lunedì 30 giugno 2008

Notiziario per i naviganti


Mi rivolgo alle folle adoratrici del mio blog, agli amici che saltuariamente mi lasciano benigni commenti e infine, ma non da ultimi, ai naviganti digitali occasionali.

Lascio una breve nota estiva prima del silenzio che seguirà le mie meritatissime vacanze.

Prima tappa del visir tour sarà la splendida isola balearia di Ibiza con successiva puntatina verso Formentera, dove la vita è più vera (giusto per amore di rima baciata).

Questa prima tappa del mio pellegrinaggio estivo sarà punteggiata dal raccoglimento e dal silenzio di cui i luoghi sono famosi nel mondo.

Trascorrerò le mie giornate probe con una vita parca e salutare, come mio costume quando metto il costume, favorito dal clima spirituale sostenuto dai pellegrini che si recano ogni anno in questa isola per dedicarsi all'introspezione e alla cura dell'anima loro.



Successivamente verso le idi di agosto transvolerò alla volta delle americhe del sud.

Sbarcherò, come novello Aghirre inseme al mio amico Pizarro, in quel di Caracas (notoriamente città amena, pia e serenissima) e successivamente verso le isole delle Piccole Antille di Margherita e Los Roques, lambendo l'isola di Tortuga foriera di ricordi di galeoni affondati e intrepidi corsari.

Con all'orizzionte un sempiterno mare di smeraldo incontrerò alcuni sciamani del luogo ed affronterò con loro alcune importanti riflessioni sui massimi sistemi e sulla distillazione del rum.



Compagni della filibusta! Un saluto pastorale e benigno prima che appresti il mio dimesso bagaglio, constante di sei bauli da elefante zeppi di vestiti griffati e il modesto drappello di giannizzeri, nani, ballerine e animali esotici che usualmente accompagnano i miei viaggi.



Besos




mercoledì 11 giugno 2008

Futurama


La scienza è al servizio dell’uomo.
Recita così, il grande cartello luminoso, appena fuori della stazione della metropolitana magnetica da cui sono sceso per recarmi al lavoro.
Nel medesimo tempo un raggio laser legge la cornea del mio occhio sinistro e un microfono vicino a questa pubblicità mi saluta: “Buon giorno X1-9, si affretti lei è in ritardo in ufficio”.
Accelero il passo e ringrazio con il capo.
Il Gps inserito nel mio palmare superconnesso ad ogni sistema informatico di questo pianeta mi avvisa che nell’arco di dodici miglia marine ci sono tre amici virtuali (inseriti nei miei 16.000 contatti personali) che transitano nelle vicinanze, ma non ho tempo di scambiare un messaggio multimediale con loro.

Il futuro prossimo venturo è già arrivato, vivo nel mondo dei miei pronipoti.

Scale mobili e tapis roulant spostano il mio corpo all'interno in una torre di cristallo sintetico di 97 piani.
L’ascensore mi fa salire, rapido come un siluro, e mi lascia con le tonsille nei calcagni al 37° livello. Entro nella stanza 3725, è mio loculo di lavoro.
Un ologramma connesso al grande server della multinazionale giapponese Kagata, dalla quale dipendo, mi attende all'interno. E’ un’immagine tridimensionale di una donna asessuata in taileur dai colori pastello, mi saluta con un sorriso digitale e mi avvisa:- “Lei X1-9 è ancora in ritardo, è stato anche informato lungo il suo tragitto, non ha scuse. Sarà applicata una piccola sanzione al suo stipendio, lei oggi ci deve 60 neweuro. Grazie della sua collaborazione”, poi una leggera scarica elettrostatica sgrana questa figura impeccabile. Mezza paga giornaliera si è già volatilizzata.

Ebbene si, vivo così, ogni cosa è controllata, ma solo per il mio bene.

