giovedì 27 dicembre 2012

La Cumana disumana


A proposito delle celebrazioni natalizie, dei regali che si ricevono e si donano, dei buoni propositi che sempre accompagnano le festività religiose, di tutto il carrozzone di saltimbanchi, nani e ballerine che passa per le strade del centro durante i giorni di festa, mi ricordo il motto sibillino: "Attento a ciò che desideri". Cui aggiungo cinicamente: "Potrebbe realizzarsi".

L’osservazione che concretizziamo un po’ tutti dopo qualche anno trascorso su questo pianeta è che la felicità è in realtà un fondale dipinto da una sola parte.

Cosa ci sostiene allora nel misterioso impulso a continuare, cercare, sperimentare e soprattutto sperare? 
Probabilmente quella pulsione naturale, quel sintomo inguaribile a perpetuarci radicato in quella strana malattia che chiamiamo vivere.
Ci fanno compagnia nel nostro "incerto incedere" i ricordi cioè in definitiva le immagini della memoria ma solo quelle tinte dalle emozioni e le speranze ma solo quelle colorate invece dalle aspettative.
Tutte le istantanee di vita prive di questo fissatore (le emozioni) spariscono quasi subito e non lasciano traccia in noi.
Paradossalmente ubiqui ci volgiamo indietro ai ricordi oppure ci proiettiamo in avanti con la speranza; Sono entrambi scampoli colorati di vita vissuta o ancora da vivere collocati in un “continuum” temporale che in realtà è, sempre e solo, un eterno presente rinnovato.
Il passato, per quanto caro o spiacevole sia stato, non esiste più. Il futuro? Non arriverà mai.

Ecco che l'uomo osserva la sua immagine come fra due specchi. Uno posto dinnanzi a lui e uno alle sue spalle. Il riflesso  che si crea è infinito.
Egli riconoscendosi nell'immagine proiettata alle spalle dice "è il passato" poi guardando nella figura di fronte afferma "è il futuro" ma in realtà è sempre solo se stesso in un presente che non riesce del tutto a cogliere perchè perso nell'abisso creatosi dal sussegurisi delle seculari forme che rimandano la sua rappresentazione.
Ora avanti e ora indietro in una ipnosi determinata dalle due superfici riflettenti. Lo sguardo così palleggia fra questi due specchi come nei due punti estremi del pendolo ondeggiante di un Mago incantatore. 
In questo andirivieni ha così una percezione del tempo che, come è da lui inteso, in realtà non esiste.

Capitano però attimi, nell'esistenza, che valgono come una vita intera.
Altri invece vorremmo volentieri dimenticarli perché hanno l'odore macabro dell'annichilimento.
In ogni caso queste esperienze sono un valore soggettivo, anzi un valore sempre più effimero man mano si comprende la reale assenza di un vero protagonista.
Per i saggi ogni inconveniente è un’opportunità ed essi suggeriscono che gli errori sono necessari per riconoscere le cose giuste. Per gli altri non resta che confidare invece nella capricciosa fortuna e nelle idee prese a prestito.
Un atteggiamento che ci differenzia come diversa è la vita per ognuno di noi.
Miliardi di esseri umani e ogni vita non è mai uguale anche se è tanto simile, in particolare nelle constatazioni che se ne traggono vivendo, a patto siano valutate con obiettività.

Vi sono poi i mostri non evocati che ci tormentano durante il rassegnato orrore dei giorni che si susseguono in questa apparente consequenzialità.  
I dolori, le paure, le ansie, gli addii.
Un fiume amaro cui spesso tocca abbeverarci se non vogliamo morire di sete.
La felicità, l’ebbrezza, il piacere e l’amore, dunque?. Gocce di rugiada che ci deliziano ma che evaporano velocemente.
Corriamo in questo modo verso l'inesorabile, confortati solamente dalle bugie cui crediamo e, alla meglio, dalle supposizioni con cui interpretiamo la realtà, per non parlare di quelle congetture ancora più ardite sull’aldilà.
Se c’è una certezza in questa vita è che non ci sono certezze, lo dimentichiamo spesso, in special modo quando abbiamo bisogno della speranza per fare ancora qualche passo.

Il chiarore dunque che si sviluppa (raramente) nella coscienza che cerca di indagare lungo questo percorso sconosciuto genera sì una luce più accesa ma inevitabilmente getta intorno a se un'ombra più buia.
E' il prezzo che si paga nel voler contendere con l'ingiustizia, cioè di aver ricevuto il diritto di essere (vivendo) ma poi di venir distrutti senza un perché comprensibile.

