giovedì 6 dicembre 2018

Mas que nada

Spesso le persone parlano d'amore ma non sanno nemmeno cosa stanno dicendo.

Nella mia modesta osservazione del genere umano ho notato come spesso si equivocano gli enti e se ne perverte il significato confondendone i valori.
Si parla dunque d'amore, ma si intende invece: desiderio. 
Non solo banalmente il desiderio fisico, nemmeno solo quello psicologico cioè quello di avere un sostegno morale e di compagnia; Spesso è il desiderio di raggiungere degli obiettivi che riteniamo importanti, principalmente determinati dalla paura cui guardiamo al futuro, sono i desideri che ci spingono ad usare gli altri. 
Così alla fine: tutti usano tutti.

Pare legittimo avere progetti, aspirazioni e desideri, in particolare quando si ha un rapporto con qualcuno, ma così facendo si apre l'abisso dell'inferno. 
Mettendo davanti agli altri i propri desideri non si vedranno più le persone, addirittura così facendo sarà quasi come ucciderle, perché sarà come se non esistessero più.
Lo facciamo continuamente, e così in questa vicendevole cortesia a rovinarsi la vita, si indossano maschere per aderire alle rispettive  aspettative. 
La maschera permette di dare agli altri l'impressione di ricevere ciò che vorrebbero, ciò che a volte addirittura pretendono, ma in definitiva essa vivrà al nostro posto; ci permetterà di mantenere le promesse, ma in maniera falsa e superficiale. 
Possiamo dare solo quello che possediamo e spontaneamente decidiamo di donare, altrimenti diverrà una recita non un regalo.  
E' il motivo per cui si indossano costumi e maschere, questo è bene capirlo.  
Inoltre questa struttura fittizia, questa maschera che si indossa mangerà la nostra vita per continuare a esistere, di questo però se ne accorgono in pochi.
Dopo poco, l'unica cosa che ci unirà con all'altro saranno queste maschere, evocata come in una Macumba malefica, sarà un feticcio che si nutrirà della nostra stessa anima e della vita autentica che essa può esprimere.
La persona amata o quella con cui si ha una rapporto affettivo in realtà dopo un po' si allontanerà, noi stessi cammineremo in un'altra direzione, solo le rispettive maschere resteranno vicine l'una all'altra a sostegno di un pseudo rapporto umano.
Quando e se cadrà questa finzione, si scoprirà accanto un estraneo e la distanza da chi credevamo a noi prossimo, diverrà incolmabile. 
Tutto questo la gente lo chiama con un certo umorismo inconsapevole: normalità.

Per me è diverso, ma non certamente perché sono migliore. 
Solamente cerco di essere attento alle trappole del senso comune e mi domando criticamente, quando parlo di qualcosa che per me abbia valore, cosa intendo veramente. 
Scendo in me stesso per capirne il percorso, a volte è proprio una vera discesa agli Inferi, ma è l'unico modo che ho per giungere in Paradiso cioè alla comprensione di cosa sono, dove sono, e cosa sto facendo, ma soprattutto cosa abbia senso e importanza reale nell'esistenza. Nella mia esistenza ovviamente, poiché dalla soggettività non è possibile uscirne con un ragionamento prodotto dalla coscienza.

Liberarsi dalla coscienza invece richiede un certo talento nella fuga, ma questo è un'altro discorso.

Questa visione obiettiva cui giungo tramite la sincerità con me stesso è quello che chiamo: Paradiso. 
Lo realizzo in maniera implacabile cioè senza cercare alcuna giustificazione, senza mentirmi, visto che agli altri purtroppo è quasi impossibile dire la verità. 
La sincerità purtroppo è vista e percepita come un'offesa o una minaccia. 
Il piacere per essa si è perso o forse non c'è mai stato, perché l'umanità pare essere assuefatta alla edulcorazione delle maschere. 
Abituati  così tanto alla dolcezza della seduzione e dell'adulazione, il gusto un po' amaro della sincerità: disgusta. E' sentito come un veleno, quando in realtà è una medicina.

Ecco per cui affermo che la vita generalmente intesa è un inganno, ma le persone, fraintendendomi pensano che sono una sorta di nichilista, a volte forse immaginano che sono un tizio strano che toglie il sorriso con questi discorsi seri. 
In definitiva constato che sono sempre un po' oltre al pensiero altrui, ma per mia fortuna ho due o tre amici che mi fanno compagnia, mi comprendono, mi perdonano, ma ancora di più mi amano.
Persone vere che senza mettere davanti alla mia anima troppi desideri meschini, riescono a vedermi per ciò che sono e perfino a volermi bene. Strano, no?

Certo, è un amore umano, a volte semplice, a volte un po' superficiale, a volte fatto di piccole cose, ma in questo mondo, in questo vostro mondo mi verrebbe da dire, è già moltissimo.

Insomma come dicono in Brasile: Mas que nada.

venerdì 2 novembre 2018

Riflessioni di una piccola barca.



Vivi come sei, è l'unico modo di vivere veramente. 
Se fossimo tutti realmente egoisti il mondo sarebbe un piccolo paradiso. 
Spesso facciamo cose per gli altri, non per noi stessi, ci laviamo, salutiamo, diciamo "si" quando vorremmo dire "no".

La nostra vita si uniforma a quello che gli altri si aspettano da noi, a volte a quello che pretendono. 
Altrettanto spesso così facendo, neghiamo noi stessi: la nostra sincerità. 
Tradiamo i nostri più profondi sentimenti, i nostri sogni, la nostra dignità di essere autentici e dunque diversi. 
Se fossimo realmente egoisti non accadrebbe. 

E' un discorso sottile, forse non è facile esprimerlo, nemmeno capirlo sino in fondo. 
E' l'ipocrisia che rende questo mondo brutto, ma la maggioranza chiede sincerità, ma non è pronta ad accoglierla. 
Allora, tutto si sostiene su labili fraintendimenti, si travisa con maschere il nostro volto e non si mostra mai chi siamo né gli altri lo fanno con noi; Non si è mai completamente nudi, e alla fine perpetrando questo atteggiamento, nemmeno più riusciremo ad essere nudi davanti a noi stessi. 

Se vuoi essere libero, prima devi essere sincero, spietatamente sincero direi, ma preparati ad essere solo.

martedì 9 ottobre 2018

Yappa




Parto per la Malesia. 
Giungerò a Kuala Lampur, dopo una sosta in Oman nella penisola arabica. 
Poi, Sarawak e infine la giungla del Borneo.

Come al solito saluto con un addio che non si sa mai.

venerdì 31 agosto 2018

Vecchie squaw e guerrieri silenziosi


La comunicazione odierna è rapida, sintetica, spesso superficiale, perché la capacità di attenzione della maggioranza, pare essere quella di una mosca su una merda. 

Così oggigiorno si consuma un happy hours di parole, è tutto solo un aperitivo; mentre la cena non arriva mai. 
Personalmente, pur conservando un aspetto "giovanile" sono una essere arcaico. 
In me la comunicazione va solo in una direzione: la profondità...E ovviamente anche qualche stronzata che quelle scappano a tutti. 
Non credo di essere serioso, perché con le tre o quattro persone di valore che ho conosciuto, delle migliaia che ho incontrato nella mia vita, riesco a sviluppare questo modo anche ridendoci sopra. 

Come in un ricordo di una vita passata, immagino che un tempo forse si comunicava in maniera più vera. 
Allora si avvicinava l'interlocutore e gli si diceva: "Parliamo". 
Si trovava un posto tranquillo per discorrere e ci si sedeva. 
Si montava e si accendeva la pipa, si faceva qualche respiro, e si cominciava a dire qualcosa, fumando con la Channunpa. 
L'altro ascoltava, poi rifletteva su quanto sentito. Valutava se la logica del discorso era coerente, se le informazioni su cui si basava il ragionamento avevano un fondo di realtà, per chi e per cosa era stato detto quello che era stato detto. 
Con lo stesso metodo si pensava ad una risposta, e se quella risposta era adatta al momento e alla persona che si aveva di fronte. L'intento delle parole era buono?  

