mercoledì 6 settembre 2017

Anfesibena umana





Non possiamo che essere poveri. 
Se guardiamo al mondo, al mondo umano, vediamo due opposti che si fronteggiano, si sostengono e si compenetrano; A volte combattendosi, ma senza mai potersi dividere. Come l'anfesibena, il mitologico serpente a due teste che ben rappresenta questa realtà.

Da una parte abbiamo società povere di mezzi materiali, dove sopravvive ancora un certo calore umano, sentimenti comunitari e un reale desiderio di stare insieme (principalmente determinato dal bisogno); Dall'altra parte, delle società ricche di sprechi dove il benessere, sebbene non equamente distribuito, raggiunge quasi ogni uomo che le abita, e lo liberà almeno dalle necessità primarie, ma lo deruba dalla sua umanità, e gli dona in cambio una desertica solitudine. 

Abbiamo così persone povere di mezzi e altre povere di reali sentimenti. 
A volte mi fingo, grazie a un'immaginazione banale, una vita in un posto selvaggio, ma con una certa disponibilità di mezzi per gordermi come si dice "capra e cavoli", vivendo con persone vere e buone, ma questa apologia del "buon selvaggio" non esiste, perché in quelle società ancora non completamente sviluppate economicamente, le qualità umane sono determinate non dalla scelta personale ma dalla necessità di sopravvivere. 
La coesione sociale è mantenuta per sostenersi non per comprendersi.

Non c'è dunque merito nel praticare il "bene" se non si conosce il "male"; Se non si è nella condizione di scegliere fra questi due apparenti opposti, liberamente, guidati da altro che la propria libertà, allora non c'è alcuna libertà.  
Pare che l'essere umano appena si eleva da una condizione di ingnoranza, e la sua mente comincia a diventare acuta e tagliente, non può fare a meno principalmente di ferire e offendere; Pare anche che appena non sia perseguitato dalla fame, dalle malattie e dalla povertà, nasca in lui la convinzione di non aver più bisogno degli altri e se ne disinteressa. 
Con simili presupposti mi chiedo ragionevolmente se c'è una via d'uscita percorriblie nella ricerca di una vita degna di essere vissuta cioè gustata in tutti i livelli dell'essere e della materia? 

La mia esperienza umana non può che essere pessimista sull'edificazione di un reale Eldorado, dove l'umanità ritrovi un Eden da cui per altro è stata cacciata e anche a buon ragione, pare; Perché nelle persone ordinarie se troviamo delle qualità umane, queste sono legate alla semplicità, ma lo sviluppo materiale e intellettuale è connesso invece alla complessità. 
Una volta persa l'innocenza, l'uomo non ha più possibilità di averla indietro. 

La strada per l'emancipazione da questi due modi di essere che determinano due diversi modelli di società, entrambe destinate al fallimento, è purtroppo una trappola anch'essa; Questa emancipazione infatti non è socialmente praticabile, almeno non in rapporto a quel paradosso senza soluzione che chiamiamo: Uomo. 
Se mai esiste una strada percorribile al di fuori di questi due vicoli ciechi, essa non è un percorso democratico cioè per tutti, perché il sentiero di una persona per essere libera e forse anche addirittura felice (felicità non intesa come la bionda ventenne che ti aspetta sul cofano della macchina sportiva parcheggiata sotto il tuo attico in centro città) è una via elitaria, personale e senza garanzie di riuscita né istruzioni per l'uso. 

Ho sentito spesso parlare di quest'uomo "libero", ma non l'ho mai incontrato, se non in sporadici attimi in alcune persone un po' speciali e talvolta perfino in altrettanti sporadici momenti in me stesso, ma mai stabilmente.

Abbiamo così anche nella soggettività due strade diverse. 
Una via oridinaria che consiste nel perdersi dentro le passioni, e provare la felicità comunemente intesa, insieme all'inevitabile sofferenza e frustrazione che cammina a braccetto con il desiderio e poi un'altra.

Prima però di parlare dell'altro modo di sperimentare una diversa felicità, sarà utile comprendere cosa sia la felicità nella sua natura autentica. 
Una domanda che mi ha tormentato per molto tempo, forse per tutta la mia esitenza, cioè: "In cosa consiste realmente la felicità? " Ovviamente non negli oggetti né nelle persone e neppure nelle situazioni. Scendendo un po' più in profondità bisogna capire cosa accomuna queste situazioni diverse che in modi diversi determinano questa emozione.
Ecco che per comprenderlo bisogna guardare al setimento  più totalizzante: l'amore.