Per chi non ha animo di disporsi a questa battaglia, impari, feroce e senza possibilità di vittoria resta solamente la possibilità di avvelenare la propria mente con la cicuta che rese muto Socrate.
Una pozione velenosa fatta non di erbe tossiche ma di superstizioni, di stupidità e della meschinità propria di chi preferisce invece di impugnare la spada affilata della propria mente per conquistare la propria libertà o quello che può chiamarsi in questo modo, di fingersi morto e così “scantare” questo nemico inarrestabile; Guadagnando forse un'effimera serenità ma perdendo la propria dignità, la propria indipendenza critica, la propria unicità e il coraggio proprio di chi non fa affidamento sulla menzogna confortevole e preferisce una scomoda verità.
Alla fine per evitare il combattimento mi pare che molti si fingono morti ma così muoiono veramente, anche se continuano a esistere.
Cosa ne sanno loro di cosa significhi andare oltre?

Se si fa il conto, come ragionieri, degli affanni, degli amori, delle brucianti sconfitte, dei momentanei successi è naturale domandarsi: “A cosa sono serviti? Qual è il senso di tutto questo?”
Penso talvolta che questi eventi sono solo stelle cadenti nel buio dell’anima.
Se non ci fossero guarderemmo ugualmente con tanta curiosità nell'oscurità del cielo notturno? Chissà!

Il nostro spirito, deve dunque stingersi inevitabilmente nel tramonto indifferente dell'esistenza? Deve per forza  stemperarsi man mano nei colori di un arcobaleno dalle sfumature senza fine?

Non posso fare a meno di sentire che sono solo un breve sguardo attonito che contempla un firmamento senza limiti.
Percepisco una grandezza che mi sovrasta, mi supera, mi ammutolisce nonostante ne parli diffusamente.
La mia ragione abbraccia solo una piccola porzione dell’immenso spettacolo e il mio cuore è troppo piccolo per contenere stabilmente le intuizioni generate dai sentimenti che qualche volta mi attraversano e paiono appartenere a qualche altro tanto superano la mia modesta e spesso ridicola condizione umana.

Constato dolorosamente che ognuno gioca la sua mano nella vita con le carte che ha, ma se non si può vincere perché nel mazzo dell’esistenza non ci sono assi ho fiducia che è comunque in nostro potere cambiare almeno le regole del gioco.
Cammino da un po' in questa landa priva di riferimenti e quando sono sfinito e sento la voglia di perdermi ricorro ad un inganno per continuare a respirare e trovare le forze per andare avanti. Fino a dove? Fino alla fine presumo.
Parlo cioè del piacere. Altrimenti che senso ha vivere se non ci si sente vivi?

Illusione e realtà sono intimamente legati. Direi necessari l’uno all’altro in un antitetico connubio cui però è necessario mantenere desta la coscienza per non perdersi.
Perchè se è vero che un sogno può terrorizzarci nel sonno come un reale pericolo nella veglia, esso può anche renderci felici sinceramente, per un poco si dirà, ma alla fine chi mai è felice per sempre?
Anche se la domanda dovrebbero essere: Chi lo è veramente?
Ma ancora di più: Per cosa?

Buon Natale, certo.

giovedì 29 novembre 2012

Attimi

L'abbraccio caldo di mia madre, quello forte di mio padre, il sapore della sera nella minestra. Il silenzio.
Il corridoio lungo, la credenza rossa, il libro dei disegni, l'odore del cortile bagnato di pioggia.
Il mistero delle foglie d'autunno, la castagna lanciata ridendo, la corteccia dell'albero che parla, i giorni che scorrono lenti. La neve sul davanzale da mettere in bocca.
Dov'è finita la mia spensieratezza, chi me l'ha portata via?
Dov'è la noia felice di quando ero bambino?
Allora andavo a dormire sempre contento. 

venerdì 16 novembre 2012

Oblio (Halit Mortis)

Zenit, aspirando voluttuosamente da una sigaretta artigianale edulcorata con chissà che: "Ma chi te lo fa fare?".

Nadir: "Non perché mi piace, ma perché non posso fare a meno".

Zenit: "Ti capisco io e pochi altri, forse il tre per cento del mondo".

Nadir: "Sarebbe già molto...per il mondo".

Zenit: "Poi, scrivere su un Blog, che idea".

Nadir: "Un modo come un altro per entrare nell'immortalità senza troppe pretese. Forse per esorcizzare quello che vorremmo non conoscere, ma ci guardiamo bene dallo scordare".

Zenit: "Già, in fondo nessuno vuole essere dimenticato, neanche Lei".

martedì 13 novembre 2012

Train de vie

Se volessi descrivere con un aggettivo quel particolare momento del esistere in cui si comincia a sperimentare una vita autonoma, cioè la gioventù, allora dovrei semplicemente dire: è ricca.