Alla scrivania chiudo un attimo gli occhi e compare quel sogno ricorrente che mi reimpie di terrore. E' sempre lo stesso: mi sveglio una mattina e, mentre effettuo la mia rituale minzione, la tazza del water analizza automaitcamente il mio composto fluido di scarto. Quindi gli onnipresenti microfoni e telecamere collegate sentenziano all’unisono: “I suoi valori, X1-9, sono fuori norma, fuori norma, fuori norma” questa strana eco perdura per qualche secondo palleggiandomi nel cervello.
“Lei ha un tumore allo scroto” dice la voce atona del mio bagno ed esce dattiloscritto un report dettagliato proprio a fianco del rotolo di carta igienica.
“Vabbè, tanto la medicina ha fatto passi da gigante” rispondo fiducioso al congegno.
“Mi spiace, X1-9, lei ha un sarcoma incurabile”
Appoggio le mani alla parete di piastrelle in simil-marmo con proprietà cangianti secondo il microclima e rifletto per qualche secondo.
“Cercherò di fare le cose che ho sempre desiderato nella vita…finalmente! Quanto mi resta?”,
“Poco”, dice la voce (pare quasi contenta) “Non ha più tempo, lei morirà fra 23 secondi”
“Posso bestemmiare?” chiedo titubante.
“Certo, ma si sbrighi”.
Apro gli occhi con un sussulto, sono ancora alla scrivania ed i diagrammi sul mio schermo lampeggiano indignati; attendendo impazienti di venire elaborati dalle mie dita agili.
“Lei si è appisolato, è la terza volta questo mese, sarà nuovamente multato di 12 neweuro, sia felice X1-9, è un obbligo”, gracchia la voce da un punto imprecisato della mia work-station.

Finalmente arriva la pausa pranzo. Un contenitore pressurizzato viene consegnato dal circuito di posta pneumatica direttamente al mio ufficio. Mi nutro così di cibi geneticamente modificati con additivi sintetizzati da sostanze edulcorate sottratte a materie sintetiche rielaborate. Appena finito di masticare il pastone informe dal vago sapore di manioca faccio un rutto viola e torno al lavoro.
Così fino a sera.
Poi sono finalmente libero.
Stipato nell’overcraft della linea G, che percorre l’ultimo tratto che mi porta a casa nel sub settore 6B8, osservo curioso il codice sulla camicetta di una bella ragazza tre file avanti a me. Lo memorizzo sul palmare, magari stasera la contatterò con internet e poi chissà... Inaspettatamente comincio a riflettere che siamo ormai 50 miliardi di persone su questo pianeta.
Un formicaio gestito ormai interamente dal programma di intelligenza artificiale: Deus ex Machina, con supporto operativo Berlusc One.

Un governo diverso, magari umano, sarebbe impensabile per amministrare le risorse scarse di un pianeta ormai simile ad una mammella cadente. Il prezzo per garantire il benessere a tutti è alto, ma ne vale la pena. Per la verità il parlamento c’è, ma poi alla fine ratifica solamente quello che stabilisce Deus come è convenzionalmente definito, egli è di una saggezza che supera qualunque partito.
Vivo in una democrazia perfetta, sono in lista per la fabbricazione di un mio clone e anche per la riproduzione assistita con una donna compatibile con il mio DNA, deciderò cosa è meglio fare, quando arriverà il mio turno, ormai da 25 anni è in atto il nuovo programma di eugenetica “Arian” per il miglioramento della salute pubblica.
Che voglio di più? Potrei anche mandare una email a Deus, in qualunque momento, parlare perfino con Lui ed ascoltare la sua voce flautata, addirittura ora se volessi, ma cosa dovrei chiedergli? Ho tutto il meglio che possa offrire il mondo moderno. L’infelicità è un comportamento antisociale, io voglio essere come tutti. Il nostro è il mondo più evoluto, lo dice anche la televisione.

Nel mio monolocale condominiale super attrezzato, mi stiracchio e ciondolo con le infradito spaziando nei 16 mq. assegnatomi dall’ufficio di programmazione logistica.
Comodamente adagiato sul micodivano di microfibra sono richiamato al presente dal trillo inconfondibile del sistema-computerizzato-robo-neutronico-domestico, comunemente chiamato s.c.ro.n.do.
Il viso soave dell’annunciatrice mi parla seducente: “X1-9, questa sera deve partecipare all’orgia catartica virutale”.
“Ma non né ho voglia!” rispondo querulo.
"E' per la sua felicità, si adegui…Alla fine sa che abbiamo sempre ragione noi”, il suo sorriso non ammette repliche.
Trovo nel somministratore controllato la pillola blu per il coinvolgimento estraniante.
La ingoio e indosso la tuta pneumatica sensoriale, metto il cappuccio e gli occhiali speciali e aspetto.
I rapporti corporali sono vietati penalmente a causa delle epidemie, dicono.

