lunedì 22 giugno 2020

Per chi suona la campana?

C'è una interessante teoria pubblicata circa vent'anni fa su diverse riviste scientifiche e in un libro ancora reperibile dal titolo: "La curva a campana" -Bell Curve- che ha studiato il Q.I. (Quoziente Intellettivo) umano e il suo decorso nella storia. Questa ricerca ha generato grandi polemiche.
L'autrice, sostiene che l'andamento dell'intelligenza media nel tempo può essere descritto da una funzione, il cui punto apicale fu nel Rinascimento italiano, dove vi furono un gran numero di geni concentrati in poche regioni italiche e in poco più di due/tre secoli. In quel punto si trova il vertice di questa funzione Gaussiana che la descrive, nella rappresentazione delle variabili casuali a valori reali che tendono a concentrarsi attorno a un singolo valore medio, il cui grafico di densità e di probabilità associata è simmetrico ed ha una forma che assomiglia a una campana appunto.
Il Rinascimento italiano fu un vero boom demografico di cervelloni che alzarono la media dell'intelligenza nel mondo.
Oggigiorno vivremmo, secondo questa teoria, nel punto più basso di questa curva d'intelligenza media. Nel parto continuo delle mamme dei cretini.
Mi domando quando mai avrebbe potuto riscuotere successo una pubblicazione scientifica del genere se non avesse avuto un minimo di fondamento?
Mi pare evidente che non poteva che raccogliere critiche.
Vi è correlato uno studio comparato tra intelligenza ed etnie che ha sollevato ancora più polemiche, perché considerato discriminatorio, nonostante i dati siano stati raccolti correttamente.
Se l'autrice fosse stata anche un avvocato credo che gli avrebbero conferito il premio di donna più odiata del mondo.
Molti sociologi, antropologi e studiosi, hanno infatti contestato i parametri di valutazione utilizzati e invalidato i risultati ottenuti.
Nel libro risulta che le popolazioni negroidi sono all'ultimo posto della classifica stilata dello sviluppo medio del QI con circa 70/75 punti (poco sotto il limite di un essere umano per essere considerato normale) per giungere a 80 punti nelle popolazioni asiatiche e 90/100 in quelle caucasiche, il primato va agli ebrei Chassidici Ashkenaziti con 110.
Ci sono etnie come quella Indiana che presentano particolari abilità matematiche, ma hanno altre forti carenze. Ovviamente è stata considerata una teoria se non proprio razzista, discriminatoria e di parte. Molto contestata nell'ambiente accademico se non addirittura sconfessata, al limite del linciaggio mediatico.
Di fatto sembrerebbe invece ragionevole domandarsi, ma non è ammissibile farlo, e solo per fare un esempio -come mai in Africa si trasporta ancora l'acqua in recipienti sulla testa come migliaia di anni fa (le donne sono deputate a questo lavoro) mentre nell'antica Roma già 2.000 anni or sono si costruivano acquedotti che funzionano ancora oggi?- Questo tipo di domande sono considerate tendenziose e non si possono porre, per motivi di opportunità e di cosiddetto rispetto delle diverse culture che sviluppano l'intelligenza secondo parametri molto diversi e non sono quantificabili, quest'ultima è l'obiezione che viene sostenuta più largamente.
Non è certamente sbagliata questa contro-tesi, in effetti il cosiddetto progresso del mondo civilizzato è spesato con un'ansia profonda di chi lo vive e lo sostiene. La crescita materiale e le performance richieste dal mondo industriale, forse non sarebbero così sviluppate se le persone fossero più tranquille e sane psichicamente, meno dominate dalla mania del controllo, dal desiderio smodato di accumulo spesso ben oltre le oggettive necessità.
Bisogna domandarsi: -Lo sviluppo scientifico e la tecnologia hanno un valore positivo?- E' una domanda la cui risposta non è così scontata, perché le valutazioni sono sempre funzionali alla classifica di priorità che sono considerate.
Nel mondo umano spessissimo è considerato buono ciò che è utile, utile ciò che ci fa vivere comodi, di valore tutto ciò che può essere comprato e venduto. I limiti di tale filosofia si evidenziano da soli nella realtà di ogni giorno.
Lo sviluppo della tecnologia dunque non può costituire l'unica discriminante nel computo dell'intelligenza, ma obbiettivamente saremmo ancora nelle capanne a cantare intorno al fuoco con un'aspettativa di vita di venticinque anni se non ci fosse.
Cosa ci distingue dall'uomo delle caverne? Senza tecnologia vivremmo ancora come lui e probabilmente saremmo uguali a quel cavernicolo.
Non è assolutamente facile esprime un giudizio in tal senso e ancora più difficile valutare l'intelligenza, cui per altro la definizione esaustiva di cosa sia, non è stata ancora data.
Fino a trent'anni fa era -La capacità di risolvere un problema- oggi è invece considerata riduttiva questa definizione, perché prende in considerazione principalmente le facoltà logico/matematiche e l'onnipotenza semantica o per meglio dire la plurifunzionalità del linguaggio come valori predominanti rispetto ad altre capacità intellettive e pratiche. Inoltre i test per quantificarla sono creati da studiosi con un "certo tipo di logica" che ha familiarità cioè con concetti che altre culture non padroneggiano, oppure non ritengono utili usandone altri. Questo con molta probabilità falsa una seppur difficilissima valutazione.
Insomma, è un ginepraio quando si quantifica l'intelligenza in una persona che rischia sempre di offendersi (se il suo punteggio è basso, altrimenti se è buono non ha nulla da obiettare a riguardo del metodo di valutazione) mentre la difficoltà aumenta esponenzialmente quando questa quantificazione si vuole estendere a una popolazione.
Nel mio caso sono "fortunato" e non ho particolari problemi a riguardo, visto che il mio punteggio è di 140 punti, utilizzando un sistema standard, ma se tanto per dire, fosse di 65 forse diventerebbe un fattore mortificante e potrebbe creare non solo pregiudizio, ma anche un disagio psicologico e imbarazzo nel condividere il risultato di un test del genere con altre persone, tanto è stretta l'identificazione tra un soggetto e il suo apparato cognitivo.
Accettiamo più facilmente una malattia fisica o una menomazione funzionale, rispetto a una malattia psichica o un ritardo mentale. Ci riconosciamo più fortemente nella mente che nel corpo.
Sembra che per ognuno sia più prezioso il modo con cui indaga il mondo, piuttosto che il corpo con cui fa esperienza di questo mondo.
Il quesito che mi pongo è "Sarei ugualmente un uomo intelligente se vivessi in un altro contesto?" La mia esperienza personale, quando è giunta a contatto con popolazioni diverse rispetto agli standard della civilizzazione, mi ha fornito una risposta negativa. L'intelligenza che mi serviva in un contesto selvaggio non era quella cui ero abituato ad attribuirmi né a usare.
Ho notato inoltre che la cosiddetta intelligenza che talvolta riconosco in me stesso all'interno della nostra società, non è sempre funzionante, ma intermittente. Mi capita così in alcune occasioni di fare colossali figure di merda, mentre in altri momenti ne esco come un gigante.
E' dunque un terreno assai scivoloso quello su cui sviluppo questo discorso.
In sostanza il mio QI non è un gran punteggio, visto che la genialità si attesta tra i 160 e i 180 punti, ma anche la valutazione della genialità è un valore relativo.
E' un genio la persona che sviluppa una nuova teoria quantistica, oppure quello che vive godendosi la vita con pienezza e gioia? E' un interrogativo ragionevole da porsi visto che la maggior parte dei cosiddetti geni hanno sempre fatto un vita grama, piena di frustrazioni e ansie.
Onestamente non riesco a rispondere a una tale domanda.
Paradossalmente l'uomo più intelligente al mondo è una donna (IQ 203), europea, caucasica, che fa per la maggior parte del suo tempo la casalinga e scrive libri per bambini. Non ha conoscenze scientifiche e con tutta questa intelligenza a disposizione non ha mai realizzato un'applicazione eclatante o fatto una scoperta significativa.
Dunque, è sempre meglio evitare questo tipo di discorsi e valutazioni. Una valutazione diventa ancora più foriera di critiche, quando si argomentano diversità di genere per etnie o per tipi di popolazione.
Non è chiaro se è ipocrita non ammettere delle diversità oggettive tra i popoli e tra i singoli, oppure è giusto non esprimere valori che non possono essere considerati in maniera assoluta, ma solo relativa.
La comprensione però avviene per divisione e poi c'è una valutazione cioè per capire qualsiasi cosa dobbiamo separarla da altro che non sia quella cosa.
Si comprende che esiste un genere femminile, perché esiste anche quello maschile ed essi si evidenziano per caratteristiche peculiari. La luce dal buio. Il comodo dal disagio. Rinunciare alla dialettica nella ricerca della verità, priva l'essere umano di un formidabile strumento.
Se non è possibile evidenziarci in gruppi e suddividerci per caratteristiche come ci potremo comprende in ambito sociale?
Questo è un problema che si infrange con le attuali regole che non permettono di evidenziare le differenze tra le persone.
Un modo che la società adotta per evitare i pregiudizi o se non altro per contenere la violenza insita in questo atteggiamento prevaricatore, ma che non fa affidamento sul vero e dunque anche se per giustificati motivi risulta essere una mistificazione. Il risultato di questo maldestro tentativo di farci tutti "copie della medesima stampa" non sortisce grandi effetti benefici, visto che la nostra società in realtà è fatta di divisioni che, a parte il divieto di parlarne, non sono effettivamente risolte, e forse proprio perché non se ne parla con franchezza.
Un altro esempio di questa difficoltà di processare dei dati in un'obiettiva ricerca in campo antropologico è la definizione di "razza"; Oggigiorno non è più consentito usare questo termine riferendosi all'uomo (si usa solo per gli animali allevati come se l'essere umano non fosse anch'esso un animale allevato) sostenendo che in campo umano tale classificazione è priva di fondamento scientifico, però tale definizione si applica come tutti sappiamo, quando vi è diversità di DNA, ovvero se il DNA è diverso in due esseri viventi della medesima specie cioè con caratteristiche simili ma alcuni caratteri esteriori trasmissibili diversi, allora si hanno due "razze" diverse, almeno questa è la definizione corrente.
Ma negli esseri umani il genoma risulta essere diverso, non uguale, non omogeneo, benché si sostenga che non esistono razze diverse, ma etnie che a parte la parola, il significato a me sembra molto simile. Appare così una contraddizione, perché esistono a livello genetico umano delle diversità importanti, per esempio nelle popolazioni africane (non arabe) e nei Berberi dell'Atlante non sono presenti i geni Neanderthaliani, riscontrabili sino al 3% in tutti i caucasici per giungere con proporzione variabile dal 1% al 1.5% nell'etnia asiatica, dove si ha una commistione di altri geni detti Desinoviani (dell'uomo di Desinova, un sapiens arcaico presente nel sud est asiatico oggi estinto, ma contemporaneo dell'uomo di Neanderthal) La percentuale di questi geni Desinoviani giunge sino al 6% nel DNA della popolazione malese, e come già detto sono del tutto assenti negli altri popoli non asiatici.
Caso a parte sono le popolazioni aborigene Australi e gli Indio amazzonici, ma visto la minaccia incombente su di loro di estinzione, presumo e con dispiacere che non rientreranno a breve nelle popolazioni esperibili per una valutazione più ampia dell'umanità come specie.
Dunque tali ibridazioni ci distinguono, facendoci geneticamente diversi, ma non è possibile suddividerci per razze, e questo è un po' un paradosso, per non dire una negazione della realtà, almeno se ciò è fatto solo per ragioni politiche. Se invece è un problema di definizione, bisogna considerare che ogni definizione è comunque un arbitrio. Anche il linguaggio è arbitrario, eppure funziona per comunicare cose reali. Anche i soldi sono un valore arbitrario, perché non si possono mangiare e materialmente servirebbero al massimo per alimentare un fuoco da campeggio, eppure nel mondo civile hanno un peso fondamentale. Questo per dire che non sempre un valore arbitrario è sbagliato, è aleatorio ma a volte pare addirittura necessario, sempre parlando per il genere umano, perché è l'unico "animale" che considera "reali" le convenzioni condivise e i valori arbitrari.
Una risposta a questo ragionamento che sembra non averne è, secondo la mia opinione forse un po' semplicistica, nel non utilizzare la diversità come una discriminante; Questo eviterebbe il rischio di ripercorre gli errori passati come ad esempio quei milioni di morti finiti nelle camere a gas che insomma non è che ci nobilitano molto come esseri umani.
Mi sembra più onesto considerare che sebbene in realtà siamo diversi, non necessariamente ci deve essere qualcuno in cima a questa differenziazione che fa la pipì in testa agli altri. La vera domanda però è un'altra.
Può l'Uomo mostrarsi sinceramente nudo senza fare a gara nel misurarsi il pisello con il suo vicino?
E' una risposta che sospendo, non per timore di sembrare supponente, ma perché credo che ognuno conosca già la risposta senza bisogno del mio suggerimento.
E questo è quanto.
A me piace pensare, come scrisse una famosa poetessa, che "Siamo tutti diversi come due gocce d'acqua".

