giovedì 24 dicembre 2020

Un Natale, quattro anni fa...

Ero in Vietnam, festeggiavo il Natale con un famiglia autoctona. 
Faceva molto caldo e vi era una piccola piscina improvvisata, quelle che si gonfiano, ma faceva comunque il suo mestiere. 
Il fratellino della mia amica aveva una faccia strana e chiesi informazioni. Sudava ma aveva freddo e non aveva fatto colazione, perché non aveva fame, quando di solito mangiava come un lupo.
I genitori, un po' da irresponsabili, gli avevano dato una forte purga, perché erano tre giorni che non andava di corpo. 
L'addome del bambino era teso come un tamburo, per me fu evidente che aveva un probabile blocco intestinale che con il lassativo appena preso era a rischio di perforazione. 
Una patologia subdola che non da scampo. In caso di perforazione del dotto intestinale sia ha poco tempo di vita, le feci entrano nel sangue e sei spacciato.
Insistei per chiamare un'ambulanza, ma tardava ad arrivare. 
Così chiamammo di nuovo e parlai direttamente con l'operatore radio che conosceva l'inglese e il francese e mi feci intendere. 
Mi spacciai per primario di Gastroenterologia è spiegai la mia diagnosi e l'urgenza,all'operatore del servizio di Pronto Intervento che addirittura mi passò un membro del'ambulanza che doveva giungere, ci parlai tramite ponte radio. 

L'autista del mezzo, credo, ma non mi ricordo bene, parlava inglese come tutti loro, perché è un servizio militare non civile come da noi: Particolarmente efficiente che non mi aspettavo in quel paese. Queste cose le intesi dopo, perché la comunicazione intercorse su altro, più urgente e necessario.

Appresi così che il loro mezzo era bloccato nel traffico a causa di un incendio nella casa accanto a dove mi trovavo. 

C'era il sospetto di un attentato e la polizia non faceva avvicinare nessuno all'area.
Gli ordinai di seguire un percorso alternativo lungo i marciapiedi e di entrare contromano nella via che, dal lato del senso normale di marcia era bloccata, ma dall'altro senso era ancora percorribile. 

Glielo garantii, perché ero in strada davanti alla casa e vedevo chiaramente, inoltre l'incendio vicino era già stato domato.

Gli dissi, però visto che non mi credeva: "Devi farti strada in qualunque modo, ma ricorda...devi arrivare. Se il bambino muore, perché non hai fatto abbastanza verrò a prendere la tua vita". Non era tanto per dire, era proprio così. 
Usai forse toni un po' più morbidi, ma non troppo. 

Comunque  le conseguenze di una sua eventuale mancanza gli furono chiare. 

A volte sono un po' strano, quando mi trovo in situazioni del genere cioè "devo" fare qualcosa che ritengo importante, ovvero che posso fare solo io e in cui credo non vado avanti per mezze misure. Mi butto completamente anche se ho ben chiare le conseguenze, ma se decido vado fino in fondo.

Sembra pazzesco, quando c'è pericolo e urgenza, diventa tutto molto diverso ed è addirittura "normale" una conversazione come quella avvenuta, probabilmente il nostro cervello in quei casi funziona diversamente. Oppure funziona così solo il mio.

Mi ricordo che quell'uomo mi assicurò il suo impegno, mi disse "Sono un militare". Bene, gli risposi, ho fiducia in te, ma devo avvisarti comunque che non scherzo. 

Dopo poco l'ambulanza arrivò. 

Uscii di nuovo in strada ed avvisai il personale sanitario appena arrivato di non spaventare il bambino, lo avevo già preparato dicendogli che per Natale gli avevo prenotato un giro in ambulanza e una visita all'Ospedale. Gli avevo presentato la situazione come fosse un gioco, il mio regalo per le feste natalizie. Ci aveva creduto. 

Informai gli infermieri di non legare il bambino sulla barella come si usa, ma se possibile di tenerlo in braccio seduto sulle ginocchia di uno di loro, in ogni caso era importante che la cintura di sicurezza non passasse assolutamente sull'addome, anzi era preferibile abbracciarlo sul petto e la cintura secondo la mia opinione era meglio se la metteva chi lo teneva. 

Mantenere tranquillo il piccolo paziente era fondamentale per non aggravare quel pericolo che avevo sentito dentro di me.
Il militare dell'ambulanza con cui avevo parlato al telefono si presentò; Mi disse che avevano avuto un incidente, ma era riuscito comunque ad arrivare. 
Aveva il braccio rotto (non una vera frattura, ma solo un'infrazione al radio)  mentre l'ambulanza era abbastanza integra e funzionava ancora. In ogni caso un'altra l'avrebbe raggiunta e accompagnata.

Gli legai il braccio con una tovaglia e gli proibii di andare con gli altri, dissi: "Prendi un Taxi, perché non solo sei inutile con un solo braccio, ma se svieni sei anche di intralcio". 
Diedi le ultime istruzioni per portare il piccolo in un'ospedale avente un reparto di gastroenterologia, da allertare per essere già pronto per l'operazione d'urgenza, preferibilmente potendo allestire una sala operatoria nelle vicinanze del reparto di radiologia dove certamente avrebbe fatto l'esame preventivo. 

La tempestività in casi del genere è determinante. 

Oggi mi pare impossibile, ma nessuno in quei momenti mi contestò; Parevo un generale e davo istruzioni che venivano eseguite senza discussione.

Ovviamente per me, ma scioccando il militare/infermiere gli offri la mia vita, in cambio della minaccia in cui gli avevo promesso la morte, e che sicuramente avrei portato a compimento, ma solo nel caso di un suo fallimento colpevole. 
Non avei lottato né avevo intenzione di oppormi a lui, perché gli dovevo un favore. Lo avevo comunque sfidato, quindi ero in debito.
Per fare nel modo giusto (secondo me) gli proposi che finita l'emergenza ci saremmo trovati in un posto tranquillo, dove nessuno ci avrebbe disturbato e poi...
Lui non doveva avere conseguenze. 
Non posso descrivere la sua faccia.
Chiesi solo la cortesia di avere il tempo di chiamare i miei familiari per l'ultima volta. 
A momenti piangeva. 
Vi prego non chiamatemi presuntuoso, ma quando incontri un altro guerriero o ci si ammazza o si diventa amici, non so come mai, ma non ci sono altri modi. 
Per fortuna siamo rimasti in pochissimi con questo spirito, diciamo un po' retrò.

Dunque vita per vita, sembra assurdo anche solo a scriverlo, ma è nella mia logica.  Faccio fatica perfino a riconoscermi, ma in quei frangenti ho come una trasformazione.

Visto che ora sono a narrare questa avventura di vita vissuta, appare evidente che l'uomo che avevo minacciato non pretese "soddisfazione". 

Anzi, mi assicurò che il suo primo figlio maschio lo avrebbe chiamato come me. 
Troppo onore, dissi e poi ci scherzammo sopra, mischiando il mio nome con il suo cognome e simulando le diverse difficoltà di pronuncia. 
Neanche nei film ho mai visto una scena simile, lui con il braccio in "tovaglia" in quel giardino, mentre facevo un po' lo scemo e gli illustravo i diversi modi di pronunciare questo connubio opinabile di nomi diversi. Ridemmo finché non ci fece male la pancia. 
Poi non lo vidi mai più, non mi ricordo manco come si chiamava: Crou, Tru, mah! Hanno di quei cazzo di nomi da quelle parti.

Nel pomeriggio il bambino fu fuori pericolo, gli avevano svuotato manualmente l'intestino. Spero per lui non ci abbia preso gusto, diciamo che secondo me le donne sono meglio.
Dopo tre giorni fu dimesso dall'Ospedale dove era stato trattenuto per cautela, ma senza operazione. Aveva però effettivamente rischiato molto. In ogni caso ero già altrove. 

