lunedì 18 novembre 2013

La Danza del Caos


Da bambino amavo guardare le formiche.
In estate, quando ero libero dagli impegni di scuola trascorrevo le mie vacanze in campagna; Allora mi piaceva perdere una buona mezz’ora osservando con curiosità questi piccoli insetti.
Ero rapito dalla loro organizzazione, ma dopo un po’ di questo entomologico esame mi stufavo e così continuavo a scorazzare in lungo e in largo per fare danni con la fionda.
In quei rari momenti di quiete e di studio però mi domandavo: Come fanno a comunicare tra loro queste formichine senza dire una parola? Come fanno con un cervello così piccolo a svolgere attività tanto complesse? Come seguono tutte la stessa strada? Come scelgono il nido? Come si organizzano per difendersi, per accumulare il cibo? Perché si prendono cura delle larve nate da un’estranea, la loro regina? Come mai non rubano e non litigano mai tra loro?
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Domande senza risposta nella mente di un monello, ma ad alcune ho trovato un responso dopo un po’ di anni.
Giusto per saziare la curiosità di chi legge è emblematico come le formiche scelgono il nido fra diverse opzioni possibili.
La scoperta avviene sempre in maniera apparentemente casuale, ma si evolve con un sistema razionale semplice e quasi geniale.
Quando una formica trova un luogo ampio e buio che risponde ai requisiti per un nido vi  accompagna un'altra formica a visitarlo, se anche questa lo trova adatto, entrambe accompagnano altre due formiche  e se anch’esse lo trovano ottimale condividono la scoperta con altre e così via trasferendo l’informazione a ritmo esponenziale.  
Ciò determina un flusso sempre maggiore di sopralluoghi che giunto al quorum di gradimento della popolazione cioè una maggioranza significativa è approvato e le rimanenti formiche sono letteralmente prese di peso e portate nella nuova dimora. Anche se  non si è compreso come una volta raggiunta la maggioranza le formiche lo capiscono. Nel caso però, la scelta del primo pioniere non è stata condivisa dall’approvazione dei successivi insetti che ha accompagnato, la ricerca riprende altrove vagliando altre possibilità.
Così in meno di mezza giornata è presa la decisione del nuovo rifugio con un sistema  pragmatico e rapido.
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Il confronto con la nostra società che definiamo democratica ed evoluta sorge spontaneo.
Infatti, noi italiani per esempio, non siamo riusciti dopo dieci anni di dibattiti e petizioni  a ridurre il numero dei parlamentari e il loro sproporzionato stipendio che risulta essere un vero insulto a fronte della riduzione del salario di tutti gli altri membri non privilegiati della società.
Eppure gli uomini si definisco gli animali più evoluti su questo pianeta.
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Ho appreso con stupore che le formiche vivono in armonia con la “Teoria della Complessità”.
Una teoria relativamente recente, scoperta poco più di una cinquantina di anni fa, ignota sino ad allora, ma non certamente alle formiche.
Fino alla comparsa di questa teoria, la realtà,  i sistemi di riferimento ed i problemi ad essi connessi che giungevano all’intelletto dell’uomo erano interpretati e risolti perlopiù con soluzioni lineari, intendendo quest’ultima definizione nell’accezione della teoria sistemica.
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Un piccolo ripasso.
Si definisce un sistema lineare un insieme che può essere scomposto in sistemi più semplici e autonomi.
Dunque un problema complesso quando è lineare è possibile scomporlo in tanti problemi più piccoli e semplici le cui rispettive soluzioni determineranno anche la soluzione del problema generale.
Un’altra caratteristica peculiare di un sistema lineare è data dalle sue variabili che agiscono sul sistema in maniera diretta cioè in somma aritmetica o proporzionale e la cui interazione è definita come “sovrapposizione degli effetti” ed è rappresentata matematicamente in una funzione polinomiale.
Un sistema facile e intuitivo spesso utilizzato per la soluzioni di molti problemi, ma in realtà la maggior parte dei sistemi e dei problemi è non-lineare.
Il modello lineare si adatta in molti casi solo per approssimazione ai variegati aspetti della realtà, compresa la nostra realtà biologica e sociale.
E’ dunque un approccio che alcune volte funziona e altre volte è forviante rispetto ai dati effettivi rilevati a posteriori.
Infatti come detto, nella realtà la maggioranza dei sistemi è non-lineare e questi ultimi sono sistemi dove le variabili sono interdipendenti cioè reciprocamente influenzate.
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La fisica, la chimica, la medicina, la fisiologia ma anche la sociologia e la psicologia sociale  affrontano  così sistemi “complessi” e non lineari.
Definendo il termine “complesso” nel suo significato etimologico derivante dal latino che significa: abbracciato, concatenato. Dunque non è possibile scollegare una variabile dalle altre.
Il modello complesso confluisce nella “Teoria del Caos” quando è composto dai sistemi fisici che  esibiscono una sensibilità esponenziale rispetto alle condizioni iniziali e sono indagati attraverso gli strumenti della fisica-matematica.
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Il Caos è dunque diverso rispetto al complesso ed è generalmente inteso dalla nostra percezione come confusione.
La Teoria del Caos si occupa in definitiva di comprendere, misurare e se possibile prevedere come un piccolo cambiamento, magari di una variabile impercettibile e apparentemente insignificante, determina un evento inaspettato e imprevisto di dimensioni ridondanti o iperboliche.
E' celebre l'esempio del “butterfly effect”.
La farfalla che con il suo battito d’ali in Cina determina un uragano in Texas.
Un risultato apparentemente inaspettato rispetto alla sua causa scatenante che ben stigmatizza con una iperbole retorica una realtà con cui spesso facciamo i conti.
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Se ad esempio lasciamo aperto un rubinetto dell’acqua in una vasca chiusa essa si riempirà in un certo tempo in proporzione al flusso di acqua che ne discende. Se in questa vasca inoltre aggiungiamo ogni minuto un mattone di volume conosciuto è ancora possibile il calcolo esatto del tempo che impiegherà l’acqua a straripare dalla vasca (approccio lineare); Naturalmente è necessario conoscere anche la capacità volumetrica del contenitore e in generale potremmo sempre avere una soluzione al nostro quesito iniziale cioè: "Tra quanto dovremo chiamare i pompieri?"
Fatto salvo che restano inalterate le condizioni del sistema, ma se conosciamo anche il valore delle possibili variabili incidenti e interdipendenti (ad esempio la pressione barometrica con la tensione superficiale del liquido) potremmo avere un dato sempre più accurato entrando sempre più in un sistema complesso e non lineare.
Questo almeno in teoria.
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Nella realtà potrebbe  accadere che si stacchi un pezzo di soffitto e cada proprio nella vasca durante l’esperimento mandando a ramengo il nostro calcolo.
Tra le ipotesi possibili ci possono essere di fatto anche eventi improbabili, ma ragionevolmente avverabili il cui effetto supererà di gran lunga la causa.
Potrebbe accadere che la bella vicina della porta accanto (la cui doccia è guasta) decida di fare il bagno nella casa del fortunato sperimentatore e proprio durante l’esperimento in parola, regalandogli non solo una splendida visone, cambiandogli magari la serata e sicuramente modificando il risultato del test.
Questo fatto, quasi insignificante e improbabile, potrebbe addirittura determinare un risultato dal valore notevolissimo se lo sperimentatore e la bella vicina folgorati da improvviso amore decidessero di partire per una romantica vacanza fregandosene del risultato dell’esperimento e convergendo così in un perfetto sistema caotico.
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Dunque: “Escluso l’impossibile, per quanto improbabile, quello che resta è la verità.”
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Giocando con gli esempi ne prendo un altro in prestito dalla storia per evidenziare come si evolve in modo imprevisto un sistema caotico a noi molto vicino: la società umana.
E’ il caso di un oscuro errore giudiziario avvenuto in Palestina circa duemila anni fa.
Parlo della vicenda del figlio di un modesto falegname che credeva di essere un messia ebraico, anzi il Messia.
Il buon uomo voleva probabilmente solo essere accettato dai suoi concittadini ebrei, invece finì condannato crudelmente e ingiustamente su una croce romana patendo una fine dolorosa e solitaria.
Se avesse mantenuto un profilo un po’ più basso, anonimo, discreto e meno in contrasto con le certezze dogmatiche della religione autoctona probabilmente avrebbe avuto il tempo di farsi una famiglia con la Maddalena, ma questa è un’altra storia.
Cosa sarebbe stato meglio per lui: vivere con una moglie o finire su una croce? Non sono sicuro di poter dare una risposta, perché a volte le due cose si confondono.
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Ecco che un fatto insignificante nel panorama storico generale (non ci sono prove certe dell’esistenza di Gesù ) ha innescato una serie di eventi connessi e interdipendenti per cui noi oggi ci ritroviamo un sistema religioso chiamato Santa Chiesa Apostolica Romana e dobbiamo fare i conti con un sacco di preti che non lavorano e che non hanno mai lavorato. Curiosamente questa associazione a delinquere di stampo religioso detiene l’impero immobiliare più grande al mondo.
Grazie anche al seguito di circa un miliardo di sostenitori più o meno convinti e più o meno critici rispetto alle bestialità che gli sono rifilate come "verità dogmatiche" anche se questa definizione è in effetti un ossimoro: un dogma di fatto non ha bisogno di essere provato e quindi di essere vero.
Se quella oscura e tragica vicenda non si fosse svolta come si è svolta (ammesso che si sia svolta) oggigiorno andremmo ancora al tempio di Marte oppure di Giove per elevare le nostre preghiere ugualmente inutili e devolveremmo l’otto per mille delle nostre fatiche agli Dei dell’Olimpo invece che ai Santi del Paradiso; Magari occuperemmo il tempo e le risorse in maniera più utile? Chi può dirlo?
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Tornando al presente e a cose più tangibili ho accennato ai “sistemi complessi” ma non li ho definiti come “sistemi complicati”, perché il significato della parola “complicato” è molto diverso;  Infatti la radice è sempre latina, ma complicato significa “annodato, ripiegato” cioè definisce un sistema in cui non si trovano parti concatenate ma nascoste, cioè non visibili e non percepite.
Il senso è quindi completamente differente.
Cosa c’entra con l’uomo, la realtà e la scienza? Cosa c’entra con le formiche? Molto, a mio modesto parere.
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Quelle suggerite sono teorie  niente affatto semplici che non padroneggio per farne una discettazione scientifico-matematica.
In fondo  non è mio desiderio tracciare equazioni sulla lavagna e fare a fette gli attributi dei pochi che sono riusciti ad arrivare sin qui nella lettura con già mezzo mal di testa in canna.
La mia indagine è più prosaica, meno finalizzata alla definizione della teoria in sé, ma piuttosto desidero tratteggiarla per delineare un paesaggio di più ampio respiro, direi filosofico se la parola ormai non facesse venire il latte alle ginocchia un po’ a tutti.
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Ricongiungendomi così all’analisi dei modelli esposti ecco che osservo che la maggior parte delle persone affronta la vita con un approccio lineare, calcolando costi e ricavi in maniera aritmetica e dividendo la maggior parte dei problemi in incognite più semplici, affrontando l’esistenza a comparti: il lavoro, la famiglia, le amicizie, le avventure. Un atteggiamento che la psicologia definirebbe schizofrenico.
Alcuni, i più saggi e previdenti, preferiscono un sistema più complesso, valutando ogni possibile variabile e sua correlazione con un approccio più sinergico alla vita.
Ma in ultima analisi la vita è un sistema caotico. Il calcolo degli effetti delle moltissime variabili diviene talmente complesso che risulta oltre il nostro modesto intelletto.
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Appare evidente, alla luce di questa idea che il nostro approccio alla realtà con questi tre possibili modelli di precisione e complessità diversa, è inadeguato a fronte del paradosso di alcune situazioni spesso familiari.
Prendiamo il caso di un salutista trentenne che non beve e non fuma e regola la propria esistenza tra sport e alimenti integrali, evitando ogni possibile rischio alla propria salute; egli pianifica l’obiettivo di allungare (?) e migliorare la sua esistenza grazie ad un approccio lineare.
Magari il buon uomo valuta tutte le possibile cause di rischio, stipula ogni genere di polizza assicurativa, risparmia il suo denaro, non affronta nessun pericolo sconsiderato, utilizzando per quanto consente la sua capacità cognitiva, un sistema complesso il più possibile ampio.
Prevede quasi tutto; Dimenticando forse che non c'è nulla di più triste di un destino certo.
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Poi, un giorno, questo personaggio in perfetta salute, attraversa la strada sulle strisce pedonali ed è preso in pieno da un furgone DHL che arriva a tutta birra.
Muore come un cane. Una smorfia incredula disegnata sulla faccia e una macchia rossa che si allarga sull'asfalto sono le utlime cose che lascia al mondo. 
Il veicolo è sbucato da una strada in contromano, perché il conducente è ubriaco e furioso; L'autista è stato appena lasciato dalla sua  fidanzata che si è messa con il suo migliore amico e si è sfogato nell'alcol e poi guidando come un pazzo.
Un evento lontanissimo e senza quasi collegamento con il nostro eroe della salute si è colliso con la traettoria retta e prevedibile della sua vita e gli è costato la pelle.
Tutto il suo daffare per prevenire ogni pericolo non è servito a nulla.
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Questo succede perché forse non conosceva la teoria del Caos? Forse, ma accade e neanche tanto di rado. 
Personalmente se certamente mi sfuggono le complesse equazioni del Caos, non mi sfugge il macabro umorismo che ne deriva.