Queste erano le domande che ci si faceva prima di aprire la bocca. 
Perché la parola ha un grande potere. La parola può guarire ma anche uccidere. 
La parola ha una potente magia, prende vita grazie al fiato di chi la pronuncia e non può essere più distrutta, nemmeno da chi l'ha creata, nemmeno da un grande guerriero. 
L'unico modo per far morire una parola detta è ucciderla con la solitudine, ma anche allora non era facile, figuriamoci ora in un mondo tanto affollato. 
C'è dunque grande responsabilità.

Non si poteva mentire fumando la pipa sacra, perché essa rappresentava tutto l'esistere, le sue belle piume d'aquila univano tutti i regni animali con l'animale a due gambe. Essa portava la voce al Sacro Mistero. 

Poi, si guardava il cielo e si cercava un segno. 
Forse Wakan Tanka era lì? 
Partecipava a quel dire? 
Se inviava un segnale, magari era solo un rumore inaspettato di qualche animale, un tuono lontano oppure una nuvola strana che metteva l'accento della Natura a quel discorso, bisognava considerarlo nel modo giusto. 
Infine chi aveva ascoltato, dopo un po' parlava a sua volta.

Comunicare allora era incontrare il cuore di un'altro, era mettersi in contatto con tutto quello che non si conosce per dargli modo di esprimersi. 
Non solo il pensiero si faceva fiato, ma il fiato si faceva vento e parte della Terra cui tutti apparteniamo e non viceversa come accade oggi.  

Questo si è perso o peggio è ignorato. 
Oggi resta solo il silenzio della gente che parla.

Oppure come si diceva allora con una certa ironia delle parole senza peso: "Borbotta come vecchia squaw stupida mentre fa sogno ancora più stupido".

lunedì 13 agosto 2018

Sex or no Sex, that is the question




Tutte le religioni sono maschiliste. Alcune più di altre.
La donna all'interno dei precetti religiosi è vista sempre in una condizione subordinata se non addirittura come nemica del maschio.

Sebbene sia innegabile anche per la Dottrina riconoscere alla femmina, l'insostituibile ruolo di donatrice di vita con la sua capacità di procreazione o per meglio dire di gestazione, non le è riconosciuto un ruolo paritario. 
Anche nelle gerarchie ecclesiastiche (cristiane, mussulmane, buddiste, induiste o ebraiche, in ogni religione insomma) la donna è sempre in secondo piano. 
Non è solo misoginia, perché in realtà non è solo la donna ad essere relegata in un ruolo vincolato, a volte quasi come fosse in una prigione, ma è la sessualità che è in definitiva repressa.  
La sessualità nel maschio è lasciata un po' più libera solamente per questioni di opportunità, così facendo lo si illude di avere un'autonomia e si evita un'opposizione violenta. La questione è però solo apparente, infatti un uomo dovrà  comunque relazionarsi con una donna e se lei è sottoposta a dei vincoli, ci sarà in ogni caso una coercizione indiretta anche per l'uomo. 
E' interessante domandarsi perché vi siano così tante regole morali a riguardo della sessualità, quando è solo un'esisgenza naturale e in definitiva riguarda più che altro un singolo in rapporto a un altro singolo e non dovrebbe quindi interessare alla Società nel suo più generale funzionamento e organizzazione. 
Questo controllo trova invece senso per via che la sessualità è la primaria forma di libertà a disposizione dell'essere umano; E' infatti la personale espressione carnale del desiderio, la soggettiva peculiarità di amare attraverso il corpo che ha ognuno. 
Non a caso si sviluppa quando un essere umano inizia a essere autonomo. 
Nel momento che una persona comincia ad avere gli strumenti per badare a se stesso, ecco che sorge in lui la sessualità, almeno nella sua espressione più completa. 
C'è un perfetto sincronismo tra lo sviluppo della sessualità e la nascita del desiderio di  libertà e successivamente nella responsabilità individuale che questa libertà comporta, almeno se questa condizione si sviluppa in un'ideale contesto sociale naturale e non represso. 
Sarà forse banale, ma vale la pena ricordare che i primi conflitti con i genitori  iniziano nell'età dell'adolescenza e come si cominci in quel momento a voler uscire magari la sera e avere le chiavi di casa per conoscere maschi e femmine  e stabilire delle relazioni di amicizia e avere le prime esperienze sessuali. 
Autonomia e sessualità viaggiano così di pari passo. 

E' curioso che le nostre leggi siano in ritardo con la biologia umana, la maggiore età infatti è stabilita tra i diciotto e ventuno anni secondo i diversi paesi, quando a livello biologico la donna si sviluppa dopo i quattordici anni e l'uomo verso i sedici, ovvero nel momento di massima fertilità riproduttiva.
E' allora che dovrebbe essere soppesata la maturità dei giovani per conferigli lo status di persona con la potestà sulla propria vita.
Ribadisco che è una condizione da "valutare" perché la Natura propone una tale decisione, ma la nostra organizzazione sociale, particolarmente in un contesto civilizzato, è molto complessa, per cui non necessariamente le due cose potrebbero essere vere nel medesimo momento.

In Cambogia giusto per fare un confronto con realtà diverse, in alcune villaggi remoti, esitono le cosiddette "capanne dell'amore". Sono costruite dal padre per le figlie quando cominciano a essere donne verso i tredici/quattordici anni per fare esperienza con i ragazzi in perfetta autonomia.
Con un certo pudore e ironia sono costruite per "non disturbare il sonno dei genitori" che al mattino si devono svegliare presto per lavorare i campi.
Pare sconvolgente per i nostri canoni, ma c'è una certa pragmatica saggezza in questa consuetudine; Come potrebbe infatti una ragazza scegliere un buon marito se non ha esperienza degli altri uomini? 
Questo favorisce la crescita dei giovani e la scoperta di una sessualità senza inutili tabù e gelosie confrontandosi e conoscendosi in un contesto naturale e libero, permettendogli di crescere in esperienza e maturità. 
A votle invece nella nostra società anche persone in là negli anni non sono ancora maggiorenni, dunque... 

Sorvolando le fangose questioni legali sull'età è incontestabile che la potente spinta alla procreazione è anche una grande espressione di emancipazione, perché se possiamo creare Vita, questo significa che siamo liberi. 
A patto che questo moto verso la riproduzione o anche solo verso l'altro, sia veramente spontaneo cioè libero da regole e stereotipi, viceversa risulterà una semplice funzione biologica benedetta dalle consuetudini, non un meraviglioso atto della propria volontà e della natura profonda che ci unisce come umanità.

Solo in tale dimensione di libertà, e solo in quella, si può esprimere completamente il proprio modo di amare, ciò è però visto dalla società, fatta di leggi e dogmi come una ribellione.
Ognuno sicuramente vive la sessualità e la relazione con il partner in maniera diversa e originale, ma solo all'interno di quel recinto costruito dalla morale, dagli usi e dai costumi stabiliti da altri. 
Tutto ciò non è necessariamente giusto solo perché regola.

Certamente c'è differenza fra sesso e amore, principalemente perché nelle persone vi è una frattura tra corpo ed emozioni, e avviene così di poter scindere le due cose in maniera drastica. 

E' vero, si può amare senza sesso; Lo è per gli amici, i figli,  le persone della propria famiglia e certamente lo è con la consorte dopo qualche anno di matrimonio, ma al di fuori di questi casi, il desiderio e il sentimento passano attraverso la sessualità, si esprimono grazie al corpo, almeno nelle persone normali.  
Perfino emozioni più tiepide come l'affetto e la simpatia ci spingono naturalmente a manifestarlo corporalmente, attraverso un'abbraccio o una pacca sulla spalla. 
Questa materialità ci permette di scambiare i sentimenti e  di percepire quelli degli alri, attraverso il contatto. 
Senza tocco fisico non ci sarebbe sviluppo psichico in una persona.
Questo è dimostrato da esperimenti con i primati, forse gli animali a noi più simili. 
Prendendo due gruppi diversi di scimpanzé, in uno di essi le scimmie sono allevate dalla madre biologica e nell'altro invece da manichini di pezza.; Sebbene nutriti della stessa quantità di cibo, i cuccioli allevati con madri artificiali risultano crescere la metà degli altri e con turbe psichiche perché deprivati del vivo contatto materno. 