Dieci giorni dopo, quando ritornai di passaggio a Saigon, seppi dalla famiglia che mi aveva ospitato che l'infermiere aveva telefonato, aveva ricevuto una medaglia e le procedure d'intervento del servizio di Pronto Soccorso erano state aggiornate integrandole con i miei "consigli". 
Il suo Ufficio aveva perfino ringraziato l'Ambasciata Italiana per l'aiuto ricevuto dal loro connazionale. 
Risi di gusto pensando alla faccia dei funzionari diplomatici che non avevano la minima idea di chi fosse questo fantomatico "primario" che si aggirava lungo il Vietnam a fare queste guasconate.
Devo confessare che qualche volta la vita è più avventurosa di qualunque immaginazione, sebbene quando mi sono capitati eventi del genere mi è sempre sembrato tutto normale. Solo dopo, quando ci ripenso ne colgo la stranezza. 
A furia di dai e dai mi sa un che un giorno di questi ci lascerò la pelle, magari è anche divertente, però non che abbia fretta...sia inteso.

Ho raccontato questo non per ammantarmi di meriti, ma per ispirare.

Sento dentro di me che rendersi utili agli altri, darsi completamente, è il regalo più bello che possiamo fare non solo a Natale, non solo agli altri, ma a noi stessi.
 
"Chi salva una vita salva il Mondo" è scritto. 
Per me: "Chi salva una vita salva solo se stesso". 
In ogni caso sono piccoli gesti di piccoli uomini.

Allora? Beh! Alla fine del viaggio la bella sorella mi aveva già mollato, dunque strizzo l'occhio a quel meraviglioso bimbo e magari se mai capiterà gli dirò solamente: "Auguri piccolino".


giovedì 8 ottobre 2020

Oblii ricorrenti



Le forcine di Giada cadevano quando appoggiava la testa al cuscino.

Il segreto è rimasto nell'angolo dove lei si truccava.

Le scaglie del Drago ora più non risplendono.
Vorrei non ricordare.
Scordare però è un andarsene triste.

Breve racconto del silenzio

Due parole sull'amore. Se mai a qualcuno ancora interessa.
E' intensa la natura di questo sentimento totalizzante che crea e distrugge.
E' cieco eppure sa vedere lontano.
Ci fa vivere come se fossimo eterni, nonostante spesso sia un'eternità assai breve.
Di fatto se non fossimo attratti oltre noi stessi, amando, non sarebbe ragionevole aspettarsi che incertezza, perché incontrare l'altro è sempre rischioso, ed è impossibile determinarne l'esito. L'amore è anche frainteso, si scambia per desiderio e per mille altre cose che non sono quello.
La sua profondità è proporzionale alla nostra. Amori profondi dunque appartengono a persone profonde, ma è raro che si ami così con questa grandezza, e con la vastità che permette di accoglierlo.
Per me è la chiave che apre la serratura della mia cella di egoismo.
La prigione dell'Io in cui credo un po' tutti ci rinchiudiamo per essere, infatti Lui ci libera da noi stessi. E per attimi eterni siamo veramente liberi, sebbene condizionati all'oggetto del nostro amore.
Quando però sedotti dalla sua bellezza, lo vogliamo portare dentro il nostro personale penitenziario, fatto di desideri, aspettative e infinite illusioni che allestiamo come la scenografia di uno spettacolo per coprire la miseria del mondo, quel mondo meschino che abbiamo creato come duri investitori quali siamo che non fanno mai nulla per niente, Lui fugge via.
Non può vivere schiavo, morirebbe.
La verità? "Quando lui esiste noi non siamo".
Dobbiamo scegliere tra essere noi o amare l'altro; Entrambe le condizioni non possono convivere, questa è allegerita dai sofismi la meravigliosa e terribile legge della vita.
Almeno la vita di noi folli esseri che per cause sconosciute abbiamo, per qualche attimo in questo divenire oscuro, avuto e spesso sprecato il fottuto onore di vivere.

martedì 6 ottobre 2020

Una mano vuota può contenere il mondo



Si racconta che molto tempo fa nell'antico Giappone vi fu una sfida tra allievo e maestro.

Muramasa propose a Masamune di fabbricare la spada più affilata mai costruita.
Entrambi lavorano senza sosta per settimane e a opera compiuta decisero di mettere alla prova i loro capolavori immergendoli in un corso d’acqua con il filo della lama rivolto contro corrente.
La spada di Muramasa (Juuchi Yosamu – Diecimila Notti di Gelo) tagliò qualunque cosa avesse osato sfidare il suo filo terribilmente tagliente: pesci, foglie, perfino l’aria stessa che soffiava attorno alla parte di lama che emergeva dall'acqua pareva dividersi; La spada di Masamune (Yawarakai-Te – Mani Tenere), invece, fu immersa dopo, ma non tagliò nulla.
Un monaco che aveva il compito di giudicare la vittoria si avvicinò ai due maestri e disse: “La prima delle spade è sicuramente una spada sopraffina, ma è assetata di sangue, è una lama malvagia, dato che non discrimina tra chi o cosa tagliare. Potrebbe tagliare farfalle o decapitare una persona, senza alcuna distinzione.
La seconda spada è sicuramente la migliore delle due, perché non taglia senza ragione ciò che è innocente“.
In questa storia c'è un insegnamento.

venerdì 11 settembre 2020

E' scritto nella pioggia

Un paio d'anni fa mi trovavo a Langkawi in Malesia. Come al solito gironzolavo in scooter. Mi faceva compagnia una ragazza coreana che avevo conosciuto durante il viaggio. 

Così, prendendo strade a caso e attraversando piccole città e villaggi ci trovammo di fronte a un tempio buddhista: il tempio della Fortuna (Lucky Temple). 

Ci entrai da solo, e attraversatolo giunsi in un ampio giardino. Vi erano diverse statue del Buddha, ma con sorpresa mi accorsi che la più grande era ricavata nella montagna incombente proprio sul limitare di quel giardino. 

Una figura che troneggiava lungo una parete verticale che mi guardava con quel sorriso serafico che contraddistingue sempre la rappresentazione dell'Illuminato, ma di proporzioni gigantesche. 

Sarà stata alta trenta metri, scolpita direttamente nella parete nera a precipizio. Non oso pensare come avessero fatto a realizzarla.

Provavo una strana sensazione, ero calmo e stranito nel medesimo tempo. 

Pensai: "Magari è per via del caldo?" Così trovai un posto tranquillo e ombreggiato per sedermi. 

Proprio vicino a dove mi ero seduto c'erano due persone che armeggiavano vicino a un'autovettura, una station wagon, uno solo di loro era un monaco. Le osservavo e intanto mi fumavo una sigaretta. Era strano, perché dal grande bagagliaio estraevano delle gabbiette per uccelli che contenevano appunto dei piccoli volatili. 

Li avevano curati? Comprati al mercato? Non si capiva. 

Dopo un po' che parlottavano tra loro, il monaco cominciò a prendere con le mani molto delicatamente questi uccelli e poi liberarli, lanciandoli in aria. 

Mi ricordo che uno di questi uccellini addirittura tornò indietro e si infilò di nuovo nella gabbia così il monaco dovette ripetere la sua opera di favoreggiamento in evasione ornitologica. 

Alla fine le gabbie furono vuote e i due uomini se ne andarono. 

Ripresi a camminare e incontrai due monaci intenti al lavoro; Lavavano delle ciotole vicino a una fontana di pietra. 

Per l'esattezza uno di questi le svuotava, l'altro invece le lavava,  poi le mettevano capovolte ad asciugare su una lunga mensola di legno. 

A me piace osservare queste scene ordinarie, ma generalmente mi faccio i fatti miei, l'Oriente mi mette sempre un certo silenzio addosso, a differenza della mia vita di tutti i giorni dove mi capita purtroppo di parlare anche un po' troppo. 

A un certo punto, uno di questi due monaci addetti alle lavastoviglie si girò verso di me e mi indicò di proseguire verso un padiglione distante una cinquantina di metri, si fece intendere con un leggero sorriso e un cenno;  Mi fece quel caratteristico segno come quando si indica ai bambini di andare in qualche posto, un gesto della mano che sembra un'amichevole sculacciata. 

Seguendo quell'indicazione mi trovai in una sala di preghiera, tolsi le infradito prima di entrarvi e scavalcai il piccolo rialzo che si trova sempre in questi templi quando si entra in una stanza. 

