lunedì 14 dicembre 2009

La casa Russia



In contro tendenza con ogni logica climatica, parto per l'Est.
Destinazione segreta, insieme ad un manipolo di fidati compagni di viaggio ed espertissimi esploratori.
La destinazione è comunque all'interno della grande madre Russia, oltre gli Urali, oltre le mappe conosciute dell'ex Unione Sovietica, in un'area circoscritta di appena 500.000 kmq (lo dico solo in caso qualche d'uno volesse inviare un biglietto d'auguri, un pacco viveri o chessò una scatola di condom in pile).
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Quivi discorrerò, come mio costume, con alcuni sciamani siberiani sui massimi sistemi; Poi con i nativi della pesca del caviale e prima di ogni cosa sulla distillazione della Vodka con esempi pratici esemplificativi.
La trasvolata avverrà con un Ilyushin Il-214, un cargomobile battente bandiera panamense ad elica del 1946 (per dare maggior pathos all'evento) gentilmente offerto dall'aeroclub di Bresso.

Arrivo nella notte in un aeroporto non segnalato nei pressi del delta del Volga.
Ci attendono in loco diverse Troike russe e poscia, per l'ultimo tratto sino all'immensa Taiga, delle slitte trainate dai famelici cani dell'Asia Centrale.
Seguirà il nulla, ovvero l'incertezza propria di ogni missione esploratrice ai confini della realtà del Visir.
Mi assento così per un po', approffitando delle festività natalizie.
Auguri anticipati a tutti e anche di buon Nuovo Anno.
Non temete, tornerò ad ogni costo... E vi toccherà sopportare ancora i miei sproloqui.
Dasvidania.

giovedì 3 dicembre 2009

Alfa e Omega.


Ho commentato su un altro Blog una recensione cinematografica di un film di cassetta, ora in programmazione: 2012.
Così ho avuto modo di riflettere su un paio di cosine.

I film catastrofici sono sempre affascinanti, quando però sono fatti come "Dio comanda".
Ricordo "Occhi bianchi sul pianeta Terra" (1975), con Charlton Heston, dove interpretava l'ultimo uomo sul pianeta alla disperata ricerca non tanto di sopravvivere, quanto di mantenere viva la propria umanità.
Nella pellicola il protagonista è impegnato in una lotta contro dei mutanti fotofobici sopravvissuti al disastro biologico che non solo avversano ogni tecnologia, ma cercano di distruggerla considerandola l'origine di ogni male.
Il fatto che egli si rifiuti di abbandonare la propria abitazione di sempre nel centro di Los Angeles per un luogo lontano dagli assalti di questa congrega denominata "La Famiglia", evidenzia come sia forse preferibile, per lui, essere circondato da nemici che non essere circondato da nessuno.
Guardandomi intorno mi viene da pensare che questa motivazione sia largamente condivisa.
Recentementee vi è stato uno pseudo-remake di questo piccolo capolavoro, con il titolo: "Io sono leggenda", interpretato da un bravo Will Smith, ma non è neanche paragonabile all'originale.

Anche "Zombie" (1978) di Romero, una delle ultime icone splatter, nasconde fra i fotogrammi iperbolici il suo interessante significato educativo.
In questa lungometraggio vi è una forte critica al consumismo, all’avidità fine a se stessa, esemplificato nei pochi sopravvissuti asserragliati, guarda un po', in un Supermarket.
Circondati da orde di Zombie affamati i protagonisti sono trasformati essi stessi in oggetto di consumo.
Per non parlare poi della accusa contro la violenza, spingendo la situazione al paradosso come in una dimostrazione matematica “per assurdo”. E' famosa la battuta del film: “Quando i morti camminano, signori, bisogna smettere di uccidere. Altrimenti si perde la guerra”.
Questo slogan suggerisce una soluzione e rimanda ad un’immagine molto più reale, cioè ai tanti conflitti armati nati tutti per "nobilissime" cause e finiti in inestricabili situazioni politiche.
Forse, basterebbe cominciare a non uccidersi per iniziare a trovare la soluzione di questo inestricabile nodo Gordiano.
Le situazioni fantascientifiche sembrano additare così comportamenti vissuti e visti nell’odierno.
E' una sorta di gioco di specchi inserito in un altro gioco, ma di scatole cinesi. Col pretesto di divertire si suggerisce invece l'analisi di un sistema spesso più assurdo di una sceneggiatura surreale. E' una valutazione velata, stranamente discreta rispetto al prodotto che la veicola, che risulta ridondante. Un giudizio che se rivolto direttamente sarebbe troppo offensivo, saccente e serio; cosa quest'ultima imperdonabile per questo mondo, dove è "cool" solo cercare di divertirsi dimenticando, spesso la miseria che ci guarda in faccia. Come è possibile essere completamente felici quando intorno a noi c'è così tanta sofferenza?
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Di taglio diverso è un film australiano di qualche anno fa passato quasi completamente inosservato: "28", credo sia il titolo esatto, ma non ne sono certo.
In questo film si immagina un'umanità condannata da un misterioso evento astronomico in avvicinamento. Il titolo rimanda ai giorni che restano alla vita su questo pianeta.
In questo caso nella storia vi è la consapevolezza della fine. Questa conoscenza esalta la responsabilità di ognuno nei confronti della propria esistenza e soprattutto di come le si possa dare un senso.
Vengono incrociati nella sceneggiatura le vite di personaggi diversi. La narrazione segue una tecnica "ad incastro", facendo incontrare in tempi e modi diversi, con visioni prospettiche da soggettive diverse le varie avventure di questi personaggi, il ritmo talvolta è sincopato e in altre lento ed intimista ciò mantiene alta l'attenzione dello spettatore.
C'è tra le storie quella di un uomo che cerca, nei suoi ultimi giorni di vita, di contattare le donne desiderate e mai avute nella sua vita.
Osando anche realizzare i suoi desideri sessuali più incredibili spinto dalla forza di non aver nulla da perdere.
Superando la timidezza e i preconcetti inanella una serie di incontri incredibili che realizzano le sue fantasie.
Incalzante è in lui la decisione di depennare dalla sua agenda ogni occasione mancata.
Viene anche raccontata la storia di una donna che fa della fedeltà al proprio posto di lavoro il centro della sua vita, lei è vergine avendo preferito darsi completamente al lovoro piuttosto che ad un uomo; ora però questo lavoro diviene più che mai senza certezze.
La sua ostinazione è sostenuta sino quasi all'ultimo dalla motivazione che: "Qualche d'uno lo deve pur fare".
Trascorre quindi i suoi ultimi giorni a lavorare per un'azienda che non ha più senso di esistere, salvo poi all'ultimo momento concedersi al libertino protagonista della storia precedente e incontrandolo rispondendo ad un suo annuncio su internet dove domanda una vergine appunto, è così in un curioso riunirsi degli estremi.
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Diversa è la vicenda di un'altra donna che affronta l'attraversata della città impazzita prima dell'arrivo della misteriosa minaccia e dominata da un caos incontrollato.
E' un viaggio nell'inferno per incontrare il proprio amante con cui finalmente a deciso di vivere, e con lui paradossalmente suicidarsi.
Non riuscirà però nel suo intento, il destino la porterà a conoscere invece uno altro uomo di cui forse si innamora. E' proprio con lui che realizzerà il suo desiderio di autodeterminazione, dando un'utilità a quelle due pistole che si porta dietro per tutto il film come un peso.
Paradossalmente lei giungerà ad un punto fermo nella sua costrante indecisione in un momento ormai divorato dalla follia collettiva.
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E' tangibile il senso di vacuità che il film sottolinea, l'assurdità di ogni tentativo di dare una priorità agli ultimi momenti di vita. Ogni azione appare senza reale significato, tardiva rispetto alla minaccia incombente se non, e in questo forse c'è un prezioso segreto, per il sentimento autentico con cui essa può essere vissuta.
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Il tempo viene scandito e diviene via-via più incalzante come un tamburo di guerra, nel personaggio di una barbona, una folle; La quale corre tutti i giorni per le vie urlando il numero dei giorni che mancano all'Apocalisse.
Una sorta di timer umano prima della detonazione.
Essa è una esegeta dell'Entropia, avulsa da tutto e da tutti, spietata nella suo count-down. E' un esere senza passato e senza futuro che simboleggia il Tempo inesorabile nel suo scorrere.
."Bei tempi quando si facevano questi film", si dice ora.
Chi parla così è forse perchè appartiene alla cosidetta generazione "in bianco e nero"?
Quelli cioè che hanno visto gli albori del sistema televisivo che ha portato il cinema in tutte le case; E con esso le speranze disattese e banalizzate da questo formidabile strumento di informazione (la televisone) ridotto però a contenitore privo di contenuto.
Probabilmente tutto questo ci ha fatto guadagnare il diritto di essere cinici.