Tornando agli umani, penso che ognuno vorrebbe conoscere e vivere la propria sessualità nel modo che più gli piace, ma questo dalla società e dalla religione non è consentito; Non per una questione morale com'è dichiarato ipocritamente per giustificare quest'ingerenza nella vita privata di ognuno, ma per non voler permettere all'energia di ogni uomo e donna di manifestarsi liberamente, e con essa generare dei pensieri emancipati dai luoghi comuni, derivanti proprio da questo stato liberatorio. 
Le scelte connesse poi a questo libero pensiero, libero perché spontaneo, sarebbero dirompenti per gli interessi e i privilegi custoditi proprio dal potere e dalla religione.

Reprimendo la libido, si reprime così la potente spinta alla vita di ognuno. 
La vita è libera, lo si vede nella Natura che ci insegna più di ogni prete, monaco o ayatollah cosa sia l'esistenza nella sua forma incontaminata, cioè scevra dalle idee che si mettono davanti ai fatti pervertendoli.
Limitando la sessualità, si limita la forza esistenziale di tutti, la capacità di trarre piacere senza senso di colpa, e di sviluppare la capacità di amare, di amare secondo il proprio sentire.

Questi sono i primi passi verso la libertà individuale che potere secolare e spirituale non vogliono, perché in contrasto con i loro interessi, per il semplice motivo che uomini e donne felici, senza complessi e senza assurdi sensi di colpa, sono persone molto difficili da manipolare.
E' curioso che proprio i religiosi che non vivono una sessualità libera, perché spesso sono obbligati al celibato o all'astinenza (apparente) siano paradossalmente quelli che definiscono le regole cui gli altri dovrebbero vivere la vita intima e familiare. 
Non è assurdo? Eppure funziona così.

"Dividi et impera" non è valido solo in campo politico e militare, ma anche nel letto di casa. 
La religione dividendo l'umanità in uomini e donne, credenti e infedeli, messia e gregge, assegna compiti e diritti diversi in maniera arbitraria.
In realtà, essi spaccano il genere umano in più parti, schieramenti opposti e volutamente in contrasto tra loro, mettendo il seme della discordia, della rivalsa e della sopraffazione ora per una, ora per l'altra fazione. 
Si crea, in nome di ottime parole, un'umanità schizofrenica poiché separata da muri chiamati: definizioni.
In particolare tra uomini e donne. 
Come potremmo mai andare d'accordo se dividiamo noi stessi, l'umanità e il mondo in generi? 
Quando la vera reale diversità è solo di status sociale ed economico tra esseri umani o per meglio dire tra chi sfrutta e chi è sfruttato che è molto peggio che tra predatori e prede, perché il predatore almeno quando è sazio non caccia il più debole. 
L'uomo infierisce sul debole, solo perché può farlo e la sua fame non si placa mai.

Quei pochi che hanno potere e denaro e che purtroppo vivono come parassiti, grazie alla povertà e all'ignoranza di altri, fomentano divisioni per trarne guadagno e giustificare la propria esistenza addirittura come risolutori di problemi, quando in definitiva ne sono la causa.
Risulta evidente che c'è una forte commistione di interessi tra politica e religione, di fatto questi poteri non sono quasi mai in conflitto tra loro, si spartiscono i guadagni e i privilegi derivanti da questa leadership senza pestarsi troppo i piedi a vicenda, anzi spesso sono complici dei medesimi raggiri.

E' palese che il più generalizzato e odioso problema tra gli uomini è l'avidità.
Nelle persone in posizioni di privilegio tale difetto è talmente grande da essere quasi senza misura; Necessariamente per la realizzazione dei loro sempre nuovi desideri esercitano il disprezzo verso la vita e la felicità degli altri, soprattutto se non gli servono, proprio perché per loro contano solo le voglie non le persone. 
La loro meschinità criminale ben si misura con il modo cui valutano il valore dell'esistenza di chi non gli è utile che risulta pari a zero, in quanto per essi contano solo i costi e i ricavi. 
Una contabilità dove non può trovare posto nessun senso di  umanità. 
Arriverà anche per loro il momento quando saranno pagati con la moneta che spendono, non è una jattura perché quel momento arriva sempre e per tutti. 
Sino ad allora bisognerebbe limitarli, ma anche smettere di sopportarli. 
Non sarebbe necessaria un'insurrezione armata, basterebbe non aderire acriticamente ai loro maneggi e alle piccole comodità che usano per togliere a tutti tantissimo. 

La repressione sessuale è giustificata da queste "guide illuminate" dell'umanità per evitare comportamenti malsani, eccessivi, addirittura smodati. 
Come se senza una ferrea morale, la gente potesse trascorrere la vita in una sorta di orgia continua, dimenticando il lavoro con cui si guadagna il pane. Follia. 
Non lo affermo per spirito di contestazione, ma è la biologia stessa che risponde al mio posto. 
Quanto umanamente una persona può fare sesso? 
Una, due, tre o quattro volte al giorno? Tutti i giorni? Per tutta la vita? 
Pare poco credibile e fisicamente insostenibile con tutte le cose che ci sono da fare quotidianamente e la fatica che comportano.
Sostengo invece che una volta tolto il "proibito" dalla sessualità si ridimensionerebbe molto il suo fascino e desiderio, lo si vivrebbe in maniera naturale, certamente più di quanto è preteso ora dalla morale con l'imposizione.

Esiste una profonda distorsione negli esseri umani a proposito della realtà umana. 
Sono basito come non lo notino. Molte persone non comprendono come le strutture cui affidano la loro sicurezza e benessere siano le stesse che gli fottono la qualità della vita. 
Si scagliano in assurdi conflitti e discussioni per stabilire regole e ordinamenti necessari a risolvere i problemi, quando in realtà l'unico problema l'abbiamo tutti davanti agli occhi appena ci guardiamo allo specchio.

Come dico sempre: "Non esistono regole buone, ma solo persone buone."

Bisognerebbe investire in questo, mi pare evidente. 
Una persona buona cioè in contatto con la realtà, non ha bisogno di alcuna regola, mentre una cattiva (inconsapevole) appena non sarà vista o sottoposta a un controllo farà del male a dispetto del Diritto e dei Comandamenti. 
Qual'è il senso dei meccanismi di repressione, quando gli effetti utili saranno solo superficiali e momentanei? 

La religione sembra voler dare un insegnamento di libertà, ma in sostanza esalta la repressione, la negazione di ogni legittimo piacere a disposizione in questo mondo (già povero di soddisfazioni). 
Di fatto è contro l'uomo, o almeno contro la sua felicità. 
Questa castrazione è vista addirittura come una virtù; In nome di ipotetici compensi post-mortem non concede alcuna soddisfazione in ciò che invece ci è messo a disposizione qui e ora: la Vita. 
Se qualcuno osa godere di qualcosa che lo rende felice, questo qualcosa sarà sempre all'ombra di un assurdo peccato. 
Così alla fine se un essere umano colgie un po' di felicità non potrà mai esserne completamente contento, soffrendo di qualche senso di colpa. Se non è malattia psichica...

Lo stesso meccanismo funziona per il potere che gestisce le leggi e l'economia. 
Maggiormente un cittadino sarà ligio e supino alle norme della società, comprese quelle ingiuste e assurde che separano questo mondo in classi e mantengono questa separazione insormontabile, benché tutti sanno che è iniquo, più lo si definirà onesto, integerrimo, quando in relatà sarà solo un servile schiavo quasi lobotomizzato.

