lunedì 8 giugno 2020

Il Nido della Tigre


La nostra società non è sbagliata è solo infelice, perché inevitabilmente produce conflitti.
Ciò è dovuto alla sua natura intrinseca cioè al patriarcato di cui è espressione.
In un mondo diverso, matriarcale, sono convinto che la sofferenza sarebbe minore.
Ne sono convinto per un semplice ragionamento, confortato dall'osservazione.
Nessuna donna manderebbe i propri figli o fratelli in guerra, questo lo sa qualsiasi donna, gli uomini invece lo fanno ed è dovuto a una differenza biologica e al tipo di coscienza soggettiva che si sviluppa per tale diversità biologica.
Le donne hanno secondo me due coscienze. Non necessariamente una donna dovrà partorire per sviluppare questa "seconda coscienza", perché la natura stessa della femminilità gli conferisce tale strumento, talvolta presente perfino in alcuni maschi che hanno in se la medesima qualità. Di fatto solo le donne "hanno" figli, gli uomini concorrono a "farli" ed è fondamentalmente diverso.
Questo determina un profondo cambiamento di struttura psichica; Così nella donna si ha, oltre alla propria coscienza personale che si occupa dei propri desideri ed esigenze come nel maschio, un'altra coscienza più generale; La femmina dovendo gestire un grande investimento nel tempo, quali sono i figli, sviluppa delle diverse priorità, oltre strettamente alle proprie.

È il suo rapporto con il tempo, materializzato nei figli e nei nipoti che verranno che cambia drasticamente il suo modo di percepire la vita, e il rapporto sinergico che ha con la Terra che tutti abitiamo.
La donna ha una coscienza ecologista di default, non radicata però in un'idea astratta, ma in un dato quasi tangibile. È qualcosa che vive istintivamente, ed è il motivo, tanto per fare un esempio, che spesso si occupa delle piante in maniera attenta e naturale. Con questa coscienza aggiuntiva una donna necessariamente dovrà allargare il proprio punto di vista anche agli altri, non solo ai propri figli ma anche ai figli delle altre.
Quindi, la sua visione non solo sarà più vasta ma anche più profonda, estendendosi nel tempo attraverso le generazioni.
Non certamente per un motivo storico, ma per una ragione concreta: dare un futuro a ciò che è stato parte d lei e che le sopravviverà nel tempo.

Come dico sempre è il nostro rapporto con il Tempo che ci determina come esseri umani, ed è evidente in questa esemplificazione del mondo femminile, inconsapevole spesso persino alle donne, che risulta la loro diversità, comunemente incomprensibile a quasi tutti i maschi.
Per il medesimo motivo le donne non sono sfruttatrici sino all'esasperazione, perché tendono a creare una prosperità maggiormente condivisa che è l'unico modo per evitare il conflitto e la depauperazione delle risorse.
Ecco perché generalmente sono anche più concilianti, diplomatiche, ma talvolta su questioni di sopravvivenza più pragmaticamente drastiche.
Un comportamento solo apparentemente contraddittorio, ma spiegabile alla luce di questa interpretazione.

Alcune donne purtroppo snaturando il loro intrinseco essere, assumendo funzioni di potere all'interno di un sistema patriarcale (maschile) qual'è il nostro, esse divengono come uomini, negli atteggiamenti e nei valori, necessariamente esasperando i peggiori difetti maschili principalmente per fare carriera.

La cosiddetta parità di ruoli e funzioni tra uomini e donne nella nostra società non sarà mai pienamente raggiungibile, a meno che le donne non siano disposte a rinunciare a questo prezioso strumento che è purtroppo in contrasto con un sistema che premia un altro modo di essere. Provocatoriamente affermo che una parità del genere non è nemmeno auspicabile per il mondo femminile, perché dovrà in qualche modo rinunciare a una parte del suo "essere donna" che secondo me è un plusvalore che però la società non accetta, in quanto sarebbe la fine della società com'è intesa oggi.