Mi viene da pensare ancora che curiosamente si riflette poco su come questi film di catastrofi, pandemia, invasione aliena ecc. ecc. risuonino su una corda sottile, ma profonda nel nostro sentire.
Ovvero l'ineluttabilità della fine di ogni uomo nato per morire.

L'ultima ora per ognuno è quasi sempre inaspettata, come in questi film è l’arrivo della minaccia distruttrice.
Viene rappresentata in questo caso la moltitudine inconsapevole che si dibatte nell'acquitrino delle proprie meschinità e ignora la fine che avanza inesorabile.
Secondo me non è molto diverso dal nostro quotidiano se solo ci ragioniamo un poco e ne cogliamo le similitudini, ma può anche darsi che sia solo colpa del Natale che sta arrivando e mi regala sempre un inveterato ottimismo.

“Con questo evento apocalittico finirà il mondo!”, annunciano i trailers.
“E' solo un film!”, risponde in coro il pubblico pagante; ma ne siamo proprio sicuri?

Il mondo, il nostro mondo che è l'unico mondo di cui sappiamo e di cui abbiamo reale esperienza non finisce con noi, forse?
Nessuno per quanto ignorante non sa che un giorno morirà, eppure non si considera quasi mai questa ovvietà se non in rari momenti malinconici.
Che senso ha disperarsi se tutta l'umanità sparisce? Sparirà comunque, quando si spegneranno le luci per noi.
La differenza di punto di vista fra film come 2012 oppure 28 è semplicemnete fra una fine improvvisa ed una annunciata cioè la stessa fra inconsapevolezza e conoscenza. In buona sostanza si viene trascinati verso il proprio destino proprio perchè non si vuole andargli in contro aprendo gli occhi.

Ora, non volendo indugiare troppo nello spingere chi mi sta leggendo a tastare i propri organi genitali in un gesto, inelegante, ma apotropaico posso solo aggiungere che la cosa va vista (a mia modesta opinione) come nell'ordine naturale delle cose.

Marco Aurelio diceva: “Vedi nel passato come gli imperi nascano, prosperino e finiscono; ecco hai visto anche il futuro”.
Forse il gesto del Lama nel film 2012 che, mentre va tutto a ramengo, si beve imperturbabile il suo thé appare la cosa più sensata: quando hai letto l'ultima pagina, chiudi il libro.

Ah, dimenticavo: felicità a tutti.

giovedì 29 ottobre 2009

Vicini, vicini.


Se c'è un piacere materiale al quale dedico le mie attenzioni senza mai stancarmi è la casa.
Una dimora confortevole e con "un’anima calda" è forse uno dei piaceri più sani di cui un uomo può godere, fosse anche perchè così evita di andare in giro a fare danno.
Trovare poi il giusto equilibrio fra comfort e design è la prova del nove del gusto e della misura.
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Ho amici con super loft che paiono progettati da Le Corbusier, non esagero, sembrano case uscite da AD in cui, però, non sai come muoverti, dove sedere. Stanze enormi, scale e anfratti dove è fin troppo facile perdersi, figuriamoci andare al cesso.
Quando mi invitano in queste "maison" pulitissime, organizzatissime e un po’ morte mi porto per sicurezza un WC biologico da campeggio che, alla bisogna, sistemo sul loro terrazzo.
Evito così di essere impreparato se colto da un impellente bisogno. Senza questa contromisura sarei costretto magari ad evacuare in corridoio dentro una scultura di Giò Pomodoro. Qualche maligno potrebbe dire che ne guadagnerebbe l'opera d'arte, ma non giudico mai i successi altrui.
Inutile dire che da questi amici sono probabilmente considerato come una persona bizzarra, secondo me sono solo previdente.
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Ci sono invece altri cui la casa assomiglia ad un mercato di Kabul, però dopo un attentato kamikaze.
Il caos regna sovrano ed è impossibile anche appoggiare un pacchetto di sigarette su un tavolino talmente tutto è ingombro di cose.
Spostare questi oggetti, magari all'insaputa del proprietario (giusto per non offenderlo) è comunque estremamente pericoloso a causa dello strato di polvere millenaria diffusa su ogni orpello; pare di entrare in una scenografia di un film horror.
Sono praticamente delle cripte non delle case.
Insomma alla fine sto bene solo a casa mia.
Vago ovunque, ma solo nel mio antro ricarico le batterie.
Certo ho le mie molestie, piccoli fastidi che sopporto con stoica determinazione.
Per esempio la bimba del piano di sotto che piange. Quando mi sveglia alle tre del mattino (durante il mio primo sonno), rivolgo una preghiera accorata ad Erode (santo incompreso del passato), faccio spallucce e mi riaddormento.

Al piano di sopra ho invece un problema più serio, una coinquilina che parla a voce altissima. Inizia alle 9 del mattino, gridando al marito come fosse su un alpeggio di montagna, mentre lui di solito è invece distante pochi centimetri.
Se non può parlare al consorte, parla al gatto (Romeo), inanellando anche con lui una serie di cazzate immani.
Non credo di aver sentito, nei molti anni della sua molesta vicinanza, una frase intelligente da lei.
Non è semplice dire solo banalità, lo riconosco, ma lei (la signora Crotti) ci riesce: è il mio mito.
Una volta faceva spesso sesso col marito e visto che ormai le pareti sono fatte di carta mi toccava sentire tutto, ma posso confermare che in quel caso risparmiava il povero Romeo.
Sesso, manco a dirlo, rumorosissimo. Emetteva nel mentre grugniti da cavernicola e latrati degni di un licantropo.
Un contrasto stridente rispetto alla sua aria anonima da signora sulla cinquantina.
In un primo tempo dico la verità ho pensato fosse un caso di possessione demoniaca.
Così, da buon spirito illuminista quale sono, avevo provveduto a disseminare intorno al mio giaciglio e in casa un reticolato di rosari inframmezzati da "santini" che via via sostituivo con le figurine dei giocatori dell'Inter (tanto alla fine era la stessa cosa).
Poi, un bel giorno l'ho incontrata davanti alle caselle della posta, vicino alla portineria.
Con noncuranza le ho dondolato davanti agli occhi il grosso crocefisso in alabastro che portavo con me abitualmente e le ho parlato, al modo di un saluto, in alcune lingue morte (Aramaico e Sanscito in special modo). Con questo semplice sistema ne ho dedotto che non capiva un acca di queste lingue, chiaro sengo che non c'era più bisogno di un esorcismo.
Inspiegabilmente per qualche mese mi ha tolto il saluto.
Fianalmente, grazie a questo esperimento, però ho potuto liberarmi da tutti quegli aggeggi religiosi che davano alla mia casa un aspetto vagamente quaresimale.
Talvolta è stato anche divertente. In particolar modo quando il marito durante l'atto l'apostrofava con ogni genere di sconcezza, insultandola pesantemente con frasi irriferibili che nel mio intimo condividevo.
Mi vendicava del disturbo arrecatomi dalla consorte “caciarona” e gli diceva quelle cose che avrei voluto dirle io, ma che non osavo per paura di una querela.

Parlo al passato perchè ultimamente questo non succede più, cioè loro non fanno più sesso.
In compenso il casino che fanno litigando non cambia di molto la mia situazione.
Penso sia dovuto al fatto che il marito è stato operato di tumore.
Gli hanno tolto un polmone e le "performance", si sono azzerate.
Naturalemente ha smesso di fumare e per aiutarlo nel salutistico impegno, visto che era un tabagista incallito, quando sento che esce sul balcone, esco anche io e mi accendo una sigaretta; In modo che dalla mia posizione sottostante gli arrivino delle rievocative nuvolette profumate di tabacco.
Talvolta grazie alle mie premure si accende una sigaretta di nascosto ma è puntualmente beccato dal quel cerbero di consorte che comincia a gridargli dietro frasi che farebbero arrossire un camionista siberiano.
Quei momenti sono musica per le mie orecchie stanche.
Oltre alla malattia c’è anche da considerare che gli anni passano e spesso hanno la meglio anche sul testosterone più infoiato.