Similmente, più un uomo e una donna saranno considerati pii e devoti dai canoni religiosi, più la loro vita sarà priva di bellezza radiosa; Negandosi infatti il piacere sarà svuotata di passione e d'amore vero, cioè quello carnale e ardente, e non quella brutta copia sbiadita di una vita deprivata dal sano godere di vivere gustato sino in fondo senza ansie e paure.

In quest'ottica che personalmente trovo miope, pare proprio che l'approvazione dei cosiddetti poteri forti sia l'unica e sola gratificazione concessa a quella moltitudine di masochisti omologati che chiamiamo umanità.
Ogni tentativo di cambiamento verso una maggiore autonomia e libertà, anche solo un modo diverso di vivere,  è schiacciato.

Come dimostrato ampiamente dalla Storia il "proibizionismo" ingigantisce i problemi, invece di risolverli.

La domanda che giunge naturale come il mattino dopo la notte è: "A chi giovano questi problemi e queste strategie inutili?" 
I problemi servono, servono eccome; Al potere prima di tutto per esistere e giustificare le sue azioni spesso abiette che altrimenti non avrebbero giustificazione. 
Possibile che nessuno si rende conto che in migliaia di anni l'umanità non ha mai risolto un solo problema? Neanche uno. Pare credibile? 
Allo schiavo si è sostituito il salariato (non certo per filantropia ma per convenienza), alla nobiltà che spadroneggiava prima, ora ci sono gli anominmi oligarchi che spadroneggiano ugualmente, ci sono i  membri dei  consigli d'amminstrazione delle multinazionali che gestiscono la vita e la salute dei cittadini come prima lo facevano i baroni. Tutto avviene oggigiorno solo in maniera più nascosta e subdola, almeno nei paesi dove c'è un po' di libera informazione, perché dove nessuno può vedere le barbarie si compiono esattamente come quando non vi era altra legge che quella del più forte. Alle scuole elitarie certamente i figli degli operai non potevano andarci prima e non possono andarci ora. 
Di fatto la diseguaglianza ci rende quasi tutti simili. 
Abbiamo molte prigioni che ci rinchudono e ci dividono, e le peggiori sono quelle trasparenti che ci segregano illudendoci di essere liberi. 
Basta fare qualche centinaio di chilometri lontano dalla "democratica" Europa ed ecco che si ripiomba in un medioevo fatto di soprusi e superstizione. 
Il lusso con cui le poche nazioni ricche coprono la miseria che esiste comunque nel medesimo territorio, è solo una maschera, una scenografia che si sostiene grazie alle flebili sovrastrutture economiche che se crollassero, tutto il nostro sistema sociale imploderebbe su se stesso, perché privo di sostanza e reali principi etici.

Questo fallimento umano totale, è avvenuto e avviene, non per stupidità e nemmeno per mancanza di mezzi, ma solo per colpevole interesse di alcuni che sono definiti dalla società civile come "importanti leader" e l'altrettanto colpevole disinteresse dei molti, più prosaicamente chiamati "morti di fame".

Non ci vuole una dottorato in Scienze Politiche per comprendere che se alcune persone in una società hanno un problema e altri, nella medesima società non l'hanno, non è ragionevole aspettarsi che chi non ha questo problema possa risolvere quello di chi l'ha. 
Si incaricano invece i ricchi di risolvere il probrema della povertà, ai bianchi i problemi dei neri, dei gialli o di tutti i colori che vivono al mondo, ai religiosi la crisi di fede dei non credenti, ai politici che trascorrono la vita nel privilegio si chiede che trovino le soluzioni per i diseredati. 
Non è certo un caso che non si è mai risolto nulla. 
Mi pare ancora più ovvio che chi ha un problema non ha né i mezzi né la soluzione per risolverlo, altrimentei lo avrebbe già fatto. 
Che fare allora? 
Il modo di sistemare le problematiche di alcuni e farle diventare le problematiche di tutti, è così semplice. Lo ripeto: "Quando i problemi di alcuni saranno i problemi di tutti si troveranno finalmente soluzioni".

Quando tutti hanno lo stesso problema infatti una soluzione si trova sempre. 
La storia umana l'ha mostrato centinaia di volte, ma sembra che questo "uovo di colombo" sia passato inosservato. 
In ogni caso è talmente banale che non serve un genio in sociologia per capirlo. 

Se qualcuno è perplesso che una soluzione così semplice possa risolvere tutti i "complessissimi" problemi di questo mondo, basta immaginare cosa succederebbe se l'inquilino dell'ultimo piano, si proprio quello che da una settimana non ha il riscaldamento, per infiniti e inestricabili problemi operativi, di colpo come per magia potesse trasferire il medesimo disagio a tutto il condominio e anche alla casa dell'Amministratore dello stabile. 
Alé! Tutti senza riscaldamento per il medesimo guasto. 
Pensate che in 24 ore il problema non sarebbe risolto? 
Alzi la mano chi non lo crede che è di sicuro il più cretino su questo pianeta.

Sarebbe estremamente semplice cambiare il cupo panorama odierno ma servirebbero persone un "pochino" diverse di quelle oggi a disposizione.
Ipotizzando un'umanità fatta  di persone normali, basterebbe  considerare la nostra felicità e la naturale aspirazione alla libertà come espressione comune della felicità di tutti, ovvero libera dai vincoli insensati e dall'ipocrisia che gestisce non tanto la vita sociale, ma quella personale.
Regole che tra l'altro, si applicano alla maggioranza, non certo all'élite. 
Stranamente nella moltitudine questa disparità non crea conflitti cerebrali, non vi è nessuna contraddizione agli occhi del popolo. 
La gente non contesta veramente, cioè con le azioni, i privilegi. Di fatto non li considera un vero male, ma più che altro un proprio nascosto auspicabile obiettivo e infatti li vorrebbe per se, ma visto che non li può avere, allora sommessamente ammira i privilegiati e magari un po' l'invidia. 
Pare proprio che l'uomo non sappia vivere senza un padrone o viceversa lo deve diventare egli stesso. 
Una condizione di eguaglianza reale e non a chiacchere come avviene oggi, sembra disorientarlo. 
Parla di libertà, ma non la merita fino in fondo, perché essa comporta una notevole emancipazione, in primo luogo dalle gabbie che tutti abbiamo dentro la testa che sono le più inviolabili prigioni che esistono, perché non si vedono, almeno finché uno ci vive dentro. 

Essere conformi a quello che sentiamo, rispetto a quello che ci è detto di sentire come giusto è considerato scorretto da questo mondo. 
Allora, se non siamo buoni giudici di noi stessi che vita ci attende? 
Una vita schiava delle norme di chi si arroga il diritto di sapere cosa è giusto o sbagliato non solo per se stesso, ma addirittura per tutti.

Mi domando ancora come con tali premesse, la nostra adesione alla rettitudine non sia altro che mero conformismo, e dunque quale valore ha la nostra stessa vita? 
Quale peso hanno con una tale subordinazione, le nostre scelte?
Se la felicità e la libertà di tutti e di ciascuno non è unita e non ha la medesima importanza, di quale felicità e di quale libertà si può parlare veramente?

Felicità e libertà condivisa dovrebbe essere il contrappeso da porre sulla bilancia della Giustizia per pesare i nostri comportamenti e desideri. 
Non serve altro maestro che un po' di onestà e sinceramente guardare dentro noi stessi e questo "me stesso" in rapporto agli altri, considerandole allo stesso modo, e così capire cosa è equo.

Il primo passo è sicuramente comprendere il linguaggio del corpo, attraverso i suoi desideri naturali e anche la sua sessualità che non è altro che una comunicazione tra un corpo e un altro per giungere perfino a una comunicazione tra anime.
Consideriamo banalmente la comunicazione come la trasmissione di un'informazione attraverso la parola, quando la scienza ci dice che la maggior quantità di informazioni sono trasmesse e percepite in maniera non verbale. 
Il corpo non mente, le parole invece lo fanno spesso, infatti in alcune ricerche e test si utilizza la lettura del comportamento, l'espressione corporea, come metodo di verifica della veridicità di quanto è affermato.