La rappresentazione grafica della funzione di ogni sistema vivente è la parabola. Nasce, cresce, muore. Più alto è l'apice più rovinosa sarà la caduta.
Mai come ora hanno vissuto sul terzo pianeta del sole così tante persone che abitano città gigantesche e viaggiano così tanto. Un vero paradosso alla Teoria dei Sistemi, alle regole della Natura e alle  leggi della Fisica. La Nemesi che attende inevitabilmente il genere umano sarà il pagamento dell'ultimo pedaggio per tanta grandezza senza il minimo valore.
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Considerazioni generali a parte, appare evidente come l’uomo comune pur non entrando quasi mai in profondità nel suo approccio alla realtà, perché sempre occupato nei propri impicci ne percepisce comunque la profonda angoscia, derivante dall'effimera insicurezza del vivere e dal ancor più effimero senso che egli dà a questa esistenza.
Ho notato, nel mio peregrinare in questo mondo assai comico che tra le più prevedibili reazioni umane c'è la negazione e l'inganno.
La negazione al fatto inaspettato in quanto tale e l'inganno, usualmente rivolto a se medesimo grazie alla più fantasiosa irrazionalità.
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Come nell’antica tragedia greca il finale, solitamente ingarbugliatissimo era dipanato da un improbabile intervento in extremis del Deus ex machina, ove una divinità discendeva sugli umani e ne compiva il destino, secondo i meriti e le simpatie, salvandoli o castigandoli e consentendo un facile finale alla rappresentazione; Anche l’uomo moderno ricorre a questa immatura soluzione per lenire l’angoscia e la paura della sua fine certa in un divenire incerto.
L’uomo ha così creato un Dio, un Buddha, un Tao, qualunque cosa possa fargli credere alla certezza che nel mondo c’è una legge, c’è una regola, ma soprattutto vi è qualcuno tanto potente che la garantirà.
Non importa se esiste, se ogni dato concreto non supporta questa fantasia, questa credenza, questa suprestizione. Di fronte alla necessità psicologica non c'è spazio per il contraddittorio.
Nell'essere umano il bisogno di lenire l'insicurezza del esistere (che comunque in profondità rimane) è rimossa sempre traslandola fuori da se stesso, perché nella propria  interiorità non ci vuole guardare. Figuriamoci poi se ci vuole andare fino in fondo.
Si abbranca a qualunque pseudo-sicurezza come un naufrago ad un compagno tirandolo a fondo con lui, invece di cominciare a nuotare con le sue forze.
Si adotta così un atteggiamento che se non fosse condiviso da tante persone mature, non si farebbe fatica a definire puerile e banalmente consolatorio.
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Nei casi migliori questo assurdo essere cerca la verità attraverso dei maestri.
Non comprendendo che l'unico vero Maestro è colui che distrugge in noi l'idea che abbiamo bisogno di un maestro.
Perchè la verità è oltre il limite delle convenzioni e in quel territorio sconosciuto nulla e nessuno può prepararti.
L'unica e sola riposta vera è la propria.
L'addestramento è inutile, solo la fiducia in te stesso può soccorrerti.  
"Hic sunt leones" scrivevano gli antichi Romani sulle mappe dove il terreno era inesplorato: qui ci sono i leoni.
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Personalmente non credo in nulla che non sia confortato da una mia percezione che mi sforzo di liberare il più possibile dal pregiudizio; Non vivo in un letto di rose, ma almeno mi è risparmiata questa follia condivisa.
Senza presunzione posso dire che abito comodamente il mio corpo, lo vivo cioè  come il mio strumento per essere. Senza di lui (il corpo) nulla potrebbe accadere in me e fuori di me in questa dimensione.
Alla logica aristotelica preferisco la logica fuzzy dei sistemi sfumati; al bianco e nero preferisco le mille sfumature di rosso del mio conto corrente.
Non mi aspetto una retribuzione materiale o emozionale del mio fare spontaneo.
Patisco le delusioni, certamente, ma sono  il segno che mi indica che il mio comportamento non è puro.
Perché la purezza, non è  certamente quella dei moralismi, ma è l'azione libera dal frutto del risultato.
Cerco anche di non riempire più la mia vita col passato e lascio così un po' di posto al presente. Non è facile ma mi impegno seriamente in questo. 
Non vivo l’angoscia dell’annichilimento e della morte, perché l'ho trascesa con la curiosità.
 