Il locale era ampio e arieggiato, il pavimento fatto con lunghi listoni di legno scuro lucidi che quasi riflettevano la luce e le figure. 

A lato del centro, leggermente spostato alla mia destra, c'era un quadrato rialzato, e sopra "appollaiato" a gambe incrociate un vecchio monaco con la caratteristica veste arancione.

Feci un piccolo inchino appena varcato l'ingresso e mi diressi direttamente alla statua del Buddha che si trovava invece alla mia sinistra. 

In un luogo di preghiera non si passa dal centro, almeno se non si sta celebrando una funzione, perché di fronte allo spirito che lì è venerato nessun ospite è così importante, si percorre invece il perimetro. Non si saluta nessuno in particolare entrando, si fa un cenno educato con la testa se ci sono altri, ma prima si prega e dopo vengono le persone. Lo spirito è come la luce, non si vede ma fa vedere dunque è per questo motivo che bisogna rispettare questa priorità. 

E' una questione di umiltà e sensibilità. Lo scrivo solo a titolo informativo. In ogni caso io così feci. 

Non sono buddista, sebbene trovo interessante la filosofia di quella che erroneamente è considerata una religione, però un mio amico lo è, e doveva subire un'operazione al cuore in Italia. Ero preoccupato per la sua salute.

Pregai il Buddha per lui. 

Conosco il modo di inchinarmi e battere le mani, insomma come si fa, praticai in quel modo non per piaggeria, ma per rispetto degli usi e costumi di dove mi trovavo. Mi informo sempre per cercare di evitare brutte figure e nel caso non ho informazioni guardo gli altri come fanno.

Invece di andarmene dopo la preghiera, però mi sedetti su uno sgabello, vicino a quel vecchio monaco che registrava un discorso al cellulare, un modello di telefono vecchio quasi come lui. Incideva una sorta di sermone in quella lingua incomprensibile qual'è per me il malese. 

Registrava brevi frasi, poi taceva, poi ancora registrava. 

Stavo seduto, paziente, non lo guardavo, perché non volevo scocciarlo con la mia presenza, diciamo che mantenevo una distanza che ritenevo opportuna. 

Mi sentivo bene in quel posto, molto a mio agio e così avevo colto l'occasione per fare una piccola pausa dal mondo. Della ragazza che mi aspettava fuori me ne ero completamente dimenticato.

Dopo una buona mezz'ora (dovevo essere proprio in pace quel giorno) mi alzai per andarmene, ma il monaco mi fece cenno di avvicinarmi. 

Mi sedetti sui talloni come si usa e dopo una breve intonazione mi segnò la fronte con un impasto rossiccio e mi mise al polso sinistro un braccialetto rosso anch'esso ma con  cinque palline bianche. 

Lo ringraziai con un un sentito inchino e me ne andai. 

Pensai: Che bello! Che fortuna questo tempio della Fortuna.

Appena uscito mi si ruppe l'infradito. 

Lungo la strada per tornare in città, insieme alla mia amica incappammo in un temporale equatoriale che pareva rivaleggiare con il Diluvio universale. 

Parcheggiai il motorino a lato della carreggiata e trovammo riparo sotto una tettoia, ma ormai eravamo entrambi fradici. C'erano diversi malesi, sorpresi anche loro dall'acquazzone e per quasi due ore aspettammo tutti insieme, vicini come in un ascensore che spiovesse. Grandi gocce di pioggia filtravano dal tetto di quella pensilina sgangherata e l'acqua a terra scorreva come un fiume del colore del Thé al latte arrivando oltre le caviglie. Di colpo il caldo opprimente si era trasformato in un freddo cane. 

Ovviamente il concetto buddista di fortuna è un po' diverso da quello occidentale. 

Mi giunse in quel frangente una piccola ispirazione e scrissi una poesia nella pioggia. Oggi che splende il sole l'ho ricordata.

"L'Inferno dei desideri è il medesimo del Paradiso dei non-desideri. 

Giunto alla fine della volizione dell'ego, solo la compassione illumina di vita. 

E' la carezza, all'anziana stanca, seduta a lato della strada nascosta che scalda il cuore del Bodhisattva"

Non c'è altro.  

lunedì 22 giugno 2020

Per chi suona la campana?