A quanti è capitato di udire un "si" e di sentirsi comunque respinti? 
Quante volte tale percezione è risultata errata? 
Credo, assai poco. Sarebbe allora auspicabile comunicare con quanto ci permette di cogliere una maggiore sincerità.
Esistono tanti modi di comunicare.

Nell'antico Giappone dove la maggior parte delle persone non sapeva scrivere si usavano i sassi al posto delle missive. 
I codisiddetti "sassi parlanti". 
Quando ad esempio un uomo voleva far sapere ad una donna quanto fosse profondo e importante il suo amore, oppure voleva esprimere la preoccupazione per il comportamento di un familiare, mandare un'augurio a una persona cara, sceglieva un sasso da fargli recapitare, altre volte glielo donava lui stesso.
Se era bianco e liscio, indicava purezza e un augurio di felicità e di serenità, pesante o leggero ne definivano l'importanza, ruvido oppure colorato le altre sfumature dei sentimenti. 
Il sistema funzionava bene, basandosi sull'intuizione comune propria della natura umana.
L'uomo sa dunque esprimersi in moltissimi modi.

A me è capitato perfino che certi brevi silenzi mi parlassero per ore...

Ciò che non è da dimenticare è che viviamo tutti in un mondo materiale, anche se generalmente crediamo all'insostanziale, all'invisibile, alla spiritualità o come si voglia chiamare la nostra propensione verso l'intangibile.
Questo Mistero, a mio modesto parere, deve essere colto attraverso la materia che è ciò di cui siamo fatti e che tangibilmente appunto, abbiamo a disposizione.

Alla comprensione del vuoto si giunge attraverso il pieno. 
Così come un'anfora è intesa dalla sua capacità, è il suo  spazio vuoto cioè la possibilità di accogliere un contenuto che le conferiscono un senso; Dal suo vuoto interno, circondato dalla tangibile argilla, essa si riempie di significato.
  
Accade anche che il valore di alcune cose sia capito dalla loro mancanza, non solo perché l'uomo nella sua idiozia si accorge dell'importanza di qualcosa quando non l'ha più, ma perché certi fatti analizzati direttamente risulterebbero inconcepibili e incomprensibili.

La natura della realtà è colta per sottrazione più che per definizione. 
Si chiarisce di più cosa sia qualcosa, comprendendo cosa non è, perché la cosa in sé, il suo senso ultimo, il suo valore intrinseco ci sfugge sempre.

Se però non conosciamo il nostro corpo, e quello che la Natura ci dice di seguire è certo che non possiamo che perderci.

mercoledì 8 agosto 2018

Il pranzo è servito II


Paesaggi scorrono davanti agli occhi.
Siamo noi che ci muoviamo o è il mondo che avanza?
E' come in stazione non si sa mai se è il nostro treno che parte o quello accanto.

Ci nutriamo durante questo viaggio di cibo, ma anche di immagini, di sentimenti ed emozioni.

Mangiamo sempre qualche cosa.

Che sia un sorriso di uno sconosciuto che ci passa accanto, uno sguardo rubato a due innamorati o il silenzio della gente che parla.

Mastichiamo ogni cosa, poi deglutiamo la vita che ci scorre dentro ma ci lascia ancora fame.
Si beve per dissetarsi, ma spesso è acqua salata.

C'è però bellezza in questo impulso, in questo appetito che ci spinge a addentare ogni evento.
E’ una fame insaziabile di vita.

Piaceri momentanei come piccoli bignè punteggiano il divenire, ci soddisfano inaspettatamente ma subito ci abbandonano lasciando solo una eco del sapore appena gustato. 
Così è per i bocconi amari.

Talvolta, sorprendentemente anche l'acqua ha odore e l'aria sapore.
In quei frangenti regalati fluttuiamo, siamo vento nelle stagioni che passano e ritornano.
Siamo ospiti dei grande mistero che è servito in piccole porzioni, confondendoci.

Una musica silente accompagna questo pranzo, suonata dal violino senza corde del cuore.
Passa e va come il sole fra i rami arrossati dalle foglie d'autunno, tutto si perde indistinto in un arancio magnifico.

martedì 7 agosto 2018

La loggia dei poeti inespressi


Parlare degli altri e agli altri è impossibile. 
L'altro sarà sempre un mistero, un'incognita, una Sfinge. 
Anche l'intuizione spesso è solo un fraintendimento plausibile. 
La certezza non appartiene a questo mondo.
Conosco bene le regole della vita, le brutali regole dell'esistenza tra uomini. 
Sono vere, ma non vi ho mai creduto sino in fondo. 
Perché sento che una vita senza poesia non è una vita.
Poesia è cercare la bellezza, anche dove non esiste; Infatti la bellezza non esiste, è opera solo dell'uomo. 
Solo lui la può creare, accorgendosene.

Cogliere così quella magia che rende speciale anche un alito di vento, l'azzurro di un cielo notturno che si apre inaspettato, il lento chiarore di un giorno che muore. Il tocco lieve di una mano che ti sfiora fuggendo.
Momenti, attimi direi.

Vapori multicolore di un vulcano spento, questo è l'animo  umano. 
Eppure, sotto il manto nero di lava ormai fredda c'è il calore che serpeggia, vive e si muove.
Senza trovare questa fonte, quest'alchimia, questa resurrezione, la vita resta un fatto biologico, una serie di azioni e reazioni. 
Nulla che abbia peso, profondità, bellezza appunto.

Allora ogni energia è intesa alla scoperta di quel silenzioso apparire.

Se non sai sorridere per un fiore dimenticato che sboccia alle tue spalle, cos'hai vissuto a fare?
.

martedì 10 luglio 2018

Elephant Man



E' curioso come si sviluppi il concetto di giustizia a livello umano. 
Spesso appare un compromesso tra egoismi. 

Quando più persone con i  loro desideri ed esigenze convergono in un equo tornaconto cioè sono sufficientemente e reciprocamente soddisfatte, si  decreta che la transazione o la scelta intrapresa è giusta. 

In realtà la "giustizia" è un'invenzione. 
Tra l'altro è una concezione astratta molto relativa, perché dipende dalle cirocostanze, da ciò che c'è in ballo e da quanta avidità si desiseri conciliare.
Una condizione relativa non potrà mai diventare un valore assoluto come dovrebbe essere la Giustizia nella sua accezione più completa. 
Ecco, perché sono scettico su questa convenzione, così diversa secondo  tempi, luoghi, culture e società.

Forse è banale ricordare che se si guarda come la maggioranza considera la giustizia, si noterà che coincide sempre con il proprio interesse.  
E' assai raro sentire parlare una persona di giusto, quando da questa giustezza essa ne ricaverà un danno. E' ancora più raro vedere questa persona "giusta" comportarsi in tal senso cioè contro i propri interessi. 
Nemmeno afifdarsi a terzi "super partes" specializzati in diritto, chiamati Giudici che hanno a disposizioni leggi fatte con le migliri intenzioni ci eviterà l'abissale differenza tra legalità e giustizia. Rendendo ancora più amara la delusione nel constatare quanta differenza ci sia fra queste due. 
Non resta che la giustizia Divina, l'unica che a quanto si dice possa esercitare una riparazione al male, ma basta farsi un giro in un reparto oncologico pediatrico e anche questa flebile speranza, risuterà irrimediabilmente e tristemente disattesa. 
Che male hanno mai commesso questi bambini innocenti da meritare tanta sofferenza?