L’immensa curiosità del dopo, e se questo "dopo" non ci sarà, beh!  Non sarà un gran problema, perché non ci sarà neanche un "qualcuno" che se ne rammaricherà. 
In ogni modo la mia curiosità l'avrò data ad ogni secondo di vita cui mi concedo senza pudori, roteando nudo come in un ballo primitivo, nella meravigliosa e terribile danza del Caos.
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venerdì 8 novembre 2013

Cuori Ingrati


Ovvero: imparziale analisi della vita umana su questo curioso pianeta.
 
La nostra vita può sembrare passabile, normale, ispirata dai migliori sentimenti e dal reciproco rispetto. Una quotidianità che persegue la ricerca della verità o almeno della sincerità, peccato che non sia così.
Viviamo purtroppo in un continuo fraintendimento delle nostre pulsioni e delle reazioni dei nostri simili in una dimensione di indeterminatezza del futuro.
L’ombra di una morte certa, poi, ci segue anche al buio.
Questa marcia notturna si compie perché non accendiamo una luce di obiettività  in noi stessi.
Non prendiamo coscienza, spietatamente, della nostra sordida dimensione egoista, dell’aria fritta delle nostre “opinioni” e del semplice fatto che viviamo solo per noi stessi in un mondo pieno di mistero che ci passa accanto il più delle volte senza essere colto.
Spinti da momentanei e del tutto fortuiti e casuali, moti di un sentimentalismo a buon mercato, viviamo altalenanti momenti di eccitazione e di sconforto che ci soverchiano come una zattera sommersa dalle onde di un mare in burrasca.
Senza un primo passo nella direzione giusta, ogni cammino porta lontano da un obiettivo e  penso che la meta per ogni persona sia arrivare a se stesso ed a una comunque improbabile emancipazione dalla schiavitù e dalla violenza in cui siamo immersi.
Qual è l’unico reale desiderio di un uomo se non vivere pienamente una libertà incondizionata? Non posso parlare per tutti ma questo è sicuramente vero per me.
Però, viviamo sempre un scontro interiore tra i condizionamenti e la natura autentica del nostro essere e immancabilmente proiettiamo questo conflitto sui nostri simili.
Non vedendo il male dentro di noi siamo così costretti a viverlo fuori di noi.
Ho usato il termine spietato perché spesso, con noi stessi siamo troppo indulgenti.
Ce la raccontiamo, e quando facciamo il punto della situazione, nel nostro lettino la sera, prima di “continuare” a dormire ci vendiamo un sacco di bugie.
Poco male se non accadesse che di mattino, queste menzongne non diventassero “magicamente” delle verità.
Il nostro corpo è pieno di tensioni che urlano la nostra disarmonia, la mente è confusa,
iper- stimolata dalla frenesia di una vita ormai adusa a ritmi fuori controllo; Che dire dei pensieri che ormai non si basano altro che su opinioni balzane invece che su dei dati reali?
Ieri sera nel traffico caotico della città, mentre il tramonto avvampava il cielo ho visto in un automobile vicina  un uomo solo al volante della sua autovettura che gridava in un auricolare e litigava forse con qualcuno, mi è parsa una rappresentazione molto reale della vita.
E’, sintetizzando, una follia. Si creano nemici fuori di noi per non affrontare l’unico vero nemico che abbiamo in questa esistenza: il mistero di cosa siamo.
Stupisce che questa semplice verità sfugga ai più, costringendoli a vivere un’esistenza di plastica, con rapporti di bieca convenienza e con atteggiamenti assolutamente privi della minima sensibilità umana.
Non che si debba essere tutti dei S. Francesco, ma almeno un po’ di classe! Un po’ di modo! Almeno un po’ di sincerità, magari solo con se stessi.
Uso volutamente degli aggettivi dispregiativi per descrivere questa malattia del vivere ma in senso lato, non tanto per dare un giudizio morale, ma pragmatico ed è in questa prospettiva che va vista la cosa.
Penso che se nel breve questo comportamento di continuo fraintendimento e di menzogna porti comunque ad un vantaggio, su vasta scala, nel tempo, costruisca intorno ad ognuno una camera di tortura in cui il boia e il condannato convivono nella stessa persona: noi.
Diciamo giusto per semplificare che la vita è una lotta, dove siamo buoni, quando non abbiamo le palle per essere cattivi o ancora peggio, quando siamo semplicemente più deboli.
E’ curioso che di fronte ad un ergastolano armato tutti trovino l’autocontrollo, salvo magari perderlo con i figli, la moglie o il vicino striminzito e rompipalle.
Per non parlare di quando siamo condizionati a tal punto da una morale che non è nostra, cioè che non si basa sulla nostra reale esperienza, che ci obbliga a comportarci aderendo ai cosiddetti canoni sociali di “brava persona”, pena il senso di colpa e l’inquietudine.
Che libertà è mai questa? Che dignità c’è in tutto questo?
Che l’uomo è egoista e in ogni azione che compie ricerchi il proprio benessere e tornaconto è citare l’ovvio, ma come vivere questo imperativo è un altro paio di maniche.
Fra due mondi: uno di indifferenza ed uno di compassione e di partecipazione c’è una distanza siderale.
Bisogna forse toccare il fondo per poter salire. Senza questa conoscenza solida, vivida e costantemente presente nel nostro essere ogni libertà ci è preclusa.
Di quale libertà parlo, però?
Libertà da se stessi, o almeno da quel costrutto artificiale che confondiamo considerandola come il nostro carattere invece di trovare la nostra realtà utlima.
Ecco che la miopia con cui guardiamo ci ha spinto sull’orlo di un baratro, io vorrei fare invece un passo avanti.
Per chi non ha ormai rinunciato a porsi una domanda onesta è inevitabile analizzare seriamente, la vita che, senza paura di sbagliare, definirei per tutti un po’ disperata.
Perché?
Semplicemente basta guardare agli elementi costitutivi della nostra esistenza simile per tutti, ovvero: noi stessi, le persone che ci circondano, il lavoro, la nostra posizione in seno alla società, il futuro.
Ordinerei gli argomenti a tal proposito in maniera inversa al mio personale ordine di importanza.
Comincerei con quello strano virus chiamato futuro.
“Del doman non v’è certezza” cantava il poeta, ma quale domani ? Di rimando interrogo a mia volta.
In alcune tribù aborigene della Nuova Guinea il futuro non esiste, è considerato parte integrante del presente. E’ per così dire quasi-presente (con le dovute approssimazioni). La loro vita parla per loro, scevra dalla violenza e dalla gelosia non hanno conosciuto nelle ultime migliaia di anni un solo conflitto né le aberrazioni ed i reati di cui i nostri giornali stilano il bollettino ogni giorno.
Sarà un caso?
Personalmente mi sento molto vicino a questi “selvaggi”, mi sveglio la mattina e penso: “Arriverò a stasera?” e curiosamente vivo sereno.
Forse da questo virus sono solo stato contagiato in misura minore, non saprei che dire, ma penso che più il futuro è parte nella mente e più divora il presente, un po’ come Kronos il Dio del tempo che divorava i propri figli.
In quanto all’organizzazione sociale, ottimisticamente dire che la nostra società è un inferno.
