non immuni ai fraintendimenti personali e agli errori; Quando “quel qualcosa” supera tutti questi ostacoli e ci tocca oltre la parzialità della nostra soggettività, allora entriamo in una dimensione diversa dall'ordinario e bisogna domandarsi se siamo di fronte a qualcosa di speciale.
Quindi la risposta personale alla "Vera Arte” sarà certamente diversa per ognuno, ma tutti ne saranno comunque colpiti profondamente e in qualche modo da essa trasformati.
Un’influenza che in alcuni sarà un piacere nuovo, in altri una sorpresa che conferma quanto immaginato, in altri magari solo uno stupore profondo o una sensazione indistinta che lascerà un segno vago ma persistente.
Si avrà così la prova che si è di fronte a qualche cosa di diverso rispetto al semplice bello.

Similmente, ma con le dovute proporzioni rispetto alle arti canoniche c'è la pratica dell’arte marziale che solo nella sua dimensione più completa può definirsi tale.
I sistemi di combattimento sono molti e diversi, ma hanno tutti avuto origine dal fango del conflitto umano, hanno però, prodotto in alcuni casi, un fiore che ha favorito lo sviluppo delle capacità e dello spirito dell’uomo grazie alla trasformazione, cioè passando da un mero metodo di combattimento a qualche cosa di diverso, più profondo e meno legato allo scopo primario, trascendendolo.
Nel nostro tempo, dove qualunque colpo di pistola è più veloce del più rapido pugno, è evidente che risulta anacronistico pensare ancora a questi sistemi con lo scopo che avevano, ovvero come mezzo di combattimento e di sopravvivenza per sopraffare un soggetto ostile.

Tuttavia, visto che è nella mia esperienza, ho notato che il confronto reale o realistico di un combattimento e perfino un combattimento sportivo, possono insegnare molto, mi sono interessato ad approfondire questa esperienza.
Fermo restando che l’agonismo è un punto di passaggio e non di arrivo nella crescita personale di un atleta marziale che vuole completarsi come uomo, attraverso questa pratica.
Il problema è così di scelte e di prospettive.

Schematizzando direi che usato come metodo di combattimento non è efficace quando l’uso delle armi contro un nemico; Se invece diventa solo uno sport risulta essere forviato rispetto al suo primitivo spirito di sopravvivenza, adeguandosi necessariamente ai regolamenti che trasformano un metodo di combattimento in un qualcosa di regolamentato e con esigenze di spettacolo, facendolo diventare inefficace e spesso addirittura volgare, come accade speso agli sport che con tutti i maneggi e gli interessi economici si corrompono.
Dunque a cosa può servire questa pratica quando è autentica? Di cosa deve essere peculiare per diventare Arte?

Penso che l’aspetto originale dell’arte marziale, ma direi di ogni Arte che si possa definire “Vera Arte” è nella sua componente educativa che si realizza come orizzonte al quale tendere, cioè come evoluzione dello scopo primario liberandolo dal suo mero utilizzo applicativo è considerando l’azione (artistica) nella sua accezione più ampia, ovvero libera dal risultato; Trasformandola in espressione come detto di un principio universale che nel caso particolare dei metodi marziali è il principio che permette di usare nel modo migliore l’energia del corpo e della mente in situazioni estreme.

Ho appena introdotto una nuova parola -Energia- che potrebbe essere fraintesa e sarà dunque utile provare a chiarirla.

L’Energia non é un concetto astratto, ma reale.
Essa permea, collega e costituisce ogni cosa ed è possibile utilizzarla attraverso la nostra soggettività biologica comprendendone iil modo e le forme in cui si esprime.
Il suo utilizzo è perfettibile da parte dell’uomo e in questo ha senso la disciplina continua cui si sottopone il ricercatore, ma la sua forma in sostanza è perfetta.