Una ricchezza fatta non solo di salute, forza e bellezza generalmente proprie di quel momento, ma costituita da una percezione più sottile, profonda e nascosta; La sensazione di una ricchezza che è determinata dalle possibilità.
Quando si è giovani dunque si è ricchi di opzioni, di occasioni, di prospettive, ma è un’abbondanza che si depaupera presto.
Infatti, tutti siamo chiamati dalla vita a muoverci all’unisono con il mondo, restare fermi equivarrebbe a rinunciare alla vita stessa. In questo procedere si è obbligati in un modo o nell’altro a fare delle scelte.


Così ogni decisione intrapresa preclude tutte le possibilità non correlate a questa scelta.


Per usare una metafora direi che i “quasi infiniti” binari che vediamo a bordo del nostro treno dalla stazione di partenza man mano passa il tempo si riducono. Ogni scambio attivato nella processione del nostro convoglio ci porta è vero avanti, verso una direzione, ma anche ci limita nella possibilità di scegliere una nuova destinazione.
Arriva così un tempo che non ci sono più scambi, le stazioni intermedie sono ormai alle spalle e le opportunità significative svaniscono, a meno che non si desidera ricominciare da zero.
Tornare però alla stazione di partenza spesso è impossibile o se è ancora fattibile non si ritornerà con le medesime prerogative.
Il costo del biglietto per il viaggio già fatto deve essere comunque pagato.

Ecco che al conducente di questo locomotore si presenta dopo un tratto che appare lungo ma che a posteriori è durato un baleno, solo un binario da percorrere. Ha speso quasi tutto il suo credito e non resta che constatare dove è arrivato.
Dopo molti anni di viaggio egli osserva che è a un punto in cui le azioni della propria vita si ripetono e che in questa dimensione unidirezionale si hanno a disposizione ben poche modifiche.
Il panorama non cambia, anche se si ha l'impressione di procedere e non serve certo cercarne un nuovo orizzonte con una breve vacanza al club Mediterranee.
In vecchiaia così ci si sente in alcuni casi poveri, ma particolarmente se si è mancato il bersaglio, se il luogo cui si è giunti non è quello voluto.
Nonostante il conto in banca, la posizione sociale, la buona reputazione, quello che gli altri dicono, la cosa che conta è come ci si sente dentro e non sempre quello che appare un bene è un bene per chi lo vive.

Queste semplici considerazioni, direi quasi scontate, in una persona adulta che abbia un minimo di saggezza non sono in generale facilmente comprese in tutta la loro profondità da una giovane, in quanto è un’informazione che deriva principalmente dall’esperienza, magari dalla constatazione amara di essere la rappresentazione vivente di tanti buoni propositi andati a ramengo.
Sarebbe così utile presentare con obiettività ai ragazzi questa realtà della vita in maniera convincente.

Dico convincente perché i giovani sono sempre sospettosi nei confronti dei cosiddetti "consigli" che gli sono elargiti dagli adulti e dai genitori. E con ragione direi.
Infatti, sono gli adulti che gli hanno insegnato a mentire e non parlo solamente della favola di Babbo Natale o di altre che gli si raccontano per riempire dei momenti particolari di magia e stupore.
Intendo invece le menzogne stridenti che, crescendo, i bimbi constatano nell’evidente diversità fra le parole degli adulti e le loro azioni.
Appena dopo i primi anni di fiducia incondizionata nei “grandi” i bambini e poi gli adolescenti sentono che c’è qualche cosa che non quadra. Spesso le indicazioni e le regole che gli sono imposte non sono per il loro bene, ma per la loro manipolazione.
Come potrebbe non nascere in loro, giustamente, il sospetto che dietro le belle parole vi sono solo gli interessi degli altri?

Quindi, questa causalità dell'esistenza andrebbe non solo ribadita, ma anche sottoposta al loro giudizio critico sulla base dell’esperienza personale che è un dato soggettivo incontestabile.
L’esperienza determina in noi non solo la conoscenza delle cose del mondo, ma anche la scoperta delle nostre qualità e delle nostre mancanze.
Senza un confronto onesto con la realtà si resta prigionieri di un mondo di idee, magari seducenti, ma che non servono a nulla.
Questa presa di coscienza dovrebbe generare un profondo senso di responsabilità, quella responsabilità che spesso dimenticano perfino le persone anche un po’ più in là negli anni. Credono di vivere ed è invece alla fine sono vissuti dalla vita.
Quindi, è fondamentale la valutazione responsabile di ogni scelta, perfino quelle banali, perché le conseguenze di ogni decisone anche apparentemente innocua può essere imprevedibile e determinante.

Determinante per chi, vale la pena sottolinearlo, abbia un obiettivo.