C'è una interessante teoria pubblicata circa vent'anni fa su diverse riviste scientifiche e in un libro ancora reperibile dal titolo: "La curva a campana" -Bell Curve- che ha studiato il Q.I. (Quoziente Intellettivo) umano e il suo decorso nella storia. Questa ricerca ha generato grandi polemiche.
L'autrice, sostiene che l'andamento dell'intelligenza media nel tempo può essere descritto da una funzione, il cui punto apicale fu nel Rinascimento italiano, dove vi furono un gran numero di geni concentrati in poche regioni italiche e in poco più di due/tre secoli. In quel punto si trova il vertice di questa funzione Gaussiana che la descrive, nella rappresentazione delle variabili casuali a valori reali che tendono a concentrarsi attorno a un singolo valore medio, il cui grafico di densità e di probabilità associata è simmetrico ed ha una forma che assomiglia a una campana appunto.
Il Rinascimento italiano fu un vero boom demografico di cervelloni che alzarono la media dell'intelligenza nel mondo.
Oggigiorno vivremmo, secondo questa teoria, nel punto più basso di questa curva d'intelligenza media. Nel parto continuo delle mamme dei cretini.
Mi domando quando mai avrebbe potuto riscuotere successo una pubblicazione scientifica del genere se non avesse avuto un minimo di fondamento?
Mi pare evidente che non poteva che raccogliere critiche.
Vi è correlato uno studio comparato tra intelligenza ed etnie che ha sollevato ancora più polemiche, perché considerato discriminatorio, nonostante i dati siano stati raccolti correttamente.
Se l'autrice fosse stata anche un avvocato credo che gli avrebbero conferito il premio di donna più odiata del mondo.
Molti sociologi, antropologi e studiosi, hanno infatti contestato i parametri di valutazione utilizzati e invalidato i risultati ottenuti.
Nel libro risulta che le popolazioni negroidi sono all'ultimo posto della classifica stilata dello sviluppo medio del QI con circa 70/75 punti (poco sotto il limite di un essere umano per essere considerato normale) per giungere a 80 punti nelle popolazioni asiatiche e 90/100 in quelle caucasiche, il primato va agli ebrei Chassidici Ashkenaziti con 110.
Ci sono etnie come quella Indiana che presentano particolari abilità matematiche, ma hanno altre forti carenze. Ovviamente è stata considerata una teoria se non proprio razzista, discriminatoria e di parte. Molto contestata nell'ambiente accademico se non addirittura sconfessata, al limite del linciaggio mediatico.
Di fatto sembrerebbe invece ragionevole domandarsi, ma non è ammissibile farlo, e solo per fare un esempio -come mai in Africa si trasporta ancora l'acqua in recipienti sulla testa come migliaia di anni fa (le donne sono deputate a questo lavoro) mentre nell'antica Roma già 2.000 anni or sono si costruivano acquedotti che funzionano ancora oggi?- Questo tipo di domande sono considerate tendenziose e non si possono porre, per motivi di opportunità e di cosiddetto rispetto delle diverse culture che sviluppano l'intelligenza secondo parametri molto diversi e non sono quantificabili, quest'ultima è l'obiezione che viene sostenuta più largamente.
Non è certamente sbagliata questa contro-tesi, in effetti il cosiddetto progresso del mondo civilizzato è spesato con un'ansia profonda di chi lo vive e lo sostiene. La crescita materiale e le performance richieste dal mondo industriale, forse non sarebbero così sviluppate se le persone fossero più tranquille e sane psichicamente, meno dominate dalla mania del controllo, dal desiderio smodato di accumulo spesso ben oltre le oggettive necessità.
Bisogna domandarsi: -Lo sviluppo scientifico e la tecnologia hanno un valore positivo?- E' una domanda la cui risposta non è così scontata, perché le valutazioni sono sempre funzionali alla classifica di priorità che sono considerate.
Nel mondo umano spessissimo è considerato buono ciò che è utile, utile ciò che ci fa vivere comodi, di valore tutto ciò che può essere comprato e venduto. I limiti di tale filosofia si evidenziano da soli nella realtà di ogni giorno.
Lo sviluppo della tecnologia dunque non può costituire l'unica discriminante nel computo dell'intelligenza, ma obbiettivamente saremmo ancora nelle capanne a cantare intorno al fuoco con un'aspettativa di vita di venticinque anni se non ci fosse.
Cosa ci distingue dall'uomo delle caverne? Senza tecnologia vivremmo ancora come lui e probabilmente saremmo uguali a quel cavernicolo.
Non è assolutamente facile esprime un giudizio in tal senso e ancora più difficile valutare l'intelligenza, cui per altro la definizione esaustiva di cosa sia, non è stata ancora data.
Fino a trent'anni fa era -La capacità di risolvere un problema- oggi è invece considerata riduttiva questa definizione, perché prende in considerazione principalmente le facoltà logico/matematiche e l'onnipotenza semantica o per meglio dire la plurifunzionalità del linguaggio come valori predominanti rispetto ad altre capacità intellettive e pratiche. Inoltre i test per quantificarla sono creati da studiosi con un "certo tipo di logica" che ha familiarità cioè con concetti che altre culture non padroneggiano, oppure non ritengono utili usandone altri. Questo con molta probabilità falsa una seppur difficilissima valutazione.
Insomma, è un ginepraio quando si quantifica l'intelligenza in una persona che rischia sempre di offendersi (se il suo punteggio è basso, altrimenti se è buono non ha nulla da obiettare a riguardo del metodo di valutazione) mentre la difficoltà aumenta esponenzialmente quando questa quantificazione si vuole estendere a una popolazione.
Nel mio caso sono "fortunato" e non ho particolari problemi a riguardo, visto che il mio punteggio è di 140 punti, utilizzando un sistema standard, ma se tanto per dire, fosse di 65 forse diventerebbe un fattore mortificante e potrebbe creare non solo pregiudizio, ma anche un disagio psicologico e imbarazzo nel condividere il risultato di un test del genere con altre persone, tanto è stretta l'identificazione tra un soggetto e il suo apparato cognitivo.
Accettiamo più facilmente una malattia fisica o una menomazione funzionale, rispetto a una malattia psichica o un ritardo mentale. Ci riconosciamo più fortemente nella mente che nel corpo.
Sembra che per ognuno sia più prezioso il modo con cui indaga il mondo, piuttosto che il corpo con cui fa esperienza di questo mondo.
Il quesito che mi pongo è "Sarei ugualmente un uomo intelligente se vivessi in un altro contesto?" La mia esperienza personale, quando è giunta a contatto con popolazioni diverse rispetto agli standard della civilizzazione, mi ha fornito una risposta negativa. L'intelligenza che mi serviva in un contesto selvaggio non era quella cui ero abituato ad attribuirmi né a usare.
Ho notato inoltre che la cosiddetta intelligenza che talvolta riconosco in me stesso all'interno della nostra società, non è sempre funzionante, ma intermittente. Mi capita così in alcune occasioni di fare colossali figure di merda, mentre in altri momenti ne esco come un gigante.
E' dunque un terreno assai scivoloso quello su cui sviluppo questo discorso.
In sostanza il mio QI non è un gran punteggio, visto che la genialità si attesta tra i 160 e i 180 punti, ma anche la valutazione della genialità è un valore relativo.
E' un genio la persona che sviluppa una nuova teoria quantistica, oppure quello che vive godendosi la vita con pienezza e gioia? E' un interrogativo ragionevole da porsi visto che la maggior parte dei cosiddetti geni hanno sempre fatto un vita grama, piena di frustrazioni e ansie.
Onestamente non riesco a rispondere a una tale domanda.
Paradossalmente l'uomo più intelligente al mondo è una donna (IQ 203), europea, caucasica, che fa per la maggior parte del suo tempo la casalinga e scrive libri per bambini. Non ha conoscenze scientifiche e con tutta questa intelligenza a disposizione non ha mai realizzato un'applicazione eclatante o fatto una scoperta significativa.
Dunque, è sempre meglio evitare questo tipo di discorsi e valutazioni. Una valutazione diventa ancora più foriera di critiche, quando si argomentano diversità di genere per etnie o per tipi di popolazione.
Non è chiaro se è ipocrita non ammettere delle diversità oggettive tra i popoli e tra i singoli, oppure è giusto non esprimere valori che non possono essere considerati in maniera assoluta, ma solo relativa.
La comprensione però avviene per divisione e poi c'è una valutazione cioè per capire qualsiasi cosa dobbiamo separarla da altro che non sia quella cosa.
Si comprende che esiste un genere femminile, perché esiste anche quello maschile ed essi si evidenziano per caratteristiche peculiari. La luce dal buio. Il comodo dal disagio. Rinunciare alla dialettica nella ricerca della verità, priva l'essere umano di un formidabile strumento.
Se non è possibile evidenziarci in gruppi e suddividerci per caratteristiche come ci potremo comprende in ambito sociale?
Questo è un problema che si infrange con le attuali regole che non permettono di evidenziare le differenze tra le persone.
Un modo che la società adotta per evitare i pregiudizi o se non altro per contenere la violenza insita in questo atteggiamento prevaricatore, ma che non fa affidamento sul vero e dunque anche se per giustificati motivi risulta essere una mistificazione. Il risultato di questo maldestro tentativo di farci tutti "copie della medesima stampa" non sortisce grandi effetti benefici, visto che la nostra società in realtà è fatta di divisioni che, a parte il divieto di parlarne, non sono effettivamente risolte, e forse proprio perché non se ne parla con franchezza.
Un altro esempio di questa difficoltà di processare dei dati in un'obiettiva ricerca in campo antropologico è la definizione di "razza"; Oggigiorno non è più consentito usare questo termine riferendosi all'uomo (si usa solo per gli animali allevati come se l'essere umano non fosse anch'esso un animale allevato) sostenendo che in campo umano tale classificazione è priva di fondamento scientifico, però tale definizione si applica come tutti sappiamo, quando vi è diversità di DNA, ovvero se il DNA è diverso in due esseri viventi della medesima specie cioè con caratteristiche simili ma alcuni caratteri esteriori trasmissibili diversi, allora si hanno due "razze" diverse, almeno questa è la definizione corrente.
Ma negli esseri umani il genoma risulta essere diverso, non uguale, non omogeneo, benché si sostenga che non esistono razze diverse, ma etnie che a parte la parola, il significato a me sembra molto simile. Appare così una contraddizione, perché esistono a livello genetico umano delle diversità importanti, per esempio nelle popolazioni africane (non arabe) e nei Berberi dell'Atlante non sono presenti i geni Neanderthaliani, riscontrabili sino al 3% in tutti i caucasici per giungere con proporzione variabile dal 1% al 1.5% nell'etnia asiatica, dove si ha una commistione di altri geni detti Desinoviani (dell'uomo di Desinova, un sapiens arcaico presente nel sud est asiatico oggi estinto, ma contemporaneo dell'uomo di Neanderthal) La percentuale di questi geni Desinoviani giunge sino al 6% nel DNA della popolazione malese, e come già detto sono del tutto assenti negli altri popoli non asiatici.
Caso a parte sono le popolazioni aborigene Australi e gli Indio amazzonici, ma visto la minaccia incombente su di loro di estinzione, presumo e con dispiacere che non rientreranno a breve nelle popolazioni esperibili per una valutazione più ampia dell'umanità come specie.
Dunque tali ibridazioni ci distinguono, facendoci geneticamente diversi, ma non è possibile suddividerci per razze, e questo è un po' un paradosso, per non dire una negazione della realtà, almeno se ciò è fatto solo per ragioni politiche. Se invece è un problema di definizione, bisogna considerare che ogni definizione è comunque un arbitrio. Anche il linguaggio è arbitrario, eppure funziona per comunicare cose reali. Anche i soldi sono un valore arbitrario, perché non si possono mangiare e materialmente servirebbero al massimo per alimentare un fuoco da campeggio, eppure nel mondo civile hanno un peso fondamentale. Questo per dire che non sempre un valore arbitrario è sbagliato, è aleatorio ma a volte pare addirittura necessario, sempre parlando per il genere umano, perché è l'unico "animale" che considera "reali" le convenzioni condivise e i valori arbitrari.
Una risposta a questo ragionamento che sembra non averne è, secondo la mia opinione forse un po' semplicistica, nel non utilizzare la diversità come una discriminante; Questo eviterebbe il rischio di ripercorre gli errori passati come ad esempio quei milioni di morti finiti nelle camere a gas che insomma non è che ci nobilitano molto come esseri umani.
Mi sembra più onesto considerare che sebbene in realtà siamo diversi, non necessariamente ci deve essere qualcuno in cima a questa differenziazione che fa la pipì in testa agli altri. La vera domanda però è un'altra.
Può l'Uomo mostrarsi sinceramente nudo senza fare a gara nel misurarsi il pisello con il suo vicino?
E' una risposta che sospendo, non per timore di sembrare supponente, ma perché credo che ognuno conosca già la risposta senza bisogno del mio suggerimento.
E questo è quanto.
A me piace pensare, come scrisse una famosa poetessa, che "Siamo tutti diversi come due gocce d'acqua".