A parte le iniziative di facciata che tendono, più che a risolvere i problemi, a procrastinarli o meglio a dissimularli agli occhi dei più, vediamo bene che è tutto un mangia, mangia.
L’ambiguità, la disorganizzazione, lo spreco e la totale mancanza di una posizione critica delle persone dipinge un quadro allucinante del nostro vivere.
Momentaneamente la nostra vita appare piana, ma basta veramente poco per sollevare il tappeto e camminare nell’immondizia.
Basta una malattia improvvisa per iniziare il calvario del nostro sistema sanitario, più rischioso di una roulette russa.
Basta incontrare la persona sbagliata nel momento sbagliato per verificare quanta poco sicurezza sociale può offrire lo sbandierato “comparto sicurezza” della nostra società civile.
Basta un piccolo sopruso o peggio un errore dettato della fatalità per verificare che il nostro ordine giuridico e giudiziario è una giungla, dove solo i più spietati vivono nell’impunità e il margine di errore che porta a sentenze giuste è di fatto ampissimo e strettamente legato a elementi che di giusto hanno veramente solo il nome.
Quando esci dalla porta di casa sei in un campo di battaglia e se, sino ad ora è andata bene, non significa veramente nulla. Basta chiedere in giro e si vedrà che le bombe cadono continuamente intorno a noi.
Per quanto riguarda il mondo del lavoro esso invece rasenta la comicità.
L’incompetenza la fa da padrone, ora che le qualifiche hanno lasciato il passo alle capacità.
Qualunque cretino con una laurea può commettere ogni sbaglio, dire ogni stupidata purché l’apparente logica del profitto sia rispettata, salvo poi ritorcesi costantemente contro tutti noi.
L’ostracismo è applicato a persone valide che hanno l’unico demerito di essere fuori “target” per età, formazione atipica, perchè magari non hanno la tessera di partito o semplicemente sono “fuori del coro”. E’ dunque il trionfo della forma sulla sostanza.
Leonardo da Vinci non era certo laureato in ingegneria né Giotto aveva il diploma dell’accademia di Belle Arti, ma non mi sembra che mancassero di nulla.
Senza fare esempi illustri la qualità artigiana del 600’ era di un’abilità che rasentava l’arte.
Ci basta portare l’automobile dal meccanico o dal carrozziere per sperimentare la disonestà e il pressappochismo del nostro odierno, ma non è che i broker di Piazza Affari siano più capaci, certamente sono meglio vestiti, ma per il resto…
Nella sfera più prossima a noi ecco, dopo questo lungo panegirico, che arrivo alle persone care (care in termini di costo o di valore? Mah!)
I nostri amori, le nostre amicizie, i conoscenti.
I conoscenti appaiano al mio occhio cinico inutili come un culo senza buco, con quelle facce finte, ti salutano, ma non mi stupirei se tirassero fuori un mitra se solo gli occupi il posteggio riservato alla loro automobile.
Le amicizie (vere) non ho idea se esistano per sempre o siano una sorta di leggenda metropolitana, la pletora di “amici del sole” ovvero quelli che quando le cose vanno bene sono tutti pappa e ciccia e quando c’è da far festa spuntano come le cavallette, la fanno da padroni nella vita di ognuno, almeno nella mia ci sono stati.
Personalmente di “amici” ne ho avuti tanti, qualche d’uno credo vero, ma alla fine ognuno è perso nei fatti suoi, ma non mi sento di giudicarli con severità.
Penso che un po’ sia giusto così, ognuno alla fine deve vivere la sua vita e darsi troppa importanza è veramente una perdita di proporzioni, un atteggiamento infantile, però a volte una telefonata, un”come va?” sincero, una birra dopo il lavoro non sarebbe difficile realizzarlo come abitudine.
Gli amori, poi…caliamo un velo pietoso, ma se vogliamo proprio sollevarlo ecco che il panorama generale è a dir poco desolante.
Mogli apparentemente affidabili come Station Wagon che abbandonano i rispettivi consorti dopo anni di vita insieme e diventando i peggiori nemici del ex partner con cui hanno fatto magari dei figli, e gli si avventano contro senza alcuna pietà come dei Gengis Khan redivivi.
Similmente mariti che dietro ad una bella sottana dimenticano tutto, anche di avere una famiglia, si lanciano nell’ultimo corso di salsa e merengue, intontiti dal viagra come un hippy degli anni 70’.
Amanti e fidanzati, disposti a buttarsi nel fuoco (a parole) poi nel confronto stridente con la realtà e nel tempo regalano un’indifferenza che lascia basiti.
Mia nonna diceva: “L’amore si misura in quanti centimetri di culo uno è disposto a rischiare per te”. Mettere alla prova chi ci è in torno ci farà conoscere se lo spazio lasciato aperto per il rischio è della dimensione di un coriandolo o di un arazzo.
Questi sono i meravigliosi personaggi che stretti fra loro ballano e si scambiano le coppie, è un tragico samba che ci ostiniamo con presunzione a chiamare esistenza umana.
Veramente nel caso delle relazioni umane bisogna proprio dire che: l’unica certezza è il dubbio.
 Quello che mi lascia estremamente divertito sono ancora una volta i modi in cui si “scaricano” gli altri. Perché alcune volte i modi rivelano l’essenza.
Mi sembra giusto che una persona scelga nel proprio interesse liberamente, però, e sottolineo il però, non per questo bisogna camminare su una montagna di cadaveri.
Magari si potrebbe trovare il modo di andarsene lasciando dietro di se un eco di poesia, un profumo del tempo che fu, un ricordo tinto di cordialità.
Invece c’è solo indifferenza, scostante rabbia e soprattutto mancanza di umanità e diciamocelo senza classe.
Un sms, una telefonata, alla meglio una lettera e centinaia di orgasmi meravigliosi, confidenze, sogni e slanci vanno nel cesso.
Penso che una colf da licenziare per scarso rendimento sia trattata con maggior tatto.
Lei o Lui si gira, ti fa ciao con la manina e via così, avanti un altro finché c’è posto.
Un attimo e non sei più NIENTE. Cancellato.
Senza la minima sensibilità, con lo stesso rimorso di uno squalo molti miei simili pinneggiano verso un mare più pescoso.
E non gli devi neanche far balenare il senso di colpa! Subire e tacere come a naja.
Ti lasciano lì agonizzante come dopo che ti hanno investito con un pullman, ridendo, con il loro stereo a tutto volume che da voce ai blues brother che cantano: Gimme Some Lovin', e manco chiedono permesso per passarti sopra. Ahia!
Fuori categoria da questo concorso del “Meglio del peggio”, ci sono i genitori e i familiari forse i parenti, che però non abbiamo scelto e che sono come i cioccolatini in una scatola, li prendi ma non sai mai quale ti capita.
Essere amati o maltrattati è solo una questione di fato e di fortuna?
Di quale merito possiamo ammantarci e di quale mancanza possiamo rammaricarci se le cose vanno comunque in maniera così inaspettata?
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Alla fine mi sembra che l’unica speranza per vivere meglio e più degnamente è nel fare tutti propria una semplice volontà: “Che il cuore, anche se non è abbastanza grande da contenere tutti, almeno non sia un cuore ingrato”.