Viceversa ogni scelta è lasciata alle circostanze ed è come sperare che la pallina lanciata in una roulette con milioni di numeri finisca sul numero segnato dalla nostra “fiches”, tra l'altro una puntata lanciata a caso sul tavolo verde. Il premio poi, di tanta fortuna sfacciata sarà proprio quello che desideriamo, ma non sapevamo di volere. Pare un po’ troppo perché accada a tutti.
Avere un obiettivo è dunque non solo auspicabile ma necessario per chi non è baciato con tanto ardore dalla Dea bendata.

Un obiettivo che deve essere definito però con precisione.

Che tipo di uomo o di donna sarò fra dieci, venti, trenta anni? Quali risultati giudico fondamentali? Risultati materiali certamente come il tipo di lavoro da svolgere, ma anche che genere di famiglia vorrei e che qualità di rapporti umani avrò con gli altri.
Sarò una persona di riferimento oppure una comparsa? I rapporti con i miei simili saranno su basi solide o generati solo dall’interesse? Farò un lavoro utile o superfluo? Sarò una persona profonda o mondana?
Il quadro, per così dire una sorta di ritratto di Dorian Gray al contrario, deve essere dipinto in ogni più piccolo dettaglio.
Inoltre per tutto il tempo che si è separati da questo ipotetico traguardo bisogna sempre domandarsi ad ogni bivio: questa scelta mi avvicina o mi allontana al mio obiettivo?

Tutto questo richiede molta disciplina, me ne rendo conto, ma non c'è altra strada per dirigere la propria vita.
Questa linea di arrivo deve essere, però, almeno secondo la mia idea, alla fine di una strada che ha un cuore.
Altrimenti la sensazione di vuoto interiore che ne deriverebbe, mi pare ovvio, invaliderebbe lo sforzo profuso.
Per fare un esempio semplice. Se un obiettivo potesse identificarsi con una vita realizzata materialmente sarebbe utile che lungo il percorso di questa realizzazione sia contemplato un lavoro e un impegno che ci arricchisca anche spiritualmente ed emotivamente.

Perché il tempo della vita è poco è non c’è tempo per essere tante cose, ma alla meglio realizzarne una; Almeno nella dimensione della eccellenza se non è proprio possibile giungere alla perfezione. Eccellenza fatta non solo di un riconoscimento condiviso, ma sviluppata nei tre piani dell'essere umano, cioè materiale, emotivo e mentale. Poi sarà possibile da quella conoscenza vissuta pienamente dedurne tutte le altre.
Come ci si sentirebbe, infatti, a vivere in un’immensa residenza con un bel parco secolare e senza problemi finanziari ma in una solitudine desolante nonostante molte persone attorno? Penso non molto bene.
Mi domando ancora. Come ci si sentirebbe a godere della medesima grande disponibilità materiale se conseguita con l’inganno, la frode o con lo sfruttamento degli altri?
Anche in questo caso penso non ci si sentirebbe molto bene se l’ambizione è di essere non solo una persona ricca, ma anche di valore; Cioè un essere umano di un certo spessore e sensibilità.
Il senso di responsabilità che ne consegue ad un’indagine un po’ più seria della vita è enorme.
L’individuazione di come vorremmo essere deve, come già detto, essere molto precisa e rinnovata continuamente perché durante il viaggio possono capitare molti incidenti, ritardi e ogni fatto può allontanarci da dove vogliamo arrivare.
Inoltre il viaggio è lungo e non si può mai sapere cosa ci potrà servire, allo stesso modo ogni cosa superflua è un peso in più che ci farà rallentare.
Se lascio, però qualche cosa indietro non potrò poi tornare a prenderla. Bisogna pensarci bene.

Cosa dunque desidero sul serio? Cosa è in definitiva quello che sento di volere?
Domande alle quali tutti possiamo rispondere, ammesso e non concesso che ci conosciamo così bene da sapere non solo cosa non vogliamo (abbastanza facile) ma a cosa aspiriamo effettivamente.
Il nostro traguardo deve essere quindi solo nostro e lungo la "nostra strada" non si è mai abbastanza indipendenti, questo vale la pena rimarcarlo.
Ecco perché un’esperienza precoce di vita vissuta è fondamentale per comprendere questa realtà della vita e usarla con vantaggio.
Invece la nostra società e la famiglia tende a mantenere i bambini e i ragazzi in una sorta di limbo, dove si proteggono da ogni confronto e gli si danno delle regole che poi non troveranno nella vita vera.
Appena cresciuti quegli stessi ragazzi scelgono professioni fantasiose o banali sulla scorta di un condizionamento sociale o familiare. A volte per un adeguamento ai messaggi che pervengono della televisione e non si domandano quasi mai onestamente: Chi sono? Cosa sono capace di fare? Quali sono le cose che mi nutrono veramente? Ma soprattutto: Me lo merito?