Miseria che "pippone" di post.

lunedì 15 giugno 2020

Black & White

Nell'essere umano è un dato antropologico accertato la paura del "diverso" inteso come persona al di fuori del proprio genere abituale.
E' qualcosa di connaturato, atavico, inestirpabile, forse ancestrale, perché legato alla sopravvivenza del singolo e del proprio gruppo.
E' istintivo nell'uomo identificarsi con la propria tribù, nazione, razza e difenderla da altre che considera con sospetto.
Non è solo pregiudizio c'è anche una ragione oggettiva che lo porta a vedere tutto ciò come una minaccia.
Quando qualcosa non si capisce è perché non lo si riconosce in se stessi.
I problemi di convivenza cui assistiamo spesso oggi, sono espressione di questo dato scientifico che è contestato dalla politica e dai media per motivi che sospetto non siano certo umanitari.
Se una persona non vuole proprio ignorare 5.000 anni di storia, dovrebbe domandarsi perché ci sono state centinaia di migliaia di guerre per costruire degli Stati omogenei per etnia e religione.
Non è un caso, ma una necessità per evitare i conflitti, almeno per ridurli. Perché senza litigare l'essere umano pare non possa stare.
Perfino in Svizzera dove sono quasi tutti abbienti (apparecchiati come si dice in modo gergale) e abbastanza civili hanno una divisione in Cantoni su base linguistica e religiosa, i valdesi da una parte, i luterani dall'altra, i cattolici da un'altra ancora.
Tre lingue diverse, francese, tedesco e italiano, ma che non mischiano, magari inventando una lingua svizzera.
Non è che sono proprio montanari e secessionisti, semplicemente vogliono stare in pace e non lo potrebbero essere se vivessero tutti assieme; Dovrebbero necessariamente uniformarsi.
Anche in una nazione ricca, prospera e senza grossi problemi sociali, la pace tra le persone è mantenuta grazie alla separazione. Cittadini sebbene simili hanno comunque delle differenze che non possono essere trascurate.
Così stanno vicini, ma divisi cioè il motto elvetico sembra essere: "Ognuno a casa propria" per usare un'espressione un po' qualunquista.
Le nazioni dove questi requisiti non sono rispettati (popolazione, cultura e religione omogenea) sono tutti afflitti da orribili guerre e disagi.
Perfino gli Stati Uniti che si presenta al mondo come uno stato leader sotto ogni profilo, la qualità di vita è bassa. Ci sono ghetti ovunque e la popolazione carceraria è la più alta (in percentuale per numero di abitanti) del mondo, contendendo il primato al Brasile, un altro paese multietnico. Anche a Singapore, stato indipendente dell'Indonesia, perla asiatica e miscellanea di etnie e religioni, ogni tanto scoppia qualche rivolta violenta nonostante non si possa considerare un paese povero.
Perfino la "spirituale" India ha dovuto dividersi e creare il nuovo stato del Pakistan (con cui però è tutt'ora in conflitto) altrimenti rischiava una guerra civile di proporzioni colossali.
Dei 24 conflitti armati attualmente in essere al mondo il 95% è afflitto da queste cause scatenanti.
Tutti i paesi con percentuali sensibili di diversità etnico-religiosa non sono prosperi né sicuri, insomma non sono paesi in cui valga la pena vivere, almeno secondo i miei personali canoni del buon vivere.
La cosiddetta integrazione di popoli diversi, perfino con religioni diverse, coabitanti nel medesimo territorio è contro l'esperienza storica e la natura biologica dell'essere umano.
Non è bello dirlo, ma la realtà dei fatti raramente è popolare.
Vivere tutti insieme "appassionatamente" è principalmente un bel sogno che però si trasforma presto in un incubo.
Una struttura sociale mista come ipotizzato dai fautori della commistione dei popoli, presentata come una sorta di nuovo Eldorado, dove tutti si vogliono bene, si abbracciano, si baciano e si salutano con larghi sorrisi come in una stazione ferroviaria, non sta in piedi e forse mai sarà possibile che ci stia, perché risulta essere una contraddizione rispetto alla natura umana e alla struttura sociale che è creata da questa natura, se fosse stato possibile sarebbe già stato realizzato da millenni.
Basta ricordare cosa è accaduto solo poco tempo fa, nella ex Jugoslavia a pochi chilometri dal nostro paese per comprendere come la coabitazione di realtà sociali e religiose diverse sia sempre una bomba in attesa di una buona occasione per detonare.
Inoltre, mi fanno un po' ridere quelli che parlano come fosse vero di religioni "moderate", quando nessuna religione può esserlo, perché ogni religione si basa sul dogma, sull'assunto che sia vera specialmente in riferimento alle altre e non sulla logica e la coerenza, non su dati oggettivi che si possono moderare e cambiare integrandoli con nuove esperienze.
Il Dogma è per sua natura, incontestabile, oltre che essere una verità intangibile e spesso intellegibile. Ugualmente lo è per la religione che è la sua espressione.
Le religioni non potranno mai mitigare i peggiori istinti umani, anzi potranno solo inasprirli, perché la comunicazione che è la base della relazione umana e il contraddittorio che porta a una pacifica soluzione di opinioni diverse, in campo religioso non è ammesso.
Quindi il dialogo non può avvenire tra religioni se non in forma superficiale e ipocrita.
Alcune forme di pregiudizio sono odiose, determinate da cattiveria e razzismo, ma anche conseguenti a situazioni a rischio che se evitate non porterebbero a comportamenti aberrati, anche nei popoli più concilianti.
Infatti, bisogna comprendere che non ci può essere mediazione tra etnie e religioni diverse, in quanto un'eventuale mediazione inevitabilmente andrebbe a snaturare proprio quell'identità etnica, culturale e religiosa che si vuole mettere a contatto con le altre e contraddittoriamente si vuole preservare.
Sono strutture rigide, una durezza inversamente proporzionale all'intelligenza, all'istruzione e al buon senso dei suoi membri che se sviluppassero queste qualità, ovviamente, non avrebbero bisogno di regole arbitrarie quali religione, consuetudini e usanze il più delle volte anacronistiche, ma solo poche norme pratiche di convivenza che renderebbero la vita migliore a tutti.
Conseguentemente alla vicinanza, con l'umanità che ora abbiamo a disposizione, si creerà invece il conflitto per avere una supremazia che è insita in ogni religione, in ogni gruppo, in ogni etica sociale.
Queste strutture aggregative e ideologiche non possono ammettere come vero un'altro "Credo", perché equivarrebbe a dichiarare che il proprio "sistema" vale quanto quello di un altro; In particolare per la sopravvivenza di una religione è necessario sostenere che tutte le altre sono sbagliate. Diciamo con una nota di humour che sono tutte sbagliate, tranne quella che vincerà questo conflitto.
