giovedì 29 agosto 2019

The seer (?)




Di ogni oggetto, fenomeno, persona ne cerco il centro.
Generalmente si resta lungo la superficie, si percorre la circonferenza dei fatti, gli si gira in tondo senza mai trovare una fine né un fine.
Solo cogliendo il centro di qualcosa si potrà meglio comprendere cosa esso è, vedendolo in tutti i modi possibili, utilizzando  la sua circonferenza per entrare nella sua area e trovarne così il suo fulcro,  determinando infine la sua esatta funzione e posizione. 
Più correttamente direi che questo è un processo non un punto d'arrivo. 
In realtà nulla ha un vero centro, è solo un modo per comunicare  quel mio modo di percepire, più che concepire, che altrimenti sarebbe assai difficile anche solo abbozzare.

Guardando in questo modo alla vita mi sono chiesto: di cosa è fatta?
Principalmente di sofferenza, ma di quale tipo?
La maggior parte della sofferenza è determinata dai desideri non dalle persone, solo una piccola parte dagli eventi. 
Anche questi accadimenti infausti si ridurrebbero sensibilmente se non fossero sostenuti dalle velleità cui coloriamo la nostra vita. 
Senza vizi, senza la voglia di fare e andare, la probabilità di nuocere alla propria salute e di rischiare una fine prematura si ridimensionerebbe sensibilmente come quella di complicarsi inutilmente la vita.  
A parte queste considerazioni di ordine generale, ho deciso di provare a ridurre tale sofferenza nel mondo, nel mondo in cui vivo.
Non certamente realizzando quei grandi progetti salvifici che si vedono in televisione e che fanno bene principalmente alla fama di chi li compie, parlo di qualcosa di semplice e vero cioè occupandomi di chi mi sta accanto e di chi la vita mi mette davanti.
Cioè le persone che conosco e incontro e che, a dire la verità, sono già un grandissimo impegno; Senza voler andare a salvare i bambini affamati di qualche foresta africana che magari sono pure cannibali. 
Perché? 
Non ho una risposta, di certo non sono diventato "buono" improvvisamente, ho solo sentito che in questo modo mi sento bene, mi pare di essere utile eppoi è l’unica cosa ragionevole da fare.

Se la barca su cui navighi ha una falla e non puoi ripararla la cosa più ovvia  da fare è prendere un secchio e buttar fuori più acqua possibile. 
E non siamo continuamente sommersi dalla sofferenza? Se non è la nostra è quella degli altri che comunque ci tocca, almeno se abbiamo un po' di sensibilità.

Provo così a occuparmi principalmente di lenire una sofferenza reale che in ultima analisi definirei più che altro un disagio.
Non mi interessa curare i danni delle illusioni o i grandi drammi psicologici, come potrei? 
Non hanno sostanza se non quella che gli diamo. 
Quel tipo di sofferenza è creata, grazie al personale contributo di chi la patisce, altrimenti non si sosterebbe. 
Una consapevolezza cui sono giunto per conto mio e che mi pare non sia neanche troppo acuta, ma sebbene sia semplice, non è molto condivisa. 
La maggioranza non si accorge che quasi tutti i presunti drammi della vita sono determinati dal fatto che ci attacchiamo a qualcosa, quel qualcosa che poi ci spezzerà il cuore, ma alle persone se glielo fai presente non lo capiscono.  
Per dirla semplice, pare che questa obiettività alla maggioranza risulta essere sconosciuta, perché se la canta e se la suona. 

C'è una barzelletta che racconta di due gay.
Uno era per così dire sempre "attivo" l'altro lo prendeva in culo continuamente. Un giorno quello "passivo" chiede all'altro "Dai cambiamo, almeno per una volta" Il suo compagno ci pensa su un momento e fa: "Va bene, ma solo per stavolta. Però  sia chiaro...Il ricchione resti sempre tu!".
Ecco come la maggioranza si aggiusta la realtà.