L'adozione a un sistema matriarcale e la conseguente rinuncia alla famiglia con discendenza patrilineare, sarebbe una reale rivoluzione per dare un diverso corso al futuro umano, ormai avviato in una corsa frenetica verso un ecocidio ormai sotto i nostri occhi, un affrettarsi insensato lungo un ponte interrotto.
A proposito di ciò ricordo che non abbiamo un'altro pianeta dove vivere.
Le regole ecologiche non possono attuarsi fattivamente se non si cambia il sistema economico e questo non è modificabile se non si cambia il modello sociale costituito dai valori sostenuti da questo modello.
A prova di quanto affermo si può notare che nel mondo esistono ancora enclave primitive dove perdura dal lontano neolitico un sistema matriarcale o matrilineare (i figli appartengono alla famiglia della donna e la figura genitoriale maschile è assunta dallo zio) ebbene queste sono società quasi senza conflitti e con una maggiore felicità condivisa dai propri membri, sia donne che uomini.

È la ragione per cui sono scettico nei confronti di qualunque sistema politico e di tutti i sistemi religiosi che nascono e sono nati in un modello patriarcale.
Invece di tentare inutilmente di cambiare le politiche per risolvere singolarmente problemi e conflitti, bisognerebbe cambiare modello sociale e tutti i problemi si risolverebbero da soli, perché semplicemente non avrebbero più ragione di esistere.


E' stato scritto: "Quando incontri un oasi non dimenticare di bere".

Una frase che lessi in uno dei libri più interessanti e ben scritti a sostegno delle medesime teorie che esprimo a riguardo del matriarcato. E' "Senza freni" di Otto Gross, neurologo e psicoanalista, una mente tra le più brillanti del 900' particolarmente nelle sue intuizioni critiche rispetto alle idee di Freud e Jung con cui ebbe rapporti profondi e significativi, ma conflittuali.

Morto quarantenne solo, drogato e disperato, giudicato erroneamente psicopatico e rinchiuso per due volte in manicomio, fu secondo il mio giudizio un vero genio irriverente, in particolare nei confronti della morale e delle regole disumane di una società come la nostra che premia l'omologazione a scapito della ricerca del proprio reale "se stesso" nell'individuo; L'unico strumento per scardinare la prigione di falsità in cui ci si rinchiude per sentirsi liberi.

