giovedì 24 dicembre 2020

Un Natale, quattro anni fa...

Ero in Vietnam, festeggiavo il Natale con un famiglia autoctona. 
Faceva molto caldo e vi era una piccola piscina improvvisata, quelle che si gonfiano, ma faceva comunque il suo mestiere. 
Il fratellino della mia amica aveva una faccia strana e chiesi informazioni. Sudava ma aveva freddo e non aveva fatto colazione, perché non aveva fame, quando di solito mangiava come un lupo.
I genitori, un po' da irresponsabili, gli avevano dato una forte purga, perché erano tre giorni che non andava di corpo. 
L'addome del bambino era teso come un tamburo, per me fu evidente che aveva un probabile blocco intestinale che con il lassativo appena preso era a rischio di perforazione. 
Una patologia subdola che non da scampo. In caso di perforazione del dotto intestinale sia ha poco tempo di vita, le feci entrano nel sangue e sei spacciato.
Insistei per chiamare un'ambulanza, ma tardava ad arrivare. 
Così chiamammo di nuovo e parlai direttamente con l'operatore radio che conosceva l'inglese e il francese e mi feci intendere. 
Mi spacciai per primario di Gastroenterologia è spiegai la mia diagnosi e l'urgenza,all'operatore del servizio di Pronto Intervento che addirittura mi passò un membro del'ambulanza che doveva giungere, ci parlai tramite ponte radio. 

L'autista del mezzo, credo, ma non mi ricordo bene, parlava inglese come tutti loro, perché è un servizio militare non civile come da noi: Particolarmente efficiente che non mi aspettavo in quel paese. Queste cose le intesi dopo, perché la comunicazione intercorse su altro, più urgente e necessario.

Appresi così che il loro mezzo era bloccato nel traffico a causa di un incendio nella casa accanto a dove mi trovavo. 

C'era il sospetto di un attentato e la polizia non faceva avvicinare nessuno all'area.
Gli ordinai di seguire un percorso alternativo lungo i marciapiedi e di entrare contromano nella via che, dal lato del senso normale di marcia era bloccata, ma dall'altro senso era ancora percorribile. 

Glielo garantii, perché ero in strada davanti alla casa e vedevo chiaramente, inoltre l'incendio vicino era già stato domato.

Gli dissi, però visto che non mi credeva: "Devi farti strada in qualunque modo, ma ricorda...devi arrivare. Se il bambino muore, perché non hai fatto abbastanza verrò a prendere la tua vita". Non era tanto per dire, era proprio così. 
Usai forse toni un po' più morbidi, ma non troppo. 

Comunque  le conseguenze di una sua eventuale mancanza gli furono chiare. 

A volte sono un po' strano, quando mi trovo in situazioni del genere cioè "devo" fare qualcosa che ritengo importante, ovvero che posso fare solo io e in cui credo non vado avanti per mezze misure. Mi butto completamente anche se ho ben chiare le conseguenze, ma se decido vado fino in fondo.

Sembra pazzesco, quando c'è pericolo e urgenza, diventa tutto molto diverso ed è addirittura "normale" una conversazione come quella avvenuta, probabilmente il nostro cervello in quei casi funziona diversamente. Oppure funziona così solo il mio.

Mi ricordo che quell'uomo mi assicurò il suo impegno, mi disse "Sono un militare". Bene, gli risposi, ho fiducia in te, ma devo avvisarti comunque che non scherzo. 

Dopo poco l'ambulanza arrivò. 

Uscii di nuovo in strada ed avvisai il personale sanitario appena arrivato di non spaventare il bambino, lo avevo già preparato dicendogli che per Natale gli avevo prenotato un giro in ambulanza e una visita all'Ospedale. Gli avevo presentato la situazione come fosse un gioco, il mio regalo per le feste natalizie. Ci aveva creduto. 

Informai gli infermieri di non legare il bambino sulla barella come si usa, ma se possibile di tenerlo in braccio seduto sulle ginocchia di uno di loro, in ogni caso era importante che la cintura di sicurezza non passasse assolutamente sull'addome, anzi era preferibile abbracciarlo sul petto e la cintura secondo la mia opinione era meglio se la metteva chi lo teneva. 

Mantenere tranquillo il piccolo paziente era fondamentale per non aggravare quel pericolo che avevo sentito dentro di me.
Il militare dell'ambulanza con cui avevo parlato al telefono si presentò; Mi disse che avevano avuto un incidente, ma era riuscito comunque ad arrivare. 
Aveva il braccio rotto (non una vera frattura, ma solo un'infrazione al radio)  mentre l'ambulanza era abbastanza integra e funzionava ancora. In ogni caso un'altra l'avrebbe raggiunta e accompagnata.