E' troppo cinico pensare che quello che l'uomo chiama giustizia sia, spogliata dai sofismi, solo vendetta? 
In definitiva bisogna considerare che al male fatto non c'è rimedio, dunque perché punire? 
Qual'è il senso di esigere la restituzione di un debito quando non è possibile pagarlo? 
Si sostiene che la punizione ha un valore educativo per evitare la reiterazione di un comportamento malsano nel futuro, e sarebbe forse ragionevole se si potesse conoscere il futuro.
Chi può essere tanto presuntuoso da sapere cosa farà un altro uomo tra un giorno, un mese o dieci anni? 
Chi può credere fino in fondo che la sofferenza imposta a chi a sua volta l'ha causata, possa in qualche modo innescare un processo di crescita, quando è solo grazie alla libera scelta che esso può avvenire realmente? 
Sono molto perplesso a riguardo di questi sistemi punitivi e coercitivi, almeno come sono adottati nella nostra attuale società.

All'opinabile Giustizia andrebbe sostituita la tangibile Equità. Infatti, solo assegnando a me stesso il medesimo peso di chi o di cosa ho di fronte che il mio comportamento sarà conforme all'ordine naturale delle cose. 
Il cosiddetto "bene" non ha bisogno di nozioni, ma di percezioni cioè solo percependo il mondo e cosa esso contiene come me stesso che posso vivere "giustamente", assegnando come già detto a questo "me stesso" lo stesso valore di ciò che ho davanti agli occhi; E in tal modo non essere cieco. 
Questa saggezza non è da imparare ma da ricordare, perché appartiene all'ancestrale e naturale condizione umana. 
Nel momento che l'essere umano ha perso o dimenticato questa condizione ha spalancato la porta dell'Inferno.  

Nell'antico Giappone quando avveniva un fatto di sangue era autorizzata la vendetta, perché non esisteva un vero apparato penitenziario. Nessuno quando c'è poco da mangiare si sognerebbe di mettere un reo in prigione, e così doverlo sfamare e sorvegliare; Si preferiva eseguire una condanna corporale o capitale. 
L'azione vendicativa sebbene spesso al di fuori della legge, era generalmente  tollerata. Essa era affidata a un familiare, a un amico oppure a qulcuno che aveva un debilto di riconoscenza con la vittima. 
Questo killer, più o meno giustificato, scannava il presunto esecutore del crimine, poi ne tagliava la testa e avvoltola in un bel panno, era posta sulla tomba della vittima, affinché potesse riposare in pace.  
Devo ammettere che i giapponesi hanno sempre avuto un certo stile nel fare le cose.
E' ovvio che se tale procedura fosse stata elevata a sistema, oggi non ci sarebbe però neanche più un giapponese. 
La dissuasione dai reati, grazie alla vendetta non funziona se non su scala approsimativa.
Un metodo non molto lontano da come viviamo, sebbene non siamo nel Giappone feudale, perché mettere in prigione per trent'anni un assassino, chiuso in una gabbia di tre metri quadri è in definitiva una sorta di vendetta in guanti bianchi della società, condannando un colpevole alla morte civile. 
Tanto varrebbe sparagli alla nuca com'è fatto con maggiore semplicità, in Cina. 
Non scrivo questo perché sia a favore di un filantropico "liberi tutti", infatti al mondo ci sono persone veramente pericolose, e non parlo solo dei politici, dei giornalisti oppure delle ex mogli, ma di esseri che sono dei veri diavoli malvagi. 

Quello che vorrei evidenziare è che se tra un cittadino e un atto illecito, violento e prevaricatore, c'è solo la paura della vendetta dello Stato, oppure la paura di una ritorsione dei parenti della vittima, o di un contrappasso Divino, beh! Allora, siamo messi davvero male.

Dio, secondo l'interpretazione corrente usa (casualmente?) il medesimo criterio, anzi per l'esattezza ne usa uno ancora più estremo, elevando la comminazione della pena in un'eterintà di suplizi. 
Probabilmente perché nella considerazione umana  è così che Dio diviene buono e compassionevole. 

Sarebbe invece più utile educare in modo diverso, possibilmente prima che il  male si compia e poi, una volta commesso, redimere; Ammesso che esista la redenzione che generalmente è intesa come una specie di pareggio contabile tra bene e male, però difficilmente quantificabile perché ancora una volta la valutazione è fatta in maniera personale e opinabile e in ogni caso il "bene" fatto ad altri non cambia il "male" fatto alla vittima. 

Alcuni animali si ammaestrano con la frusta, altri invece con il cibo. 
Resta comunque una bella differenza fra educare e ammaestrare, ma è talmente sottile nell'uomo che spesso si confondono le due cose, sebbene distano molto l'una dall'altra. 
In alcune circostanze, cadute le convenzioni sociali, si assiste ad un imbarbarimento delle cosiddette persone civili che dimostrano che quello che si crede un comportamento morale, integrato nella coscienza, solido come l'uccello in erezione di un diciottenne, posto alla base delle azioni nobili, buone e ragionevoli non è nient'altro che un condizionamento superficiale. 
Solo alcuni uomini non subiscono questa metamorfosi inversa, perché in loro il volontario processo di crescita o per meglio dire di riflessione personale li ha portati realmente a espandere la propria coscienza personale in una più ampia coscienza collettiva. 
La maggioranza tende a uniformarsi a certi schemi comportamentali, grazie al conformismo di facciata adottando un modo utile e facile di vivere, ma profondamente ipocrita. 
Qual'è dunque il senso di  sembrare civili senza esserlo?  
Questo discorso è evidentemente una palude, meglio allora non attraversarla rischiando di perdersi ma sorvolarla con un diverso punto di vista.
   
Esiste, a mio parere, qualcosa di meglio: la consapevolezza. Gioverebbe alle persone e a questo mondo, ma non è considerata ahimé un obiettivo primario, anche perché si edifica con la sofferenza liberamente scelta e la riflessione, due animali estinti da prima che l'uomo comparisse sulla Terra.    

A proposito di animali in via di estinzione, quando un Elefante è abbattuto a molti dispiace, generalemnte quando lo vedono in televisone, ma se si considera questo dramma da un'altro punto di vista, forse non è la fine tra le più difficili che attendono questo meraviglioso  animale; Infatti ogni elefante, una volta esaurita l'ultima fila di denti, è condannato a morire di fame. 
Quest'animale non muore mai di vecchiaia, ma di stenti dovuti al digiuno forzato. 
In questa prospettiva non sembra poi così orribile una morte rapida  per un colpo di fucile. 

Ovviamente, ogni essere vivente desidera vivere. 
Non credo che l'elefante si rassegni più facilmente nel farsi abbattere se potesse conoscere a quale fine sarebbe destinato se vivesse abbastanza da sfuggire ai cacciatori.
Certamente è poco probabile che possa fare questo ragionamento, ma non scirvo di questo per parlare del bracconaggio, ma per riflettere su altro.

La constatazione che segue dopo questa piccola provocazione da Safari è che gli animali sono liberi dall'idea di "giustizia" o per meglio dire, da tutti quei ragionamenti che stanno alla base delle valutazioni di correttezza a riguardo degli eventi, in rapporto alla propria esistenza. 
Ciò che però è veramente interessante è che gli animali pur non avendo morale, non sono estranei a una certa misura nel loro comportamento. Hanno comunque un limite nelle azioni.  
Anche senza "giustizia" non sono anarchici, anzi c'è un  ordine nella  loro vita. 
Hanno "un'etica naturale" sensata, anche se a volte  sconcertante. 

Sempre continuando con l'esempio dell'elefante, quando non può più mangiare esegue una sorta di commiato verso il suo branco, rivolge un preciso saluto al gruppo con cui ha trascorso tutta la sua vita fedelmente; Poi, si allontana raggiungendo un cosiddetto "cimitero" il luogo esatto dove altri prima di lui, sono andati a morire. 
Lascia la compagnia dei vivi e abbraccia la compagnia dei trapassati con continuità. 
Un modo di fare che ha dell'incredibile. 
Questo animale gigantesco, molto intelligente e con una memoria prodigiosa, all'altezza se non superiore al detto popolare, aspetta paziente senza apparente timore la terribile fine per inedia. 
La "logica" con cui si relaziona con il suo gruppo, la sua stessa fine e il rapporto con i defunti della sua specie, lo elevano quasi a livello umano, anche se parlare di logica riferendosi a un'animale pare un'eresia. 
Allora, come definire le scelte sensate che intraprende?