Ribadisco una domanda fondamentale: Quando mai si potrà essere felici in un mondo che non consente la scoperta e la libera espressione del proprio personale modo di amare?
Non è possibile essere felici abdicando la propria consapevolezza, in nome di regole, principalmente determinate come strumento di potere e non di emancipazione che non consentono a un essere umano di diventare adulto, lo costringono invece a rimanere un bambino, ubbidiente ma spaventato, mai completamente libero dal senso di colpa, mai capace di un ragionamento autonomo, una supinazione che lo obbliga a domandare per sapere cosa sia giusto oppure sbagliato, mai pronto a vivere la propria libertà, intesa come completa espressione dei propri veri sentimenti e fondata sulla personale esperienza.
Quest'ultima l'unica conoscenza a prova di errore. Nessun essere umano può aspettarsi di vedere la realtà del mondo se non si libera prima dalle idee e dalle false nozioni che gli sono messe davanti agli occhi e lo rendono cieco.
Ogni nozione è solo una credenza se non è accolta nell'esperienza. E ogni credenza è falsa... Per principio, perfino quelle vere.
Sono scettico con l'idea di cambiamento che invece è molto in voga in questi tempi. In definitiva non credo nel cambiamento dell'uomo. Non che non possa essere diverso da quello che è oggi, ma che possa "cambiare" intendendo ciò come un processo di trasformazione tra qualcosa che è sbagliato in un'altro, invece ritenuto giusto. Non possiamo cambiare in un opinabile "meglio" possiamo solo essere quello che siamo. Qualunque esso sia è già perfetto perché corrisponde alla nostra natura. Il motivo di tale convinzione è semplice. Non possiamo realmente che essere noi stessi, sempre che questo "me stesso" sia riconosciuto e accettato. Ogni altra cosa diversa da questa è falsa. Al di là del concetto di bene o male per me esiste solo essere veri oppure falsi. Come in una scultura la sua bellezza si mostra nel togliere dalla pietra tutto ciò che non gli appartiene, la forma è già nella natura del marmo da cui prenderà vita nel momento che sarà riconosciuta e alleggerita da tutto ciò che non gli è propria. Invece come esseri umani siamo spesso molte cose che non ci corrispondono, si aggiungono, gravano e appesantiscono la nostra esistenza.
Condizionamenti, educazione e idee a proposito di "chi siamo" piuttosto di domandarci senza preconcetti: "cosa siamo" ci indirizzano verso una destinazione falsa. Questo errore di partenza in un'indagine seria sulla natura umana, sulla nostra natura, ci nasconde purtroppo l'autenticità dell'essere. In realtà ciò cui diamo un valore soggettivo reale, cioè l'ego, non esiste. Questa dirompente constatazione è raggiungibile semplicemente scendendo profondamente in se stessi in silenzio. Scemati i pensieri che man mano si affacciano in una sorta di film questa percezione arriverà fulminante e illuminante. Il "prezioso" Io in cui investiamo tanto impegno e fonte di tante angoscie e preoccupazioni è solo un costrutto apparente di aggregati anch'essi apparenti.
L'ombra di un miraggio è in ultima istanza l'essere.
Certamente abbiamo un carattere e delle abitudini, inclinazioni e gusti, ma questi elementi mutevoli dimostrano che il medesimo soggetto che ne viene definito è poco più di un'idea, non un fatto. Non esiste concretezza, c'è solo un divenire di altro che si trasforma in un soggetto. Potrei provare a descriverlo come un Tutto che diventa uno e un uno che si riversa di nuovo nel Tutto.Se ad esempio una persona è colpita da Ictus la sua personalità cambia, dunque se può cambiare a volte anche radicalmente a causa di una modifica della propria struttura neuronale, questa mutazione non è altro che un cambiamento della mente, uno strumento principalmente fatto di idee, concetti e non ha una natura propria intrinseca ma condizionata e superficiale; Mentre il cervello che distinguo dalla mente è un organo la cui funzionalità si esprime nel fare, non nel pensare. Erroneamente si considera l'encefalo come un organo che pensa, invece serve a compiere e a risparmiare, non fa altro nella sua meravigliosa complessità. E' invece la mente che pensa, nel senso che costruisce idee e immagini e vive emozioni cioè crea una specie di specchio dove riflette questa produzione astratta. Tanto per spiegarsi un po' meglio, quando pensiamo ad un elefante, cosa succede? Lo vediamo, ma chi o meglio cosa vede l'elefante? E' la mente.Considerando allora queste condizioni c'è da domandarsi: Chi conosce chi? Chi cambia chi?
Indossare un un'uniforme non fa un soldato, questo lo possiamo capire tutti. Il mondo però, il mondo umano, crea etichette e modelli e all'interno di tali definizioni che si appiccicano alle persone, non solo le caratterizzata ma le imprigiona. Uscire dalla reclusione del personaggio comporta gravissime sanzioni da parte della socializzazione che lo ha creato, è un contratto quasi indissolubile e spesso è comminata contro l'autore di tale trasgressione, la morte fisica o civile.
Il soldato che non vuole più uccidere è considerato un vigliacco e sottoposto a corte marziale, spesso ucciso a sua volta; il medico che piuttosto che perpetrare una cura accanita e inutile, decide invece la morte del paziente per risparmiargli ulteriori sofferenze è arrestato e radiato dall'Ordine.
Così avviene per tanti personaggi che si impersonano sulla base delle definizioni e delle aspettative stabilite da altri, e questi personaggi non potranno essere modificati senza pagarne un prezzo elevato. Anche in questo semplice esempio si può notare che nessun cambiamento personale è realmente fattibile, perché non ci appartiene realmente. Questo sistema fatto di regole e valori arbitrari è già presente alla nascita di ogni individuo e lo determina, anzi lo plasma a sua immagine e somiglianza. Un condizionamento così capillare e talmente cucito strettamente alla nostra pelle da diventare esso stesso parte di noi e difficilmente riconoscibile.
Si passa così da un vestito all'altro, credendo di cambiare, ma senza mai conoscere la nudità; Da una maschera all'altra, pensando di essere altro, impersonando personaggi nemmeno autonomamente decisi.
È la ricerca dell'essenza, al di là di queste prigioni fatte di idee, l'unica via percorribile per vivere ciò che siamo.
Parlo di qualcosa di cui siamo, siamo sempre stati, e sempre saremo, ben oltre i ristretti confini che ci definiscono e ci limitano. Che tipo di essenza è testimone nella nostra vita? Secondo la mia esperienza la definisco come un'energia, la cui natura però risulta incomprensibile al ragionamento, inesprimibile perché è paradossale; una sorta di punto immateriale senziente cui nulla può essere aggiunto con l'esperienza di vita, ma neppure attraverso tale esperienza, ad essa può essere tolto. Verrebbe allora da chiedersi, perché tale essenza viva come testimone in questa materialità?
Ma questa è una domanda che non ha senso per tale energia. Essa è costituente e nello stesso tempo diversa dal mondo materiale, avendo una vita propria. L'universo con le sue leggi fisiche e la vita biologica che conosciamo è secondo me poco più di un meccanismo. Un orologio senza orologiaio è questa dimensione fisica. Dunque quando parlo riferendomi a tale Energia non la identifico nella puerile idea di anima, spirito o Divinità cui si potrebbe associare un tale elemento, perché ha connotazioni talmente sconcertanti e indefinibili da esistere oltre la nozione, la parola e il tempo, mentre usiamo questi elementi per caratterizzare quei concetti intangibili che conteniamo nella più ampia definizione di "spiritualità" una parola che invece non ha senso.
Quest'Energia è qualcosa in cui ci si ritrova finalmente e perfettamente, non conosce la fallace suddivisione di opposti in cui frazioniamo la realtà, la costante dicotomia da cui traiamo la comprensione (parziale ma funzionale) di questo mondo. Ci si ritrova così in un'ignoranza supremamente saggia. Sicuramente è riduttivo parlarne, ma in qualche modo è come conoscere tutto solo perché non vi sono più domande. Si vive però in questo stato solo per pochi incredibili attimi, ma che cambiano il senso di tutto. Lambendo la frangia di una diversa dimensione che coesiste quanto quella tangibile.
Oppure come si dice oggigiorno "Sono andato a male" ma questo però mi risulta strano, perché in questa presunta "putrefazione" mi ci trovo benissimo. Il mio scrivere trova inoltre senso non tanto per condividere il mio vissuto, visto che pare impossibile, ma nel voler mettere ordine in una situazione che spesso è disorientante rispetto ai normali canoni della vita ordinaria.
Tornando sulla Terra e come penultima riflessione in questa miscellanea di pensieri ed esperienze, commento la situazione contemporanea cioè il tentativo, a volte maldestro di ritorno alla cosiddetta normalità, dopo questa pandemia che se non ci fosse stata la televisione, forse pochi se ne sarebbero accorti. Una normalità che secondo i miei canoni, anche prima, aveva veramente poco di normale.

