martedì 16 gennaio 2024

Über Einsamkeit (sulla solitudine)


             Mi sorprendono quelli che dicono che si sentono soli.

Quelli che devono scopare con un'altra persona a tutti i costi, altrimenti sentono un vuoto interiore che colmano riempiendo oppure riempiendosi di un altro corpo.
Quelli che si adeguano agli atteggiamenti conformisti per avere vicino altre persone che li possano riconoscere e comportandosi tutti nella stessa maniera, compensano la propria mancanza di originalità.
Perfino quelli che si profondono in un'attività per sentirsi utili e così in contatto con gli altri e quando questa attività termina o non è più richiesta, ricadono nel baratro della solitudine.
La solitudine non è un problema, ma una condizione naturale per l'essere umano.
Il problema semmai è che non lo si comprende. 
Schematicamente l'essere umano ha tre modi per fuggire da se stesso: il sesso, l'omologazione e il lavoro.
Nonostante ciò nasciamo e moriamo soli e per tutta la vita, per quanta strada possiamo fare, per quanto lontano ci porti un viaggio: non andremo mai oltre il perimetro della nostra pelle.
Siamo tutti rinchiusi in un corpo e sebbene ci pare di uscirne con la vista, con l'udito e in generale con tutte le percezioni dei sensi, tutto il grande Mondo, l'immenso Universo, trova posto ed è contenuto nel piccolo spazio di un essere umano.
La comunicazione con cui interagiamo con il prossimo è di fatto un dato presunto.
Si crede e si spera di essere capiti, ma nessuno ne sarà mai certo.
Certamente se chiedo a un vicino al ristorante: "Mi passa il sale per favore?", quello magari lo farà, ma questo non è essere capiti, è un atto in risposta a una richiesta per un bisogno.
Una cosa molto diversa.
Nella dualità domanda/risposta la comunicazione funziona bene, perché la comunicazione così è utile alla sopravvivenza, non propriamente alla conoscenza.
La conoscenza è un atto personale e unico, una strada senza indicazioni.
Se volessi infatti descrivere a un'altra persona, l'effetto di un bacio al tramonto ricevuto dall'amore della mia vita, i brividi, le percezioni e le emozioni suscitate che mi hanno scaldato il cuore. Insieme alla struggente speranza che un tale momento duri per sempre, e la mesta constatazione del giorno che finisce perdendosi in un fiammeggiante arancio che colora il cielo, come a voler significare che ogni cosa nasce sommessamente e muore con un addio grandioso; 
Ebbene in questo caso nessuno mi potrebbe comprendere pienamente né proverebbe esattamente ciò che ho sentito e vissuto.
Dunque, l'altro è e sarà sempre un mistero per ognuno e viceversa.
Stando così le cose è utile rendersi conto che bisogna vivere questa realtà isolata non come una prigione, ma come un'opportunità; Non con tristezza o rassegnazione, ma come una condizione appunto dell'esistere.
Questo non esclude che si provi piacere a stare con gli altri, quanto sia bello parlare e confrontarsi, perché in questo modo si rivive in maniera personale il piacere di essere nel Tutto da dove proveniamo e cui siamo nuovamente destinati.
Viviamo cioè come singoli per un po' di tempo e così facciamo esperienza della Vita, proprio perché siamo separati da tutto il resto e soprattutto dagli altri.
Senza solitudine non potremmo nemmeno avere coscienza di vivere.
Non percependo dove finisce me stesso e comincia l'altro sarei completamente disorientato.
L'uomo per comprendere deve distinguere, separare e poi valutare il vantaggio fra enti opposti attraverso la preferenza.
Questa è la struttura cognitiva che abitiamo vivendo. E' fatta apposta per farci sopravvivere. Se non avessi la convinzione confermata dalle percezioni che non sono un altro e non sono nemmeno il mondo che mi circonda, dimenticherei perfino di respirare. Non mi preoccuperei di mangiare né di proteggermi.
Perché mai dovremmo lenire per non dire fuggire questa condizione con la vicinanza di un altro? 
Abbiamo bisogno degli altri?  
Certamente, ma non per tutto il giorno, perché a un certo punto si deve pur andare in bagno. 
E' impellente il bisogno, anche quello di parlare, specialmente se si nasce donna, ma alla fine nessuno ti capirà e se qualcuno dirà che ti capisce, allora è sicuro che ti fraintende. 
Qual è il senso di questa ossessione comunicativa?  
L'altro non potrà mai essere te stesso né tu l'altro, non trova senso questa ostinazione.