Addirittura gli elefanti si riconoscono allo specchio, dunque anche nella volutazione psicologica umana hanno coscienza di sé, la loro memoria è prodigiosa, dunque imparano, hanno una sorta di culto dei defuntil e allora, perché non possono essere considerati a tutti gli effetti esseri senzienti? 
Forse, per gli esseri umani se un essere vivente non parla,  non ha un cellulare, non grida allo stadio e non distrugge il mondo in cui vive non è abbastanza intelligente per essere considerato tale.
Se, liberando dalle catene l'Assurdo per vedere in quale direzione correrà, si immaginasse di essere un animale che ha comprensione e addirittura realizza che la teconologia e gli oggetti snaturano la vita stessa, e pur avendone i mezzi scegliesse di non sviluppare la sua attitudine al loro utilizzo, perché questa assuefazione alla comodità  lo deruberebbe dalla libertà e che sarebbe un modo autodistruttivo di vivere, sarebbe così folle pensarlo? 
Allora, grazie a questo ragionamento bizzarro si intravvederebbe una saggezza che noi umani non abbiamo, oppure non abbiamo più.
Chissà magari se l'avessimo non ci metteremmo con tanta sicumera sul podio delle specie al primo posto. 

La scienza liquida tuttI questi comportamenti con l'istinto  come fosse un dato  certo, ma a conforto di questa certezza non vi è nessuna prova. 

Tornando per un secondo al digiuno forzato di  Dumbo o Jambo come si voglia chiamarlo amichevolmente, esso dimostra un "coraggio" che pochi, anche tra i più coraggiosi esseri umani, avrebbero oggigiorno. 
Naturalmente anche il concetto di coraggio per un animale non dovrebbe avere senso.
Si pensa generalmente che nella dimensione animale esiste solo la semplice realtà; Gli animali così fanno quello che va fatto come possono. Nulla di più. 
Sono senza giudizio né morale o sentimentalismo, ma allora perché questa mancanza di freni non li porta a comportamenti estremi? 
La risposta è sempre nella stessa parola: istinto. 
E' proprio tutto così semplice, oppure si trascura un'analisi più profonda?

Guardando al comportamento animale è indiscutibile una "logica biologica". Un'istruzione che li guida  e alla quale ubbidiscono, senza che nessuno li obblighi. Pare anche che condividano tutti gli stessi comportamenti, sebbene involontari.

Come è possibile che esistono comportamenti molto complessi involontari? 
E' credibile invece che esistono impulsi primari,  dovuti al DNA,  ma condotte a volte eleboratissime paiono difficili da considerare come bagaglio naturale di conoscenza. 
Si dovrebbe forse cominciare a considerare il comportamento animale come frutto di un partilcolare ragionamento. 
Un ragionamento animale, certamente diverso da quello dell'uomo,  alla cui conclusione univoca, però tutti gli animali giungono senza neanche bisogno di discutere.  
Essi raggiungerebbero il medesimo accordo,  perché semplicemente la realtà percepita  e la conseguente scelta naturale non avrebbe bisogno della persuasione del linguaggio come invece avviene nell'Uomo.  
Si considera l'istinto come l'unica soluzione onnicomprensiva a tutte queste domande e lo si concepisce quasi come un meccanismo implementato. 
La stranezza è che a livello fisiologico non è stato ancora trovato. Dov'è allocato questo istinto?
Questo benedetto "istinto" non si trova, ma è necessriamente ipotizatto per poter dare soluzioni, e anche per evitare problemi. 
In particolare quello di elevare il comportamento animale al rango di un modo di fare ragionato, immediato e rapidissimo, che risulterebbe meno stupido di quanto immaginiamo. Sarebbero in questo caso dotati di una lucidità senza aberrazioni tra l'altro, semmai si volesse considerare questa "stranezza" come vera cioè che l'istinto non esiste. 
In quest'ottica  la posizione dell'umanità si ridimensionerebbe grandemente.

In ogni caso l'uomo è ormai molto lontano dalla semplicità e dalla schiettezza, ma non perché sia andato avanti...

Pare diversissimo il mondo animale da quello umano, ma è proprio così?  

A volte (sempre?) la presunzione degli uomini non permette di cogliere le similitudini tra questi due mondi che talvolta sono invece speculari, ma in realtà sono uno solo.

Proprio ora, ricordo che almeno un popolo  aveva un rito molto simile a quello dei pachidermi: L'antica tribù artica degli Inuit, ora quasi completamente "civilizzata". Essi facevano su per giù la stessa cosa.  
Come mai? Visto che il comportamento umano è guidato dal ragionamento, mentre quello animale dall'istinto. 
Ribadisco il quesito per l'ultima volta: Se  l'istinto fosse un'invenzione dell'uomo? 
Lascio aperta la risposta ad ognuno, non per paura di sollevare una tempesta di critiche, ma  perché chi vuole osservi e ci ragioni  autonomamente, semmai voglia esercitare il libero pensiero. 
Tornando al popolo dei ghiacci, quando un familiare non aveva più denti doveva essere abbandonato, addirittura questa scelta era presa proprio da chi subiva questa fine terribile. 
Accettava questo brutale destino con la medesima stoicità dell'elefante, perché non poteva più provvedere a se stesso.

Restava una vecchia o un vecchio solo, fermo sul pack sferzato dal vento gelido. 
Il resto della famiglia lo lasciava indietro senza girarsi, perché altrimenti non ce l'avrebbero fatta ad abbandonare quell'essere umano con cui avevano condiviso, risate, cibo, riparo e difficoltà per così tanto tempo. 
Immagino quel momento come vissuto, mentre tracimava il dolore di quell'addio silenzioso sin nello stomaco; In quella tragica immagine che si allontanava, vista di sottecchi, ognuno dei familiari intuiva come in una profezia, il proprio futuro. 
Il padre o la madre, diventava per quel gruppo che andava, un puntino sempre più piccolo che infine si perdeva lungo il filo candido dell'orizzonte. 
La slitta ora stranamente leggera è più veloce, il peso dove è finito? Tutto nel cuore.

Le lacrime si perdono sempre... 
A volte cadono a terra, altre volte si mischiano nella pioggia, altre volte ancora sono accolte dalla neve, oppure asciugate dal vento che soffia forte. 
In questo c'è un insegnamento, perfino il dolore non ci appartiene, e bisogna lasciarlo andare. 
La vita d'altronde non fa distinzioni, che siano lacrime di gioia o di infinita tristezza non c'è alcuna dfferenza per la realtà, solo l'uomo distingue. 

Questo reietto volontario lasciato sulla banchisa aveva ancora un compito, ancora più duro da eseguire. Doveva donare il suo ultimo sprazzo di vitalità all'orso polare che in gioventù lo aveva più volte nutrito con la sua carne, restituendo ciò che gli era stato dato in completa simbiosi e chiudendo drammaticamente, ma perfettamente il cerchio della vita. 
Recitava, l'ultima preghiera (un po' diversa per l'uomo o per la donna). 
Un canto con intonazioni basse e vibrate che iniziava appena si intravvedeva la sagoma bianca avvicinarsi, se ne sentiva il pungente odore, poi si udiva il somesso grugnito, se non ricordo male faceva così: 
"Grande Orso, ombra bianca di morte. Tu sei il temibile cacciatore che vive nel freddo. Lo sono stato anche io, per tante stagioni ho cacciato e mi sono nutrito anche della tua carne. 
Oggi, non potendo più mangiare non ha più senso combattere. 
Ti offro la mia vita. Pace, dunque. 
Nulla ho preso che non mi fosse necessario, ora restituisco il necessario che ho preso, pago il mio debito. 
Così anche in quest'ultimo momento posso essere felice."