Il confronto con la realtà è, come già detto, non solo importante ma indispensabile.

Nel definire “ciò che voglio essere” bisogna anche considerare molto bene le risposte che ricevo dagli altri e i risultati che ottengo dal mondo cioè dalla realtà.
Se desidero, per fare ancora un esempio, vincere il premio Nobel per la Fisica
con un’innovativa teoria delle stringhe e ho un quoziente intellettivo che arriva a malapena, nonostante cinque caffè prima del test, ad ottanta, forse non è la strada giusta; Così se voglio essere il più grande velocista al mondo sui cento metri, ma “sbanfo” già dopo una rampa di scale magari c’è qualche cosa da sistemare nel mio mirino di puntamento.
Vi è da considerare un altro aspetto della realtà che manco a dirlo è paradossale.
A volte un riconoscimento di una vita spesa per essere e per fare non è ravvisato da nessuno. Non lascia traccia alcuna di se e questo potrebbe far pensare che si è sbagliato tutto.
Esempi in campo artistico, scientifico e umano si sprecano.
Non parlo solo del caso eclatante di Gesù che quando morì sulla croce aveva vicino solo sua madre, una puttana e poche vecchie; Dei suoi amati discepoli, di quanti lo acclamavano e di tutti quelli guariti e miracolati non c’era nessuno. Se avesse giudicato la sua vita da quella fine miserevole, dalla solitudine con cui era stato ricambiato del tanto amore donato agli altri non avrebbe forse dovuto avere più molta fiducia nell’uomo e nel Padre Celeste. Senza parlare di come i suoi insegnamenti sono stati nei secoli fraintesi.
In definitiva una vittima innocente di un errore giudiziario che, però nella storia dell’umanità non fu il primo e purtroppo neanche l’ultimo
Un altro esempio: Vincent Van Gogh; le cui opere oggi sono forse le più quotate sul mercato mentre in vita non ha mai venduto un quadro. Le sue fatiche per i suoi contemporanei erano prive di gusto. Oggi invece ne siamo incantanti.
Dunque ha mancato il segno oppure no? Chi può dire se il grande pittore è morto con dei rimpianti, oppure nell’istante estremo era consapevole della sua riuscita?
Emily Dickinson, non ha mai pubblicato una poesia (forse un sonetto su un giornale di provincia) e quando è morta la sorella ha trovato centinaia di poesie nei cassetti come dimenticate che ha poi raccolto e pubblicato. Ora è considerata una delle più grandi poetesse Americane.
Franz Kafka, è morto anche lui sconosciuto, Friedrich Nietzsche, in manicomio senza nessun riconoscimento accademico. Galileo, ha dovuto abiurare le sue teorie rivoluzionarie. Quanti di quelli che studiamo e di cui apprezziamo le opere oggi sono stati apprezzati anche in vita? Pochi per non dire pochissimi.

Insomma la storia migliore dell’umanità è fatta da grandi esseri umani trattati come dei derelitti e con una vita a ben guardare infelice. Il premio del loro genio? E’ stato quasi sempre l’incomprensione, la persecuzione, l’isolamento.
Tutto questo panegirico per chiarire che forse sono le circostanze che fanno l’uomo e soprattutto il suo successo in vita (superando così i suoi programmi), ma è sempre e solo l’uomo che coglie nelle circostanze, l’opportunità.
In questo è la sua responsabilità, l’intento deve essere perfetto, la preparazione scrupolosa, mentre il risultato è molto spesso in mano a qualche cosa di più grande.

Esiste dunque una via che collega ciò che mi sento di essere a quello che gli altri percepiscono di me, e su questa cammina la persona che sono veramente.
Come scriveva il grande Kafka: “La vera via passa su una corda, che non è tesa in alto, ma rasoterra. Sembra fatta più per inciampare che per essere percorsa”.

Non conosco augurio più bello per chi inizia la vita di quello di inciampare in se stesso.



mercoledì 7 novembre 2012

Sostanza e apparenza

E’ molto semplice.

Come una fiamma che arde sopra una pietra nascosta bruciamo la nostra vita, ed è una fiamma quasi senza peso; momentanea e inevitabilmente destinata a spegnersi dopo un breve bagliore.
La pietra invece non si osserva, non si esprime, ma continua a esistere: eterna, immutabile, immota.

Abbagliati dalla luce consideriamo come reale questo fuoco ma è come guardare se stesso in uno specchio che a volte distorce l’immagine che rimanda, altre volte questa superficie riflettente è coperta da strati di polvere accumulati in anni e anni di vita: Parimenti ridà un riflesso in cui non possiamo mai riconoscerci completamente.
Così ciò che è apparenza insostanziale è percepito come reale e invece ciò che è eterno è sentito come immateriale, ma se guardo nel abisso vedo che io sono quel abisso che guarda un Egli, esso è in realtà ciò che sono stato, sono e sarò.