Peccato, perchè avevo instaurato una sorta di duello fra me e lui a chi faceva più casino con la rispettiva partner, anche se, dico la verità, non sono mai riuscito a far raggiungere alla mia amata del momento, i livelli di primitiva esuberanza della “Signora del piano di sopra” eguagliabile solamente da un Grizzly nella stagione dell’accoppiamento.
Diciamo che in questa originale corsa equestre (inconsapevolmente disputata dal mio vicino) pur contando su un maggior vigore giovanile io ero già perdente, in quanto lui “montava” un cavallo migliore.
Domandargli un Handicap, chessò mettere una pallina da tennis in bocca alla molgie, sarebbe stato forse di cattivo gusto e non consono alla mia naturale sportività, quindi mi sono rassegnato a fare del mio meglio anche se ora come ho detto non ho più avversari.
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Di tutto questo bailamme cosa resta?
Solo degli sporadici incontri in ascensore.
A volte capita che ci troviamo nella stretta cabina dell’elevatore tutti e tre. L'irreprensibile grufolatrice, il marito denigratore ed io.
Seguono attimi di imbarazzo, forse dovuti alla vicinanza coatta, forse perchè loro sanno che io so che loro sanno.
E' una storia che avrebbe potuto ispirare Harper Lee, altro che “Il buio oltre la siepe”, “La porca oltre il soffitto”, avrebbe scritto, ma mi risulta che la scrittrice vivesse in una villetta isolata.
."Noi andiamo al quarto", mi dice di solito lui, con quel fischio nella voce, mentre lei si guarda attorno.
"Io scendo al terzo", rispondo e sempre un mezzo sorriso mi piega un angolo della bocca.
La mia fantasia corre a quei momenti e non riesco a trattenere un moto di ilarità sulfurea.
“Se, Se…I due santarellini”, penso.
In quei casi mi trattengo a stento e giunto al mio piano, chiusa alle spalle la porta dell'ascensore, vorrei emettere un ululato, forte e prolungato, degno di un lupo mannaro come innocente commiato al loro amore che fu.
Giuro, una delle prossime volte che li incontro lo faccio.
Eh si!
E' vita di condomino, forse ordinaria, ma comunque vita.

mercoledì 19 agosto 2009

Metropolis


“Nocciolato e pistacchio, con amarene e panna montata”, disse Zenit dall’alto del suo metro e novanta.
“Uguale”, aggiunse lesto Nadir, guardandosi attorno.
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Il paesaggio era grigio vicino a quel chiosco della Stazione.
Passanti frettolosi fra gli sbuffi dei gas venefici dalle automobili e dagli autobus, facevano da contorno a questo momento di pigrizia.
Mangiavano in silenzio, con avidità.
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“Non bisogna parlare”, disse Nadir, che come sua abitudine infrangeva così la regola che enunciava.
“Sennò non si gusta il gelato”, continuò rimestando con la paletta di plastica nella coppa grande come un trofeo.
“Già”, rispose Zenit deglutendo una robusta porzione di panna.
“Perché altrimenti non si apprezzano le combinazioni”, incalzò dopo qualche attimo Nadir.
“Eh si! Le combinazioni, la sincronicità”, confermò di rimando Zenit, mentre rincorreva un’amarena che non voleva farsi acchiappare nascondendosi sotto una spessa coltre di nocciolato.
“Vedi, ora mischio il pistacchio con la panna, poi invece con l’amarena, poi ancora assaggio il mix di tutto, quello che si forma negli angoli del bicchierino di carta, quella curiosa striatura di gusti che pare il dentifricio a strisce…Come si chiamava?”, domandò ancora Nadir con il cucchiaino a mezz’aria.
“Chi? Il dentifricio?”, chiese stupito Zenit, rimanendo anche lui con il cucchiaino a mezza altezza.
Quei due cucchiai parevano montacarichi attigui che avevano deciso di fermarsi un momento allo stesso piano.
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“Acquafresh!”, lo anticipò Nadir colto da illuminazione.
“Esattoooo!”, confermò Zenit, indicando il compagno con la coppetta di gelato come in un brindisi.
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Seguirono poi momenti di raccolto silenzio.
Era una serata d’estate afosa che non voleva diventare più fresca nonostante il sole se ne fosse andato da un po’.
Nadir continuava a guardarsi intorno inquieto, poi finito il gelato disse:“Che schifo di città, puzza. Puzzano anche le persone.
Tutti questi stranieri, questi gialli, neri, arabi, indiani mi pare che puzzino, puzzino di disperazione.
”“Eh? Forse”, commentò Zenit
“Sono razzista? Spero di no, è solo che mi sembra così squallida la metropoli.
E' peggiorata man mano, ed ora la guardo e mi fa schifo”.
“Ti ricordi Giorgino?”, chiese Zenit.
“Il Laido?”
“Proprio lui”, assentì Zenit e continuò
“Sai perché lo chiamavano così?”
“No, perché?”
“Gli piacevano gli uomini sporchi”, disse Zenit guardandosi intorno come per sincerarsi che la rivelazione non potesse essere udita da orecchie indiscrete, poi continuò:“Gli piacevano e li pagava”.
“Li pagava?”, domandò Nadir con una nota di ingenuità.
“Si, ma prima li sporcava, e poi se li faceva…Sì insomma capisci, prima li doveva sporcare ed era un casino, gli doveva dare anche i soldi per la tintoria, dopo”.
“Pazzesco!”, disse Nadir scuotendo la testa, poi distese il volto corrucciato e aggiunse:“Ecco perché la settimana scorsa l’ho visto così contento!
Era sempre triste e ora è il più felice del mondo, questa è diventata la sua città ideale.
E’ come per un topo in una fabbrica di formaggio. E' come per un orso quando i salmoni risalgono la corrente!”
“Proprio così! Ora spende quasi un cazzo. La fortuna di uomo è la sventura di un altro”, disse Zenit e con un sospiro aggiunse: “Ora li trova già belli e pronti…Vuoi un altro gelato?”.
“No, sono a posto così, andiamo?”
“Si dai, che mi scappa una pisciata che non ti dico”, sbottò Zenit notoriamente insofferente ai disagi.
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Si appartarono in angolo un poco lontano e Zenit salì su un muretto e in cima, in bilico cominciò a sbottonarsi la patta.
“Ma che fai? Sei matto?”, rimbrottò Nadir preoccupato.
“Ma se mi scappa”
“Mica per quello! E che se caschi ti fai male; Aspetta che ti tengo”
Così dicendo Nadir lo abbrancò per i fianchi.
"Non mollare dal culo però", aggiunse preoccupato.
"Tranquillo, tranquillo", disse Zenit.
Mentre Zenit si liberava dal fluido in eccesso partorì una filosofica sentenza:
“Ah! Cosa vuoi di più dalla vita, una bella pisciata, quando ti scappa e un amico che ti tiene per non cadere!”.

venerdì 14 agosto 2009

Il caso insoluto.


Mi pare, e qualche volta mi sembra proprio vero che ciò che si vive abbia un perimetro definito.
Come su un palcoscenico. Oppure in una stanza, forse in una gabbia da dove, una volta che se ne è esplorati i limiti che la definiscono non se ne possa uscire.
Le parole dette, i sentimenti provati, le sensazioni, oltre un certo punto non sono più nuove.
Si ripetono nella sostanza e solo apparentemente appaiano attimi diversi solo perché siamo molto distratti.
Con licenza poetica direi che le emozioni sono una vecchia baldracca che non diventa più giovane perché si cambia il vestito ed il rossetto.
Penso che nella realtà dell’essere la voce del cuore è sempre uguale a se stessa.