Quindi i pretendenti alla "verità" preferiscono sempre eliminare chi gli contende tale primato, ergendosi sopra la catasta di cadaveri di quelli che dissentivano. Infatti secondo questi psicopatici, Dio è sempre dalla parte del vincitore, tesi peraltro sostenuta con uguali ragioni e fanatismo dagli oppositori defunti.
Così si è sempre fatto e si continua a fare.
ll pluralismo in campo umano per ora è solo una mimetizzazione ben riuscita che prepara un'azione militare ancora da compiersi.
Abbiamo così una profonda contraddizione insanabile, direi strutturale.
Ciò non significa assolutamente che un singolo possa essere attratto da una cultura diversa, oppure abbia piacere a vivere a contatto con persone di etnia diversa dalla sua, oppure ami usi e costumi esotici, questa però è una scelta personale, soggettiva, non generale.
Non bisogna in campo sociale fare quello che chiamo "l'errore del turista" che a differenza del viaggiatore: vede tutto il mondo guardando sempre uno specchio. Questo per significare, a chi non è avvezzo alle metafore, che se una cosa piace non bisogna imporla anche agli altri, vedendo ogni cosa come riflesso della propria persona. Inoltre non si comprende come mai su un tema così delicato e che influenza fortemente la società e spesso anche la sua sicurezza non si chiede ai cittadini con un referendum cosa ne pensino. Le decisioni in questo campo le prende il Governo senza però assicurarsi, prima di emanare leggi, quale sia il pensiero della maggioranza degli elettori.
Lo Stato non è un ente filantropico ma un amministratore, sostenuto dai cittadini e per questo motivo dovrebbe garantire ad ognuno gli interessi e la sicurezza; Questo è il suo compito.
Su un piano più esteso, purtroppo vigono le regole esposte, almeno nei fatti.
Basta osservare l'urbanizzazione delle grandi città, sia italiane che estere.
Com'è acclarato, l'architettura è l'espressione materiale della cultura di un popolo, ma la distribuzione demografica è la parte visibile delle scelte di una popolazione.
Perché ognuno vive nel posto che gli piace e gli è comodo.
Si osserva che le varie etnie immigrate in un paese si dispongono principalmente in enclave separate dalla popolazione autoctona. Come mai?
Anche chi emigra in realtà non si mischia, quindi di quale integrazione si parla?
Questa separazione abitativa etnica è visibile in tutte le città del mondo.
Un dato sotto gli occhi di tutti eppure trascurato o minimizzato.
Alcuni esempi curiosi che mi fanno sorridere sono Chinatown a New York in cui non si parla "cinese" cioè mandarino, ma cantonese (gli unici che non se ne accorgono sono gli americani). Miami, in Florida il cui idioma usato è lo spagnolo, ma tutto è scritto in -English American-.
Esempi di carattere più generale di curiose contraddizioni si trovano anche In Birmania dove il posto di guida dei veicoli è all'inglese, ma la "mano da tenere" della circolazione è quella europea, e la cosa ancora più strana che sebbene dovrebbe essere scomodo e pericoloso, la circolazione è sicura e fluida, almeno nella capitale ora Yangoon (perché il nome è cambiato spesso in base a divinazioni astrologiche), città meravigliosa per monumenti e popolazione, con marciapiedi altri oltre un metro (particolarmente a Downtown) dove per altro sono proibite in tutta la città le motociclette e i ciclomotori. Sono affascinato dalla domanda: "Qual'è il senso di caratteristiche così uniche e contraddittorie?" L'accantono nell'immenso magazzino delle domande senza risposta (e senza senso) che ho affittato da diversi secoli.
In Iran, dove usualmente si crede che la religione autoctona sia l'islam e invece è il Zorastrianesimo detto anche Mazdeismo, ma da non confondersi con il più noto Mazdakismo. Se si considera che, nonostante molti li confondono, gli iraniani non sono arabi, si potrebbe spiegare così come la lingua persiana antica è in realtà una lingua indoeuropea come le nostra.
Vi è una interessante similitudine con le lingue occidentali, perché si scrive da sinistra a destra, mente l'arabo è scritto in senso opposto; Ha inoltre 36 segni comprendenti anche otto fonemi nel suo alfabeto. Discende dall'avestico, una lingua religiosa con commistioni di lingua medea, dello Zoroastrianesimo che fonda la religione nel libro sacro "Avesta" già prima della religione ebraica, cristiana e islamica.
L'ebraismo, primo in ordine cronologico delle cosiddette religioni monoteiste fondate sul "Libro" trova probabile origine e connessione, grazie al dzhidi un antico dialetto ebraico-persiano che ne comprova il contatto stretto.
Anche il tagico (che non è un errore di battitura di "tragico" ) parla pharsi commisto a influenze di ukbeco e turkmeno, ma scitto in cirillico. Comunemente parlato in Kirghizistan, Kazakistan, Afghanistan e in altri paesi noti al turismo.
E' curioso inoltre che si usavano nel persiano antico le sillabe e i fonemi predetti per creare i numeri.
In merito poi all'origine delle religioni precitate cioè quelle che si fondano su un libro o su libri sacri, non sono certo, ma propenso a considerare che la sua origine possa ubicarsi nell'area mesopotamica e successivamente, e più fortemente, nella storia dell'antico Egitto, in particolare riferimento alla struttura monoteista di queste religioni cui fanno seguito a quella instaurata dal faraone Akenathon e probabilmente adottata dall'etnia ebraica, poi transfuga per ragioni di stabilità politica dall'antico Egitto. La religione monoteista di Athon, il Dio Sole, promossa dal cosidetto "faraone eretico" Amenophis IV si estese sino all'antica Roma con Elio (Elios) Gabalo e poi Adriano nel culto del "Sole invictus" ma con scarsa fortuna, visto l'avvento del cristianesimo il cui successo fu probabilmente dovuto al sostegno dei poveri che in quel culto erano presentati come protagonisti unitamente alla promessa della resurrezione che allora era intesa in senso letterale cioè rinascita vincitrice della morte. E siccome i poveri sono tanti, la sua espansione fu garantita. E' curioso inoltre che le tribù semite giunsero in Egitto dalla Siria sin dai tempi del Medio Regno, e forse arrivarono da ancora più lontano: dalla Mesopotamia stessa.
Mi sono poi sempre domandato che fine abbiano fatto gli antichi egizi?
Almeno dopo la relativamente recente espansione araba mussulmana. Gli antichi egizi sono completamente scomparsi, mentre i loro precedenti schiavi ebrei sono ancora ben connotati e presenti.
Chiedo scusa di questo inciso, non pertinente e assolutamente fuori luogo. Solamente indulgo nella più pirotecnica aneddotica per scoraggiare chiunque possa prendermi sul serio.