lunedì 14 ottobre 2013

Cronopolis



L’idea è tempo.
Essa, quando si realizzerà, sarà sempre nel futuro.
Più questa intuizione sarà visionaria, iconoclasta, innovativa, più persone inevitabilmente lascerà indietro.

Viviamo un’apparente contemporaneità, ma nella realtà del pensiero e delle azioni conseguenti ad esso, non siamo tutti e sempre figli di questo terzo millennio.

Come la nostra società mantiene in sé i rumori della storia con le cadenze ritmate dei lavori manuali dell'antichità che producono gli stessi suoni millenari  ai quali si aggiungono i rumori delle macchine proprie della rivoluzione industriale, rumori integrati a loro volta dai toni dell’era digitale che porta il suo contributo di squilli e ronzii, una cacofonia che fa da colonna sonora al film delle nostre giornate sempre più brevi; Così anche nelle persone convivono diverse epoche.

Alcune persone vivono nella preistoria, perché senza istruzione, magari perché nate in aree remote e poverissime di questo mondo così affollato. Altre pur abitando in una società moderna sono legati ai pensieri, ai preconcetti e alle superstizioni del medio evo.
Per certi gli atteggiamenti sono coincidenti col tempo presente, mentre in altri aspetti sono magari ottocenteschi.
Pochi sono radicati sempre nell’attuale, pochissimi invece sono precursori di un avvenire che si realizzerà.
Altri ancora, vivono la nevrosi di un futuro ideale che forse non si determinerà mai.
Un futuro che ci viene ripetuto sarà migliore del presente.
Nel futuro saremo tutti alti, belli e ricchi; Dimenticando che alla Natura non si comanda, che la bellezza non dura, quanto alla ricchezza...rende l'uomo ancora più egoista di quanto è. 
L'icona del nostro tempo è considerata universalmente la televisone; Dove assistiamo sedati alla rappresentazione del divenire. E' un oggetto emblematico della condizione umana, perché rende viva una realtà che avviene all'interno di una cornice che la limita.

Riflettendo sui protagongonisti di questa realtà,  cioè l'umanità, considero l'essere umano un animale talmente pericoloso e feroce che per poter esistere con una certa organizzazione civile deve essere narcotizzato; E' intossicato dalla droga più potente che si conosca: la speranza.
Una tossina potente che è usata abilmente dai pochi per muovere i molti, ma che li contagia allo stesso modo. 
La maggioranza dunque scorda il risultato di tutte le macchinazioni perpetrate che si concluderanno con lo stesso tragico epilogo: entrare nell'oblio con due metri di terra sopra la faccia.
Di fatto sono due cose ben diverse un ragionevole progetto basato su dati oggettivi per migliorare il mondo che abbiamo ricevuto da chi ci ha preceduto e una aleatoria speranza di cambiamento positivo basandosi su elementi a dir poco fantasiosi come sull'esistenza di  presunte entità divine che ci assomigliano oppure su una misteriosa giustizia dell'universo che realizzi per noi un domani migliore esentandoci da far qualcosa di concreto per renderlo tale.  
L'infinito è bello e terribile nel medesimo tempo e delle nostre idee personali a riguardo della realtà non se ne cura affatto. 

Tornando al mi pensiero iniziale talvolta mi immagino che certi uomini alienati in questo odierno ipocrita sarebbero forse perfetti al seguito di Gengis Khan oppure con Napoleone. Altri sarebbero a loro agio  nei rioni del settecento di qualche borgo fiammingo, seguendo altri ritmi biologici. Ci sono uomini dunque che potrebbero essere  a loro agio nel passato, altri addirittura nel futuro, ma tutti invece costretti e stipati in un oggi ambiguo, con le sue regole contraddittorie.
Ecco che tutti viviamo esteriormente lo stesso momento, ma nella realtà dell’essere lo percepiamo, lo plasmiamo e lo elaboriamo in tempi soggetivi, tempi che non esistono più o che ci dovranno ancora appartenere.

Mi domando, quando incontro una persona, a quale epoca appartenga. La osservo nei modi, nel dire, nei comportamenti ed essa mi rivela a volte il suo personalissimo orologio.
Una crono-caratterizzazione difficile da fare, perché come detto, il tempo della vita è legato all’idea che abbiamo di lei e che si esprime nell’azione del vivere, ma il pensiero appartiene ad un attimo rapidissimo.

Così, troppo spesso, guardando al risultato ci sfugge la sua origine, posta non solo nel passato come è ragionevole trovarla, ma a volte anche nel futuro, un futuro determinato dall'idea che la sottende.
Si dimentica così facendo che non è poi così importante per l'essere umano il dove, il come e il quando, ma principalmente: il perché.
 
Così ci sfugge per sempre il  vero senso delle cose e delle persone.


mercoledì 28 agosto 2013

Un tuffo dove l'acqua è più blu, neinte di più.

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Cosa impariamo?
La domanda mi colpisce come una pietra in mezzo alla fronte, mentre sguazzo soavemente nella bella piscina di amici.
Tra i riflessi di acqua blu che luccicano sotto un sole estivo mi chiedo cosa effettivamente ho imparato dalla vita.
Un perché inaspettato e un po’ fuori luogo in un contesto così mondano.