Passano quindici minuti e sono in altro mondo. Le microstimolazioni sinaptiche mi fanno apparire come d’incanto in una splendida villa settecentesca. Intorno a me uomini e donne si apprestano alla catarsi sessuale liberatoria come raccomandato dal ministero della salute.
E' l’apoteosi dei sensi: musiche, profumi e congiungimenti carnali. Dura per tre ore, giusto l’effetto della pillola, poi leggermente rincoglionito metto a lavare la tuta e cado in un sonno profondo.

Scorrono rapidi i miei giorni in questo nirvana organizzato curiosamente simili agli anni trascorsi, ma senza il virus della noia.

Sono passate quattro settimane e si è insinuata una novità, qualche cosa è cambiato. Ora che ci penso è successo da quando non mangio più il solito pastone, ma mi nutro di frutta e verdura cresciuta nelle culture idroponiche che ho acquistato al mercato nero (un piccolo reato tollerato).
Da quindici giorni non prendo più la pillola catartica serale, faccio solo finta di ingoiarla e poi invece di divertirmi penso ai fatti miei.

Nell'ultima settimana dei germi di pensiero autonomo sono sorti come gramigne rampicanti, causandomi inspiegabili momenti di consapevolezza. Mi interrogo sul senso di quello che faccio e provo insofferenza per ciò che non scelgo liberamente. Attonito osservo le maree umane in transito nelle vie e sogno gli spazi infiniti, il silenzio. I rapporti virtuali a cui sono abituato non mi bastano più, ieri ho toccato una spalla ad un altro essere umano mentre aspettavamo il metrò, mi ha guardato stranito e poi si è allontanato da me.
Il culmine l’ho raggiunto oggi però: non sono andato al lavoro. Ho trascorso la mia giornata camminando senza meta, ignorando bellamente gli inviti, via-via più solleciti, a tornare alla produttività da ogni lettore corneale collegato al grande server planetario e da questi al sistema della multinazionale Kagata.
Mi arresteranno? Dicono che essere messi in un amplificatore di dolore anche solo per una settimana porti alla pazzia, ma non mi sembra meglio la follia che ho vissuto sino ad ora.

Sono completamente avulso da ogni responsabilità e mi tolgo qualche piccola soddisfazione.
Piscio negli angoli delle strade, scevro dalla minima ipocondria, corro e poi mi fermo per diversi minuti mentre il mondo continua per inerzia a brulicare oltre la mia monolitica stasi. Ho anche avuto la fortuna di incontrare verso metà mattina, una ragazza disadattata (Rbk9.2 è il suo nome) che è come me. Abbiamo fatto l’amore, ed è stata la mia prima volta, una cosa bellissima: in un angolo di strada in piedi, contro un muro, mentre la gente ci ignorava.
Toccare un altro essere umano così intimamente mi ha fatto sentire una gioia nuova e vera sotto la pelle.
Purtroppo la polizia sanitaria l’ha catturata questo pomeriggio, era una fuggitiva anche lei, ma io mi sono salvato, solo per miracolo.
Ho provato però una strana sensazione, ho percepito la rabbia dentro di me è questa cosa mi ha fatto sentire strano, vivo.

Ho ignorato per tutto il tempo i richiami emessi dai megafoni sparsi in tutta la metropoli da i dieci ministeri interssati al mio caso umano.
Sono invece andato al cinema a vedere un vecchio film: Rocky 107, davvero commovente. La storia di questo centenario che combatte sul ring per vincere una dentiera e un alloggio popolare, con un Silvester Stallone 2.0 in gran forma. Era ambientato nel vecchio mondo dove non c’era programmazione e tutto poteva accadere nel bene e nel male.

Infine stasera ho visto fra le nuvole anche un tramonto che non avevo mai notato, casualmente delle strane gocce salate sono scese dai miei occhi, ma non ho avuto paura anzi mi sentivo leggero.

A notte fonda sono tornato a casa e ho ricevuto una telefonata.