Quindi la causa della sofferenza è autarchica, almeno a me pare evidente...

Il fatto strano è che questa constatazione (banale,) non può essere trasmessa agli altri. Condividerla pare impossibile.
Credo che il motivo sia perché si raggiunge solo grazie alla propria osservazione ed esperienza; Si può forse sperare che si sviluppi spontaneamente in qualcun altro,  se lo riterrà utile, dopo che magari vi è stato piantato in lui un piccolo seme. 
Fiorirà? E chi può dirlo?
La ricerca di una maggiore completezza è un problema personale non sociale.

La moglie ti ha lasciato per un altro? 
I figli non scodinzolano come cagnolini quando ti vedono facendo finta di rispettarti? 
I cosiddetti amici non pensano che a sé stessi? 
La gente comunemente usa gli altri come fossero oggetti? L'ipocrisia è percepita come verità e la sincerità come un insulto?
Qual è il problema?
Non è altro che la proiezione di un personale desiderio su qualcun altro o su qualcosa che onestamente non ci appartiene, è un atteggiamento violento e arrogante che non intendo incentivare, particolarmente in me.

Se hai fame oppure ti fa male un ginocchio secondo me è diverso. 
Quello è reale. 
Questa difficoltà è possibile risolverla, perché è una difficoltà oggettiva.
E' assurdo cercare di risolvere un non-problema; Un problema del genere non potrà mai essere risolto, ma solo abbandonato.

Allora, di ogni comportamento umano mi domando: di cosa è fatto? Qual è la sua radice?
La vita in questo modo si semplifica enormemente.
La vista diventa immediatamente chiara e limpida.
Sgravata da tutti quei problemi assurdi che ci si carica sulle spalle da se stesso, restano solo i disagi materiali cioè reali.

Siamo fatti d’altro! Grida la folla.
Davvero? E di cosa?
Principalmente ci piace crederlo. Questa è la verità, ed è presuntuoso affermarlo.
Cosa sarebbe la frustrazione se non fosse generata dall'ambizione?
Dov'è la nevrosi di vivere nel mondo se esso non fosse diverso da quello che immaginiamo, speriamo e vogliamo che sia?
Molte idee che coltiviamo a riguardo dell’esistenza non le abbiamo mai indagate seriamente per verificare se siano effettivamente mai esistite.
Di ogni sentimento, di ogni postulato materiale o soprannaturale, quanto abbiamo cercato di vederlo per quello che è, soprattutto da noi stessi, senza affidarci invece a quello che gli altri dicono sia? 
Quanta strada ho fatto senza la stampella dei preconcetti e delle pseudo sicurezze che ci sono vendute per confonderci?
Poca. 
Dunque, grazie a questo breve viaggio della mia coscienza nel mondo ho constatato che non so nulla,  a volte vedo e basta.
Sono un veggente intermittente non un sapiente occasionale, direi con un po' d'ironia.
Non trovo frase più diretta di quella che ho sentito in un film "Tutto ciò che possiedi ti possiede". 