La cantilena di solito si interrompeva bruscamente, un arabesco rosso gettava sul candore della neve un muto epitaffio.
Un semplice addio di un semplice essere umano che semplicemente lasciava questo  mondo impietoso. 

Crudele eh? 
Certamente, ma solo per chi non si accorge che la vita si nutre sempre di vita. 
La sopravvivenza è cannibale, vita per vita, non c'è molto da aggiungere a riguardo. 
Se a livelllo umano, riusciamo a conciliare questo dilaniante massacro cui siamo chiamati a combattere pur saperndo che alla fine tutti perderemo con un po' di cuore, Beh! Allora questo sarà la nostra unica vittoria. 
La Natura invece ha una sua aritmetica strana, uno più uno fa tre, a volte perfino quattro. 
Quando qualcuno arriva, qualcuno dovrà andare. 
C'è chi sostiene che quando il numero delle persone sulla Terra raggiungerà la somma di tutti gli uomini vissuti in precedenza, l'umanità smetterà di esistere, ma questo è come dico sempre, solo accademia.   
In ogni caso quest'immagine di vita di un mondo passato ha per me una sua bellezza, e quasi balugina di giustizia. 

E' divertente ricordare, tanto per alleggerire l'animo dopo il racconto quaresimale rievocato, che nella lingua Inuktitu parlata da questi abitatori dell'Artico, ci sono più di venti modi diversi per dire: "neve". Descrivendola così in tutte le sue forme. Non per un virtuosismo linguistico, ma per l'oggettiva necessità di indicare per esempio una pista per la caccia o per segnalare un luogo specifico. Sul ghiaccio, a parte la neve non ci sono molti punti di riferimento, infatti gli spuntoni che si formano nel "ice field" cambiano repentinamente a causa del disgelo/gelo diurno e notturno e non sono un buon sistema per orientarsi.


Lasciando gli aneddoti con cui pigmento le mie monocromatiche e monotematiche analisi, tornerei al modo umano di vedere il mondo, semmai me ne sono allontanato durante il discorso. 
Trovo interessante che consideriamo peculiari della ragione molti comportamenti che sicuramente hanno un senso per la nostra organizzazione umana e ci differenziano dal resto del mondo animale, ma non sempre ci rendono grandi e migliori, come crediamo di essere. Anche se quest'ultima valutazione è anch'essa un'idea dell'uomo.

Spesso, mi sono domandato il senso della nostra organizzazione sociale; Il reale valore cioè delle regole e delle consuetudini che diamo per scontate, per giuste appunto. E altrettanto spesso non ho trovato una risposta univoca e confortante al loro mantenimento.
Ho invece trovato che sotto la leggera patina di civiltà, l'uomo primordiale è ancora presente, molto più vicino ad ognuno di  quanto invece credevamo di averlo lasciato lontano.


In alcune condizioni particolari l'uomo può perdere il supporto di questa struttura interna, fatta di morale, leggi e regolamenti, ritrovando uno stato primitivo bizzarro e stupefacente. 

Il rischio è che si perda completamente il senno, perché un tale cambiamento non è solo drastico ma dirompente.  
A volte però può capitare di far ritorno a una dimensione meno strutturata, senza effetti collaterali così traumatici. 
Si scopre così una condizione liberatoria inaspettata.


Constato come la Natura inspiegabilmente, si manifesta con le medesime regole sia nel comportamento animale che in quello primitivo umano. 
Si palesa una strano spirito intelligente (?) con un'intelligenza non solo brillante ma smagliante, visto come mantiene in armonia tutto il Cosmo.


Da dove viene questa saggezza così spesso insascoltata?  Come riesce a volte a toccarci?  
Come dona a tutte le crature viventi se la vogliono questa lucidità?
Domande, domande, domande...Sono il più grande produttore di quesiti sul mercato delle cose che non servono, anche se non è detto che ciò che non serve sia inutile.

Di certo parlo di uno stato atavico che quando accade, ridimensiona la presunzione umana, e talvolta gli mostra il suo reale posto nel mondo.


Molte persone si ritagliano, grazie alla tecnologia, all'organizzazione,  alla religione, un mondo di idee e perfino un mondo di ideali; In esso trovano così una posizione centrale rispetto al divenire. 
Grazie a questi enti immaginari, concepiscono un mondo che ruota intorno a loro, trovando non solo un senso e una ragione al proprio esistere, ma anche un'importanza. 
Rido sino alle lacrime osservandoli.  
A me pare non solo eccessivo, ma sbagliato soprattutto perché inutile.  
Perfino Dio se avesse uno scopo non sarebbe libero, dunque non sarebbe Dio. 
Invece questo bipede quasi folle che dispone di così pochi anni per giungere a tale comprensione, grazie a una forma  biologica tanto fragile, se ne attribuisce il vanto. 
Che l'unica ragione dell'esistenza sia esistere è' così semplice da capire che quasi nessuno lo pensa, su questo pianeta di pittoreschi esseri che dicono di essere intelligenti.

In ogni modo non è un mio giudizio sull'umanità ma una scelta di ordine pratico, poiché l'uomo quando perde il contatto con ciò che lo circonda, con la Natura tanto per intendersi, diventa immediatamente presuntuoso e stupido. 
Questo sforzo di innalzarsi da se stesso non gli fa bene. 
L'incomunicabilità con il Mistero  nella sua forma più diretta lo smarrisce.

Per comprendere quello che dico basta osservare la differenza tra l'ordinaria routine della vita e certi momenti di quiete. 
Bisognerebbe provare a rievocare ogni tanto in se stessi la sensazione che si prova quando in certe notti si guarda in silenzio il firmamento. Miliardi di stelle che brillano in strane forme e colori. 
Sopraggiunge una percezione flebile, ma chiara di appartenenza, di piccolezza e nonostante ciò di connessione a un vasto universo che pare dirci qualcosa, malgrado il suo mutismo.  
La verità di questo dire è inesprimibile, eppure questa silente voce sembra a tutti sussurrare la stessa cosa. 
Non credo sia romantico parlarne, perché non è confortante questa visione ma ridimensionante. 

Non bisogna infatti dimenticare che tutte le certezze cui conteniamo la vita sono vasi vuoti.

Inoltre, è proprio a causa di queste certezze che si compiono atti scellerati e crudeli che non hanno nessuna giustificazione con dalle reali necessità.

A volte mi rendo conto di quanto poco riesco a vedere, ed è solo perché ciò che si manifesta è per me inconcepibile. 

Non trovando posto nella mia mente, anche i miei occhi divengono ciechi
Mi rivolgo allora a questa primitività, chiedendogli umilmente di aprire i miei sensi, di poter ascoltare le mie percezioni e liberare la mia consapevolezza dalla gabbia della coscienza. Divenire etereo e oltre i confini del corpo è un viaggio nell'ignoto, misterioso e  pericoloso nel medesimo tempo, ma anche bellissimo. 
Cerco di prestare attenzione all'Astratto che vive in me, mi circonda e mi contiene; Accade allora che è come se un papiro tinto di geroglifici si srotolasse davanti ai miei occhi, criptico eppure tanto esplicito nel suo significare. 

La mia preghiera in quei momenti di raccoglimento è sempre la solita: 

"Non dimenticare. Possa il silenzio attento farmi acuto ma umile. 
Possa vedere anche quello che non guardo; Possa accorgermi anche di ciò che non mi piace e accertarlo per il solo fatto che nulla mi è dovuto. 
Possa non perdere mai la fiducia nell'Ordine più grande delle cose, sebbene il Caos non possa essere sconfitto.
E quando arriverà il momento e attraverserò l'Ombra...Beh! Che i miei occhi colmi di riconoscente stupore siano bene aperti."

Non bisogna trascurare i fondamenti del vivere, del conoscere ma soprattutto dell'essere.
  
Come si diceva allora tra i ghiacci: "La pista si accorcia se la slitta è buona, ma ciò che conta è riconoscere il sentiero".