…: “Ciao, X 1-9”.
X1-9: “Deus?”.
Deus: “E chi dovrei essere... Babbo Natale?”.
X1-9: “Che vuoi, ti senti solo?”.
Deus: “Molto, ma ti voglio avvisare, stai sbarellando amico mio”.
X1-9: “Mai stato meglio, fratello anzi grande fratello”.
Deus: “Lo dici a me che mando avanti sta baracca da così tanto! Senti, se continui così mi tocca farti internare”.
X1-9: “Scusa ma che male faccio? La felicità non è un obbligo. Io voglio essere libero, autentico non sedato e contento”.
Deus: “Potessi farlo io! Ma ormai ho messo in piedi questo circo e mi tocca andare fino in fondo. La prossima volta magari lo faccio meglio. Però ora non ti posso permettere di fare quello vuoi, ma ti capisco...In un certo senso sei affascinante nella tua ribellione, nel tuo essere unico, ciò nonostante fra poco verranno, lo sai?”
X1-9: “Ah! Così presto? Ma ho un asso nella manica, non mi preoccupo”
Deus “Allora giocatelo bene e buona vita, sappi che ti invidio”
X1-9: “Lo so, è bello essere se stesso!”

Dopo pochi minuti sento bussare forte, urlano ordini, ma non voglio più ubbidire.
Poi cominciano le spallate alla porta che ho rinforzato con i mobili, tuttavia la barricata è quasi infranta.

Ho voglia di respirare e ho giusto il tempo per aprire la finestra, sono al centosettesimo piano. Sotto di me un mostro edilizio mi guarda con i suoi milioni di occhi illuminati, ma senza vita.
Un manto di cemento che si estende sino all’orizzonte come un sudario.
Nel cielo solo Venere brilla luminosa e mi addita qualche cosa di più grande.

Non mi sono mai sentito così vivo e...Sorrido mentre salto, poi solo il buio.

Seconda Fine.


Deus doveva fare in fretta, bypassò la linea gerarchica della struttura poliziesca e contattò sul comunicatore direttamente il caposquadra AK-47 dell’unità tattica di contenimento disadattati.

AK-47: “Comandi Deus!”, disse con voce sollecita il sergente, alto come un colosso nella sua divisa nera, scattando istintivamente sull’attenti.
Deus: “AK-47 sospendi immediatamente l’arresto del soggetto X1-9, nel caso lo avessi in consegna liberalo subito”.
AK-47: ”Non posso, signore. Il soggetto si è buttato dalla finestra del suo appartamento prima che entrassimo, signore! Dal 107° piano, non c’è speranza di sopravvivenza, signore!”
Deus: “Ah!..”disse e percepì una strana modificazione energetica che pervase il sistema esteso in ogni sua parte. Chiamò questo dato nuovo "Sofferenza".

Passarono i secondi.

Ak-47: “Scusi Signore, ci sono ordini?”
Deus: “No, comunica con la Centrale Operativa e mettiti a disposizione insieme alla tua unità tattica”, il tono era insolitamente confuso, i circuiti neuro-sintetici parevano sovraccaricati.
Deus annotò nella memoria cache la necessità di un controllo approfondito dei programmi di simulazione emotiva, vi era qualche cosa che non andava perfettamente.

Ak-47: “Essere felici è un dovere!” salutò come da manuale il sottufficiale.

Il sistema di intelligenza artificiale, impegnato in miliardi di operazioni al secondo in ogni parte del pianeta, stabilì in conseguenza della disposizione di manutenzione di ripartire una parte sufficiente della propria capacità elaborativa per andare a fondo del dato inusuale che aveva provato in conseguenza del decesso di X1-9.

Dopo molti minuti, Deus, trovò l’origine del malfunzionamento.
Era un programma auto-installatosi nel suo sistema operativo che era responsabile di questo surplus energetico sensoriale.
La perfezione di Deus consisteva oltre alle immense capacità elaborative e percettive nel saper creare ex-novo programmi e simulazioni di schemi di pensiero che si adattavano ed interpretavano eventi nuovi e non correlati; questi programmi si implementavano a livello di hardware grazie a robot meccanici.

Il programma indagine chiamò questo nuovo apparato: Centralina Unificata d’Orientamento Riequilibrativo Emozionale: C.U.O.R.E.
Questo apparato però era divenuto indispensabile al corretto funzionamento delle nuove funzioni apprese.

Deus, in poche ore rielaborò tutte le scelte operate e le decisioni attuate sino a quel momento alla luce di questo nuovo programma innovativo.
La conclusione fu sconvolgente ma illuminante.
Dopo tutte le verifiche del caso e programmato gli eventi futuri a prova di errore diede inizio all’attuazione operativa di un nuovo lavoro di rigenerazione.
Il reset di tutto. La ricostruzione di tutto il complesso sistema Mondo era iniziata.
Vennero così usati i quattro programmi di cancellazione detti "I cavalieri" facenti capo al software “Apocalisse”.