Esso è umanamente espresso in maniera molto grezza, perché in definitiva è desiderio, ma un desiderio potentissimo che opera in chi lo prova, un'evasione; Un'evasione da se stesso. 
Noi siamo felici quando siamo fuori da noi stessi. Diversamente si potrebbe dire che quando c'è la felicità e l'amore, noi non ci siamo.
A una visione attenta risulta però che in questo modo non si è più padroni di se. 
Questo moto verso l'oggetto o il soggetto amato, è vero che ci permette di superare il vallo della nostra soggettività, ma ci lega a un'altro giogo cioè all'oggetto della nostra brama. 
In quella momentanea fuga dalla gabbia del corpo e della mente, l'umano trova una felicità condizionata, non completa, perché dipendente da altro, e subordinata a elementi incontrollabili. 
Quindi se c'è felicità ma non c'è libertà, allora non c'è reale felicità. 

La seconda strada invece che pochissimi percorrono, è quella di realizzare tale fuga da se stesso per se stesso, senza avere un oggetto/soggetto voluto e scatenante. 
Questa via richiede, in primis, la consoscenza profonda della prigione dove si è rinchiusi: il corpo. 
Successivamente la conoscenza di se stessi, non solo del proprio carattere ma della propria mente, e poi della propria essenza. Cosa tutt'altro che facile. 
Una mappa di se che molti non riescono a disegnare in una vita intera. Questo perché la cosiddetta "conoscenza di se" è realizzata nel rapporto dialettico con gli altri e con i fenomeni materiali. 
E' invece necessario scoprire il modo di conoscersi da se stesso, dunque non solo nel modo riflesso usuale che in linea di principio non è sbagliato, ma non è esaustivo. 
Il passo successivo dopo aver compreso il perimetro della nostra prigione sarà trovare il modo di uscirne. 

Da soli è impossibile, ma forse, grazie all'aiuto di un complice sarà fattibile. 
E' indispensabile trovare allora una persona che è già evasa, e da questa, meritandolo e pagandone il prezzo, imparare l'arte della fuga.

In tal modo si sperimenterà una reale libera completezza e con essa la felicità non condizionata. 
Nel mondo materiale però non è possibile "evadere" stabilmente, perché la nostra sopravvivenza biologica ci obbliga ad abitare nella prigione del nostro ego, ma prima che venga il tempo, avendone trovato il modo, si potrà a volontà operare questa libertà temporaneamente e determinarla. 
In altre parole, si supererà forse perfino la cosiddetta morte, perché se qulcosa può esiste oltre le influeze interne del nostro essere ed esterne del mondo, quel qualcosa potrà sopravvivere oltre la fine di tali influenze, ovvero una condizione naturale e inevitabile che etichettiamo come: morte.
Bisognerà conoscere la strada per uscire, prima della dimissione obbligatoria dal corpo, altimenti niente potrà sopravvivere. 
Morire a se stessi per rinascere a nuova vita, potrei definirlo con una nota poetica.

Questa capacità darà accesso a un mondo diverso e sconosiuto di risorse e conoscenze inimmaginabili che non andranno a riversarsi e perdersi nell'indifferenziato. 
Potrebbero restare a disposizione, in una sorta di contenitore, opportunamente costituito che non chiamerei anima, perché secondo la mia modesta opinione, l'anima non ci appartiene né è qualcosa che si può avere. Essa è un regalo, ma dopo un lunghissimo percorso. 

Queste però sono solo le mie idee a rigurado di qualcosa di immortale, immortale ma non eterno, perché ogni cosa nella dimensione dello spazio/tempo è destinata primo o poi alla fine. 
Di ciò che invece appartiene a una dimensione diversa, atemporale, non è consentito scriverne né parlarne. 

Dunque, sono pervenuto alla realizzazione che il mondo oggettivo è determinato dal mondo soggettivo cioè è il personale modo di essere di ognuno che crea il mondo, non solo in senso metaforico ma letterale. 
Il problema invece resta la coscienza che è, come dico sempre, la gabbia in cui ci rinchiudiamo per sentirci liberi.

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