Esisto come parte di uno spazio indivisibile che non è più confine perché è senza dimensione, in un momento eterno perché al di là del tempo.
Scopo della vita per quanto mi riguarda è pulire questo specchio, levigare ogni distorsione, vedermi per quello che sono e riconoscendone il riflesso: abbandonarlo.

La fiamma vive dunque la sua esistenza illusoria identificandosi nella somma delle proprie emozioni, nelle esperienze e conoscenze vissute e acquisite, ma non può che trovare in ciò altro che delusione, poiché ogni gratificazione è temporanea e ogni risposta è in definitiva un vincolo.

Questo costrutto apparente non può conosce la reale felicità perché legato alla propria natura effimera.
Ogni cosa sorta da questa struttura è indissolubilmente incatenata alla nascita, al divenire e alla fine, da questo deriva la sofferenza di ogni uomo nato per morire, fino a quel limite estremo dove egli si riconcilierà con il reale Sé, l’Infinito.
La pietra della vita è così detentrice di un altro tipo di gioia, di una pienezza fatta di un silenzio tangibile, di quel particolare vuoto che tutto contiene.
Essa è la natura autentica che non conosce il bisogno, il desiderio, la frustrazione, la brama insaziabile.
Esiste semplicemente al di là.
E’ un canto antichissimo che è melodia oltre la forma e l’idea.

Spesso l’uomo non ode o peggio ancora non vuole udire questa armonia che lo supera, lo sovrasta, lo contiene e lo annulla vivificandolo.
Dove "io non siamo" si trova la dimensione del vivere reale.

venerdì 26 ottobre 2012

Lampi di buio

Il mondo è un posto molto strano dove così spesso aver ragione troppo presto equivale ad aver torto.
Mi domando se sono forse giunto a quella età in cui la vita è, per ogni uomo, una sconfitta accettata?
Il bene e il male sono ormai questione di abitudine?
No, ma il rischio è sempre in agguato, il temporaneo si prolunga, le cose esterne penetrano all'interno e la maschera, a lungo andare, può diventare volto.

E' così breve la vita che non c'è per me tempo per arrendersi; Fatta di attimi che mi separano e mi preparano all'ultimo attimo.
Allora magari chiederò ancora tempo, ma non ne potrò avere.
Nell'istante estremo guarderò nella memoria cercando i volti familiari? 
Darò un ultimo sguardo ai luoghi quieti dove il tempo per me si era fermato?
Agli amori che mi tolsero il fiato? 
Penserò che tutte queste cose certamente non vedrò mai più?

Non lo so, ma forse è per questo motivo che tutti entriamo nella morte a occhi spalancati.

martedì 23 ottobre 2012

Ramessettete-tiè

E’ curioso come l’intelletto che tutti abbiamo, non sia donato a tutti nella stessa misura; In definitiva chi ne ha poco è una rovina per la natura e per i suoi simili; Chi ne ha molto è un danno soprattutto a se stesso.
Nella prima categoria troviamo quelli abbagliati dalle presunzioni, nella seconda quelli accecati dalla constatazione di una realtà inconoscibile alla ragione.
Entrambi edificano su versanti opposti la piramidale ignoranza dell'uomo e poi si contendono il merito del progetto.

Come può perire qualcosa che ha diritto d'essere?
Da cosa nasce quell'incessante divenire e generare, quell'espressione di spasmo sul volto della Natura, quel funereo, interminabile lamento in tutti i regni dell'esistenza?

Il grande Faraone, seduto sul suo scranno, stabilisce il castigo.
Egli ha nome Tempo.

mercoledì 17 ottobre 2012

Dr. Livingstone, I presume?


L’unico che può sentirsi felice vivendo in una società folle è un pazzo.
Qualche giorno fa passeggiando per le vie del centro ho notato un vecchio manifesto elettorale che, a caratteri cubitali, sbandierava i cosiddetti fondamenti della società civile: Dio, Famiglia e Patria.
Ammetto che questo mondo nonostante tutto mi strappa sempre un sorriso.
Prima di analizzare con obiettività per quanto possibile questi capisaldi condivisi, queste colonne portanti della nostra società evoluta, ho pensato che lo stato di rassegnazione e di apatia della maggioranza alla vita disumana che ci tocca fare sia un meccanismo naturale di difesa: Forse per un uomo che vive in schiavitù e non può liberarsi delle proprie catene, provare ad amarle è a volte un modo per andare comunque avanti.
La nostra formazione o per meglio dire, il nostro condizionamento, inizia dal momento della nascita. 
A questa opera di destrutturazione ci danno sotto un po' tutti per far si che un essere che potenzialmente è un dio, cioè un Uomo non manipolabile con una forte carica vitale e psichica, si riduca a un contribuente sedato e supino ad ogni ordine.


