venerdì 19 luglio 2013

Note umane


Poco prima di addormentarmi mi capita che giungono alla mia coscienza delle intuizioni.

Non sono, presumo, verità trascendenti che illumineranno un giorno il cammino dell’umanità né tanto meno le soluzioni ai quesiti relativi ai massimi sistemi di pensiero che attanagliano l’uomo da sempre.
Non ho dunque le risposte alle cosiddette domande fondamentali come: Chi sono? Dove sto andando? E soprattutto, c’è ancora birra nel frigo?
Insomma, i grandi quesiti della vita.
Però ci sono e camminano su e giù per i sentieri ombrati del mio encefalo.
Così se voglio liberarmi di qualche cosa che mi ronza continuamente nella mente non trovo niente di meglio che metterla per iscritto e poi dimenticarla.
Considero la scrittura il bagnoschiuma dell’anima, ammesso che quest’ultima si possa in qualche modo trovare e poi ficcare sotto la doccia.

Vita e scrittura non sono fatti ahimè della stessa sostanza, a meno che non si vuole intendere (con una notevole libera estensione) che entrambe sono colorate dalla nostra interpretazione e dalla soggettività della visione personale.
Certo è che la vita (o Dio per chi ci crede) scrive il suo copione e a noi tocca interpretarlo così come lo scrittore determina la sceneggiatura, mentre l'interpretazione è fatta idealmente dal lettore.
In un certo senso lo scrittore gioca a fare Dio e qualche volta riesce a creare storie che superano quelle che il Sommo Creatore fa vivere generalmente alle persone vere.

Volendo cercare un ulteriore parallelismo tra letteratura e realtà, si potrebbe dire che è la similitudine, molto labile, che si può trovare nel raffronto tra gli scacchi e il poker.

Gli scacchi sono come dovrebbe essere la vita (nella sua costituzione ideale) cioè un’esistenza determinata dalle scelte vincolate alle regole che muovono i pezzi sulla scacchiera, ma libera dalla fortuna capricciosa.
Un gioco determinista dove il merito della capacità previsionale e della scelta migliore è il fondamento con cui si costruisce una vittoria cioè indiscutibilmente legata all’intelligenza del giocatore.
Simile dunque per molti versi alla costruzione letteraria che per quanto fantasiosa possa essere tende a dare comunque un senso alle vicende che narra e cerca nello svolgimento della trama di esprimere un messaggio, un’emozione, un ideale sotteso da una logica e trasmesso grazie alla sensibilità e alla visione dell’autore nella ricerca della bellezza.

Il poker è invece molto simile alla realtà oggettiva della nostra esistenza.
Spesso una mano apparentemente povera di buone combinazioni si rivela vincente, altra volte le migliori carte ci portano ad un azzardo rovinoso.
Poi ci sono i bluff che sovvertono ogni logica facendo presa sulla psicologia dei giocatori e dando la vittoria talvolta al più incosciente piuttosto che al più bravo.
Un caso che chiamiamo Destino e giudichiamo spesso cinico e baro.
E' evidente così che solo una persona che non ha molta esperienza della vita non crede alla fortuna.

Inoltre bisogna considerare che l’esistenza non ha nessun “senso proprio” se non quello che ognuno con maggiore o minore fantasia gli da.
I nostri pilastri morali, le nostre concezioni filosofiche e religiose con cui discettiamo del bene e del male, del giusto e dello sbagliato non possono esimersi da ruotare intorno ad una domanda fondamentale: Per chi?

La soggettività è dunque la misura di tutto, mentre nell'arte (quindi anche nella scrittura) l’essere umano cerca un’universalità che in definitiva è un ideale irrealizzabile ma seducente e che lo emenda da una condizione a ben vedere miserabile.

Vi è anche un'altra differenza profonda fra la realtà e la letteratura che consiste nella ripartizione del tempo.
Nella realtà il tempo scorre lungo un senso unico, sempre nuovo e non ripercorribile, un’inarrestabile entropia che è rincorsa dalla nostra coscienza e che ci fornisce la percezione dell’esistere.
La scrittura invece è l'unico strumento che permette all’essere umano di frazionare il tempo in sfaccettature sempre più complesse, in tagli sempre più ravvicinati e sottili consentendo un viaggio non solo lungo la linea del tempo e degli eventi in avanti e indietro ma anche nella profondità e nella soggettività dei protagonisti.
Così nella storia narrata un autore può restringe il tempo sino al parossismo e poi dilatarlo improvvisamente con salti temporali scioccanti.
Alcuni autori sono stati dei veri maestri come ad esempio Marcel Proust capace oltre ad un’inarrivabile grandezza linguistica di usare questo espediente, questo gioco (la contrazione del tempo e poi la sua estensione subitanea) in modo fantastico per deliziare e sorprendere il lettore.