Miseria che "pippone" di post.

lunedì 15 giugno 2020

Black & White

Nell'essere umano è un dato antropologico accertato la paura del "diverso" inteso come persona al di fuori del proprio genere abituale.
E' qualcosa di connaturato, atavico, inestirpabile, forse ancestrale, perché legato alla sopravvivenza del singolo e del proprio gruppo.
E' istintivo nell'uomo identificarsi con la propria tribù, nazione, razza e difenderla da altre che considera con sospetto.
Non è solo pregiudizio c'è anche una ragione oggettiva che lo porta a vedere tutto ciò come una minaccia.
Quando qualcosa non si capisce è perché non lo si riconosce in se stessi.
I problemi di convivenza cui assistiamo spesso oggi, sono espressione di questo dato scientifico che è contestato dalla politica e dai media per motivi che sospetto non siano certo umanitari.
Se una persona non vuole proprio ignorare 5.000 anni di storia, dovrebbe domandarsi perché ci sono state centinaia di migliaia di guerre per costruire degli Stati omogenei per etnia e religione.
Non è un caso, ma una necessità per evitare i conflitti, almeno per ridurli. Perché senza litigare l'essere umano pare non possa stare.
Perfino in Svizzera dove sono quasi tutti abbienti (apparecchiati come si dice in modo gergale) e abbastanza civili hanno una divisione in Cantoni su base linguistica e religiosa, i valdesi da una parte, i luterani dall'altra, i cattolici da un'altra ancora.
Tre lingue diverse, francese, tedesco e italiano, ma che non mischiano, magari inventando una lingua svizzera.
Non è che sono proprio montanari e secessionisti, semplicemente vogliono stare in pace e non lo potrebbero essere se vivessero tutti assieme; Dovrebbero necessariamente uniformarsi.
Anche in una nazione ricca, prospera e senza grossi problemi sociali, la pace tra le persone è mantenuta grazie alla separazione. Cittadini sebbene simili hanno comunque delle differenze che non possono essere trascurate.
Così stanno vicini, ma divisi cioè il motto elvetico sembra essere: "Ognuno a casa propria" per usare un'espressione un po' qualunquista.
Le nazioni dove questi requisiti non sono rispettati (popolazione, cultura e religione omogenea) sono tutti afflitti da orribili guerre e disagi.
Perfino gli Stati Uniti che si presenta al mondo come uno stato leader sotto ogni profilo, la qualità di vita è bassa. Ci sono ghetti ovunque e la popolazione carceraria è la più alta (in percentuale per numero di abitanti) del mondo, contendendo il primato al Brasile, un altro paese multietnico. Anche a Singapore, stato indipendente dell'Indonesia, perla asiatica e miscellanea di etnie e religioni, ogni tanto scoppia qualche rivolta violenta nonostante non si possa considerare un paese povero.
Perfino la "spirituale" India ha dovuto dividersi e creare il nuovo stato del Pakistan (con cui però è tutt'ora in conflitto) altrimenti rischiava una guerra civile di proporzioni colossali.
Dei 24 conflitti armati attualmente in essere al mondo il 95% è afflitto da queste cause scatenanti.
Tutti i paesi con percentuali sensibili di diversità etnico-religiosa non sono prosperi né sicuri, insomma non sono paesi in cui valga la pena vivere, almeno secondo i miei personali canoni del buon vivere.
La cosiddetta integrazione di popoli diversi, perfino con religioni diverse, coabitanti nel medesimo territorio è contro l'esperienza storica e la natura biologica dell'essere umano.
Non è bello dirlo, ma la realtà dei fatti raramente è popolare.
Vivere tutti insieme "appassionatamente" è principalmente un bel sogno che però si trasforma presto in un incubo.
Una struttura sociale mista come ipotizzato dai fautori della commistione dei popoli, presentata come una sorta di nuovo Eldorado, dove tutti si vogliono bene, si abbracciano, si baciano e si salutano con larghi sorrisi come in una stazione ferroviaria, non sta in piedi e forse mai sarà possibile che ci stia, perché risulta essere una contraddizione rispetto alla natura umana e alla struttura sociale che è creata da questa natura, se fosse stato possibile sarebbe già stato realizzato da millenni.
Basta ricordare cosa è accaduto solo poco tempo fa, nella ex Jugoslavia a pochi chilometri dal nostro paese per comprendere come la coabitazione di realtà sociali e religiose diverse sia sempre una bomba in attesa di una buona occasione per detonare.
Inoltre, mi fanno un po' ridere quelli che parlano come fosse vero di religioni "moderate", quando nessuna religione può esserlo, perché ogni religione si basa sul dogma, sull'assunto che sia vera specialmente in riferimento alle altre e non sulla logica e la coerenza, non su dati oggettivi che si possono moderare e cambiare integrandoli con nuove esperienze.
Il Dogma è per sua natura, incontestabile, oltre che essere una verità intangibile e spesso intellegibile. Ugualmente lo è per la religione che è la sua espressione.
Le religioni non potranno mai mitigare i peggiori istinti umani, anzi potranno solo inasprirli, perché la comunicazione che è la base della relazione umana e il contraddittorio che porta a una pacifica soluzione di opinioni diverse, in campo religioso non è ammesso.
Quindi il dialogo non può avvenire tra religioni se non in forma superficiale e ipocrita.
Alcune forme di pregiudizio sono odiose, determinate da cattiveria e razzismo, ma anche conseguenti a situazioni a rischio che se evitate non porterebbero a comportamenti aberrati, anche nei popoli più concilianti.
Infatti, bisogna comprendere che non ci può essere mediazione tra etnie e religioni diverse, in quanto un'eventuale mediazione inevitabilmente andrebbe a snaturare proprio quell'identità etnica, culturale e religiosa che si vuole mettere a contatto con le altre e contraddittoriamente si vuole preservare.
Sono strutture rigide, una durezza inversamente proporzionale all'intelligenza, all'istruzione e al buon senso dei suoi membri che se sviluppassero queste qualità, ovviamente, non avrebbero bisogno di regole arbitrarie quali religione, consuetudini e usanze il più delle volte anacronistiche, ma solo poche norme pratiche di convivenza che renderebbero la vita migliore a tutti.
Conseguentemente alla vicinanza, con l'umanità che ora abbiamo a disposizione, si creerà invece il conflitto per avere una supremazia che è insita in ogni religione, in ogni gruppo, in ogni etica sociale.
Queste strutture aggregative e ideologiche non possono ammettere come vero un'altro "Credo", perché equivarrebbe a dichiarare che il proprio "sistema" vale quanto quello di un altro; In particolare per la sopravvivenza di una religione è necessario sostenere che tutte le altre sono sbagliate. Diciamo con una nota di humour che sono tutte sbagliate, tranne quella che vincerà questo conflitto.
Quindi i pretendenti alla "verità" preferiscono sempre eliminare chi gli contende tale primato, ergendosi sopra la catasta di cadaveri di quelli che dissentivano. Infatti secondo questi psicopatici, Dio è sempre dalla parte del vincitore, tesi peraltro sostenuta con uguali ragioni e fanatismo dagli oppositori defunti.
Così si è sempre fatto e si continua a fare.
ll pluralismo in campo umano per ora è solo una mimetizzazione ben riuscita che prepara un'azione militare ancora da compiersi.
Abbiamo così una profonda contraddizione insanabile, direi strutturale.
Ciò non significa assolutamente che un singolo possa essere attratto da una cultura diversa, oppure abbia piacere a vivere a contatto con persone di etnia diversa dalla sua, oppure ami usi e costumi esotici, questa però è una scelta personale, soggettiva, non generale.
Non bisogna in campo sociale fare quello che chiamo "l'errore del turista" che a differenza del viaggiatore: vede tutto il mondo guardando sempre uno specchio. Questo per significare, a chi non è avvezzo alle metafore, che se una cosa piace non bisogna imporla anche agli altri, vedendo ogni cosa come riflesso della propria persona. Inoltre non si comprende come mai su un tema così delicato e che influenza fortemente la società e spesso anche la sua sicurezza non si chiede ai cittadini con un referendum cosa ne pensino. Le decisioni in questo campo le prende il Governo senza però assicurarsi, prima di emanare leggi, quale sia il pensiero della maggioranza degli elettori.
Lo Stato non è un ente filantropico ma un amministratore, sostenuto dai cittadini e per questo motivo dovrebbe garantire ad ognuno gli interessi e la sicurezza; Questo è il suo compito.
Su un piano più esteso, purtroppo vigono le regole esposte, almeno nei fatti.
Basta osservare l'urbanizzazione delle grandi città, sia italiane che estere.
Com'è acclarato, l'architettura è l'espressione materiale della cultura di un popolo, ma la distribuzione demografica è la parte visibile delle scelte di una popolazione.
Perché ognuno vive nel posto che gli piace e gli è comodo.
Si osserva che le varie etnie immigrate in un paese si dispongono principalmente in enclave separate dalla popolazione autoctona. Come mai?
Anche chi emigra in realtà non si mischia, quindi di quale integrazione si parla?
Questa separazione abitativa etnica è visibile in tutte le città del mondo.
Un dato sotto gli occhi di tutti eppure trascurato o minimizzato.
Alcuni esempi curiosi che mi fanno sorridere sono Chinatown a New York in cui non si parla "cinese" cioè mandarino, ma cantonese (gli unici che non se ne accorgono sono gli americani). Miami, in Florida il cui idioma usato è lo spagnolo, ma tutto è scritto in -English American-.
Esempi di carattere più generale di curiose contraddizioni si trovano anche In Birmania dove il posto di guida dei veicoli è all'inglese, ma la "mano da tenere" della circolazione è quella europea, e la cosa ancora più strana che sebbene dovrebbe essere scomodo e pericoloso, la circolazione è sicura e fluida, almeno nella capitale ora Yangoon (perché il nome è cambiato spesso in base a divinazioni astrologiche), città meravigliosa per monumenti e popolazione, con marciapiedi altri oltre un metro (particolarmente a Downtown) dove per altro sono proibite in tutta la città le motociclette e i ciclomotori. Sono affascinato dalla domanda: "Qual'è il senso di caratteristiche così uniche e contraddittorie?" L'accantono nell'immenso magazzino delle domande senza risposta (e senza senso) che ho affittato da diversi secoli.
In Iran, dove usualmente si crede che la religione autoctona sia l'islam e invece è il Zorastrianesimo detto anche Mazdeismo, ma da non confondersi con il più noto Mazdakismo. Se si considera che, nonostante molti li confondono, gli iraniani non sono arabi, si potrebbe spiegare così come la lingua persiana antica è in realtà una lingua indoeuropea come le nostra.
Vi è una interessante similitudine con le lingue occidentali, perché si scrive da sinistra a destra, mente l'arabo è scritto in senso opposto; Ha inoltre 36 segni comprendenti anche otto fonemi nel suo alfabeto. Discende dall'avestico, una lingua religiosa con commistioni di lingua medea, dello Zoroastrianesimo che fonda la religione nel libro sacro "Avesta" già prima della religione ebraica, cristiana e islamica.
L'ebraismo, primo in ordine cronologico delle cosiddette religioni monoteiste fondate sul "Libro" trova probabile origine e connessione, grazie al dzhidi un antico dialetto ebraico-persiano che ne comprova il contatto stretto.
Anche il tagico (che non è un errore di battitura di "tragico" ) parla pharsi commisto a influenze di ukbeco e turkmeno, ma scitto in cirillico. Comunemente parlato in Kirghizistan, Kazakistan, Afghanistan e in altri paesi noti al turismo.
E' curioso inoltre che si usavano nel persiano antico le sillabe e i fonemi predetti per creare i numeri.
In merito poi all'origine delle religioni precitate cioè quelle che si fondano su un libro o su libri sacri, non sono certo, ma propenso a considerare che la sua origine possa ubicarsi nell'area mesopotamica e successivamente, e più fortemente, nella storia dell'antico Egitto, in particolare riferimento alla struttura monoteista di queste religioni cui fanno seguito a quella instaurata dal faraone Akenathon e probabilmente adottata dall'etnia ebraica, poi transfuga per ragioni di stabilità politica dall'antico Egitto. La religione monoteista di Athon, il Dio Sole, promossa dal cosidetto "faraone eretico" Amenophis IV si estese sino all'antica Roma con Elio (Elios) Gabalo e poi Adriano nel culto del "Sole invictus" ma con scarsa fortuna, visto l'avvento del cristianesimo il cui successo fu probabilmente dovuto al sostegno dei poveri che in quel culto erano presentati come protagonisti unitamente alla promessa della resurrezione che allora era intesa in senso letterale cioè rinascita vincitrice della morte. E siccome i poveri sono tanti, la sua espansione fu garantita. E' curioso inoltre che le tribù semite giunsero in Egitto dalla Siria sin dai tempi del Medio Regno, e forse arrivarono da ancora più lontano: dalla Mesopotamia stessa.
Mi sono poi sempre domandato che fine abbiano fatto gli antichi egizi?
Almeno dopo la relativamente recente espansione araba mussulmana. Gli antichi egizi sono completamente scomparsi, mentre i loro precedenti schiavi ebrei sono ancora ben connotati e presenti.
Chiedo scusa di questo inciso, non pertinente e assolutamente fuori luogo. Solamente indulgo nella più pirotecnica aneddotica per scoraggiare chiunque possa prendermi sul serio.