E’ come nei telefilm di Derrick, il commissario tedesco, dove le diverse puntate sono interpretate dagli stessi attori.
In una puntata magari uno è il colpevole e in quella dopo la vittima.
La realtà è, a volte, il contrario e se possibile ancora peggio.
Gli attori cambiano, ma il copione è lo stesso.
E’ qualche cosa di terribile anche solo pensarlo, ma non ci posso fare niente: è così.
Lavorare, parlare, baciare, incazzarsi, ubriacarsi, scopare, alla fine è sempre la solita storia.
Anche i traumi della vita che ci capitano addosso, oltre a un certo grado non arrivano mai.Il dolore oltre una certa soglia non può andare, anche il suo potere ha un limite.
Così tutto si svolge nell’ambito del già visto, in sottofondo c’è sempre lo stesso sapore, lo stesso odore come in una cucina dove il sentore stantio delle stoviglie e degli stracci bagnati soverchiano il gusto di qualunque pietanza.
E’ così solo per me? E’ così forse per tutti?
Fa troppo male ammetterlo ed allora è meglio raccontarsela? Mi viene da domandarmelo, anche se la risposta è nascosta sotto il pelo dell’acqua come un caimano pronto a mordere, basta aver il coraggio di smuovere la superficie e non aver paura.
Quanto possiamo contenere? Quanto, mi domando ancora, possiamo “realmente” sperimentare?
Cercando di guardare onestamente in me stesso mi devo rispondere con una constatazione nichilista, cinica sicuramente senza speranza.

Sono sempre lo stesso. Sono sempre uguale nella sostanza. Mi sento identico al bambino che ero a tre anni, nell’adolescente scapestrato dei sedici anni, nell’uomo maturo dei quaranta e sarò lo stesso magari nel vecchio che fa capolino dallo specchio e che arriverà, anzi è già qui nascosto sotto la pelle. Aspetta solo il suo turno per affiorare alla realtà.
Non mi sono mosso di un passo. Ho sognato di viaggiare, ma sono sempre stato nel mio letto.

Ieri mi sono improvvisamente visto nello specchio. Sapete come capita.
A questa immagine riflessa ho posto una domanda terribile: “Chi sei?”.
Ma questa figura non ha avuto cuore di rispondermi, allora ho cominciato a radermi.
La schiuma bianca sulle gote, la lama che creava man mano una piccola strada rosa fra questo paesaggio imbiancato.
La mia attenzione è stata rapita in questo gesto. Il rumore dell’acqua mentre ripulivo il rasoio per poi riprendere a disegnare un altro sentiero sulla mia faccia.
Ero come ipnotizzato dai cerchi dell’acqua nel lavandino.
Mentre mi facevo la barba, il mio stesso fare mi allontanava da questa inquietudine, da questo enorme interrogativo, da questo abisso senza fondo che provavo nel guardare dentro di me.
Ecco! Ho pensato, muovendoci nel mondo, credendo di “fare” ci distraiamo da noi stessi, da questa vertigine di cui non si vede la fine.
A volte penso che ci consoliamo con le nostre azioni, le nostre assurde ambizioni come bambini spaventati dal buio che cercano la mamma e nella sua carezza trovano la pace illusoria di essere al sicuro.
Al sicuro? Non c’è nulla di sicuro, questa è la spietata verità…Nulla.
Dentro questo nulla, nulla cambia e forse è l’unica certezza.

Osservo come se appartenesse ad un altro la vita che scorre in me e passa fra le cose che accadono senza essere mai veramente determinate.
Uno muore, l’altro nasce. Una donna mi bacia, poi non mi bacerà più.
Se né forse è andata? E’ mai stata “veramente” qui?
Oggi amo e domani proverò solo indifferenza. Allora non ho mai amato? Non ho forse mai veramente toccato, ma tutto mi è scivolato addosso come pioggia sui tetti la notte?
Cosa mai di originale è scaturito in me? Libero dai condizionamenti, dal sentito dire, dalla memoria.
Ho calpestato la polvere sul proscenio dell’esistenza e penso che un giorno quella polvere sollevata ricadrà esattamene da dove è venuta e io con lei.
Credo forse, perché sollevo una piccola nuvola, di vivere?
L’oblio silenzioso e senza traccia alcuna è lì che aspetta da vincitore e ride delle mie considerazioni.
Il mondo può fare a meno di me, ma io di lui non posso.
Gli appartengo ed è solo vanità e follia credere che è lui che appartiene a me.

Ho guardato allora fuori dalla finestra e ho sentito il vento che arrivava da lontano e spostava i rami degli alberi per poi rimetterli al loro posto, con cura…Mi sono fermato per un lungo, lunghissimo momento, ma anche questo attimo dilatato alla fine mi ha lasciato come ogni cosa, senza un perché.

martedì 23 giugno 2009

Haiku


Caldo pomeriggio d'Estate,
nascono i fiori di un solo giorno
ai lati del sentiero dimenticato.

venerdì 19 giugno 2009

La venticinquesima ora


Vivere è distillare dalla Vita la parte migliore, come un profumo che è fatto di essenze mescolate per crearne la fragranza.
Percezioni, sensazioni, emozioni, sentimenti, intuizioni, come un buongustaio, da ogni frammento trarne un prezioso boccone.
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Per chi vede il mondo dei fenomeni esiste un inizio e una fine, chi vede la realtà invece sa che non vi è inizio né fine.
Dispiacersi dell'ultima ora di vita è dispiacersi di tutta la propria vita.
Lei si approssima sempre veloce. E' quel fatidico ultimo giorno che arriva sempre presto.
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Immaginando di avere a disposizione pochi minuti di vita, forse un’ora appena mi trovo a spronarmi per godere di più, osare di più.
Come affronterò il giudizio più spietato: quello di me stesso?
Come avrei potuto, mi domando ancora, provar piacere e assaporare di più ogni istante?
Provaci ora! Mi risponde il cuore.
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Preparandomi alla morte imparo a vivere e se perfino la sabbia con il tempo diventa polvere, non è proprio il caso di badare alle convenzioni e alla reputazione. Resterà così poco di quanto trascorso.
Morire per “sempre” a questo mondo è un onore che va guadagnato.
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La vita non è mai gratuita e si paga con la moneta del tempo.
Tempo che ci è stato regalato, ma quanta valuta abbiamo ancora nelle tasche non ci è dato di saperlo.
Non voglio più spendere è il momento di cominciare a guadagnare, e realizzare così in quel giorno, forse in quella ora una morte perfetta.
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Creo per me la venticinquesima ora: ogni giorno.
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venerdì 24 aprile 2009

Tributo a N.Z.


Beato l'Uomo che nel medesimo tempo e
in una sola carne vede
la bella maschera e il volto mostruoso che essa cela.
Poichè solo Lui con grazia e dignità
potrà suonare il doppio flauto
della Vita e della Morte.

lunedì 16 marzo 2009

Dedicato a S.


Sei qui perché voluta, cercata e chiamata.

Forte e dolce, ti ho visto nascere e mi hai regalato un attimo che vale una vita intera.
Piccola eppure così grande nella gioia che diffondevi intorno a te.
Ora ti credi grande, ma quando ti appoggi a me e sento la tua testa sul mio petto mi sorprendo a pensare che nulla è cambiato.
Prima piangevi ora parli, prima gattonavi ora invece cammini, ma non ti sei mai mossa dal mio cuore.

La mia vita per la tua: in ogni momento del giorno, in ogni giorno dell’anno; Senza rimpianto né esitazione.
Così è scritto nella mia anima.

giovedì 12 febbraio 2009

Il Prigioniero -Parte I-

Leggeva il giornale di ieri. Non poteva permettersi nemmeno il quotidiano del giorno giusto.
Gironzolava in pigiama, nella cucina del piccolo appartamento in affitto, mentre si svegliava molto lentamente.
Stilò un breve bilancio della sua situazione.
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Trenta anni, niente lavoro, niente soldi, il frigo quasi vuoto. Nessuna relazione sentimentale, gli amici poi...Ormai lo evitavano.
In meno di un minuto aveva tirato le somme della sua contabilità esistenziale.
Zero, era la cifra che ricorreva sotto ogni colonna.
“Mica male”, pensò e sorrise senza allegria.
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Intanto che beveva il caffè riscaldato, la sua attenzione si posò su un trafiletto del giornale aperto sugli annunci: un avviso, anonimo ma curioso lo interessò.
Mise la seggiola su cui si era appena seduto un po’ più vicina al tavolo e raddrizzò la schiena tirando su con il naso.
Poi lesse: “Cercasi candidato: uomo, massimo trentacinque anni, eterosessuale, per esperimento sociologico, ottima remunerazione, disponibilità a viaggiare all’estero”.
Queste erano le notizie salienti, ma a lui interessava solo la penultima parte: ottima remunerazione.
Aveva l’acqua alla gola e non sapeva né voleva nuotare.