Dunque: l'essere umano cerca istintivamente il suo simile, riconoscendolo come migliore, questa è la sua realtà.
Personalmente non condivido questa valutazione di merito, in meglio o peggio, parlo di come funzioniamo e forse, grazie a una comprensione più profonda di tale meccanismo sarà possibile vedere il risultato che ne consegue. Ci sono molti modi di vivere e tutti hanno pro e contro, ma di certo non è possibile aggregarli insieme a meno che non si stravolga la loro natura.
Lo ribadisco senza alcuna discriminazione, il rifiuto del diverso, a parte qualche piccolo caso pittoresco che è sopportato solo per divertimento, è una tendenza generale. E' presente in ogni etnia e non solo in quella caucasica, è un comportamento di massa cui però bisogna fare inevitabilmente i conti, anche se spesso questa diffidenza è nascosta dall'ipocrisia.
Questa integrazione impossibile si applica anche ai sistemi politici.
Prendendo a esempio la Democrazia e la Teocrazia, che molti considerano sistemi conciliabili. A un'analisi più attenta si noterà invece che non possono coesistere, perché sono strutture antitetiche e questo conflitto sociale annunciato risulterà ancora più evidente e rapido se ai popoli si mischieranno anche religioni e sistemi politici.
Tanto per fare un esempio attuale, l'integrazione tra uno Stato democratico e l'Islam, oppure qualsiasi altra religione che si ponga al di sopra delle leggi della società democratica che la ospita, è inconciliabile con la democrazia stessa che è invece espressione di tali norme.
Il cosiddetto stato di diritto non può integrarsi con uno stato religioso.
Nella democrazia le norme legislative sono promulgate dal Parlamento eletto dal popolo; Nella Teocrazia esiste il precetto religioso predominante su qualsiasi legge, su qualsiasi volontà umana, su ogni rivendicazione del popolo che si discosti dall'ordine immutabile di cui la religione è espressione. In un contesto sacro è Dio che stabilisce cosa fare e cosa non fare. E ovviamente, visto che la divinità non parla tranne che ai profeti, bisognerà fare come è scritto o come è detto da questi messia. Di fatto è una dittatura.
Mentre la volontà politica in uno stato democratico sorge dal basso cioè dal popolo, in una teocrazia il percorso è diametralmente opposto, perché la volontà Divina giunge dall'alto.
E' evidente che pervenendo da punti opposti lungo la medesima via di percorrenza non possono che scontrarsi.
Se per qualche ragione, infatti, le norme dei due diversi sistemi (Democratico e Teocratico) non coincidono, ed è quasi sempre così, qualcuno mi dovrà spiegare come faranno ad andare d'accordo.
E' evidente che non potranno coesistere pacificamente. Uno dei due dovrà avere l'ultima parola a scapito dell'altro. Quindi ancora conflitto.
Sarebbe ragionevole tenerli separati alla maniera di due pit-bull che si contendono il medesimo osso, ma parlare di ragionevolezza in un contesto umano è utopico.
Sebbene semplice, questo discorso purtroppo pare incomprensibile a molte persone. In generale la gente parla di un mondo che non capisce e soprattutto che non vuole indagare oltre i facili schemi emotivi; Liquidano queste argomentazioni come razzismo, quando in realtà è solo pragmatismo.
E' uno schema cognitivo che ho visto migliaia di volte nell'essere umano, quando non capisce...allora giudica.
Mi sembra proprio un cretino quest'uomo, quando si comporta così e invece e molto peggio. Ha sicuramente intelligenza, ma principalmente volta a fregare il suo prossimo.
Un'astuzia quasi mefistofelica nel creare armi e occasioni di usarle. Se l'essere umano utilizzasse le risorse investendole nello sviluppo di una ricchezza condivisa, e lo dico giusto per fare due passi nei luoghi comuni, e incrementasse la crescita delle sue potenzialità, questo mondo sarebbe un piccolo Paradiso, ma sicuramente meno affollato e inquinato.
Perché all'umanità piace far vedere che è buona, probabilmente per un senso di colpa dovuto all'ipocrisia con cui maschera i propri disagi. Salvo poi, massacrarsi quando le cose cominciano ad andare a puttane cioè quando "i nodi vengono al pettine" a causa di questa "bontà" che dal mio modesto punto di vista trovo deleteria più della malvagità consapevole. Un esempio noto è l'evangelizzazione delle Americhe che è stato un vero genocidio con la distruzione culturale mesoamericana, una spienza così ricca e profonda, è purtroppo andata quasi completamente perduta; In nome di ottime ideali, certamente, ma i risultati?
Questo per meglio significare che il "modo umano" ha un difetto integrato nel suo psichismo, quando vede qualcosa in realtà non lo vede se non attraverso i desideri, le convinzioni e i bisogni emotivi. Non analizza i fatti, perché mette sempre davanti alla sua analisi quella variabile chiamata "Io" che distorce la poca obiettività di cui è dotato.
Il mio ragionare è invece talmente semplice che non lo capisce nessuno.
Infatti io non "credo" a nulla, e non mi permetto di aderire a nessuna credenza, per quanto appaiano alcune mie affermazioni estremamente colorate di una "spiritualità naif" mi fondo invece solo sulla mia personale esperienza. Ttutto il resto cioè un enorme costrutto di forse, lo considero alla meglio una superstizione, semmai da verificare con attenzione e riabilitare a status di fatto oggettivo nel caso si realizzasse come vera.
Questo strano bipede in cui mi sono dovuto incarnare così tante volte e per ragioni che non intendo spiegare, è un vero miracolo della fortuna.; A volte non posso credere ai miei occhi che non si sia già estinto.
A parte le mie considerazioni personali e il mio atipico humour nero tinto di strampalato misticismo, proverò a spiegarmi in maniera diversa.
Forse questo ragionamento è troppo articolato per essere inteso, basterà allora osservare come perfino in una struttura semplice come la famiglia, quando i valori e gli usi non sono accettati da uno dei suoi membri, questo "familiare non omologato" è alla fine allontanato, altrimenti genererà continui conflitti e problemi. L'ostracismo è considerato una pratica crudele, ma spesso risparmia crudeltà ancora peggiori.
Si può immaginare un problema di questo genere quanto si amplifica in una società di estranei, diversi per colore della pelle, tradizioni, religione e che insomma...Hanno a disposizione anche un'istruzione un po' carente.
La soluzione proposta dai fautori di questo esperimento sociale, mai riuscito prima nella storia umana, cioè l'integrazione di problemi inconciliabili è semplicemente nell'affermare: "non è giusto" oppure "dovete andare d'accordo".
Resto basito dalla genialità di questi benefattori dell'umanità che con un paio di enunciati morali pretendono di riempire la pancia alle persone e disinnescare una polveriera di rancori che non si placano da centinaia d'anni, usando delle semplici esortazioni.
Non è proprio credibile, perché una struttura sociale non funziona con gli slogan, ma con le regole condivise, se non sono condivise, beh! La società semplicemente si spezza. Non è un problema morale oppure di pazienza e sopportazione.
Così come "quando piove le strade si bagnano", si arriverà a un contrasto per decidere quale modello sarà condiviso da tutti, e quale invece dovrà soccombere.
Peccato che la "diversità" tanto difesa dai "Promoter" di questa filantropia di plastica che porta invece ai conflitti, si perderanno nell'omologazione postbellica e non si conserveranno nella loro specificità.
E questo è certamente una perdita di ricchezza nella vita umana che si fonda proprio su tale diversità, perché più adattiva. Apparentemente sembra che mischiare modi di vivere diversi sia espressione di pluralismo, quando in realtà l'effetto ottenuto sarà l'omologazione dopo l'inevitabile conflitto.
Ciò è accaduto nella storia del mondo tantissime volte.
Ovviamente pagato dalle solite cataste di morti ammazzati di cui ho perso il conto.
Pare pratico eliminare i testimoni di tali errori, visto che i morti non possono più parlare, allora si dimenticano in fretta gli sbagli.
Personalmente non ho molto ottimismo e fiducia nella maturità dell'umanità (credo si sia un po' capito) da aspettarmi un risultato diverso, rispetto a quello già visto in passato.
Perché dovrebbe cambiare il risultato visto che le persone sono sempre le stesse?
E' un chiaro sintomo di follia sperare in un effetto diverso, avendo le medesime condizioni di causa.
Nessuno, ahimè, investe nelle persone, nel loro sviluppo, come potrebbe l'umanità essere migliore?
Solo le idee, si dice, possono durare nel tempo, le persone hanno una scadenza breve. Questa è venduto come il pensiero ispiratore della politica, peccato che le idee e le filosofie quando sono in essere assumono la grandezza delle persone che le realizzano e non viceversa. Questo per dire che grandi idee non entrano in piccoli uomini.
Usando un ulteriore metafora per descrivere l'investimento necessario sugli umani, direi che sebbene di qualità, un vino non può essere contenuto in uno scolapasta, ma deve avere almeno una bottiglia per raccogliersi. E' necessario costruire un'integrità stabile nell'uomo affinché possa ricevere e contenere qualcosa di utile e duraturo.
Questa integrità si potrebbe formarne naturalmente, ma solo dopo aver liberato la mente dei soggetti dai cosiddetti "pensieri parassiti" contenuti nel linguaggio, ovvero quei pseudo sillogismi che stravolgono il ragionamento facendo considere vere cose che non lo sono.
Questi sono come virus contenuti però nel linguaggio che invalidano il ragionamento con una distorsione logica priva di coerenza.
Così come il mondo materiale è infestato da virus e batteri, anche il linguaggio umano, espressione del pensiero cioè della mente umana ha dei patogeni "linguistici".
E' un processo distruttivo molto sottile, subdolo direi cui bisogna rimediare con delle cure da adottare costantemente per non essere contagiati. Una forma di igiene da svolgere ripetutamente per contenere il rischio di infezione.
Esistono varie strategie e tecniche psichiche per "disinfettarsi", ma non è questa la sede per parlarne in dettaglio.
In generale posso dire che esserne immuni è impossibile in quanto anch'essi (virus linguistici) hanno una precisa funzione evolutiva. Cioè sebbene il mio discorso voglia evidenziare i rischi tra l'altro difficilmente comprensibili dalla maggioranza, é evidente per me che tali problemi sono funzionali al necessario cambio di stato della razza umana, trasformandola da soggetti con coscienza soggettiva in entità con coscienza collettiva. Tutto ciò è funzionale all'espansione della vita (informazione) oltre i ristetti limiti del pianeta, ma ovviamente il tipo di tecnologia che potrebbe consentire questa "espansione" ha insito anche grandissimi rischi di distruzione ed è il motivo della necessità di una coscienza diversa nella specie umana rispetto all'attuale.
Guardando ai problemi che ci attendono quelli enunciati anche se gravi sono piccoli.
E' dunque un primo conflitto annunciato che si va preparando particolarmente in Europa, anticipato da questo miscuglio di problemi diversi, venduti come soluzioni.
E' una fine annunciata del sistema occidentale, almeno come oggi è conosciuto e strutturato, grazie a questa opera di infezione linguistica mediatica che distorce la percezione delle reali criticità invalidando ogni stategia conservativa di questo momentaneo stato di pace.
Gli stessi "bisognosi" che provengono da paesi con culture, religione e filosofie diversissime, la cui espressione si evidenzia con le società diverse di provenienza, da cui per altro fuggono, ma che sono contraddittoriamente costretti a replicare all'interno di un'altra che invece li ospita, tutto ciò è espressione intrinseca del condizionamento culturale cui tutti siamo soggetti, in maniera più o meno consapevole, in questo stato di cose. Si dimostra a una visione disincantata che anche la "necessità" e una certa "solidarietà" umana è in realtà strumento per promuovere il conflitto.
In una visione più ampia è probabilmente necessario ad uno scopo più grande, rispetto alla mera supremazia di una religione o di un tipo di società com'è invece considerato banalmente dagli storici, ma di questi eventi al di là da venire non è il caso di parlarne, perché le profezie sono pagate male e non valgono il tempo di divulgarle. .
Il comportamento umano non è altro che la parte visibile di come pensa, e pensa in base a quello che desidera. Il linguaggio è la parte costitutiva della formazione di tale desiderio, qualunque esso sia, intendendo il linguaggio nella sua accezione più estese cioè: comunicazione. Lo sanno molto bene i pubblicitari e i politici, senza bisogno-desiderio l'uomo non si muove di un millimetro.
Nello specifico il comportamento umano è suggestionato dal linguaggio ed è paragonabile al comportamento di un virus.