Qui però si apre un discorso più sottile, perché non si può semplicemente "non desiderare" quando si vive, almeno non è una regola che vale per tutti, dipende dalla nostra natura cioè da come siamo fatti. 
La repressione dei desideri  non funziona, perché similmente al principio di Archimede nella meccanica dei fluidi, essa genera una reazione uguale e contraria. Se spingo una boa sott'acqua per levarla dalla vista, nel momento che non esercito più questa "repressione" la boa galleggiante uscirà in superficie con grande forza.   
Ciò avviene perché ogni cosa è sostenuta dall'interazione degli opposti. In quest'ottica si può comprendere che se auspichiamo fortemente la libertà, di contro aumenteranno anche le coercizioni, infatti: "Quando la luce è più forte, l'ombra diventa più buia". 
Se aumenterà il nostro potere personale, aumenterà nella stessa misura anche la forza dei "mostri" che vivono in noi. 
Allora è meglio non opporsi a nulla, particolarmente a se stesso, perché ovviamente è impossibile vincere. 
E' necessario con i cosiddetti "mostri" adottare delle strategie per entrare in contatto con loro senza reprimerli. Gli si da lo spazio che devono comunque occupare ma l'individuo non ne sarà soggiogato.  
E' un gioco rischioso, ma secondo la mia modesta esperienza, darà migliori frutti. 
Questo "gioco" si svolge assecondando l'impulso volitivo e i desideri, senza dargli la propria energia.
Attaccarsi a qualcosa con distacco, direi in poesia. 
In un altro modo si potrebbe dire: scegliendo volontariamente la propria sofferenza.
Solo così si sperimenterà l'unica libertà che ci è concessa in questa dimensione materiale vincolata. 
Sarà come giocare a nascondino con il proprio ego, non saprei descrivere diversamente questa attività. 
La concretezza dunque va integrata con il Mistero cioè con il non tangibile di cui sono fatti anche i fenomeni, ma non credendo a nessuno di questi due enti, perché essi sono in definitiva parti della medesima cosa. 
Non ho idea come ci riesco, ma di ogni evento cerco di vederlo da diversi punti di vista, poi cambio gli occhi con cui lo guardo e infine sottraggo da tutto questo il mio Ego. 
Sembra lungo e complicato, ma è un processo rapidissimo e ormai quasi naturale in me stesso.

Paradossalmente un pragmatismo del genere ha spalancato in me un mondo intangibile che risulta essere reale come quello materiale. 
Infatti una volta tanto ho seguito i miei stessi consigli ed ho constatato che il transito verso il Mistero, passa nella stretta porta del manifesto e nella semplicità che lo accompagna.
Comprendo un po' meglio ora quella strana storia che mi fu raccontata tempo fa.

In un villaggio remoto viveva un uomo che tutti credevano illuminato.
Così un giovane partì per incontrarlo.
Dopo molte difficoltà, arrivò proprio a quel villaggio lontano, ma gli abitanti del posto gli dissero che il vecchio non viveva più lì. 
Si era trasferito per vivere in solitudine su un monte vicino dove forse ancora  abitava.
Il ragazzo non si perse d'animo e intraprese quest’ultimo tratto di strada. 
E casualmente lo incontrò.
Lo vide arrivare lungo un sentiero. L'uomo portava un pesante sacco sulle spalle e lo riconobbe immediatamente.
Il suo incedere era così particolare, aveva come una strana aura che lo attorniava.
“Maestro!” Il giovane, lo chiamò così appena gli fu vicino, e si butto a terra reverente.
Il vecchio invece non disse nulla; si fermò incuriosito a guardare la strana scena.
“Vi prego insegnatemi la Via per l’illuminazione”
Il saggio restò silenzioso per un po’ e improvvisamente buttò il sacco a terra.
“Ah!” Disse il ragazzo perspicace “È dunque questo il segreto! E poi?"
Il vecchio, ancora senza dire una parola, prese sulle spalle il sacco e continuò a camminare lungo la propria strada. 

La trovo una storia bellissima. Anche se qualcuno ha insinuato che il vecchio fosse un povero contadino sordo-muto, semplicemente stanco del suo fardello.
Il vero saggio non era lui, l'incontro fu in realtà un fraintendimento; A molti piace invece immaginare che fosse veramente illuminato, perché: "la verità è nel silenzio". 
Qualcuno è convinto che il vero illuminato era il giovane, perché colse l'insegnamento in ogni caso, sia che il vecchio fosse uno stupido oppure un grande saggio. 
Altri che la storia è un sciocchezza, in quanto la strada per l'illuminazione non esiste, perché non vi è alcuna strada che possa condurre un uomo da qualche parte; Solo un uomo può condursi da se stesso.  

Di certo fu che del vecchio e del giovane non se ne seppe più nulla.