Scese in strada in tuta da ginnastica, fece una telefonata dalla cabina all’angolo e fissò un appuntamento con la cortese signorina all’altro capo del filo.
Poi tornò in casa per vivere un altro giorno di inutile apatico tormento.
 
Due giorni dopo si recò come stabilito nel luogo dell'appuntamento che si trovava al secondo piano di un grande palazzo. Nello stabile eroano ospitate, tra le altre, numerose società
L’agenzia di servizi che si occupava del “reclutamento delle cavie" per questo esperimento era un’agenzia famosa, almeno così gli pareva di ricordare, un’agenzia di sondaggi o cose del genere come gli aveva spiegato l'impiegata con cui aveva parlato al telefono.
Oggi era il giorno del sua primo incontro, ma non sarebbe stato né il primo né l’ultimo, ma ancora lui non lo sapeva.
Aveva indossato il suo unico vestito decente rimastogli, un completo nero e un dolcevita nero anch'esso che gli conferiva un aspetto perlomeno convenzionale.

Dopo una breve attesa fu ricevuto da uno Psicologo (almeno così si presentò) che gli fece molte domande, poi compilò un lungo questionario, alla fine il dottore lo congedò sbrigativamente.
“Tutto qui?”, aveva chiesto sorpreso.
“Ci faremo sentire noi…Nel caso”, aveva detto il suo interlocutore, mettendo l’accento sull’ultima frase.
Una risposta decisa che non lasciava spazio a ulteriori domande o repliche.
Era deluso. Avrebbe potuto dormire sino a tardi quel giorno, come faceva di solito, ma si era dovuto svegliare presto per partecipare alla selezione ed adesso, dopo un’ora e mezza di esame, era di nuovo se stesso; purtroppo.
La sua atavica indolenza lo perseguitava come un senso di colpa per un crimine abietto.
 
Inaspettatamente dopo tre giorni ricevette già una lettera.
Era una nuova "convocazione", come lui ormai chiamava questa opportunità.
In realtà era un’occasione in cui aveva inciampato senza neanche troppa convinzione.
Nella raccomandata era descritto cosa lo attendeva. Doveva fare una serie di esami clinici e ancora nuovi test psicologici, questo era almeno il programma da svolgersi per addirittura un giorno intero.

Sbadigliò grattandosi la testa, mentre leggeva la lettera scritta in uno stile anonimo che enumerava una serie lunghissima di prove che sarebbero state svolte su si lui.
Le avrebbe fatte, ormai avrebbe fatto quasi tutto. Firmò la liberatoria allegata e la rispedì al mittente pensando:
“Mi sbatteranno fuori casa fra meno di un mese e non ho modo di pagare l’affitto”.
Questi erano i pensieri tristi che gli facevano compagnia, mentre guardava dalla finestra. Era inverno, e il pensiero di vivere in strada lo fece rabbrividire nonostante il riscaldamento.
 
Il giorno della seconda selezione fu lungo e pieno di cose da fare che rispettarono però puntualmente il programma che aveva approvato.
Le visite mediche accurate con esami, prelievi e le infinite domande sulla sua salute, sulle sue preferenze, sembravano scavare nella sua vita banale. Probabilmente alla ricerca di un particolare che non sapeva di avere. Concluse con prove attitudinali di ogni genere.
Quella giornata faticosa terminò come l’altra: un brutale congedo senza manco un sorriso.
Passò ancora una lunga settimana, ma gli regalò alla fine un nuovo inaspettato invito, l’ultimo c’era scritto.
Doveva recarsi presso un avvocato in centro.
“Che palle!”, pensò con un sospiro.
“Mi fanno girare come una trottola”, sbottò, “ma in fondo che avevo da perdere?”, concluse ormai rassegnato.
 
Il giorno dell'incontro era in anticipo all’appuntamento, di ben dieci minuti. Un fatto incredibile per la sua naturale pigrizia, ma che gli diede modo di guardarsi intorno.
Lo studio legale era prestigioso, elegante e ben organizzato.
Avvocati ben vestiti andavano e venivano lungo il corridoio.
Passavano da un ufficio all’altro in una sorta di gioco dei quattro cantoni. L’immagine che ne trasse fu di efficienza dinamica, ma senza frenesia.
La sala di attesa in cui aspettava il suo turno era raffinata con parquet e tappeti orientali. Era sprofondato in una delle poltrone di pelle e palleggiava il suo sguardo fra i quadri alle pareti e le tre segretarie alla reception. Erano tutte belle, molto cortesi e vestite con abiti di ottimo gusto. Se le sarebbe scopate tutte e tre.
Scacciò questo pensiero per rimanere concentrato su quello che lo aspettava, ma naturalmente non ci riuscì.
La sua era una specie di ossessione per il sesso, cui non poteva dare seguito se non saltuariamente a causa dei suoi problemi economici che influivano pesantemente sulla sua vita amorosa.
Non che fosse brutto, solamente era tremendamente spiantato e le donne che incontrava di solito non erano attratte da quel genere di uomo.
Inoltre la sua indolenza mista a un’inveterata infedeltà mettevano a dura prova anche la donna più innamorata. Alla fine la relazione più lunga negli ultimi tre anni era stata di cinque settimane.
 
I suoi pensieri furono interrotti da una fragranza squisita; Mirra e fiori selvatici, avrebbe detto.
“Signor Smith, signor Peter Smith? Prego, si accomodi gli avvocati la stanno aspettando”, il viso della segretaria era vicino al suo e ne poteva sentire l’alito fresco che si mischiava divinamente con quel profumo.
La guardò con un’occhiata languida, da cane affamato, e si alzò dalla poltrona per dirigersi verso l’ufficio indicatogli. La porta era aperta: pareva una bocca spalancata nella attesa di ingoiarlo.
Poco prima di entrare però si guardò indietro. Voleva osservare il sedere della bella impiegata che stava tornando alla scrivania.
“Era proprio bello tondo”, pensò e indugiò fra se immaginandoselo senza gonna e senza il perizoma che si intuiva sotto il tessuto.
Per un attimo il sangue gli andò alla testa, ma il ricordo di cosa era venuto a fare gli fece evaporare tutta la poesia.
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L’ufficio era più grande di quanto immaginava.
Arredato con mobili antichi, si sarebbe potuto definire una sorta di “Country Club” se non ci fossero stati i monitor dei computer che punteggiavano, con il loro candore, le due scrivanie in mogano scuro.
Osservò con cura le persone che lo aspettavano.
Un giovane, probabilmente un avvocato, alla sua destra in piedi, un'altro avvocato più vecchio seduto su una grande poltrona girevole dietro una delle scrivanie. Alla sua sinistra verso il fondo della stanza invece un uomo in carrozzina; dietro a quest’ultimo un altro uomo, una specie di gigante, con la faccia da gorilla.
Poi scorse anche una donna, forse una segretaria, oppure un’infermiera, seduta su una piccola poltrona a lato dell’invalido.
L’aria all’interno dell'ufficio era amichevole e rilassata.
“Forse un po’ finta”, pensò con diffidenza.
 
Il giovane si avvicinò a lui con passo dinamico e gli strinse la mano: “Sono l’avvocato Michael Leonardi…ma se vuole può chiamarmi semplicemente Mitch”, disse con voce gioviale come se fossero stati vecchi amici ritrovati ad una rimpatriata di ex studenti di Harvard.