Per libera associazione mentale mi sovviene che tra breve si celebrerà il 900 esimo della promulgazione della Magna Carta, un atto rivoluzionario che sanciva l'inalienabilità dei diritti civili di una persona se non per mezzo di un processo giusto, equo e rapido fatto da pari.
Sulla carta, anche se "Magna" è condivisibile il principio con cui è stata scritta, ma si dimentica che nella realtà si è sviluppata dopo le buone intenzioni in modo che ci sono persone più persone di altre. 
In questo porco mondo dunque, vivono anche qualche "miliardino" di non-persone, ma tanto non se le fila nessuno e per loro la storia non si scrive. 
I grandi genocidi dell'umanità si dimenticano in fretta; Non se ne parla, come fosse un parente ritardato mentale di cui vergognarsi. 
Si sa...non sta bene rievocare tutti quei roghi, le torture, i sostegni alle dittature, la cancellazione di popoli interi. 
Le "leggi naturali" quali l'autodeterminazione, la libertà di pensiero e di espressione ecc. ecc. contano veramente solo per alcuni. Insomma l'elenco è veramente lungo.
Così quando sento parlare di governo, affari pubblici, ragione di Stato intervengo come Totò con una domanda: "A proposito di politica che c'è da mangiare?"


Tornando al mio "discorsetto" vorrei solo ricordare che tra quelli che concorrono, in modi e tempi diversi, a questo schifo di situazione c'è questa triade infausta che ho appena nominato: Dio, Famiglia e Patria…Non necessariamente in questo ordine di responsabilità.
Dio, usualmente presentato dai suoi Promoter in terra come una sorta di genitore celeste con il dito puntato sulle nostre umane caratteristiche che però, quando passano sotto i suoi occhi onniscienti divengono quasi sempre peccati. 
Si genera così in ogni bimbo innocente il senso di colpa che è la base per la sua manipolazione futura. 
Rendere un uomo inadeguato, mettere nella sua mente il germe della dipendenza, determina per forze di cose la mediazione di un altro uomo per vivere che sia un prete, uno psicologo, un politico, un poliziotto, un giudice. 
Ci tocca sfamare così i nostri padroni che ci insegnano come dobbiamo vivere, manco non fossimo più capaci di sbagliare da soli.


La Famiglia poi? Spesso non è all'altezza nel dare l'esempio di un sano modello di vita. deve per forza di cose essere sostenuta ed esaltata da una società ipocrita che invece dovrebbe ammettere i propri fallimenti. 
Si assiste spesso quando nasce un figlio ad una crisi profonda di questa struttura familiare già traballante. 
I nomi che si danno a questi eventi sono fantasiosi: crisi coniugale, depressione post-parto e via così.
A me viene da pensare solamente che non si dovrebbe permettere a dei “bambini” di fare altri bambini.


La patria, non è forse altro che una grande prigione? 
Delimitata dai confini ed abbellita da una bandierina colorata dove si rinchiudono le persone. 
Ogni tanto per spostare di qualche centimetro una linea"virtuale" sulla carta geografica si ammazzano "realmente" qualche milione di persone. 
Questo per la maggioranza è normale, è la storia che leggiamo a scuola e sui giornali tutti i giorni.


Vivo così in questa gabbia di matti un po' rassegnato. 
La vita è forse' un momentaneo attimo di disagio come la febbre dopo la vaccinazione.
Esercito la mia pazienza nell'attesa della prossima destinazione che spero (ahimè anche io vivo le mie illusioni) lontanissima da questo pianeta manicomio.


Penso anche che la pace, sbandierata sempre da quelli che poi fanno la guerra, è garantita da un arsenale nucleare che potrebbe ucciderci tutti quaranta volte di seguito. 
I politici lo chiamano "deterrente" e se questo è il solo modo di garantire quel poco di benessere illusorio che le persone normali vivono, beh! Onestamente non è un buon affare.


Adesso si sta preparando la prossima guerra magari con l’Iran che realisticamente è un paese di poveracci, solamente un po' esaltati per la religione che si dice vogliano farsi l'atomica. Con questa balla si è già giustificata la guerra in Iraq ed è buffo che ci riprovino ancora, ma si chiudono invece gli occhi sulle atomiche (vere) in dotazione ad Israele che è riconosciuto da quasi tutti gli analisti politici europei non filo-americani come -l’ostacolo più pericoloso e concreto alla pace mondiale-. 
Insomma questa è un po' la situazione delirante tanto per dirne solo qualcheduna.