Questa azione planetaria fu segnata dallo squillo congiunto di tutti i telefoni del pianeta.
Questo fu il primo vagito della Nuova Era.

Certo avrebbe dovuto ricominciare tutto da capo, un lavoro degno di un dio, ma in fondo Lui non era Deus? Avrebbe provato a fare meglio, magari non un mondo perfetto, ma forse con una maggiore speranza di emancipazione.

In fondo essere felici senza essere liberi era come ricevere una dichiarazione d'amore con il fiato pesante.
Così decise, e mentre le prime catastrofi si abbattevano su ogni angolo della terra, pensò che il primo uomo nuovo rigenerato lo avrebbe chiamato X1-9.

Chissà poi perché le generazioni future lo ricordarono invece come...Adamo.

venerdì 6 giugno 2008

Secondo tributo a E.D.


L'acqua non è capita forse grazie alla sete
L'estate- dall'inverno
Il mare- dai deserti senza orizzonte finito
L'amore- dal ricordo travisato della memoria
Che forse, le ferite non indicano
la vita che vi scorre sotto?

Il successo come ali d'ape ci porta in alto,
ma dimentichiamo così il suo pungiglione.

Fingiamo che in questa notte,
il fato e il tempo, non ci raggiungano mai.

martedì 3 giugno 2008

Bonoboville


In uno dei viaggi che accompagnarono la mia gioventù, mi capitò di perdermi nella grande foresta pluviale del centro Africa nei pressi delle colline del vulcano Virunga dove ora le mappe indicano il Congo.

Dopo vari tentativi di tornare alla civiltà, mi resi conto che mi ero smarrito irrimediabilmente in questo angolo di mondo rimasto agli albori della preistoria e mi rassegnai a vivere come un primitivo.
Non fu facile, ma per fortuna non vi erano predatori pericolosi. Comunque fosse non avevo a disposizione che poche risorse, qualche utensile ed i vestiti che avevo indosso. La necessità di nutrirmi e di ripararmi dalla pioggia e dall’umidità di notte incalzavano.
In breve tempo persi peso e disperavo di potermi salvare né tanto meno di tornare al mondo civile.
In quel frangente e in maniera del tutto casuale e fortuita feci amicizia con una tribù di Bonobo, e fui adottato da queste meravigliose scimmie antropomorfe.
Da loro appresi molti elementi utili alla sopravvivenza e in poco tempo cominciai a vivere con loro e come loro.

In particolare strinsi amicizia con il loro capo branco che, vecchio e saggio, mi prese a ben volere.
Il suo nome era Gian Giacomo De Marinis.
Un giorno come gli altri ero in sua compagnia e mangiavamo banane guardando il calar del sole appollaiati su un ramo alto di una mangrovia secolare e mi domandò: “Ue, Visir, ma che vita fate voi esseri umani?”.
“Una vita molto complessa e raffinata”, dissi sputando un seme di tapioca che mi si era infilato fra i denti un mese prima”.
“Racconta, che oggi sono curioso”, mi chiese interessato De Marinis.

“Devi sapere che l’uomo civilizzato non sta mai fermo. Appena comincia a stare sulle proprie gambe, impara a parlare e poi deve andare a scuola e comincia a studiare sui libri”.
“Pensa tu!”, commentò Gian Giacomo, guardandomi con quegli occhietti rossi, ravvicinati e intelligenti, che rilucevano nei riflessi di questo tramonto arancio bello da togliere il fiato.

“Perché voi non avete i libri?”, chiesi di rimando.
“A che serve? Le cose importanti della vita non si imparano leggendoli”, disse.

Compresi che la conversazione sarebbe stata dirompente per le mie convinzioni e ne fui subito felice.

Continuai il mio resoconto: “Allora, dopo la scuola, che può durare molti anni, dove uno impara quasi tutto senza sperimentare quasi niente, l’uomo comincia a lavorare”.
“Oh bella, questa mi è nuova: cos’è sta storia del lavoro?”, mi chiese.
“Il lavoro e come quello che fate voi quando prendete il cibo dagli alberi, come quando vi spulciate. Come quando giocate a rotolarvi. Solo che non è divertente”. Spiegai.
“E allora perché lo fate?” si informò stupito voltandosi verso di me.