Parlando al plurale direi che sicuramente ci sono insegnate cose utili, l’esperienza ci guida e ci aiuta a navigare nell’oceano esistenziale, ma è veramente così?
Nelle vicende ordinarie della vita è opportuno avere una certa conoscenza delle cose. Ammesso che consideriamo la conoscenza semplicemente come quel processo razionale per cui rendiamo qualche cosa di sconosciuto come già noto alla nostra coscienza.
Però la mia domanda è più sottile o meglio, provocatoria.

Se i fatti significativi dell’esistenza ci superano e ci sorprendono sempre come è possibile prevederli o gestirli grazie a questo costrutto di presunzione che è il conoscere?
Di fronte alla complessità e alla diversità del divenire ci si trova così sempre inadeguati.

Spiegandomi meglio aggiungo che nella successione ininterrotta dei momenti consueti, forse noiosi che scorrono in punta di piedi, quasi inosservati, di cui abbiamo un ricordo vago, labile e confuso, si constata ad una visione obbiettiva che il mercoledì ultimo scorso assomiglia ad un giovedì di dieci anni fa cioè una lattiginosa e indistinta amnesia.
Vi sono però, ogni tanto, alcuni attimi del vivere che assumono un reale valore.
Sono quei momenti in cui la vita ci mette di fronte all’inaspettato, al nuovo, alla sorpresa, magari ad un incontro che risulta nodale, mentre la matassa della vita si srotola, sino a quando il filo ormai teso, finirà.  
Momenti belli; A volte invece, terribili. 
Minuti di quiete inspiegabile che accadono oppure di furiosa follia che a ben vedere ci dominano.
Attimi che ci superano, ci sovrastano ma soprattutto di cui non abbiamo quasi nessuna possibilità di controllo.
Allora la nostra conoscenza ed esperienza a cosa serve?

E' ancora più evidente con i sentimenti e con le emozioni paipitanti determinate dagli eventi e dalle relazioni personali che suscitano in noi una forte risposta emotiva; Secondi lunghissimi dove il nostro cuore fa un balzo, oppure si arresta e cade come se quel muscolo cardiaco deputato al sentimento facesse un tonfo, precipitasse dal petto dentro di noi come una sorta di discesa inarrestabile in un abisso vertiginoso. 
Un “bungee jumping” nell’oscurità dell’anima o più semplicemente nel mistero di cosa siamo.

Sono come baleni nel temporale notturno che illuminano l'oscurità dell’incoscienza come fosse giorno; Essi ci danno il senso della nostra esistenza e, a ben vedere, sono gli unici in cui ci sentiamo realmente vivi. Immagini vivide di vita che acquistano spessore con le emozioni e si scolpiscono  nella memoria.
Forse sono ciò che ci tornerà agli occhi nel momento che ci toccherà chiuderli definitivamente.

Percezioni che in verità ci accadono senza mai essere veramente determinate.
Scopriamo e ci sorprendiamo di emozioni nuove, oppure riviviamo trepidazioni che, però non sono mai uguali,
Tocchiamo dunque sempre la stessa cosa, ma in modi e punti diversi anche se la definiamo in categorie, ma è oltre ogni termine. Sfioriamo senza poter afferrare la natura insostanziale dell'essere. 
Nella realtà del cuore le emozioni sono un sentire sempre diverso come i colori di ogni crepuscolo di un giorno nuovo, anche se lo chiamiamo alba o tramonto.

Allora la mia domanda iniziale si precisa: perché?
Perché dobbiamo conoscere?
Quale è il senso di questa dura scuola che è vivere.
Penso che la risposta, la mia risposta che estendo con un certo candido ottimismo a tutti è: "Il senso di vivere è imparare a vivere."
Questa intuizione deve però concretizzarsi in un azione precisa: essere padroni di se stessi.
E' un atto paradossale, perché appunto si muove in due direzioni diametralmente opposte.

Infatti, se negli eventi gravosi delle vita, nelle difficoltà, nelle sofferenze come anche nel piacere e nella fortuna, dobbiamo essere saldi in noi stessi, quindi ritrovarci e mai smarrirci dal quel autentico Sé, duramente cercato e incontrato; Nei sentimenti la strada da prendere è contraria cioè lasciarsi andare totalmente nelle emozioni profonde e così in queste, perderci completamente.

venerdì 19 luglio 2013

Note umane


Poco prima di addormentarmi mi capita che giungono alla mia coscienza delle intuizioni.

Non sono, presumo, verità trascendenti che illumineranno un giorno il cammino dell’umanità né tanto meno le soluzioni ai quesiti relativi ai massimi sistemi di pensiero che attanagliano l’uomo da sempre.
Non ho dunque le risposte alle cosiddette domande fondamentali come: Chi sono? Dove sto andando? E soprattutto, c’è ancora birra nel frigo?
Insomma, i grandi quesiti della vita.
Però ci sono e camminano su e giù per i sentieri ombrati del mio encefalo.
Così se voglio liberarmi di qualche cosa che mi ronza continuamente nella mente non trovo niente di meglio che metterla per iscritto e poi dimenticarla.
Considero la scrittura il bagnoschiuma dell’anima, ammesso che quest’ultima si possa in qualche modo trovare e poi ficcare sotto la doccia.

Vita e scrittura non sono fatti ahimè della stessa sostanza, a meno che non si vuole intendere (con una notevole libera estensione) che entrambe sono colorate dalla nostra interpretazione e dalla soggettività della visione personale.
Certo è che la vita (o Dio per chi ci crede) scrive il suo copione e a noi tocca interpretarlo così come lo scrittore determina la sceneggiatura, mentre l'interpretazione è fatta idealmente dal lettore.
In un certo senso lo scrittore gioca a fare Dio e qualche volta riesce a creare storie che superano quelle che il Sommo Creatore fa vivere generalmente alle persone vere.

Volendo cercare un ulteriore parallelismo tra letteratura e realtà, si potrebbe dire che è la similitudine, molto labile, che si può trovare nel raffronto tra gli scacchi e il poker.

Gli scacchi sono come dovrebbe essere la vita (nella sua costituzione ideale) cioè un’esistenza determinata dalle scelte vincolate alle regole che muovono i pezzi sulla scacchiera, ma libera dalla fortuna capricciosa.
Un gioco determinista dove il merito della capacità previsionale e della scelta migliore è il fondamento con cui si costruisce una vittoria cioè indiscutibilmente legata all’intelligenza del giocatore.
Simile dunque per molti versi alla costruzione letteraria che per quanto fantasiosa possa essere tende a dare comunque un senso alle vicende che narra e cerca nello svolgimento della trama di esprimere un messaggio, un’emozione, un ideale sotteso da una logica e trasmesso grazie alla sensibilità e alla visione dell’autore nella ricerca della bellezza.

Il poker è invece molto simile alla realtà oggettiva della nostra esistenza.
Spesso una mano apparentemente povera di buone combinazioni si rivela vincente, altra volte le migliori carte ci portano ad un azzardo rovinoso.
Poi ci sono i bluff che sovvertono ogni logica facendo presa sulla psicologia dei giocatori e dando la vittoria talvolta al più incosciente piuttosto che al più bravo.
Un caso che chiamiamo Destino e giudichiamo spesso cinico e baro.
E' evidente così che solo una persona che non ha molta esperienza della vita non crede alla fortuna.