Nella stessa maniera di un patogeno virale che entra in una cellula e replica il proprio RNA generando cellule diverse in conflitto con quelle autoctone, così i "pensieri parassiti" entrano nel processo logico attaccando il sistema immunitario dell'ospitante (coerenza di ragionamento) e inevitabilmente determinando una patologia (distorsione cognitiva, analfabetismo funzionale, stereotipi e superstizioni.) Questo per diversi motivi, a volte dolosi utilizzati nella manipolazione del pensiero di massa a volte insiti nella struttura stessa linguistica.
Una malattia che sarà combattuta altrimenti porterà alla morte.
Se morirà il virus, si avrà un miglior stato di salute (adattabilità) del soggetto, oppure ci sarà la morte dell'ospitante e del virus in ogni caso.
Poiché è insito "nell'intento" del virus l'imperativo di terminazione della propria esistenza, essendo non naturale cioè non in comunicazione con l'ambiente che lo circonda.
Per fare un esempio, è dimostrato che le cellule cancerogene non comunicano con le altre del medesimo corpo, ed è il motivo delle metastasi e della proliferazione neoplasica. In realtà il cancro si riconosce come un soggetto a parte, diverso, non comunicando con il corpo (cellule) in cui vive e di cui fa parte. Una sorta di disturbo cognitivo/percettivo cellulare che determina questa patologia a volte mortale.
In generale la Natura nella sua saggezza non riconosce gli elementi non in comunicazione con essa, tutti i soggetti e i comportamenti di questo tipo sono eliminati. Senza comunicazione non c'è sopravvivenza e la Natura trova così il modo di eliminarli.
Si trova prova di ciò nelle numerose estinzioni di massa cui la vita biologica sul pianeta ha dovuto fare i conti per rinnovarsi.