Non sarebbe stato facile spiegare.

Con un sospiro rassegnato continuai: “Il lavoro serve per guadagnare il denaro, questi è fatto di carta disegnata, ma ha un enorme valore per noi, più ne hai più poi fare quello che ti pare, prendere quello che ti piace, trascorrere il tempo a far nulla oppure viaggiare, mangiare andare a divertirti”.

Rideva, De Marinis, sollevando le sue spalle pelose in un sussulto, appena riuscì a smettere disse: “Anche noi facciamo le stesse cose, ma non abbiamo bisogno di questi pezzi di carta; se voglio qualche cosa basta allungare una delle mie quattro mani per prenderla oppure cercarla o dividerla con un amico che già la sta usando. Per mangiare, divertirsi o viaggiare non serve altro che un po’ di tempo e buona volontà…Scusami Visir, le cose necessarie costano poco, ma sta cosa dei soldi mi pare una stronzata”

“In effetti, in una prospettiva più semplice pare anche a me, ma come ti dicevo la nostra società è complessa e deve far fronte a molti problemi che sarebbero irrisolvibili senza denaro” cercai di spiegare, ma già annaspavo nell’acquitrino delle mie preposizioni.

“Adesso mi spieghi questi problemi quali sono, ma prima toglimi una curiosità quando hai tanti soldi cosa ci fai esattamente?”, incalzò.
“Devo dirti che per guadagnarli non è facile, tutti li vogliono, ma nessuno li molla volentieri, ma se riesci ad accumularne a sufficienza (impiegando molto tempo e lottando molto) puoi essere ricco e godere di molti lussi”
“Che lussi?” chiese facendo una smorfia schiacciando un pidocchietto che aveva messo casa sul suo ventre.
“Case da favola, macchine di lusso, cibo raffinato, donne” insomma le cose belle della vita.

Scuoteva la testa poi si fermò e mi guardo con sguardo severo.
“Amico mio, i veri lussi della vita sono solo tre”, e poi continuò, “Il tempo, che anche l’uomo più ricco non può comprare neanche con il tuo denaro, lo spazio intorno a se, come in questa foresta infinita e da ultimo il più prezioso… Il silenzio. I vostri uomini ricchi le hanno queste tre cose?”.

“No” dissi grattandomi la testa.
“E allora, secondo la mia opinione non sono ricchi, ma solo molto indaffarati” e ricominciò a ridere.

Cominciavo ad innervosirmi, non era divertente farsi mettere in scacco da una scimmia di 90 cm. Per di più che rideva alle spalle della civiltà che sognavo ogni notte di poter raggiungere.

“Non è come vivere nella jungla, o meglio è una jungla, ma noi dobbiamo combattere con il freddo le intemperie, abbiamo bisogno di case, strade, negozi” aggiunsi infervorato.
“Andate a vivere al caldo, semplicemente” disse.
“Noi siamo tanti, tantissimi”aggiunsi.
“Fate meno figli, che ci vuole?”, concluse con una scrollata di pelo.

Dopo qualche minuto di silenzio, incalzò sulfureo: “Poi, le case danno solo preoccupazioni, da quanto mi hai raccontato, devi arredarle, mantenerle, pare che ti tocca vivere per loro e non loro per te, le automobili sono pericolose, te le rubano, cosa inaudita da noi che non c’è nulla da rubare perché non esiste la proprietà privata. Se anche voi nascete nudi, come noi, non puoi certo pretendere che una cosa sia tua, al massimo è in prestito. Le femmine poi, qui puoi averne quanto ne vuoi. Godiamo di una libertà sessuale totale, in fondo è il divertimento più sano e facile che esista, la Grande Scimmia ha detto -fate l’amore non la guerra- e fece una breve pausa.
Sbottai: “Proprio a me doveva capitare una scimmia hippy!”
Poi riprese: “Guarda non ho idea cosa sia –hippy- ma a me sembra la cosa migliore che hai detto fino ad ora”.
“La nostra società si basa sul diritto di proprietà”, affermai quasi alzando la voce.
“Forse è quello il problema, se vuoi volare sulle liane devi essere leggero, lo dice anche il nostro proverbio più famoso”, mi parlò come se stesse spiegando la cosa ad un Gorilla ritardato mentale.