Dunque: l'essere umano cerca istintivamente il suo simile, riconoscendolo come migliore, questa è la sua realtà.
Personalmente non condivido questa valutazione di merito, in meglio o peggio, parlo di come funzioniamo e forse, grazie a una comprensione più profonda di tale meccanismo sarà possibile vedere il risultato che ne consegue. Ci sono molti modi di vivere e tutti hanno pro e contro, ma di certo non è possibile aggregarli insieme a meno che non si stravolga la loro natura.
Lo ribadisco senza alcuna discriminazione, il rifiuto del diverso, a parte qualche piccolo caso pittoresco che è sopportato solo per divertimento, è una tendenza generale. E' presente in ogni etnia e non solo in quella caucasica, è un comportamento di massa cui però bisogna fare inevitabilmente i conti, anche se spesso questa diffidenza è nascosta dall'ipocrisia.
Questa integrazione impossibile si applica anche ai sistemi politici.
Prendendo a esempio la Democrazia e la Teocrazia, che molti considerano sistemi conciliabili. A un'analisi più attenta si noterà invece che non possono coesistere, perché sono strutture antitetiche e questo conflitto sociale annunciato risulterà ancora più evidente e rapido se ai popoli si mischieranno anche religioni e sistemi politici.
Tanto per fare un esempio attuale, l'integrazione tra uno Stato democratico e l'Islam, oppure qualsiasi altra religione che si ponga al di sopra delle leggi della società democratica che la ospita, è inconciliabile con la democrazia stessa che è invece espressione di tali norme.
Il cosiddetto stato di diritto non può integrarsi con uno stato religioso.
Nella democrazia le norme legislative sono promulgate dal Parlamento eletto dal popolo; Nella Teocrazia esiste il precetto religioso predominante su qualsiasi legge, su qualsiasi volontà umana, su ogni rivendicazione del popolo che si discosti dall'ordine immutabile di cui la religione è espressione. In un contesto sacro è Dio che stabilisce cosa fare e cosa non fare. E ovviamente, visto che la divinità non parla tranne che ai profeti, bisognerà fare come è scritto o come è detto da questi messia. Di fatto è una dittatura.
Mentre la volontà politica in uno stato democratico sorge dal basso cioè dal popolo, in una teocrazia il percorso è diametralmente opposto, perché la volontà Divina giunge dall'alto.
E' evidente che pervenendo da punti opposti lungo la medesima via di percorrenza non possono che scontrarsi.
Se per qualche ragione, infatti, le norme dei due diversi sistemi (Democratico e Teocratico) non coincidono, ed è quasi sempre così, qualcuno mi dovrà spiegare come faranno ad andare d'accordo.
E' evidente che non potranno coesistere pacificamente. Uno dei due dovrà avere l'ultima parola a scapito dell'altro. Quindi ancora conflitto.
Sarebbe ragionevole tenerli separati alla maniera di due pit-bull che si contendono il medesimo osso, ma parlare di ragionevolezza in un contesto umano è utopico.
Sebbene semplice, questo discorso purtroppo pare incomprensibile a molte persone. In generale la gente parla di un mondo che non capisce e soprattutto che non vuole indagare oltre i facili schemi emotivi; Liquidano queste argomentazioni come razzismo, quando in realtà è solo pragmatismo.
E' uno schema cognitivo che ho visto migliaia di volte nell'essere umano, quando non capisce...allora giudica.
Mi sembra proprio un cretino quest'uomo, quando si comporta così e invece e molto peggio. Ha sicuramente intelligenza, ma principalmente volta a fregare il suo prossimo.
Un'astuzia quasi mefistofelica nel creare armi e occasioni di usarle. Se l'essere umano utilizzasse le risorse investendole nello sviluppo di una ricchezza condivisa, e lo dico giusto per fare due passi nei luoghi comuni, e incrementasse la crescita delle sue potenzialità, questo mondo sarebbe un piccolo Paradiso, ma sicuramente meno affollato e inquinato.
Perché all'umanità piace far vedere che è buona, probabilmente per un senso di colpa dovuto all'ipocrisia con cui maschera i propri disagi. Salvo poi, massacrarsi quando le cose cominciano ad andare a puttane cioè quando "i nodi vengono al pettine" a causa di questa "bontà" che dal mio modesto punto di vista trovo deleteria più della malvagità consapevole. Un esempio noto è l'evangelizzazione delle Americhe che è stato un vero genocidio con la distruzione culturale mesoamericana, una spienza così ricca e profonda, è purtroppo andata quasi completamente perduta; In nome di ottime ideali, certamente, ma i risultati?
Questo per meglio significare che il "modo umano" ha un difetto integrato nel suo psichismo, quando vede qualcosa in realtà non lo vede se non attraverso i desideri, le convinzioni e i bisogni emotivi. Non analizza i fatti, perché mette sempre davanti alla sua analisi quella variabile chiamata "Io" che distorce la poca obiettività di cui è dotato.
Il mio ragionare è invece talmente semplice che non lo capisce nessuno.
Infatti io non "credo" a nulla, e non mi permetto di aderire a nessuna credenza, per quanto appaiano alcune mie affermazioni estremamente colorate di una "spiritualità naif" mi fondo invece solo sulla mia personale esperienza. Ttutto il resto cioè un enorme costrutto di forse, lo considero alla meglio una superstizione, semmai da verificare con attenzione e riabilitare a status di fatto oggettivo nel caso si realizzasse come vera.
Questo strano bipede in cui mi sono dovuto incarnare così tante volte e per ragioni che non intendo spiegare, è un vero miracolo della fortuna.; A volte non posso credere ai miei occhi che non si sia già estinto.
A parte le mie considerazioni personali e il mio atipico humour nero tinto di strampalato misticismo, proverò a spiegarmi in maniera diversa.
Forse questo ragionamento è troppo articolato per essere inteso, basterà allora osservare come perfino in una struttura semplice come la famiglia, quando i valori e gli usi non sono accettati da uno dei suoi membri, questo "familiare non omologato" è alla fine allontanato, altrimenti genererà continui conflitti e problemi. L'ostracismo è considerato una pratica crudele, ma spesso risparmia crudeltà ancora peggiori.
Si può immaginare un problema di questo genere quanto si amplifica in una società di estranei, diversi per colore della pelle, tradizioni, religione e che insomma...Hanno a disposizione anche un'istruzione un po' carente.
La soluzione proposta dai fautori di questo esperimento sociale, mai riuscito prima nella storia umana, cioè l'integrazione di problemi inconciliabili è semplicemente nell'affermare: "non è giusto" oppure "dovete andare d'accordo".
Resto basito dalla genialità di questi benefattori dell'umanità che con un paio di enunciati morali pretendono di riempire la pancia alle persone e disinnescare una polveriera di rancori che non si placano da centinaia d'anni, usando delle semplici esortazioni.
Non è proprio credibile, perché una struttura sociale non funziona con gli slogan, ma con le regole condivise, se non sono condivise, beh! La società semplicemente si spezza. Non è un problema morale oppure di pazienza e sopportazione.
Così come "quando piove le strade si bagnano", si arriverà a un contrasto per decidere quale modello sarà condiviso da tutti, e quale invece dovrà soccombere.
Peccato che la "diversità" tanto difesa dai "Promoter" di questa filantropia di plastica che porta invece ai conflitti, si perderanno nell'omologazione postbellica e non si conserveranno nella loro specificità.
E questo è certamente una perdita di ricchezza nella vita umana che si fonda proprio su tale diversità, perché più adattiva. Apparentemente sembra che mischiare modi di vivere diversi sia espressione di pluralismo, quando in realtà l'effetto ottenuto sarà l'omologazione dopo l'inevitabile conflitto.
Ciò è accaduto nella storia del mondo tantissime volte.
Ovviamente pagato dalle solite cataste di morti ammazzati di cui ho perso il conto.
Pare pratico eliminare i testimoni di tali errori, visto che i morti non possono più parlare, allora si dimenticano in fretta gli sbagli.
Personalmente non ho molto ottimismo e fiducia nella maturità dell'umanità (credo si sia un po' capito) da aspettarmi un risultato diverso, rispetto a quello già visto in passato.
Perché dovrebbe cambiare il risultato visto che le persone sono sempre le stesse?
E' un chiaro sintomo di follia sperare in un effetto diverso, avendo le medesime condizioni di causa.
Nessuno, ahimè, investe nelle persone, nel loro sviluppo, come potrebbe l'umanità essere migliore?
Solo le idee, si dice, possono durare nel tempo, le persone hanno una scadenza breve. Questa è venduto come il pensiero ispiratore della politica, peccato che le idee e le filosofie quando sono in essere assumono la grandezza delle persone che le realizzano e non viceversa. Questo per dire che grandi idee non entrano in piccoli uomini.
Usando un ulteriore metafora per descrivere l'investimento necessario sugli umani, direi che sebbene di qualità, un vino non può essere contenuto in uno scolapasta, ma deve avere almeno una bottiglia per raccogliersi. E' necessario costruire un'integrità stabile nell'uomo affinché possa ricevere e contenere qualcosa di utile e duraturo.
Questa integrità si potrebbe formarne naturalmente, ma solo dopo aver liberato la mente dei soggetti dai cosiddetti "pensieri parassiti" contenuti nel linguaggio, ovvero quei pseudo sillogismi che stravolgono il ragionamento facendo considere vere cose che non lo sono.
Questi sono come virus contenuti però nel linguaggio che invalidano il ragionamento con una distorsione logica priva di coerenza.
Così come il mondo materiale è infestato da virus e batteri, anche il linguaggio umano, espressione del pensiero cioè della mente umana ha dei patogeni "linguistici".
E' un processo distruttivo molto sottile, subdolo direi cui bisogna rimediare con delle cure da adottare costantemente per non essere contagiati. Una forma di igiene da svolgere ripetutamente per contenere il rischio di infezione.
Esistono varie strategie e tecniche psichiche per "disinfettarsi", ma non è questa la sede per parlarne in dettaglio.
In generale posso dire che esserne immuni è impossibile in quanto anch'essi (virus linguistici) hanno una precisa funzione evolutiva. Cioè sebbene il mio discorso voglia evidenziare i rischi tra l'altro difficilmente comprensibili dalla maggioranza, é evidente per me che tali problemi sono funzionali al necessario cambio di stato della razza umana, trasformandola da soggetti con coscienza soggettiva in entità con coscienza collettiva. Tutto ciò è funzionale all'espansione della vita (informazione) oltre i ristetti limiti del pianeta, ma ovviamente il tipo di tecnologia che potrebbe consentire questa "espansione" ha insito anche grandissimi rischi di distruzione ed è il motivo della necessità di una coscienza diversa nella specie umana rispetto all'attuale.
Guardando ai problemi che ci attendono quelli enunciati anche se gravi sono piccoli.
E' dunque un primo conflitto annunciato che si va preparando particolarmente in Europa, anticipato da questo miscuglio di problemi diversi, venduti come soluzioni.
E' una fine annunciata del sistema occidentale, almeno come oggi è conosciuto e strutturato, grazie a questa opera di infezione linguistica mediatica che distorce la percezione delle reali criticità invalidando ogni stategia conservativa di questo momentaneo stato di pace.
Gli stessi "bisognosi" che provengono da paesi con culture, religione e filosofie diversissime, la cui espressione si evidenzia con le società diverse di provenienza, da cui per altro fuggono, ma che sono contraddittoriamente costretti a replicare all'interno di un'altra che invece li ospita, tutto ciò è espressione intrinseca del condizionamento culturale cui tutti siamo soggetti, in maniera più o meno consapevole, in questo stato di cose. Si dimostra a una visione disincantata che anche la "necessità" e una certa "solidarietà" umana è in realtà strumento per promuovere il conflitto.
In una visione più ampia è probabilmente necessario ad uno scopo più grande, rispetto alla mera supremazia di una religione o di un tipo di società com'è invece considerato banalmente dagli storici, ma di questi eventi al di là da venire non è il caso di parlarne, perché le profezie sono pagate male e non valgono il tempo di divulgarle. .
Il comportamento umano non è altro che la parte visibile di come pensa, e pensa in base a quello che desidera. Il linguaggio è la parte costitutiva della formazione di tale desiderio, qualunque esso sia, intendendo il linguaggio nella sua accezione più estese cioè: comunicazione. Lo sanno molto bene i pubblicitari e i politici, senza bisogno-desiderio l'uomo non si muove di un millimetro.
Nello specifico il comportamento umano è suggestionato dal linguaggio ed è paragonabile al comportamento di un virus.