"Il progetto umano" non è certamente il primo che è stato tentato su questo pianeta, modelli diversi di umanità si sono già precedentemente estinti, la vita umana su questo pianeta dunque è molto più antica di quanto si pensi.
E' inoltre fantastico osservare come non vi sia differenza fra elementi fisici e psichici, sempre parlando in ambito umano.
Gli animali invece sono un caso a parte, perché esenti da questo problema linguistico adottando sistemi di comunicazione diversi, e avendo anche funzionalità e scopi diversi.
Solo nell'uomo i "dati" cioè l'informazione è trasmessa e conservata tramite la parola (logos) detta o scritta, mentre il patrimonio culturale animale è principalmente contenuto a livello genetico (meno di quanto si crede), mentre quello educativo comportamentale è funzionale alla sopravvivenza, quindi in armonia con la Natura )cioè in comunicazione, ed è esente come detto, dai problemi dei virus linguistici.
Infatti gli animali si comportano tutti nella stessa maniera nonostante non abbiano regole e ciò non è dovuto "all'istinto" che tra l'altro è un ipotesi senza prove, e in ogni caso il DNA non può contenere istruzioni su comportamenti così elaborati come si evidenziano nell'osservazione etologica. La spiegazione si trova secondo me in un'altra ipotesi e cioè il comportamento animale ha una sua "logica" semplice, ma comprensibile da qualunque altro animale. Essi dunque pervengono alle medesime conclusioni senza bisogno di parlare.
Lo scopo intrinseco nell'essere umano è l'espansione dell'informazione (Vita) cioè la sua sopravvivenza come specie è legata al rispetto di tale imperativo biologico.
Quando e semmai, l'umanità perderà il suo potere creativo e rivoluzionario di espansione, perderà anche il suo significato.
Lo ribadisco, l'essere umano è il modo che la "Vita" ha scelto (per il momento) per viaggiare, nel pianeta e poi nello spazio, oltre questo piccolo mondo. Almeno questa è la mia opinione.
Abbiamo dunque priorità diverse come specie rispetto alle altre.
Ma queste considerazioni di carattere generale esulano dall'analisi in argomento.
Tornando al ragionamento iniziale e sui problemi più prossimi mi domando alla fine chi ci guadagnerà?
Perché sempre a quel punto si giunge nella ricerca degli scopi delle azioni umane.
Nella storia i veri benefattori del genere umano sono state sempre persone modeste, non sono mai state persone avide né ricche.
Tanto per fare alcuni nomi, Tesla e altri scienziati geniali furono più che altro dei morti di fame, senza parlare di Sebin, Pasteur, Schweitzer; Non contando i filosofi come Socrate, Seneca, Nietsche, Nagarjuna. Poeti e artisti si accontentavano almeno nel passato, del giusto.
Alla meglio questi personaggi erano benestanti, ma nessuno che abbia valore è mai diventato ricco su questo pianeta, lo ribadisco.
A generalizzare si sbaglia sempre, tranne che quando si vede un uomo ricco, cioè ricco-ricco, ecco in quel caso si può essere sicuri che è un delinquente.
Come dico sempre la ricchezza non si crea, si sposta solamente, se qualcuno diventa immensamente ricco, moltissimi dovranno diventare miserabili.
E sei vuoi rendere un intero popolo povero...Beh! Allora devi dargli un nemico da combattere.

lunedì 8 giugno 2020

Erotika

L'Onda del tuono è magia che colora tutto di rosso. 
La pancia chiama ma è il cuore che ascolta. 
E' mare e scoglio, uniti eppure si scontrano.
Diversi, divisi tuttavia non si trovano i loro confini. 
Dolce sonno e inquieto sogno. 
Quel calore è un rogo di Fenice che mi accende, ancora, ancora e ancora. 

Piccola S che scrive nel vento



Lei ha il colore di una rosa, rosa.
Il suo sorriso è Samba. 
Quando lascia andare l'Amore...corre lontano a piedi scalzi.

Il Nido della Tigre


La nostra società non è sbagliata è solo infelice, perché inevitabilmente produce conflitti.
Ciò è dovuto alla sua natura intrinseca cioè al patriarcato di cui è espressione.
In un mondo diverso, matriarcale, sono convinto che la sofferenza sarebbe minore.
Ne sono convinto per un semplice ragionamento, confortato dall'osservazione.
Nessuna donna manderebbe i propri figli o fratelli in guerra, questo lo sa qualsiasi donna, gli uomini invece lo fanno ed è dovuto a una differenza biologica e al tipo di coscienza soggettiva che si sviluppa per tale diversità biologica.
Le donne hanno secondo me due coscienze. Non necessariamente una donna dovrà partorire per sviluppare questa "seconda coscienza", perché la natura stessa della femminilità gli conferisce tale strumento, talvolta presente perfino in alcuni maschi che hanno in se la medesima qualità. Di fatto solo le donne "hanno" figli, gli uomini concorrono a "farli" ed è fondamentalmente diverso.
Questo determina un profondo cambiamento di struttura psichica; Così nella donna si ha, oltre alla propria coscienza personale che si occupa dei propri desideri ed esigenze come nel maschio, un'altra coscienza più generale; La femmina dovendo gestire un grande investimento nel tempo, quali sono i figli, sviluppa delle diverse priorità, oltre strettamente alle proprie.

È il suo rapporto con il tempo, materializzato nei figli e nei nipoti che verranno che cambia drasticamente il suo modo di percepire la vita, e il rapporto sinergico che ha con la Terra che tutti abitiamo.
La donna ha una coscienza ecologista di default, non radicata però in un'idea astratta, ma in un dato quasi tangibile. È qualcosa che vive istintivamente, ed è il motivo, tanto per fare un esempio, che spesso si occupa delle piante in maniera attenta e naturale. Con questa coscienza aggiuntiva una donna necessariamente dovrà allargare il proprio punto di vista anche agli altri, non solo ai propri figli ma anche ai figli delle altre.
Quindi, la sua visione non solo sarà più vasta ma anche più profonda, estendendosi nel tempo attraverso le generazioni.
Non certamente per un motivo storico, ma per una ragione concreta: dare un futuro a ciò che è stato parte d lei e che le sopravviverà nel tempo.