Una breve divagazione su argomenti noti cui mi permetto, però di rinnovare qui in bianco e nero come in una sorta di eco semantico.

Tornando alla mia meditazione onirica mi domandavo: queste elucubrazioni sono solo il frutto della condizione di pre-rem? Oppure il mio spirito vaga, grazie ad una bolla energetica, in universi paralleli e conversando con esseri di infinita saggezza ne trae ispirazione?
In ogni modo a me piace pensare che approfitto solo di un po’ di tranquillità per farmi finalmente i fatti miei, cioè occuparmi di cose che non servono assolutamente a nulla.

Così proprio ieri sera riflettevo sulla mia percezione della realtà e degli insegnamenti che ne ho tratto.
Cioè in definitiva valutavo tutto quel costrutto di nozioni che è dato ad un essere umano attraverso le conoscenze che la nostra cultura promuove e sostiene, uno scibile ricevuto e conservato da chi ci ha preceduto nell’esistenza.   
Ci troviamo dunque tutti in un mondo già fatto e lo consegniamo a chi ci succederà il più delle volte senza significativi cambiamenti, almeno per quanto riguarda la natura intrinseca dell'essere umano.
In ogni caso queste nozioni e informazioni sono interpolate dall’indagine personale, (quando va bene) grazie alla logica particolare di cui ogni uomo è dotato (?) che permette a questi dati di raggiungere lo status di verità soggettiva;
Una posizione che in definitiva è la nostra interpretazione del mondo, una rappresentazione personalissima che vogliamo spesso condividere con gli altri.
Talvolta, questo legittimo desiderio genera una comunanza fra gli uomini, ma sovente anche qualche piccola guerra mondiale o di religione che riduce drasticamente il numero della popolazione (assai numerosa) sul terzo pianeta del sistema solare.

Vi è dunque schematicamente un’architettura concettuale che chiamiamo: educazione, scienza, religione, tradizione, usi e costumi che in buona sostanza è principalmente una struttura di regole condivise e teorie quasi sempre destinate a perfezionarsi.
Ci sono, poi gli strumenti che ci guidano nel raccogliere in questa vasta biblioteca del sapere umano quello che più ci aggrada e che sostiene le nostre idee, le opinioni e le dogmatiche certezze che si usano troppo spesso come una stampella piuttosto che come una torcia per scrutare nel buio della nostra abissale ignoranza.
Il nostro modo di pensare influenza il nostro modo di essere, tanto da confondersi l’uno nell’altro ed è fondato principalmente sulla nostra capacità di cogliere, elaborare, connettere e formulare previsioni con i dati a nostra disposizione; cioè quello che definiamo usualmente e con un po’ di presunzione: la nostra intelligenza.

Come mai indago in questa direzione con il ragionamento e la mia sensibilità? Forse mi dedico a questo impegno perché non ho problemi più seri da affrontare nella vita.
Almeno se considero come riferimento nella mia esistenza il pendolo di Schopenhauer, il quale vede l’uomo aggrappato a causa del desiderio all’estremità ondeggiante di una altalena perennemente in moto fra due punti apicali cioè: la sofferenza e la noia.
La felicità, l’amore e tutto il resto delle passioni allora? Null’altro che il momentaneo, effimero, soddisfacimento di un desiderio altrettanto effimero che si trasforma generalmente e sovente, rapidamente, in una gradazione variabile compresa tra gli estremi appena nominati. Personalmente non concordo totalmente con il grande filosofo che trovo troppo ottimista per i miei gusti. 
Usando le parole più semplici di mia nonna, direi che “Vivere è in definitiva come leccare miele da un cactus.”

Perchè in definitiva l’indigenza del mondo e la meschinità di cui siamo fatti è sempre in agguato. In ogni caso non è possibile rimanere sordi a questa miseria generalizzata, mentre urla per le strade di questo zozzo mondo che è tanto bello, in particolare quando non ci sono gli esseri umani.

Giungo finalmente, già con il fiato corto, al frutto del mio ragionare.