Non poté fare a meno di notare il bel vestito gessato di questo “amico ritrovato” e l’asola del bottone della manica della giacca lasciata volutamente aperta, a far intendere che il vestito era un prodotto sartoriale, non un “pre a porter” del cazzo.
Poi con continuità gli furono presentati gli altri.
“Il socio Senior dello studio: l’avvocato Skowrosky”, aggiunse il suo anfitrione, indicando con la mano aperta l’uomo seduto dietro la scrivania.
Questo uomo era anziano con una cascata leonina di capelli bianchi. Skowrosky gli fece un cenno della testa come saluto, poi piegò un angolo della bocca, come se quella smorfia potesse essere scambiata per un vero sorriso.
“Ed ecco il nostro cliente”, aggiunse indicando subito dopo l’invalido, ma stranamente non ne disse il nome.
“E naturalmente la sua segretaria, miss Tippy”, inchinò leggermente il capo, in una sorta di piccola reverenza all'indirizzo della ragazza, come un vero gentleman.
“Non c’era che dire a Harvard li ammaestravano proprio bene”, pensò Peter.
Del “gorilla” appena fuggito dallo zoo non fu fatta menzione. Lui certo non aveva la curiosità di conoscerne il nome e neppure aveva il desiderio di una stretta di mano con quel energumeno per magari farsela stritolare.
 
“Si accomodi signor Smith”, disse il socio Senior, indicando la sedia di fronte alle scrivanie, disposta in modo da guardare tutti i presenti.
“Grazie”, disse Smith, fingendo la disinvoltura di chi usualmente frequenta posti di classe come quello in cui si trovava.
 
I secondi successivi però trascorsero in un silenzio carico di imbarazzo.
Il vecchio invalido lo scrutava.
Avrebbe potuto avere fra i sessanta e i settanta anni, ragionò Peter che lo guardava ogni tanto di sottecchi.
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Curiosamente era vestito completamente di bianco, il viso, curato e magro, faceva pensare ad un carattere volitivo, ma gli occhi, gli occhi erano estremamente penetranti, anzi inquietanti: di un grigio liquido che parevano poter guardare direttamente dentro la mente dell’altro.
Questi furono i pensieri rapidissimi che passarono nel suo cervello.
Quegli occhi sembravano avere la fissità di quelli di un gatto, ma con la perspicacia di un venditore di tappeti furbo, questa fu la conclusione del suo ragionare.
Il nervosismo che cominciava a provare fece diventare rapidamente scomoda la bella sedia imbottita su cui si era accomodato.
 
“Arriviamo al dunque saltando i preamboli inutili, va bene signor Smith?”, disse l’avvocato anziano, rompendo il silenzio con il solito mezzo sorriso, ma usando stavolta l’altra metà del viso che non aveva ancora adoperato.
Skowrosky, pronunciò “signor Smith”, con una sorta di disprezzo perfettamente camuffato dalla gentilezza. Un vero attore.
 
“Lei è uno dei candidati, per l'esattezza il numero 6, che hanno sino a ora superato la selezione ma adesso, se deciderà di aderire al progetto dovrà conoscerne i particolari e dopo accettarne le clausole del contratto per essere eventualmente assunto”.
“Naturalmente”, rispose Peter, scodinzolando sulla sedia che non riusciva a diventare comoda neanche ora che il vecchio aveva tolto lo sguardo dalla sua persona. Notò con la coda dell'occhio che parlava nell’orecchio della segretaria.
L'avvocato anziano aggiunse ancora con tono affabile, ma mantenendo quella aria di disgusto come se avesse sotto il naso una merda di cane:

“Naturalmente…Lei -signor Smith- sarà vincolato al segreto, anche nel caso non accettasse l’offerta del nostro cliente. Questo è il modulo che ci consente di perseguirla legalmente nel caso, anche una sola parola uscisse da lei in merito a quanto stiamo per dirle”, dopo una breve pausa il vecchio squalo in abito blu aggiunse, “E’ tutto chiaro?”.
“Cristallino”, rispose Peter, palesando una sicurezza che non aveva mai avuto in vita sua.
“Firmi, allora e conoscerà questa fantastica offerta...Le cambierà la vita”, disse l’avvocato dandogli una penna e un foglio dattiloscritto fitto di causali e postille.

Mai parole furono più vere in bocca ad un patrocinante.


Continua…

Il Prigioniero -Parte II-


“Cosa desidera un uomo?”, disse con voce profonda l’avvocato Skowrosky, stagliando sornione questa domanda sul fondo di un discorso di chi possiede già tutte le risposte.
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“Mah! Non saprei, penso che per ognuno sia diverso”, rispose Peter cercando di guadagnare tempo.
“Si sbaglia signor Smith, per tutti è la stessa cosa”, incalzò l’avvocato guardandolo dritto negli occhi.
“Denaro e Sesso, ecco cosa vogliamo, possibilmente senza limiti”, continuò sicuro nella sua arringa.
“Beh! Certo, potendo scegliere non è affatto male”, confermò sorridendo accondiscendente Peter.
“Ebbene, ecco la proposta del nostro cliente”, e così dicendo il legale indicò con l’indice l’invalido sulla sedia a rotelle, ma senza voltare il volto o distogliere lo sguardo da Peter.
“L’offerta è per vivere dieci anni in una lussuosa villa sul mare, con ogni comfort e…Donne, tante donne, sempre diverse. Il sogno di ogni uomo che diventa realtà”.
Fece una breve pausa e poi riprese.
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“Non certo quelle stupidate che sono comunemente contrabbandate come il senso della vita: Amore, Libertà, Amicizia, Serenità.
No, no, signor Smith: C O N C R E T E Z Z A", e scandì l'ultima frase, sillaba per sillaba, come parlasse ad un ritardato mentale, poi riprese amabile.
"Ecco cosa le è offerto, la vera ricetta del vivere bene.
Il romanticismo e la filosofia sono trappole per gli sciocchi. Sedativi sociali per tener buona la moltitudine.
Questa è l'unica, semplice e vera realtà”, così dicendo sollevò le sopraciglia ed aprì le mani in un gesto inequivocabile di constatazione.
Tutti attendevono un commento da Peter.
“Concordo!”, rispose quindi, guardandosi attorno e incontrando così solo sorrisi.
“Ma…Ci sarà pure un -ma-?“, aggiunse.
“Ovvio.” disse Skowrosky, incrociando le dita e appoggiando i gomiti sulla scrivania lucida.
Poi si sporse verso di lui e continuando a fissarlo, disse:
“Non deve certo essere un avvocato che le spiega che: nulla si fa per nulla -Quid pro quo-”, e finalmente sorrise, usando perfino entrambi gli angoli della bocca, per questa citazione senza umorismo.
“Lei vivrà in un’isola soleggiata, in una grande villa, avrà a disposizione con ragionevolezza ogni agio che il denaro può fornire, ma non si potrà allontanare. Questa condizione non è negoziabile, inoltre dovrà avere tre rapporti sessuali ogni giorno con donne sempre diverse, piacenti e consenzienti, ma scelte dal suo nuovo datore di lavoro.
Tre, si ricordi”, così dicendo sollevò l’indice, il medio e l’anulare in un’inequivocabile addizione che riassumeva le sue -perfomance- giornaliere obligatorie.
“Sarà anche ripreso dalle telecamere presenti in ogni angolo della casa e del parco, una sorta di Grande Fratello privato ma discreto, glielo garantiamo, ad uso e consumo del nostro cliente, questa è in sostanza la proposta”.
Quindi tacque.
Anche Peter era senza parole.

“Perché io?”, chiese, stupendosi della banalità di una domanda senza senso fra tutte quelle che gli affolavano in quel momento la mente.
“Perché?”, disse con una smorfia ilare l’avvocato, sollevando le spalle e guardandosi attorno incredulo.
“Semplicemente perché lei piace al nostro cliente, ha superato la selezione, ma soprattutto...Perché lei è un disperato”.
Paradossalmente questa offesa pronunciata senza astio aveva tutta la naturalezza della verità.

“Ok, Ok, vivrò su quest’isola, avrò tre donne diverse ogni giorno, godrò dei lussi che questa casa e il benessere del denaro, per dieci anni, ma se un giorno non voglio fare sesso? Se volessi fare un viaggio? Se mi ammalassi? Che succede?”, le preoccupazioni cominciavano a far capolino nel suo cervello con maggior ordine e a dare corpo a quel presentimento nefasto che lo aveva accompagnato dal momento che aveva varcato l’ingresso dello studio legale.