Nella stessa maniera di un patogeno virale che entra in una cellula e replica il proprio RNA generando cellule diverse in conflitto con quelle autoctone, così i "pensieri parassiti" entrano nel processo logico attaccando il sistema immunitario dell'ospitante (coerenza di ragionamento) e inevitabilmente determinando una patologia (distorsione cognitiva, analfabetismo funzionale, stereotipi e superstizioni.) Questo per diversi motivi, a volte dolosi utilizzati nella manipolazione del pensiero di massa a volte insiti nella struttura stessa linguistica.
Una malattia che sarà combattuta altrimenti porterà alla morte.
Se morirà il virus, si avrà un miglior stato di salute (adattabilità) del soggetto, oppure ci sarà la morte dell'ospitante e del virus in ogni caso.
Poiché è insito "nell'intento" del virus l'imperativo di terminazione della propria esistenza, essendo non naturale cioè non in comunicazione con l'ambiente che lo circonda.
Per fare un esempio, è dimostrato che le cellule cancerogene non comunicano con le altre del medesimo corpo, ed è il motivo delle metastasi e della proliferazione neoplasica. In realtà il cancro si riconosce come un soggetto a parte, diverso, non comunicando con il corpo (cellule) in cui vive e di cui fa parte. Una sorta di disturbo cognitivo/percettivo cellulare che determina questa patologia a volte mortale.
In generale la Natura nella sua saggezza non riconosce gli elementi non in comunicazione con essa, tutti i soggetti e i comportamenti di questo tipo sono eliminati. Senza comunicazione non c'è sopravvivenza e la Natura trova così il modo di eliminarli.
Si trova prova di ciò nelle numerose estinzioni di massa cui la vita biologica sul pianeta ha dovuto fare i conti per rinnovarsi.

