venerdì 11 settembre 2020

E' scritto nella pioggia

Un paio d'anni fa mi trovavo a Langkawi in Malesia. Come al solito gironzolavo in scooter. Mi faceva compagnia una ragazza coreana che avevo conosciuto durante il viaggio. 

Così, prendendo strade a caso e attraversando piccole città e villaggi ci trovammo di fronte a un tempio buddhista: il tempio della Fortuna (Lucky Temple). 

Ci entrai da solo, e attraversatolo giunsi in un ampio giardino. Vi erano diverse statue del Buddha, ma con sorpresa mi accorsi che la più grande era ricavata nella montagna incombente proprio sul limitare di quel giardino. 

Una figura che troneggiava lungo una parete verticale che mi guardava con quel sorriso serafico che contraddistingue sempre la rappresentazione dell'Illuminato, ma di proporzioni gigantesche. 

Sarà stata alta trenta metri, scolpita direttamente nella parete nera a precipizio. Non oso pensare come avessero fatto a realizzarla.

Provavo una strana sensazione, ero calmo e stranito nel medesimo tempo. 

Pensai: "Magari è per via del caldo?" Così trovai un posto tranquillo e ombreggiato per sedermi. 

Proprio vicino a dove mi ero seduto c'erano due persone che armeggiavano vicino a un'autovettura, una station wagon, uno solo di loro era un monaco. Le osservavo e intanto mi fumavo una sigaretta. Era strano, perché dal grande bagagliaio estraevano delle gabbiette per uccelli che contenevano appunto dei piccoli volatili. 

Li avevano curati? Comprati al mercato? Non si capiva. 

Dopo un po' che parlottavano tra loro, il monaco cominciò a prendere con le mani molto delicatamente questi uccelli e poi liberarli, lanciandoli in aria. 

Mi ricordo che uno di questi uccellini addirittura tornò indietro e si infilò di nuovo nella gabbia così il monaco dovette ripetere la sua opera di favoreggiamento in evasione ornitologica. 

Alla fine le gabbie furono vuote e i due uomini se ne andarono. 

Ripresi a camminare e incontrai due monaci intenti al lavoro; Lavavano delle ciotole vicino a una fontana di pietra. 

Per l'esattezza uno di questi le svuotava, l'altro invece le lavava,  poi le mettevano capovolte ad asciugare su una lunga mensola di legno. 

A me piace osservare queste scene ordinarie, ma generalmente mi faccio i fatti miei, l'Oriente mi mette sempre un certo silenzio addosso, a differenza della mia vita di tutti i giorni dove mi capita purtroppo di parlare anche un po' troppo. 

A un certo punto, uno di questi due monaci addetti alle lavastoviglie si girò verso di me e mi indicò di proseguire verso un padiglione distante una cinquantina di metri, si fece intendere con un leggero sorriso e un cenno;  Mi fece quel caratteristico segno come quando si indica ai bambini di andare in qualche posto, un gesto della mano che sembra un'amichevole sculacciata. 

Seguendo quell'indicazione mi trovai in una sala di preghiera, tolsi le infradito prima di entrarvi e scavalcai il piccolo rialzo che si trova sempre in questi templi quando si entra in una stanza. 

Il locale era ampio e arieggiato, il pavimento fatto con lunghi listoni di legno scuro lucidi che quasi riflettevano la luce e le figure. 

A lato del centro, leggermente spostato alla mia destra, c'era un quadrato rialzato, e sopra "appollaiato" a gambe incrociate un vecchio monaco con la caratteristica veste arancione.

Feci un piccolo inchino appena varcato l'ingresso e mi diressi direttamente alla statua del Buddha che si trovava invece alla mia sinistra. 

In un luogo di preghiera non si passa dal centro, almeno se non si sta celebrando una funzione, perché di fronte allo spirito che lì è venerato nessun ospite è così importante, si percorre invece il perimetro. Non si saluta nessuno in particolare entrando, si fa un cenno educato con la testa se ci sono altri, ma prima si prega e dopo vengono le persone. Lo spirito è come la luce, non si vede ma fa vedere dunque è per questo motivo che bisogna rispettare questa priorità. 

E' una questione di umiltà e sensibilità. Lo scrivo solo a titolo informativo. In ogni caso io così feci. 

Non sono buddista, sebbene trovo interessante la filosofia di quella che erroneamente è considerata una religione, però un mio amico lo è, e doveva subire un'operazione al cuore in Italia. Ero preoccupato per la sua salute.

Pregai il Buddha per lui. 

Conosco il modo di inchinarmi e battere le mani, insomma come si fa, praticai in quel modo non per piaggeria, ma per rispetto degli usi e costumi di dove mi trovavo. Mi informo sempre per cercare di evitare brutte figure e nel caso non ho informazioni guardo gli altri come fanno.

Invece di andarmene dopo la preghiera, però mi sedetti su uno sgabello, vicino a quel vecchio monaco che registrava un discorso al cellulare, un modello di telefono vecchio quasi come lui. Incideva una sorta di sermone in quella lingua incomprensibile qual'è per me il malese. 

Registrava brevi frasi, poi taceva, poi ancora registrava. 

Stavo seduto, paziente, non lo guardavo, perché non volevo scocciarlo con la mia presenza, diciamo che mantenevo una distanza che ritenevo opportuna. 

Mi sentivo bene in quel posto, molto a mio agio e così avevo colto l'occasione per fare una piccola pausa dal mondo. Della ragazza che mi aspettava fuori me ne ero completamente dimenticato.

Dopo una buona mezz'ora (dovevo essere proprio in pace quel giorno) mi alzai per andarmene, ma il monaco mi fece cenno di avvicinarmi. 

Mi sedetti sui talloni come si usa e dopo una breve intonazione mi segnò la fronte con un impasto rossiccio e mi mise al polso sinistro un braccialetto rosso anch'esso ma con  cinque palline bianche. 

Lo ringraziai con un un sentito inchino e me ne andai. 

Pensai: Che bello! Che fortuna questo tempio della Fortuna.

Appena uscito mi si ruppe l'infradito. 

Lungo la strada per tornare in città, insieme alla mia amica incappammo in un temporale equatoriale che pareva rivaleggiare con il Diluvio universale. 

Parcheggiai il motorino a lato della carreggiata e trovammo riparo sotto una tettoia, ma ormai eravamo entrambi fradici. C'erano diversi malesi, sorpresi anche loro dall'acquazzone e per quasi due ore aspettammo tutti insieme, vicini come in un ascensore che spiovesse. Grandi gocce di pioggia filtravano dal tetto di quella pensilina sgangherata e l'acqua a terra scorreva come un fiume del colore del Thé al latte arrivando oltre le caviglie. Di colpo il caldo opprimente si era trasformato in un freddo cane. 

Ovviamente il concetto buddista di fortuna è un po' diverso da quello occidentale. 

Mi giunse in quel frangente una piccola ispirazione e scrissi una poesia nella pioggia. Oggi che splende il sole l'ho ricordata.

"L'Inferno dei desideri è il medesimo del Paradiso dei non-desideri. 

Giunto alla fine della volizione dell'ego, solo la compassione illumina di vita. 

E' la carezza, all'anziana stanca, seduta a lato della strada nascosta che scalda il cuore del Bodhisattva"

Non c'è altro.