Inoltre bisogna considerare che l’esistenza non ha nessun “senso proprio” se non quello che ognuno con maggiore o minore fantasia gli da.
I nostri pilastri morali, le nostre concezioni filosofiche e religiose con cui discettiamo del bene e del male, del giusto e dello sbagliato non possono esimersi da ruotare intorno ad una domanda fondamentale: Per chi?

La soggettività è dunque la misura di tutto, mentre nell'arte (quindi anche nella scrittura) l’essere umano cerca un’universalità che in definitiva è un ideale irrealizzabile ma seducente e che lo emenda da una condizione a ben vedere miserabile.

Vi è anche un'altra differenza profonda fra la realtà e la letteratura che consiste nella ripartizione del tempo.
Nella realtà il tempo scorre lungo un senso unico, sempre nuovo e non ripercorribile, un’inarrestabile entropia che è rincorsa dalla nostra coscienza e che ci fornisce la percezione dell’esistere.
La scrittura invece è l'unico strumento che permette all’essere umano di frazionare il tempo in sfaccettature sempre più complesse, in tagli sempre più ravvicinati e sottili consentendo un viaggio non solo lungo la linea del tempo e degli eventi in avanti e indietro ma anche nella profondità e nella soggettività dei protagonisti.
Così nella storia narrata un autore può restringe il tempo sino al parossismo e poi dilatarlo improvvisamente con salti temporali scioccanti.
Alcuni autori sono stati dei veri maestri come ad esempio Marcel Proust capace oltre ad un’inarrivabile grandezza linguistica di usare questo espediente, questo gioco (la contrazione del tempo e poi la sua estensione subitanea) in modo fantastico per deliziare e sorprendere il lettore.

Una breve divagazione su argomenti noti cui mi permetto, però di rinnovare qui in bianco e nero come in una sorta di eco semantico.

Tornando alla mia meditazione onirica mi domandavo: queste elucubrazioni sono solo il frutto della condizione di pre-rem? Oppure il mio spirito vaga, grazie ad una bolla energetica, in universi paralleli e conversando con esseri di infinita saggezza ne trae ispirazione?
In ogni modo a me piace pensare che approfitto solo di un po’ di tranquillità per farmi finalmente i fatti miei, cioè occuparmi di cose che non servono assolutamente a nulla.

Così proprio ieri sera riflettevo sulla mia percezione della realtà e degli insegnamenti che ne ho tratto.
Cioè in definitiva valutavo tutto quel costrutto di nozioni che è dato ad un essere umano attraverso le conoscenze che la nostra cultura promuove e sostiene, uno scibile ricevuto e conservato da chi ci ha preceduto nell’esistenza.   
Ci troviamo dunque tutti in un mondo già fatto e lo consegniamo a chi ci succederà il più delle volte senza significativi cambiamenti, almeno per quanto riguarda la natura intrinseca dell'essere umano.
In ogni caso queste nozioni e informazioni sono interpolate dall’indagine personale, (quando va bene) grazie alla logica particolare di cui ogni uomo è dotato (?) che permette a questi dati di raggiungere lo status di verità soggettiva;
Una posizione che in definitiva è la nostra interpretazione del mondo, una rappresentazione personalissima che vogliamo spesso condividere con gli altri.
Talvolta, questo legittimo desiderio genera una comunanza fra gli uomini, ma sovente anche qualche piccola guerra mondiale o di religione che riduce drasticamente il numero della popolazione (assai numerosa) sul terzo pianeta del sistema solare.

Vi è dunque schematicamente un’architettura concettuale che chiamiamo: educazione, scienza, religione, tradizione, usi e costumi che in buona sostanza è principalmente una struttura di regole condivise e teorie quasi sempre destinate a perfezionarsi.
Ci sono, poi gli strumenti che ci guidano nel raccogliere in questa vasta biblioteca del sapere umano quello che più ci aggrada e che sostiene le nostre idee, le opinioni e le dogmatiche certezze che si usano troppo spesso come una stampella piuttosto che come una torcia per scrutare nel buio della nostra abissale ignoranza.
Il nostro modo di pensare influenza il nostro modo di essere, tanto da confondersi l’uno nell’altro ed è fondato principalmente sulla nostra capacità di cogliere, elaborare, connettere e formulare previsioni con i dati a nostra disposizione; cioè quello che definiamo usualmente e con un po’ di presunzione: la nostra intelligenza.

Come mai indago in questa direzione con il ragionamento e la mia sensibilità? Forse mi dedico a questo impegno perché non ho problemi più seri da affrontare nella vita.
Almeno se considero come riferimento nella mia esistenza il pendolo di Schopenhauer, il quale vede l’uomo aggrappato a causa del desiderio all’estremità ondeggiante di una altalena perennemente in moto fra due punti apicali cioè: la sofferenza e la noia.
La felicità, l’amore e tutto il resto delle passioni allora? Null’altro che il momentaneo, effimero, soddisfacimento di un desiderio altrettanto effimero che si trasforma generalmente e sovente, rapidamente, in una gradazione variabile compresa tra gli estremi appena nominati. Personalmente non concordo totalmente con il grande filosofo che trovo troppo ottimista per i miei gusti. 
Usando le parole più semplici di mia nonna, direi che “Vivere è in definitiva come leccare miele da un cactus.”

Perchè in definitiva l’indigenza del mondo e la meschinità di cui siamo fatti è sempre in agguato. In ogni caso non è possibile rimanere sordi a questa miseria generalizzata, mentre urla per le strade di questo zozzo mondo che è tanto bello, in particolare quando non ci sono gli esseri umani.

Giungo finalmente, già con il fiato corto, al frutto del mio ragionare.

Cosa è la realtà che è messa davanti (o meglio dietro) ai nostri occhi?
La fisiologia ci spiega che l’immagine che abbiamo del mondo si forma nella mente, grazie a impulsi elettrici; niente di più che piccole scariche elettrostatiche elaborate dal nostro cervello.
Questa è oggettivamente la forma del mondo che giunge a noi.
Segnali che pervengono grazie agli organi di senso, almeno quando l’entità biologica è sana, e sono peculiari e diversi in ogni specie vivente.
Va da se che il mondo che vedo in questo momento come uomo non è il mondo che vede un’aquila, una mosca o un diavolo della Tasmania; Il mio tatto non è quello di una pianta; Il mio olfatto non quello di un cane; Il gusto non è lo stesso di uno scarabeo stercorario; L’udito non ha gli ultrasuoni che usa il pipistrello.
Questo solo per dire che la realtà per quella che è, noi non sappiamo cosa sia e manco dove sta di casa.
Abbiamo come tutti gli altri esseri biologici, un’interpretazione più o meno funzionale alla sopravvivenza, ma non necessariamente adatta alla conoscenza, almeno nel senso più ampio.

La comune condizione appena descritta non sarebbe un gran danno se il cervello fosse in definitiva uno strumento perfetto, ma esso è ingannato molto facilmente, forviato da diversi e particolari meccanismi, certamente utilissimi ma non di meno limitanti.
Uno in particolare è lo strumento selettivo che filtra le informazioni che giungono alla coscienza e che subiscono una forte scrematura, una scelta che facciamo in maniera automatica per alleggerirci dei miliardi di dati che raggiungono in ogni secondo il nostro intelletto e focalizzare (a priori) quelli più necessari.
Resta comunque da evadere una mole ridondante di informazioni che superata questa barriera è conservata in noi è trattenuta da una memoria ancora più inaffidabile e ancora più selettiva e spesso forviante.
La nostra capacità di ricordare consapevolmente è molto parziale, spesso inesatta e ridottissima rispetto alla vita vissuta. Un po' come guardare un film a spezzoni, tagliato da un montaggio casuale. Facciamo un "Bigino" della nostra vita riassumendola nella memoria e poi ci lamentiamo che sembra corta, senza senso e con così poca bellezza.
Mi sembra un miracolo che l’umanità non sia già estinta utilizzando per tirare avanti dei sistemi tanto poveri e inaffidabili.