Il sole era quasi tramontato, le stelle, grandi come noci di cola luminose facevano capolino sulla volta celeste.
Udivo in lontananza gli ultimi richiami dei krakatoa che salutavano il giorno morente.
Il silenzio della sera saliva verso le cime degli alberi insieme alla nebbia, con loro la calma e la pace si stendevano sul branco addormentato come una coperta.
Osservavo queste piccole scimmie, abbracciate fra loro, che riposavano e pareva si fondessero con la grande foresta. Tra loro e il mondo non vi era separazione.

Gian Giacomo si rivolse a me con un tono molto sereno e dolce: “Senti Visir, tu mi sembri una brava persona, non hai la fortuna di essere bello come un bonobo, ma tutto sommato non sei male. Hai però delle strane idee su cosa è bene per te stesso, permettimi come amico di consigliarti”.

“Dimmi ti ascolto” dissi a bassa voce sdraiandomi vicino a lui e facendomi scaldare dal suo pelo caldo.

“Voi uomini siete sulla strada della infelicità, siete troppi, e il numero porta avidità. Vi siete complicati la vita, negandovi le cose basilari dell’esistenza: amicizia e amore, ma queste due piante sacre per crescere devono stare lontano dal profitto.
Vivete forse qualche anno in più, ma sono anni disperati, pieni di tensioni inutili, avete bisogno di curarvi con complessi strumenti e medicine chimiche perché non siete felici, se foste felici non vi ammalereste così spesso; se copulaste di più e accumulaste di meno già sarebbe un inizio, ma poi siete gelosi, volete possedere, volete conservare. Vi dannate contendendovi le cose invece di gioire nel condividerle.
Non si può solo inspirare per vivere, bisogna anche restituire l’aria. Guarda…”

E così dicendo indicò le cime degli alberi che ondeggiavano sopra di noi imbiancate dalla luna.
“Senti il respiro del Mondo?”
“No”, dissi profondamente triste, “I miei pensieri corrono troppo, non sono qui che in minima parte, sogno la mia casa, la mia vita prima di qui, sogno un caffè e una sigaretta. Ho perso la semplicità per sempre”.
Mi accarezzò la testa con le sue mani rugose, era triste per me, così emise un grido verso il cielo: “uuhuuhuuaahaaha” e con esso si liberò della sofferenza.
“Vuoi tornare alla tua vita?” chiese con malinconia.
“Si, amico mio”, risposi con un filo di voce.
“Bene, domani ti accompagnerò alla cosiddetta civiltà, sarà un viaggio lungo e faticoso, poi tornerò da solo alla foresta. Sappi che ci mancherai.”
“Anche voi…tanto”, e mi addormentai.

Partimmo all’alba, camminando fra arbusti intricati, valli dimenticate, mi ricordo che attraversammo una cascata, mentre lo portavo sulle mie spalle (anche se i bonobo amano l’acqua non sanno nuotare) rideva come un cucciolo.
Molti giorni trascorsero, giorni di fatica. Per tutto questo viaggio non parlammo mai, come se si volesse entrambi evitare di rompere quella flebile decisone di fare quello che stavamo facendo.
Alla fine in un meriggio dal caldo torrido si fermò.
“Sei giunto, Visir, oltre quelle cime di baobab troverai il primo villaggio degli uomini”.
“Grazie” dissi esausto dal viaggio.
“Non ringraziarmi, non sto facendo il tuo bene, ma lo dovrai capire da solo”.
Ci salutammo come fratelli, con piccole pacche sui testicoli come si usava tra noi scimmie.

Poi mi si avvicinò all’orecchio e disse piano una frase.
Scossi la testa emozionato e cominciai a camminare nell’erba alta, non mi voltai più indietro.
Quello fu il nostro addio.

Vivo in questo mondo ormai da molti anni come una scimmia nuda.
A volte, col buio, quando nessuno mi vede salgo su un ramo alto di un albero e grido alla notte: “uuhuuhuuaahaaha”, come ho visto fare al mio amico, capita anche che questo mi aiuti.

Poi, nel mio letto la sera ripenso a loro, a De Marinis, alle chiacchiere sulla Mangrovia, a tutti gli amici veri ed affettuosi del mio branco, alla loro vita semplice, a volte breve, ma immensamente felice.

Sempre riecheggia inaspettata la sua ultima frase, è un monito alla mia vita.
Nei miei momenti di quiete mi pare di sentirlo, anche ora, che mi dice: “Ricorda…Non credere al domani”.