Il mio giudizio è che questa esperienza planetaria ci avrà comunque cambiato per sempre. Non sarà più possibile far finta di non averla vissuta, lascerà uno strascico indelebile.
Fare però di questo cambiamento un'occasione per vivere meglio dipenderà dal personale grado di riflessione di tale esperienza e sarà utile non liquidarla come un semplice disagio. Personalmente l'ho patita, in particolare la clausura forzata per il mio modo d'essere che ama il dinamismo, vedere posti nuovi e conoscere persone diverse. E' stato un cambiamento doloroso, ma mi ha dato modo di considerare in maniera diversa le piccole illusioni alle quali mi aggrappo come certezze che credevo erroneamente di aver lasciato alle spalle. Questo è stato un grande errore di presunzione cui ringrazio a mani giunte le pedate nel sedere che ho ricevuto.Questo ha rinnovato in me stesso un'insegnamento che stavo dando per scontato, e cioè la fondamentale condizione di benessere del contatto umano. Stavo dando per dovuto il lusso di un abbraccio, il piacere dolcissimo di un bacio affettuoso, la musica di una voce diversa dalla mia che risuona in una stanza.

Piccole cose, ma di grande valore senza le quali la vita si spegne.
Infine ho da dire qualcosa a proposito del silenzio, perché commentare il silenzio, puttana miseria, è proprio da me.
In  generale si parla per riempirlo, perché a molti inquieta; infatti, ci sospinge a considerare le cose, i fatti e le persone con maggiore profondità e ciò raramente è fonte di gioia. 
Il linguaggio però con cui lo colmiamo non solo è sopravvalutato ma inadeguato.
Funziona abbastanza bene se per esempio vuoi il sale e chiedi al vicino nel ristorante di passartelo, ma prova a descrivergli un tramonto, un amore, un amico che è mancato e ti accorgerai che sarà impossibile. 
L'incomunicabilità di qualunque cosa abbia significato soggettivo ed emotivo nella nostra vita è la più amara constatazione cui un uomo può pervenire nella propria esistenza, sebbene essa sia la sola verità. Una verità che nascondiamo a noi stessi, ma che ci accompagna sempre in questo affollato esistere di esseri irrimediabilmente soli.
Dunque sebbene plausibili le dichiarazioni che facciamo hanno poco senso, almeno se a un uomo non gli basta un "come stai?" Per sentirsi realmente amato.




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