Gli legai il braccio con una tovaglia e gli proibii di andare con gli altri, dissi: "Prendi un Taxi, perché non solo sei inutile con un solo braccio, ma se svieni sei anche di intralcio". 
Diedi le ultime istruzioni per portare il piccolo in un'ospedale avente un reparto di gastroenterologia, da allertare per essere già pronto per l'operazione d'urgenza, preferibilmente potendo allestire una sala operatoria nelle vicinanze del reparto di radiologia dove certamente avrebbe fatto l'esame preventivo. 

La tempestività in casi del genere è determinante. 

Oggi mi pare impossibile, ma nessuno in quei momenti mi contestò; Parevo un generale e davo istruzioni che venivano eseguite senza discussione.

Ovviamente per me, ma scioccando il militare/infermiere gli offri la mia vita, in cambio della minaccia in cui gli avevo promesso la morte, e che sicuramente avrei portato a compimento, ma solo nel caso di un suo fallimento colpevole. 
Non avei lottato né avevo intenzione di oppormi a lui, perché gli dovevo un favore. Lo avevo comunque sfidato, quindi ero in debito.
Per fare nel modo giusto (secondo me) gli proposi che finita l'emergenza ci saremmo trovati in un posto tranquillo, dove nessuno ci avrebbe disturbato e poi...
Lui non doveva avere conseguenze. 
Non posso descrivere la sua faccia.
Chiesi solo la cortesia di avere il tempo di chiamare i miei familiari per l'ultima volta. 
A momenti piangeva. 
Vi prego non chiamatemi presuntuoso, ma quando incontri un altro guerriero o ci si ammazza o si diventa amici, non so come mai, ma non ci sono altri modi. 
Per fortuna siamo rimasti in pochissimi con questo spirito, diciamo un po' retrò.

Dunque vita per vita, sembra assurdo anche solo a scriverlo, ma è nella mia logica.  Faccio fatica perfino a riconoscermi, ma in quei frangenti ho come una trasformazione.

Visto che ora sono a narrare questa avventura di vita vissuta, appare evidente che l'uomo che avevo minacciato non pretese "soddisfazione". 

Anzi, mi assicurò che il suo primo figlio maschio lo avrebbe chiamato come me. 
Troppo onore, dissi e poi ci scherzammo sopra, mischiando il mio nome con il suo cognome e simulando le diverse difficoltà di pronuncia. 
Neanche nei film ho mai visto una scena simile, lui con il braccio in "tovaglia" in quel giardino, mentre facevo un po' lo scemo e gli illustravo i diversi modi di pronunciare questo connubio opinabile di nomi diversi. Ridemmo finché non ci fece male la pancia. 
Poi non lo vidi mai più, non mi ricordo manco come si chiamava: Crou, Tru, mah! Hanno di quei cazzo di nomi da quelle parti.

Nel pomeriggio il bambino fu fuori pericolo, gli avevano svuotato manualmente l'intestino. Spero per lui non ci abbia preso gusto, diciamo che secondo me le donne sono meglio.
Dopo tre giorni fu dimesso dall'Ospedale dove era stato trattenuto per cautela, ma senza operazione. Aveva però effettivamente rischiato molto. In ogni caso ero già altrove. 

Dieci giorni dopo, quando ritornai di passaggio a Saigon, seppi dalla famiglia che mi aveva ospitato che l'infermiere aveva telefonato, aveva ricevuto una medaglia e le procedure d'intervento del servizio di Pronto Soccorso erano state aggiornate integrandole con i miei "consigli". 
Il suo Ufficio aveva perfino ringraziato l'Ambasciata Italiana per l'aiuto ricevuto dal loro connazionale. 
Risi di gusto pensando alla faccia dei funzionari diplomatici che non avevano la minima idea di chi fosse questo fantomatico "primario" che si aggirava lungo il Vietnam a fare queste guasconate.
Devo confessare che qualche volta la vita è più avventurosa di qualunque immaginazione, sebbene quando mi sono capitati eventi del genere mi è sempre sembrato tutto normale. Solo dopo, quando ci ripenso ne colgo la stranezza. 
A furia di dai e dai mi sa un che un giorno di questi ci lascerò la pelle, magari è anche divertente, però non che abbia fretta...sia inteso.

Ho raccontato questo non per ammantarmi di meriti, ma per ispirare.

Sento dentro di me che rendersi utili agli altri, darsi completamente, è il regalo più bello che possiamo fare non solo a Natale, non solo agli altri, ma a noi stessi.
 
"Chi salva una vita salva il Mondo" è scritto. 
Per me: "Chi salva una vita salva solo se stesso". 
In ogni caso sono piccoli gesti di piccoli uomini.

Allora? Beh! Alla fine del viaggio la bella sorella mi aveva già mollato, dunque strizzo l'occhio a quel meraviglioso bimbo e magari se mai capiterà gli dirò solamente: "Auguri piccolino".