Cosa è la realtà che è messa davanti (o meglio dietro) ai nostri occhi?
La fisiologia ci spiega che l’immagine che abbiamo del mondo si forma nella mente, grazie a impulsi elettrici; niente di più che piccole scariche elettrostatiche elaborate dal nostro cervello.
Questa è oggettivamente la forma del mondo che giunge a noi.
Segnali che pervengono grazie agli organi di senso, almeno quando l’entità biologica è sana, e sono peculiari e diversi in ogni specie vivente.
Va da se che il mondo che vedo in questo momento come uomo non è il mondo che vede un’aquila, una mosca o un diavolo della Tasmania; Il mio tatto non è quello di una pianta; Il mio olfatto non quello di un cane; Il gusto non è lo stesso di uno scarabeo stercorario; L’udito non ha gli ultrasuoni che usa il pipistrello.
Questo solo per dire che la realtà per quella che è, noi non sappiamo cosa sia e manco dove sta di casa.
Abbiamo come tutti gli altri esseri biologici, un’interpretazione più o meno funzionale alla sopravvivenza, ma non necessariamente adatta alla conoscenza, almeno nel senso più ampio.

La comune condizione appena descritta non sarebbe un gran danno se il cervello fosse in definitiva uno strumento perfetto, ma esso è ingannato molto facilmente, forviato da diversi e particolari meccanismi, certamente utilissimi ma non di meno limitanti.
Uno in particolare è lo strumento selettivo che filtra le informazioni che giungono alla coscienza e che subiscono una forte scrematura, una scelta che facciamo in maniera automatica per alleggerirci dei miliardi di dati che raggiungono in ogni secondo il nostro intelletto e focalizzare (a priori) quelli più necessari.
Resta comunque da evadere una mole ridondante di informazioni che superata questa barriera è conservata in noi è trattenuta da una memoria ancora più inaffidabile e ancora più selettiva e spesso forviante.
La nostra capacità di ricordare consapevolmente è molto parziale, spesso inesatta e ridottissima rispetto alla vita vissuta. Un po' come guardare un film a spezzoni, tagliato da un montaggio casuale. Facciamo un "Bigino" della nostra vita riassumendola nella memoria e poi ci lamentiamo che sembra corta, senza senso e con così poca bellezza.
Mi sembra un miracolo che l’umanità non sia già estinta utilizzando per tirare avanti dei sistemi tanto poveri e inaffidabili.

A volte domando a quacuno: secondo te a cosa serve il cervello? La maggioranza mi risponde: serve a pensare.
Una risposta superficiale e sbagliata.
Il cervello serve a fare, a muoversi ed agire. Questo è il suo scopo. Ogni pensiero anche il più insignificante corrisponde a un cambiamento ad una modifica che, per quanto inpercettibile, avviene in noi e interagisce, più o meno fortemente, fuori di noi.
 

Il cervello utilizza molti mezzi che come detto seppur utili, ci limitano fortemente.
Il nostro encefalo è un tesoriere avaro di risorse, un duro investitore: nutre solo quello che è strettamente utile. Non è certo un poeta.
Uno di questi processi di economia è definito come “processo di facilitazione”.
Esso consiste nel costruire delle risposte pre-costituite cioè fornisce soluzioni già pronte e automatiche nel momento che sorge un particolare stimolo, senza il bisogno di essere più elaborato.
Per mezzo di questo sistema abbiamo la possibilità di creare fra gli altri, gli schemi corporei acquisiti che ci fanno, per esempio: camminare, nuotare oppure guidare l’autovettura senza dover ogni volta imparare le stesse cose oppure concentrarsi su quello che stiamo facendo (anche se quest’ultimo schema cinetico e di coordinazione sembra più faticosamente implementato nelle femmine della specie umana, in particolare durante il parcheggio di un veicolo a quattro ruote).
Il sistema di facilitazione è usato anche per alcune funzioni superiori del cervello come leggere, fare di conto, parlare ecc. ecc. permettendo ad esempio nella comunicazione verbale, di giungere con notevole velocità al significato dell'ente da esprimere escludendo molti passaggi logici che rallenterebbero la sua trasmissione.
La fluidità nell’eloquio pare così miracolosa, ma ha un prezzo che è pagato da un minore controllo cosciente di ciò che stiamo dicendo.
E’ possibile vederne la diversità semplicemente confrontando il parlare con lo scrivere.
Se scrivessimo come parliamo normalmente non capiremmo quasi nulla di quello che è trascritto e non mi riferisco solamente ai discorsi che intercorrono generalmente fra marito e moglie o durante le sedute del Parlamento.