Come dico sempre è il nostro rapporto con il Tempo che ci determina come esseri umani, ed è evidente in questa esemplificazione del mondo femminile, inconsapevole spesso persino alle donne, che risulta la loro diversità, comunemente incomprensibile a quasi tutti i maschi.
Per il medesimo motivo le donne non sono sfruttatrici sino all'esasperazione, perché tendono a creare una prosperità maggiormente condivisa che è l'unico modo per evitare il conflitto e la depauperazione delle risorse.
Ecco perché generalmente sono anche più concilianti, diplomatiche, ma talvolta su questioni di sopravvivenza più pragmaticamente drastiche.
Un comportamento solo apparentemente contraddittorio, ma spiegabile alla luce di questa interpretazione.

Alcune donne purtroppo snaturando il loro intrinseco essere, assumendo funzioni di potere all'interno di un sistema patriarcale (maschile) qual'è il nostro, esse divengono come uomini, negli atteggiamenti e nei valori, necessariamente esasperando i peggiori difetti maschili principalmente per fare carriera.

La cosiddetta parità di ruoli e funzioni tra uomini e donne nella nostra società non sarà mai pienamente raggiungibile, a meno che le donne non siano disposte a rinunciare a questo prezioso strumento che è purtroppo in contrasto con un sistema che premia un altro modo di essere. Provocatoriamente affermo che una parità del genere non è nemmeno auspicabile per il mondo femminile, perché dovrà in qualche modo rinunciare a una parte del suo "essere donna" che secondo me è un plusvalore che però la società non accetta, in quanto sarebbe la fine della società com'è intesa oggi.

L'adozione a un sistema matriarcale e la conseguente rinuncia alla famiglia con discendenza patrilineare, sarebbe una reale rivoluzione per dare un diverso corso al futuro umano, ormai avviato in una corsa frenetica verso un ecocidio ormai sotto i nostri occhi, un affrettarsi insensato lungo un ponte interrotto.
A proposito di ciò ricordo che non abbiamo un'altro pianeta dove vivere.
Le regole ecologiche non possono attuarsi fattivamente se non si cambia il sistema economico e questo non è modificabile se non si cambia il modello sociale costituito dai valori sostenuti da questo modello.
A prova di quanto affermo si può notare che nel mondo esistono ancora enclave primitive dove perdura dal lontano neolitico un sistema matriarcale o matrilineare (i figli appartengono alla famiglia della donna e la figura genitoriale maschile è assunta dallo zio) ebbene queste sono società quasi senza conflitti e con una maggiore felicità condivisa dai propri membri, sia donne che uomini.

È la ragione per cui sono scettico nei confronti di qualunque sistema politico e di tutti i sistemi religiosi che nascono e sono nati in un modello patriarcale.
Invece di tentare inutilmente di cambiare le politiche per risolvere singolarmente problemi e conflitti, bisognerebbe cambiare modello sociale e tutti i problemi si risolverebbero da soli, perché semplicemente non avrebbero più ragione di esistere.


E' stato scritto: "Quando incontri un oasi non dimenticare di bere".

Una frase che lessi in uno dei libri più interessanti e ben scritti a sostegno delle medesime teorie che esprimo a riguardo del matriarcato. E' "Senza freni" di Otto Gross, neurologo e psicoanalista, una mente tra le più brillanti del 900' particolarmente nelle sue intuizioni critiche rispetto alle idee di Freud e Jung con cui ebbe rapporti profondi e significativi, ma conflittuali.

Morto quarantenne solo, drogato e disperato, giudicato erroneamente psicopatico e rinchiuso per due volte in manicomio, fu secondo il mio giudizio un vero genio irriverente, in particolare nei confronti della morale e delle regole disumane di una società come la nostra che premia l'omologazione a scapito della ricerca del proprio reale "se stesso" nell'individuo; L'unico strumento per scardinare la prigione di falsità in cui ci si rinchiude per sentirsi liberi.