“Il contratto è chiaro”, disse improvvisamente l’altro avvocato, quello giovane, sollevandosi legermente da dietro la scrivania e passandogli una copia di un documento in quindici pagine.
“Mi permetta di sollevarla da una lunga lettura”, aggiunse di rimando l’avvocato Senior, scoccando un'occhiata avvelenata al suo giovane collega.
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“Lei sarà vincolato in quella meravigliosa residenza, ma solo per dieci anni.
Non per sempre, e dieci anni passano in un attimo.
Mi creda, quando uso poi il termine -meravigliosa- non esagero. Inoltre cosa vuole che siano tre rapporti ogni giorno? Un uomo nel fiore degli anni come lei, non dovrà fare altro nella sua giornata che occuparsi di tre donne belle, giovani, seducenti e sempre diverse…Una passeggiata.
Alla fine del contratto lei avrà due milioni di dollari, rivalutati al tasso di interesse pari alla svalutazione annuale, ed in più una casa, a sua scelta, fra quelle che le mostrerò”, così dicendo dispose sulla scrivania con l'abilità di un croupier alcune foto di lussuose residenze .
"Lei, signor Smith, tra dieci anni, avrà risolto ogni suo problema materiale ed in più avrà vissuto un decennio di godimenti, un piccolo Paradiso”, continuò nella sua esposizione con una serenità e una logica che faceva apparire tutto semplice.
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“Sì certo, visto in questo modo non è impossibile da realizzare, magari difficile però fattibile, ma se non ce la facessi? Se per dire un giorno non avessi voglia?”, chiese ancora titubante Peter.
“Potrà recuperare, basta che alla fine del mese la sua –prestazione- sia di novanta coiti.
Non uno di più né di meno.”, aggiunse cordiale “Mitch l’amico" come ormai lo nominava nella sua mente. Così dicendo il giovane avvocato diede un'occhiata al socio Senior per avere la conferma che stava dicendo bene.

“Ma se non riuscissi?”, continuò Peter come un disco rotto.
“Allora le sarà amputata una piccola parte del corpo”, aggiunse Skowrosky, atono, come se avesse commentato la cosa più evidente al mondo.

Con questa ultima frase calò un silenzio glaciale su tutto l’ufficio e per un attimo il cuore di Peter parve spegnersi in questo gelo.
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Continua….

Il Prigioniero -Parte III-


Si alzò di scatto dalla sedia.
Fu una reazione inconscia, istintiva, come quando si ritrae la mano da una fiamma ancora prima di sentire il dolore che ne farà seguito.

Nessuno tentò di fermarlo, ma giunto alla porta udì una voce autorevole, la voce di chi, abituato al comando, non aveva bisogno di alzare il tono per essere ascoltato.
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“Peter, non è forse vero che il valore di una moneta si determina esaminandola da entrambe le facce?”
“Cosa? Cosa?”, disse Peter voltandosi indietro come se un’eco dentro alla sua testa facesse rimbalzare questa voce e scuotesse le fondamenta stesse del convincimento che lo facevano fuggire da quel posto folle, da quel luogo dove persone apparentemente per bene deliravano invece che conversare. Da quel manicomio camuffato di rispettabilità.
“Prego, si sieda e mi ascolti per due minuti”, era la voce del vecchio invalido che udiva, ma il timbro era quello di un uomo di mezza età. Una intonazione bassa, baritonale, che contrastava paradossalmente con il suo corpo menomato, anziano e magro. Essa vibrava di una forza misteriosa. Una sorta di accento strascicato che rendeva le sue parole, apparentemente amichevoli, sinistre e nondimeno ammaliatrici.

L’invalido indicò la sedia da cui lui si era alzato e Peter rimase fermo sull’uscio come in forse.
“Mi accontenti”, aggiunse, “Solo per compiacermi”. Sottolineò la frase con un sorriso che scoprì i denti perfetti.
Come in uno stato ipnotico ritornò sui suoi passi e si risedette. Seppe di essere di nuovo in catene, ma ormai, inspiegabilmente, si era già abituato a quel peso da non patirlo quasi più.
Il primo passo verso l’inferno era stato compiuto? A questa domanda avrebbe potuto rispondere solo dopo.

“Due minuti, non un secondo di più”, proferì Peter e le sue parole parvero a se stesso estranee, simili alla minaccia di un ragazzino: ridondante ma inverosimile.
“Basteranno”, disse il vecchio senza il minimo accenno di fretta, poi continuò.
“Immagini un foglio bianco. Lo vede Peter? Ecco, lo divida a metà con una linea ideale. Alla sua destra scriva i “contro” e alla sua sinistra i “pro”, ma mi permetta, solo per gioco, di suggerirle alcune voci.
Poi, se vorrà potrà cancellarle se non le corrispondono o aggiungerne altre, come le ho detto è solo un gioco.
Il senso? Giudicare correttamente per decidere nel modo migliore, cioè senza rimpianti.
Le persone comuni spesso prima scelgono e poi, pentendosi, giudicano.
Lei è un uomo intelligente: non faccia questo errore dettato dall’impulsività”.

Fece una breve pausa in questo discorso semplice ma vero, pronunciato in un tono così quieto e distaccato che piuttosto di convincere, cullava come una storia per bambini.
Peter lo guardava con stupore, e seguendo l’onda della voce modulata del vecchio trovò la calma e l’arrendevolezza necessaria a considerare la proposta in tutte le sue sfaccettature.
L’uomo sulla sedia a rotelle lo guardava in viso, ma senza alcuna ostilità, anzi una sorta di familiarità sembrava scaturire da quel volto segnato dalle sofferenze fisiche che, però non avevano intaccato uno spirito forte come l’acciaio e tagliente come una lama di bisturi.
Quindi proseguì la sua esposizione.

“Nei –contro- metterei sicuramente la sua attuale situazione finanziaria che, non si offenda, definirei fallimentare.
Se analizziamo la sua condizione umana, poi: non ha amici, non ha una relazione sentimentale, non ha parenti.
Lei è solo.
Senza tema di sbagliare aggiungerei che è un indolente, un pigro inveterato, un perdigiorno, un inetto. Non ha saputo costruire nulla sin d’ora e certo adesso alla soglia della maturità non cambierà.
Il mondo è pieno di gente poco realista che da giovani pensavano che il loro culo sarebbe invecchiato come il vino. Se vuole dire che diventa aceto, è così; se vuole dire che migliora con l'età, non è così.
Se avesse potuto farcela in qualche modo sarebbe già accaduto.
Miseria e solitudine è quello che sicuramente l’aspettano per i prossimi anni che le resteranno da vivere.
La vita è piena di incertezze, specialmente per un povero. La malattia e le disgrazie mietono vittime otto volte di più nelle fasce demografiche a basso reddito, ma non voglio annoiarla con le statistiche…Sono così aride!
Solo una piccola curiosità: lo sa che muoiono sulla Terra più persone in un anno per incidenti stradali nei week-end che in molte guerre? Fuori è una jungla, ma a molti appare uno zoo”
Fece ancora una breve pausa, non erano che passati trenta secondi e davanti agli occhi di Peter il mondo si era già sgretolato come un affresco ammuffito.
Poi l’anziano riprese.

“Da ultimo consideriamo la sua paura più grande se accetterà questa –occasione unica- e cioè una possibile menomazione, per la verità piccola, magari solo un dito della mano o del piede, nel caso di un suo fallimento mensile.
Certo, può spaventare, ma è un’eventualità gestibile non una certezza ineluttabile.
Se lei è padrone del suo destino lei è libero, anche se vive senza uscire per dieci anni in una splendida villa.
E sa perché è libero? Perché lei ha vinto sul fato. Nulla le accadrà di inaspettato, lei determinerà in maniera certa il suo divenire.
Quindi vede come già un –contro- può essere messo nei –pro-, semplicemente ampliando il proprio orizzonte”
Un breve sorriso distese il volto del suo interlocutore che continuava nella sua lucida esposizione.