A volte domando a quacuno: secondo te a cosa serve il cervello? La maggioranza mi risponde: serve a pensare.
Una risposta superficiale e sbagliata.
Il cervello serve a fare, a muoversi ed agire. Questo è il suo scopo. Ogni pensiero anche il più insignificante corrisponde a un cambiamento ad una modifica che, per quanto inpercettibile, avviene in noi e interagisce, più o meno fortemente, fuori di noi.
 

Il cervello utilizza molti mezzi che come detto seppur utili, ci limitano fortemente.
Il nostro encefalo è un tesoriere avaro di risorse, un duro investitore: nutre solo quello che è strettamente utile. Non è certo un poeta.
Uno di questi processi di economia è definito come “processo di facilitazione”.
Esso consiste nel costruire delle risposte pre-costituite cioè fornisce soluzioni già pronte e automatiche nel momento che sorge un particolare stimolo, senza il bisogno di essere più elaborato.
Per mezzo di questo sistema abbiamo la possibilità di creare fra gli altri, gli schemi corporei acquisiti che ci fanno, per esempio: camminare, nuotare oppure guidare l’autovettura senza dover ogni volta imparare le stesse cose oppure concentrarsi su quello che stiamo facendo (anche se quest’ultimo schema cinetico e di coordinazione sembra più faticosamente implementato nelle femmine della specie umana, in particolare durante il parcheggio di un veicolo a quattro ruote).
Il sistema di facilitazione è usato anche per alcune funzioni superiori del cervello come leggere, fare di conto, parlare ecc. ecc. permettendo ad esempio nella comunicazione verbale, di giungere con notevole velocità al significato dell'ente da esprimere escludendo molti passaggi logici che rallenterebbero la sua trasmissione.
La fluidità nell’eloquio pare così miracolosa, ma ha un prezzo che è pagato da un minore controllo cosciente di ciò che stiamo dicendo.
E’ possibile vederne la diversità semplicemente confrontando il parlare con lo scrivere.
Se scrivessimo come parliamo normalmente non capiremmo quasi nulla di quello che è trascritto e non mi riferisco solamente ai discorsi che intercorrono generalmente fra marito e moglie o durante le sedute del Parlamento.


C’è un altro curioso sistema che adotta il nostro cervello, quando uno dei nostri organi di senso subisce una drastica riduzione di efficienza o non è più funzionante, avviene quello che è definito come il “compenso degli organi sensoriali”.
Si ha cioè uno sviluppo incrementato di tutti gli stimoli degli altri organi percettivi ancora funzionanti. In realtà è sempre e solo il nostro cervello che consente un maggiore afflusso alla coscienza dei dati ricavati da questi canali superstiti a compensazione, appunto di quel o di quei canali inattivi.
Confido così che la mia vista che ora abbisogna di occhiali nel caso patirà un’ulteriore deprivazione di diottrie sarà compensata da un altro senso e potrò dunque e comunque continuare a sfrecciare in moto utilizzando magari l’olfatto.

La Fisica quantistica da un’ulteriore spallata alla nostra precaria e ideale percezione del mondo mostrandoci la realtà dei fondamenti dell’universo come paradossale rispetto al senso comune percepito.
Il tempo è una dimensione variabile dipendendo dalla velocità, la massa è in definitiva energia, l’energia stessa è un’onda radiante come la luce che contraddittoriamente ha una doppia natura (puntiforme e ondulatoria). La gravità, che è una forza tanto evidente nella nostra vita quotidiana di cui però non si conosce da cosa sia determinata, anche se si è ipotizzato possa essere una curvatura dello spazio-tempo che stranamente non hanno massa, allora si è postulata l'esistenza di una particella (il gravitone) che dovrebbe esserne la responsabile, ma non è stata trovata, quasi sicuramente è un'onda ma non stata ancora misurata.
Non sappiamo quasi nulla di cosa siamo ma neanche di dove siamo.  La determinazione della posizione esatta di qualunque particella oppure di un oggetto è un dato probabilistico nel mondo infinitesimale, perchè secondo il principio di indeterminazione di Heisenberg, l'osservatore interagisce su quanto osservato, influenzando la sua posizione; Cioè come dice un mio amico con una curiosa interpretazione del principio:  "Scopare mentre ti guardano non è come farlo senza sapere di essere osservati."  
E' evidente che le incognite vincono nettamente sulle teorie comprovate, moltiplicandosi dopo ogni soluzione.
L'indagine scientifica è un Idra dove non si arriva a capo di nulla di definitivo.
Per rimediare a ciò da qualche decennio si lavora alla teoria fisica delle Stringhe, detta anche “La teoria del tutto” o M-theory (M sta forse per Magic?). Essa tenta, per il momento senza successo, di unificare e comprendere queste forze e interazioni che prima erano indagate separatamente. Una volta dimostrata ci permetterà, forse un giorno lontano, di comprendere le ipotizzate "multi dimensioni" dell’universo che sono la "condicio sine qua non" affinché questa teoria può stare in piedi, facendoci confluire in una realtà sino ad ora riservata ai mistici e agli sciamani.

Tornando alla tangibilità percepita da noi poveri cristi e quindi comunemente chiamata realtà dei sensi, essa è tutto quello in cui l’uomo crede, poiché è l’unica di cui ne ha esperienza.
E’ quindi sempre un problema di percezione non di idee oppure di teorie a sostegno di queste idee. La nostra percezione, però è spesso assai modesta e paradossalmente determinata dalle idee che abbiamo per così dire a priori della realtà.
Infatti, è dimostrato che se apparisse ad una persona qualche cosa di assolutamente insolito, nuovo e al di fuori delle categorie accettate questa, molto probabilmente non la vedrebbe; non perché i suoi occhi non funzionano, ma perché la sua mente è cieca.
Questo processo di "rimozione" del nostro cervello si evidenzia bene nei rapporti umani sentimentali, dove appare evidente come si vede nell'altro solo quello che si vuol vedere, oppure con fraintendimenti ancora maggiori: non vedere.
Ciò che si palesa dunque alla nostra specie (ma vorrei tanto dire vostra) è semplicemente quello che è già contenuto nella coscienza, esso è il limite e la prigione che condanna l'uomo, sino a quando non troverà una breccia nel muro di questa cella che gli mostri un paesaggio diverso, più ampio e forse migliore.

In conclusione risulta essere un grave errore ignorare il ragionevole dubbio che spesso invalida le cosiddette granitiche certezze, ma prive in definitiva di un oggettivo fondamento, che sono l’impedimento più limitante ad una visone del reale, perciò preferisco credere a tutto purchè sia impossibile consentendomi di aprire la mente a strutture più ampie, diverse e inusuali, salvo poi verificarne l'esattezza grazie a dei risultati oggettivi che mi indichino cosa sia la verità, una verità maggiormente aderente a quella "vispa Teresa" costantemente rincorsa e mai colta che chiamiamo realtà.

In particolare mi rendo conto che l’essere umano conosce o meglio crede di conoscere qualche cosa, proprio grazie alla sua ignoranza.