Ribadisco una domanda fondamentale: Quando mai si potrà essere felici in un mondo che non consente la scoperta e la libera espressione del proprio personale modo di amare?
Non è possibile essere felici abdicando la propria consapevolezza, in nome di regole, principalmente determinate come strumento di potere e non di emancipazione che non consentono a un essere umano di diventare adulto, lo costringono invece a rimanere un bambino, ubbidiente ma spaventato, mai completamente libero dal senso di colpa, mai capace di un ragionamento autonomo, una supinazione che lo obbliga a domandare per sapere cosa sia giusto oppure sbagliato, mai pronto a vivere la propria libertà, intesa come completa espressione dei propri veri sentimenti e fondata sulla personale esperienza.
Quest'ultima l'unica conoscenza a prova di errore. Nessun essere umano può aspettarsi di vedere la realtà del mondo se non si libera prima dalle idee e dalle false nozioni che gli sono messe davanti agli occhi e lo rendono cieco.
Ogni nozione è solo una credenza se non è accolta nell'esperienza. E ogni credenza è falsa... Per principio, perfino quelle vere.
Sono scettico con l'idea di cambiamento che invece è molto in voga in questi tempi. In definitiva non credo nel cambiamento dell'uomo. Non che non possa essere diverso da quello che è oggi, ma che possa "cambiare" intendendo ciò come un processo di trasformazione tra qualcosa che è sbagliato in un'altro, invece ritenuto giusto. Non possiamo cambiare in un opinabile "meglio" possiamo solo essere quello che siamo. Qualunque esso sia è già perfetto perché corrisponde alla nostra natura. Il motivo di tale convinzione è semplice. Non possiamo realmente che essere noi stessi, sempre che questo "me stesso" sia riconosciuto e accettato. Ogni altra cosa diversa da questa è falsa. Al di là del concetto di bene o male per me esiste solo essere veri oppure falsi. Come in una scultura la sua bellezza si mostra nel togliere dalla pietra tutto ciò che non gli appartiene, la forma è già nella natura del marmo da cui prenderà vita nel momento che sarà riconosciuta e alleggerita da tutto ciò che non gli è propria. Invece come esseri umani siamo spesso molte cose che non ci corrispondono, si aggiungono, gravano e appesantiscono la nostra esistenza.
Condizionamenti, educazione e idee a proposito di "chi siamo" piuttosto di domandarci senza preconcetti: "cosa siamo" ci indirizzano verso una destinazione falsa. Questo errore di partenza in un'indagine seria sulla natura umana, sulla nostra natura, ci nasconde purtroppo l'autenticità dell'essere. In realtà ciò cui diamo un valore soggettivo reale, cioè l'ego, non esiste. Questa dirompente constatazione è raggiungibile semplicemente scendendo profondamente in se stessi in silenzio. Scemati i pensieri che man mano si affacciano in una sorta di film questa percezione arriverà fulminante e illuminante. Il "prezioso" Io in cui investiamo tanto impegno e fonte di tante angoscie e preoccupazioni è solo un costrutto apparente di aggregati anch'essi apparenti.
L'ombra di un miraggio è in ultima istanza l'essere.
Certamente abbiamo un carattere e delle abitudini, inclinazioni e gusti, ma questi elementi mutevoli dimostrano che il medesimo soggetto che ne viene definito è poco più di un'idea, non un fatto. Non esiste concretezza, c'è solo un divenire di altro che si trasforma in un soggetto. Potrei provare a descriverlo come un Tutto che diventa uno e un uno che si riversa di nuovo nel Tutto.Se ad esempio una persona è colpita da Ictus la sua personalità cambia, dunque se può cambiare a volte anche radicalmente a causa di una modifica della propria struttura neuronale, questa mutazione non è altro che un cambiamento della mente, uno strumento principalmente fatto di idee, concetti e non ha una natura propria intrinseca ma condizionata e superficiale; Mentre il cervello che distinguo dalla mente è un organo la cui funzionalità si esprime nel fare, non nel pensare. Erroneamente si considera l'encefalo come un organo che pensa, invece serve a compiere e a risparmiare, non fa altro nella sua meravigliosa complessità. E' invece la mente che pensa, nel senso che costruisce idee e immagini e vive emozioni cioè crea una specie di specchio dove riflette questa produzione astratta. Tanto per spiegarsi un po' meglio, quando pensiamo ad un elefante, cosa succede? Lo vediamo, ma chi o meglio cosa vede l'elefante? E' la mente.Considerando allora queste condizioni c'è da domandarsi: Chi conosce chi? Chi cambia chi?
Indossare un un'uniforme non fa un soldato, questo lo possiamo capire tutti. Il mondo però, il mondo umano, crea etichette e modelli e all'interno di tali definizioni che si appiccicano alle persone, non solo le caratterizzata ma le imprigiona. Uscire dalla reclusione del personaggio comporta gravissime sanzioni da parte della socializzazione che lo ha creato, è un contratto quasi indissolubile e spesso è comminata contro l'autore di tale trasgressione, la morte fisica o civile.
Il soldato che non vuole più uccidere è considerato un vigliacco e sottoposto a corte marziale, spesso ucciso a sua volta; il medico che piuttosto che perpetrare una cura accanita e inutile, decide invece la morte del paziente per risparmiargli ulteriori sofferenze è arrestato e radiato dall'Ordine.
Così avviene per tanti personaggi che si impersonano sulla base delle definizioni e delle aspettative stabilite da altri, e questi personaggi non potranno essere modificati senza pagarne un prezzo elevato. Anche in questo semplice esempio si può notare che nessun cambiamento personale è realmente fattibile, perché non ci appartiene realmente. Questo sistema fatto di regole e valori arbitrari è già presente alla nascita di ogni individuo e lo determina, anzi lo plasma a sua immagine e somiglianza. Un condizionamento così capillare e talmente cucito strettamente alla nostra pelle da diventare esso stesso parte di noi e difficilmente riconoscibile.
Si passa così da un vestito all'altro, credendo di cambiare, ma senza mai conoscere la nudità; Da una maschera all'altra, pensando di essere altro, impersonando personaggi nemmeno autonomamente decisi.
È la ricerca dell'essenza, al di là di queste prigioni fatte di idee, l'unica via percorribile per vivere ciò che siamo.
Parlo di qualcosa di cui siamo, siamo sempre stati, e sempre saremo, ben oltre i ristretti confini che ci definiscono e ci limitano. Che tipo di essenza è testimone nella nostra vita? Secondo la mia esperienza la definisco come un'energia, la cui natura però risulta incomprensibile al ragionamento, inesprimibile perché è paradossale; una sorta di punto immateriale senziente cui nulla può essere aggiunto con l'esperienza di vita, ma neppure attraverso tale esperienza, ad essa può essere tolto. Verrebbe allora da chiedersi, perché tale essenza viva come testimone in questa materialità?
Ma questa è una domanda che non ha senso per tale energia. Essa è costituente e nello stesso tempo diversa dal mondo materiale, avendo una vita propria. L'universo con le sue leggi fisiche e la vita biologica che conosciamo è secondo me poco più di un meccanismo. Un orologio senza orologiaio è questa dimensione fisica. Dunque quando parlo riferendomi a tale Energia non la identifico nella puerile idea di anima, spirito o Divinità cui si potrebbe associare un tale elemento, perché ha connotazioni talmente sconcertanti e indefinibili da esistere oltre la nozione, la parola e il tempo, mentre usiamo questi elementi per caratterizzare quei concetti intangibili che conteniamo nella più ampia definizione di "spiritualità" una parola che invece non ha senso.
Quest'Energia è qualcosa in cui ci si ritrova finalmente e perfettamente, non conosce la fallace suddivisione di opposti in cui frazioniamo la realtà, la costante dicotomia da cui traiamo la comprensione (parziale ma funzionale) di questo mondo. Ci si ritrova così in un'ignoranza supremamente saggia. Sicuramente è riduttivo parlarne, ma in qualche modo è come conoscere tutto solo perché non vi sono più domande. Si vive però in questo stato solo per pochi incredibili attimi, ma che cambiano il senso di tutto. Lambendo la frangia di una diversa dimensione che coesiste quanto quella tangibile.
Oppure come si dice oggigiorno "Sono andato a male" ma questo però mi risulta strano, perché in questa presunta "putrefazione" mi ci trovo benissimo. Il mio scrivere trova inoltre senso non tanto per condividere il mio vissuto, visto che pare impossibile, ma nel voler mettere ordine in una situazione che spesso è disorientante rispetto ai normali canoni della vita ordinaria.
Tornando sulla Terra e come penultima riflessione in questa miscellanea di pensieri ed esperienze, commento la situazione contemporanea cioè il tentativo, a volte maldestro di ritorno alla cosiddetta normalità, dopo questa pandemia che se non ci fosse stata la televisione, forse pochi se ne sarebbero accorti. Una normalità che secondo i miei canoni, anche prima, aveva veramente poco di normale.

Il mio giudizio è che questa esperienza planetaria ci avrà comunque cambiato per sempre. Non sarà più possibile far finta di non averla vissuta, lascerà uno strascico indelebile.
Fare però di questo cambiamento un'occasione per vivere meglio dipenderà dal personale grado di riflessione di tale esperienza e sarà utile non liquidarla come un semplice disagio. Personalmente l'ho patita, in particolare la clausura forzata per il mio modo d'essere che ama il dinamismo, vedere posti nuovi e conoscere persone diverse. E' stato un cambiamento doloroso, ma mi ha dato modo di considerare in maniera diversa le piccole illusioni alle quali mi aggrappo come certezze che credevo erroneamente di aver lasciato alle spalle. Questo è stato un grande errore di presunzione cui ringrazio a mani giunte le pedate nel sedere che ho ricevuto.Questo ha rinnovato in me stesso un'insegnamento che stavo dando per scontato, e cioè la fondamentale condizione di benessere del contatto umano. Stavo dando per dovuto il lusso di un abbraccio, il piacere dolcissimo di un bacio affettuoso, la musica di una voce diversa dalla mia che risuona in una stanza.

Piccole cose, ma di grande valore senza le quali la vita si spegne.
Infine ho da dire qualcosa a proposito del silenzio, perché commentare il silenzio, puttana miseria, è proprio da me.
In  generale si parla per riempirlo, perché a molti inquieta; infatti, ci sospinge a considerare le cose, i fatti e le persone con maggiore profondità e ciò raramente è fonte di gioia. 
Il linguaggio però con cui lo colmiamo non solo è sopravvalutato ma inadeguato.
Funziona abbastanza bene se per esempio vuoi il sale e chiedi al vicino nel ristorante di passartelo, ma prova a descrivergli un tramonto, un amore, un amico che è mancato e ti accorgerai che sarà impossibile. 
L'incomunicabilità di qualunque cosa abbia significato soggettivo ed emotivo nella nostra vita è la più amara constatazione cui un uomo può pervenire nella propria esistenza, sebbene essa sia la sola verità. Una verità che nascondiamo a noi stessi, ma che ci accompagna sempre in questo affollato esistere di esseri irrimediabilmente soli.
Dunque sebbene plausibili le dichiarazioni che facciamo hanno poco senso, almeno se a un uomo non gli basta un "come stai?" Per sentirsi realmente amato.