Tanto valeva allora restare dove eravamo prima di nascere.
L'esperienza della vita è l'esperienza della separazione.  
Per me è anche l'esperienza dell'assurdo, poiché sebbene l'incomunicabilità sia un dato di fatto, mi ostino a scriverne in proposito dilungandomi anche in ardite spiegazioni.  
Avremo tutti modo dopo (non che si abbia fretta) di godere dell'indifferenziato e così: "Fare ritorno all'Infinito da cui provengono tutti gli esseri destinati alla distruzione" come diceva Anassimandro, indicando quale causa l'Aperion che non è un drink che si beve al Bar Antica Grecia, ma il movimento vorticoso che separa i contrari da dove hanno origine tutte le cose finite e create dall'Infinito secondo giustizia cioè pagando la Vita con la Morte. 
Anassimandro di certo sapeva come infondere il buon umore.
Un breve inciso storiografico.
La prima lettura cui possiamo far riferimento sull'origine dell'Universo e della Vita è l'Enuma Elis un poema teogonico e cosmologico in lingua accadica, appartenente alla tradizione religiosa babilonese che tratta in particolare il mito della creazione, la teomachia che diede origine al mondo come lo conosciamo, raccontando in maniera un poco fiabesca le imprese del Dio Marduk.  
Questo poema non veniva recitato, ma cantato ed era indicato, tradotto dai caratteri cuneiformi: "La forza che fa rivivere il mondo". Un concetto antichissimo cioè quello dell'intervento umano e del suo canto inteso come volontà che concorre alla creazione ed a formare la realtà stessa, un modo che trova sorprendenti parallelismi con la filosofia degli Aborigeni australiani.  
Alla fine il grande Mondo è un paese. 
Quest'opera è molto antecedente, ma sorprendentemente molto simile alla Genesi dell'Antico Testamento, quest'ultimo composto inoltre da Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio. 
Al di là delle discettazioni erudite, quest'opera influenzò il filosofo greco Anassimandro, allievo di Talete. 
Egli, già in epoca presocratica portò ben oltre questa visione babilonese, superando perfino Esiodo suo predecessore e ideatore dell'Arché cioè l'origine del Tutto dal Caos primordiale, dandogli però un senso diverso e costruendo una scuola di pensiero più matura e sorprendentemente precorritrice delle moderne teorie della Fisica Quantistica. 
Tra l'altro fu il primo filosofo greco a scrivere o almeno fu il primo la cui opera scritta diretta ci è pervenuta e così tramandandoci le sue idee e le sue scoperte (specie in ambito geografico) di cui purtroppo ci rimane poco, ma quel poco rimasto della sua saggezza è estremamente interessante. 
A mio personale modo di intendere la Filosofia è la scienza che ci insega a vivere cioè ci aiuta a godere della vita per quello che è.  
Non opporsi a nulla che sia proprio della Natura e accettare gli eventi che non dipendono dalla nostra azione è in definitiva: saper trarre piacere da ciò che abbiamo.  
Senza pretendere oltre e di più di ciò che abbiamo è conformarsi alla condizione che abbiamo scelto prima di nascere. Questo e quanto le mie esperienze mi hanno mostrato, cioè che ogni evento è deciso da noi stessi prima di essere vissuto in quanto il caso non esiste, perché il Destino governa ogni cosa.  
Questo non lo credo solamente: lo so.  
Un motivo dunque ci sarà per questa vita, ma è una risposta che ognuno deve cercare da se stesso, essendo diversa per ognuno. Compito dell'Uomo è, grazie all'osservazione obiettiva delle cose e il ragionamento lucido a riguardo delle sue azioni e delle relative conseguenze, formare un processo in se stesso che gli rivelerà molto di questo arcano.
Non viviamo per caso.
Ognuno ha deciso di vivere, i genitori non hanno creato la nostra vita, sono stati un'occasione per farci nascere.

Questa situazione solitaria è la conseguenza di tale scelta.
La solitudine è dunque la condizione senza la quale non potremmo realizzare l'esistenza che in altre parole è: "Separazione, parcellizzando e integrando infinite possibilità in una singolarità". 
E' inoltre, fare esperienza di un'entità illusoria in una dimensione materiale altrettanto illusoria, ma la conoscenza che se ne trae è invece reale.
E' stupido dunque lamentarsi della solitudine.
Sarebbe come lamentarsi di vivere.  
Tu hai deciso di studiare e andare a scuola e ora in classe devi rimanere.