“Nella colonna dei vantaggi metterò una cosa sola.
Le pare strano, Peter? Forse, ma è la cosa che da senso a tutte le altre.
Lei non sarà solo. E non parlo della compagnia di splendide ragazze che allieteranno i suoi giorni, ma la consapevolezza che la sua vita avrà senso per lei e anche per chi, come me, vivrà di riflesso della sua.
Sarà il protagonista, lo sceneggiatore e il regista della propria esistenza.
Mentre io, che fino a qualche momento fa le apparivo come un nemico: sarò solo il produttore, ovvero quello che paga le spese.
Gli altri candidati non mi interessano, mi piace lei, mi ricorda un poco me stesso da giovane, ma questi sono solo sentimentalismi di un vecchio, adesso solo i fatti contano.
Posso darle del tu?", domandò cambiando tono e Peter fece solo un cenno con la testa per acconsentire a questo amichevole passo verso l'altro.
"Bene", proseguì l'anziano.
"Ecco perché dico che tu firmerai e, fra dieci anni, quando tutta questa storia sarà finita, penso che ti ritroverà ad essere un figlio di puttana sorridente".

In meno di un minuto e venti secondi la sua mente era stata plasmata da una nuova luce.
Gliel’avrebbe fatta! Cazzo, sentiva che poteva vincere! Anzi ne era certo.
La sfida era stata lanciata e lui ora si sentiva forte come mai in vita sua.
Firmò, e così perdendo il suo nome, divenne il "numero 6".
Era iniziato il suo viaggio verso una nuova casa, una nuova vita.

Continua….

Il Prigioniero -Parte IV-



Osservava il mare seduto sul lettino vicino alla grande piscina, era un paesaggio mozzafiato che i suoi occhi conoscevano ormai perfettamente, ma che non smettevano di ammirare. Oggi era il giorno.

Dieci anni, dieci lunghi anni erano trascorsi e gliel’aveva fatta. Adesso avrebbe rivisto il suo “datore di lavoro”, il Numero 1, come nelle rarissime comunicazioni telefoniche si faceva chiamare il vecchio paralitico.
Un brivido lo percorse da capo a piedi e quasi si sentì sopraffare dalla gioia e dall’orgoglio della sua vittoria.
Certamente i momenti difficili non erano mancati, disse fra se, e ricordò con precisione tutte le difficoltà affrontate ed i cambiamenti che aveva dovuto operare su se stesso per arrivare a questo momento, per gustare questo istante che aveva il sapore dell’Ambrosia.
Ricordò il primo giorno del suo arrivo sull’isola. Era atterrato con l’elicottero privato del Numero 1, quel invalido malefico che lo aveva condannato a dieci anni di paradiso forzato.
“Una villa meravigliosa”, aveva detto quel avvocato molto tempo fa, ed, infatti, così era.
Purtroppo il lusso stemperato nella routine, annoia. Anche la carezza amorevole ma costante soffoca, alla fine l’abitudine soverchia ogni altezza.
La naturale associazione mentale che arrivò nella sua mente fu per tutte le donne che aveva posseduto in questi anni, ma questo pensiero non gli diede fastidio.
Una sorta di distaccata osservazione si fece largo fra le pieghe del suo cervello nel ricordare tutte le ragazze che aveva avuto.
Stranamente serbava memoria solamente della prima e ora si ripromise che avrebbe ricordato per sempre anche l’ultima.
La bella e giovane fotomodella lo attendeva da un pò in camera da letto per: l’ultimo rapporto sessuale obbligatorio della sua vita.
Il suo ultimo spettacolo osceno per il "Numero 1”.
Le altre “signorine” risultavano indistinte, corpi ben fatti, bocche vogliose, odori diversi si confondevano nella sua memoria come un collage scandaloso ma confuso.

“Finalmente sarebbe stato ricco e libero”, sorrise della propria vanità e ricordò ancora di come era cambiato.
Un cambiamento così radicale che fra il vecchio, ma allora giovane, se stesso e l’attuale uomo non passava nemmeno un segno di riconoscimento.
Aveva modificato la sua esistenza, come un atleta in occasione di un’olimpiade. Solo che per lui non ci sarebbe stato il guadagno di una medaglia alla fine della gara, ma un pezzo del suo corpo ancora attaccato a se stesso, e la cosa era molto più seria.
Eliminate le sigarette, ridotto a dosi omeopatiche l’alcol, aveva disciplinato il proprio corpo in un allenamento duro ma non esasperato. Nuoto, un’ora il giorno ma tutti i giorni.
“Ginnastica e cibo sano” erano stati i suoi compagni di viaggio. Il Trainig mentale il suo maestro per non cedere alla depressione e alla paura. Aveva costruito un corpo forte che gli aveva consentito di avere poco meno di 10.800 orgasmi in dieci anni e uscirne vivo da questa brutta storia.
“Vivo, ma non illeso”, precisò nel suo monologo mentale.
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Il lavoro più duro era stato plasmare la sua mente.
Estirpare da se stesso la paura di non farcela, mondare il suo inconscio da ogni pensiero parassita. La sua vita apparentemente dissoluta era in realtà una vita monastica. Un tempio costruito all’interno di un bordello. Aveva dovuto edificare una simile opera per sopravvivere e nel sopravvivere aveva covato l’odio e la rivalsa per il suo carceriere multimiliardario.
Aveva una sorpresa per lui: una trappola. Un regalo forgiato dal livore. Un’opera costruita dentro la sua mente. Aveva scavato nel suo cervello una buca irta di pali acuminati, dove il grande mammut sarebbe andato a cadere e morire, ma con dolore.
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Poi accadde. Gli angoli della sua bocca si distesero in un’espressione travisata e sgomenta che appannava il suo sguardo.
Il seme di un'intuizione stava sconvolgendo la sua interpretazione del passato e di ciò che si apprestava a fare. Era forse solo inciampato in un barlume di verità che, però non scalfiva la granitica costruzione cui aveva sacrificato un decennio. Fu quindi solo un attimo, una considerazione bizzarra che allontanò da sé come un'assurdità.
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Distese lentamente il braccio e prese il bicchiere di cristallo appoggiato sul tavolino, bevve il succo di pomodoro condito come fosse champagne.
Il cameriere alle sue spalle interruppe il corso del suo ragionare.
“Il Signore desidera qualche cosa?”
“No grazie, ho tutto quello che mi serve”, rispose e quelle parole per lui avevano anche un alto significato, molto più profondo.
L’accappatoio bianco lo copriva dal vento fresco che si era sollevato inaspettato. In questa isola della Grecia faceva sempre un tempo magnifico. Pioveva raramente e mai per tutto il giorno. Gli inverni miti gli avevano concesso una salute di ferro. Le lunghe ore di esposizione al sole, mentre sprofondava nella lettura e nella meditazione, avevano conferito alla sua pelle un colorito bronzeo elargendogli, però qualche ruga.
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“Ho già quaranta anni”, pensò come se questa verità biologica fosse stata per lui, in quel momento, una rivelazione spirituale.
Osservò poi con indifferenza le amputazioni che aveva subito, quattro falangi delle dita di un piede, il mignolo di una mano. Si accarezzò l'orecchio che gli era stato amputato del lobo e rivisse per un attimo il male e il terrore, ma senza più coinvolgimento, come se fosse accaduto ad un altro.
Aveva imparato anche a fare questo, ora era libero dal dolore, non insensibile, ma semplicemente oltre questo.
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“Bene!”, Disse per farsi coraggio, "Andiamo a lavorare", e così dicendo si avviò claudicante verso la camera da letto.
La stanza lo aspettava con le grandi porte-finestre aperte sul patio lastricato di belle pietre levigate .Le tende azzurre pigramente spostate dal vento davano saltuari scorci del locale dove, in centro campeggiava un grande letto bianco e sopra di esso c'era una ragazza sdraiata, nuda.
Lei gli dava le spalle, mentre leggeva una rivista. Era mora, magra ma perfetta con un seno scolpito e i glutei alti e muscolosi leggermente abbronzati; pareva un bassorilievo sul candore delle lenzuola.
La giovane si volse appena verso di lui e sorrise ammiccante.
“Sei l’ultima”, pensò Peter fra se, ma poi ricordò il suo piano e si corresse: “Forse”.
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Mentre si accoppiava con la bella amante provò un'inaspettata soddisfazione. Poi udì in lontananza l’elicottero che si avvicinava alla villa ed ebbe una stretta allo stomaco.
Nel momento dell’orgasmo apparve nella sua mente la faccia del vecchio che lo contemplava con un ghigno.
.“Ride bene chi ride per ultimo”, disse a se stesso, poi guardando fisso nella telecamera nascosta dietro l’armadio rise, rise forte come posseduto dalla follia.
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Continua….