L’utilizzo dell’Energia che è dentro ad ogni persona e intorno ad ognuno, nella sua forma più dirompente, libera e non convenzionale è paradossalmente educativa, perché formativa di una coscienza spirituale che allarga la percezione del Mondo in maniera assolutamente inaspettata.
Aumentando le percezioni, si aumenterà di conseguenza anche il Mondo stesso in cui si vive, e la nostra capacità di agire in quel Mondo. Ampliando i confini si avrà di conseguenza un ampliamento della nostra capacità espressiva e dunque artistica.
In questa dimensione più alta e grande è possibile raggiunge un particolare stato che potremmo definire “d'arte” perché svincola l’azione dalla meschinità degli scopi, travalica il tempo che fa divenire obsoleta ogni cosa e ci si emenda dalla logica del profitto che appiattisce ogni intuizione, tutti quegli elementi che sono distintivi e costitutivi di una universalità che resta comunque oltre le definizioni.

E’ una maturazione che per giungere al suo apice abbisogna di tempo e va di pari passo con la crescita personale del praticante.
A differenza però delle creazioni artistiche, l’opera marziale si trasforma insieme al suo creatore che diventa una sorta di Performer.
Produttore e produzione sono indissolubilmente legati, interdipendenti e in armonia dinamica nel tempo.

Si dice che le persone intelligenti si riconoscono non tanto dalle risposte, ma dalle loro domande; Allora è la domanda di chi pratica l’arte marziale che conta.
In particolare nel rapporto dialettico con un Maestro.
E’ importante questa domanda per un eventuale allievo e conta anche per un eventuale Maestro.
Il vero Maestro sarà poi colui che susciterà e incoraggerà la domanda giusta, ma non fornirà una risposta stereotipata, ma la adatterà al momento e alla persona che la pone, sottolineando senza dirlo che l’unica risposta autentica è quella che una persona si dà da se stesso.
Purché gli strumenti con cui si procede siano corretti.
In questo è tra le altre la funzione del Maestro.
Il punto d’arrivo per l’allievo, ma direi più giustamente “il suo punto di inizio” sarà nella comprensione che il Maestro non serve se non per fargli capire che non servono maestri.

L’insegnamento non è dunque per imparare, ma per imparare a imparare da se stesso.

E’ necessario però mantenere viva la continua ricerca di una visione autentica e un alto livello di critica, altrimenti si rischia che una giusta domanda sia forviata da strumenti sbagliati che non tengono conto della realtà oggettiva e non confrontano questa realtà con quanto trovato e sperimentato.
Senza questa “ancora” ci si perderebbe seguendo percorsi bizzarri e avulsi da un senso reale dei fatti. Oppure renderebbe banale la ricerca e si avrebbero risposte altrettanto banali, perse a loro volta nel buio dell’ignoranza e nell'errore che è il vero nemico di chi pratica qualsiasi tipo di Arte.
In altre parole bisogna imparare ad essere modesti nei confronti del Mistero.

E’ una ricerca difficile proprio perché percorre sentieri poco battuti. A volte inesplorati.

Per chi più semplicemente cerca onore, fama e soldi, grazie all'attività sportiva oppure artistica e rincorre il plauso e il divertimento dello spettatore curioso in cerca solo di "circenses" lo troverà più facilmente, ma rimanendo sempre se stesso e senza vivere l’esperienza trasformante di essere ciò che fa, agendo oltre lo scopo dell’azione intrapresa e in questa unione armonica, per un momento, far scaturire qualche cosa di bello, perché autentico e autentico, perché espressione della radice di tutte le cose.


mercoledì 10 agosto 2016

Alien Report

Le differenze tra gli esseri umani non sono certamente il colore della pelle, la religione, la cultura e neppure il grado d'intelligenza o il ceto sociale.

L'unica differenza tra gli uomini è in ciò che desiderano, e nei modi di realizzare questo desiderio.

Di fatto tutte le persone usano altre persone per ottenere quello che vogliono. Non necessariamente questo è sempre crudele e meschino, ma certamente non è un vanto, né uno strumento funzionale nel lungo termine.

Questo è in definitiva il modo di essere di questo strano bipede che vive da un po' sul terzo pianeta del Sole.