C’è un altro curioso sistema che adotta il nostro cervello, quando uno dei nostri organi di senso subisce una drastica riduzione di efficienza o non è più funzionante, avviene quello che è definito come il “compenso degli organi sensoriali”.
Si ha cioè uno sviluppo incrementato di tutti gli stimoli degli altri organi percettivi ancora funzionanti. In realtà è sempre e solo il nostro cervello che consente un maggiore afflusso alla coscienza dei dati ricavati da questi canali superstiti a compensazione, appunto di quel o di quei canali inattivi.
Confido così che la mia vista che ora abbisogna di occhiali nel caso patirà un’ulteriore deprivazione di diottrie sarà compensata da un altro senso e potrò dunque e comunque continuare a sfrecciare in moto utilizzando magari l’olfatto.

La Fisica quantistica da un’ulteriore spallata alla nostra precaria e ideale percezione del mondo mostrandoci la realtà dei fondamenti dell’universo come paradossale rispetto al senso comune percepito.
Il tempo è una dimensione variabile dipendendo dalla velocità, la massa è in definitiva energia, l’energia stessa è un’onda radiante come la luce che contraddittoriamente ha una doppia natura (puntiforme e ondulatoria). La gravità, che è una forza tanto evidente nella nostra vita quotidiana di cui però non si conosce da cosa sia determinata, anche se si è ipotizzato possa essere una curvatura dello spazio-tempo che stranamente non hanno massa, allora si è postulata l'esistenza di una particella (il gravitone) che dovrebbe esserne la responsabile, ma non è stata trovata, quasi sicuramente è un'onda ma non stata ancora misurata.
Non sappiamo quasi nulla di cosa siamo ma neanche di dove siamo.  La determinazione della posizione esatta di qualunque particella oppure di un oggetto è un dato probabilistico nel mondo infinitesimale, perchè secondo il principio di indeterminazione di Heisenberg, l'osservatore interagisce su quanto osservato, influenzando la sua posizione; Cioè come dice un mio amico con una curiosa interpretazione del principio:  "Scopare mentre ti guardano non è come farlo senza sapere di essere osservati."  
E' evidente che le incognite vincono nettamente sulle teorie comprovate, moltiplicandosi dopo ogni soluzione.
L'indagine scientifica è un Idra dove non si arriva a capo di nulla di definitivo.
Per rimediare a ciò da qualche decennio si lavora alla teoria fisica delle Stringhe, detta anche “La teoria del tutto” o M-theory (M sta forse per Magic?). Essa tenta, per il momento senza successo, di unificare e comprendere queste forze e interazioni che prima erano indagate separatamente. Una volta dimostrata ci permetterà, forse un giorno lontano, di comprendere le ipotizzate "multi dimensioni" dell’universo che sono la "condicio sine qua non" affinché questa teoria può stare in piedi, facendoci confluire in una realtà sino ad ora riservata ai mistici e agli sciamani.

Tornando alla tangibilità percepita da noi poveri cristi e quindi comunemente chiamata realtà dei sensi, essa è tutto quello in cui l’uomo crede, poiché è l’unica di cui ne ha esperienza.
E’ quindi sempre un problema di percezione non di idee oppure di teorie a sostegno di queste idee. La nostra percezione, però è spesso assai modesta e paradossalmente determinata dalle idee che abbiamo per così dire a priori della realtà.
Infatti, è dimostrato che se apparisse ad una persona qualche cosa di assolutamente insolito, nuovo e al di fuori delle categorie accettate questa, molto probabilmente non la vedrebbe; non perché i suoi occhi non funzionano, ma perché la sua mente è cieca.
Questo processo di "rimozione" del nostro cervello si evidenzia bene nei rapporti umani sentimentali, dove appare evidente come si vede nell'altro solo quello che si vuol vedere, oppure con fraintendimenti ancora maggiori: non vedere.
Ciò che si palesa dunque alla nostra specie (ma vorrei tanto dire vostra) è semplicemente quello che è già contenuto nella coscienza, esso è il limite e la prigione che condanna l'uomo, sino a quando non troverà una breccia nel muro di questa cella che gli mostri un paesaggio diverso, più ampio e forse migliore.

In conclusione risulta essere un grave errore ignorare il ragionevole dubbio che spesso invalida le cosiddette granitiche certezze, ma prive in definitiva di un oggettivo fondamento, che sono l’impedimento più limitante ad una visone del reale, perciò preferisco credere a tutto purchè sia impossibile consentendomi di aprire la mente a strutture più ampie, diverse e inusuali, salvo poi verificarne l'esattezza grazie a dei risultati oggettivi che mi indichino cosa sia la verità, una verità maggiormente aderente a quella "vispa Teresa" costantemente rincorsa e mai colta che chiamiamo realtà.

In particolare mi rendo conto che l’essere umano conosce o meglio crede di conoscere qualche cosa, proprio grazie alla sua ignoranza.