"Il progetto umano" non è certamente il primo che è stato tentato su questo pianeta, modelli diversi di umanità si sono già precedentemente estinti, la vita umana su questo pianeta dunque è molto più antica di quanto si pensi.
E' inoltre fantastico osservare come non vi sia differenza fra elementi fisici e psichici, sempre parlando in ambito umano.
Gli animali invece sono un caso a parte, perché esenti da questo problema linguistico adottando sistemi di comunicazione diversi, e avendo anche funzionalità e scopi diversi.
Solo nell'uomo i "dati" cioè l'informazione è trasmessa e conservata tramite la parola (logos) detta o scritta, mentre il patrimonio culturale animale è principalmente contenuto a livello genetico (meno di quanto si crede), mentre quello educativo comportamentale è funzionale alla sopravvivenza, quindi in armonia con la Natura )cioè in comunicazione, ed è esente come detto, dai problemi dei virus linguistici.
Infatti gli animali si comportano tutti nella stessa maniera nonostante non abbiano regole e ciò non è dovuto "all'istinto" che tra l'altro è un ipotesi senza prove, e in ogni caso il DNA non può contenere istruzioni su comportamenti così elaborati come si evidenziano nell'osservazione etologica. La spiegazione si trova secondo me in un'altra ipotesi e cioè il comportamento animale ha una sua "logica" semplice, ma comprensibile da qualunque altro animale. Essi dunque pervengono alle medesime conclusioni senza bisogno di parlare.
Lo scopo intrinseco nell'essere umano è l'espansione dell'informazione (Vita) cioè la sua sopravvivenza come specie è legata al rispetto di tale imperativo biologico.
Quando e semmai, l'umanità perderà il suo potere creativo e rivoluzionario di espansione, perderà anche il suo significato.
Lo ribadisco, l'essere umano è il modo che la "Vita" ha scelto (per il momento) per viaggiare, nel pianeta e poi nello spazio, oltre questo piccolo mondo. Almeno questa è la mia opinione.
Abbiamo dunque priorità diverse come specie rispetto alle altre.
Ma queste considerazioni di carattere generale esulano dall'analisi in argomento.
Tornando al ragionamento iniziale e sui problemi più prossimi mi domando alla fine chi ci guadagnerà?
Perché sempre a quel punto si giunge nella ricerca degli scopi delle azioni umane.
Nella storia i veri benefattori del genere umano sono state sempre persone modeste, non sono mai state persone avide né ricche.
Tanto per fare alcuni nomi, Tesla e altri scienziati geniali furono più che altro dei morti di fame, senza parlare di Sebin, Pasteur, Schweitzer; Non contando i filosofi come Socrate, Seneca, Nietsche, Nagarjuna. Poeti e artisti si accontentavano almeno nel passato, del giusto.
Alla meglio questi personaggi erano benestanti, ma nessuno che abbia valore è mai diventato ricco su questo pianeta, lo ribadisco.
A generalizzare si sbaglia sempre, tranne che quando si vede un uomo ricco, cioè ricco-ricco, ecco in quel caso si può essere sicuri che è un delinquente.
Come dico sempre la ricchezza non si crea, si sposta solamente, se qualcuno diventa immensamente ricco, moltissimi dovranno diventare miserabili.
E sei vuoi rendere un intero popolo povero...Beh! Allora devi dargli un nemico da combattere.