Però, la Natura nella sua intelligenza ci mostra che non esistono solo società schizofreniche e nevrotiche come la nostra. 
In alcuni posti isolati si dice, e non ho motivo di credere il contrario visto che mi sono documentato, la vita non è come la conosciamo. In alcuni di essi ci sono perfino andato di persona è ho notato che vivono diversamente.


Prendo ad esempio Papua Nuova Guinea dove c'è un grappolo di isole abitate da una popolazione aborigena. 
Essi vivono sereni senza aver mai, e sottolineo mai, conosciuto la violenza. Come fanno?
Non hanno bisogno di una bomba atomica per andare d’accordo con quelli delle isole vicine, gli divengono semplicemente amici. 
Tra di loro vivono anche un amore libero, i figli sono di tutti, hanno di che vivere ma non conoscono il germe dell’avidità. 
Sono in armonia con l’ambiente circostante e mantengono sotto controllo l’espansione demografica. 
Il diritto di proprietà è limitato al minimo indispensabile.


Come mai c’è un posto simile? 
Stranamente Dio, famiglia e Patria non sono ancora arrivati da loro.


Giusto per curiosità questi aborigeni hanno degli interessantissimi rituali che li aiutano a saldare i rapporti tra i membri della loro tribù e con quelli delle tribù che vivono in altre isole. 
Tra alcuni di loro c'è un rito di scambio, usando collane e bracciali che rappresentano dei principi esoterici espressi con un particolare linguaggio iniziatico. Si esprimono assemblando con dalle conchiglie diverse dei monili che poi si donano .
Con questa sorta di "gioco" si crea una relazione con altri "giocatori" stabilendo rapporti pacifici con i propri omologhi su tutte le isole dell'arcipelago. 
Gli scambi, lo ripeto, sono gratuiti ed il rituale con cui vengono presentati e accettati è veramente originale, ma non mi dilungo nel raccontarlo.


Si può con ragionevole approssimazione immaginare che tipo di vita fanno. 
La tribù aiuta ognuno a costruire la capanna. 
Non dovrai pagare mutui per trenta anni alla banca, basta restituire il favore al prossimo amico che vuole andare a vivere per conto suo e il gioco è fatto.
Hai fame? 
Peschi, oppure vai a caccia o raccogli le verdure nell'orto. 
Un paio d'ore e non dovrai neanche cercare parcheggio fuori dal supermarket.
Hai sete? 
C’è l’acqua con ottime fonti e per i più esigenti ci sono le noci di cocco.


Non c’è la TV, non c’è internet, non c’è un cazzo da fare se non chiacchierare con gli amici e fare l’amore con le ragazze. 
Se vi sembra noioso fatevi un giro in metropolitana nelle ore di punta e dopo una quarantina d'anni di lavori forzati alla catena di montaggio poi ne riparleremo.


In quelle isole non si fidanzano, non si sposano, e già questo è un’ottima base per vivere tranquilli. 
In grandi capanne comunitarie si incontrano uomini e donne e si scelgono liberamente. 
Domani è un altro giorno e si cambia partner.


I figli nati da queste libere relazioni sono allevati da tutti. In generale la discendenza è matrilineare. 
Non c’è gelosia, reati sessuali, furti, omicidi. Il delitto passionale non sanno cos'è.


Le guerre di religione? Mai viste.
C’è il Grande Spirito dell’Isola di cui tutti sono figli, ma non c’è nessun prete che ti dice come lo devi pregare e cosa devi o non devi fare. 
Se non stai bene c'è lo sciamano che sicuramente ti mette a posto, ma è difficile ammalarsi quando si sente ovunque l'amore dei tuoi simili e sei felice.


Non pare vero? 
Eppure vivono così da quarantamila anni, perfino senza i dieci comandamenti di cui pare nessuno senta la mancanza.


Non sono stupidi però, conoscono l’animo umano e le inside nascoste nelle pieghe dell'anima, infatti c’è come detto, il complesso rituale di scambi (Kula Ring) che salda i rapporti di amicizia e poi ci sono alcune cerimonie comunitarie catartiche che purificano la loro mente da ogni germe di follia.
E infine…ridono tanto, sviluppano un humour molto vivo per ogni aspetto della vita.
Le controversie sono gestite con il dialogo, si parla finché non si è tutti d’accordo. 
Tanto c’è un sacco di tempo. 
A me pare che un mondo senza avvocati sia già un mezzo Paradiso.


Non voglio esaltare la favola del buon selvaggio che non è mai esistito e in fondo questo raffronto con la nostra vita è ormai difficilmente riconducibile alla semplicità. 
Certamente è un po' semplicistico questo mio piccolo disegno appena dipinto, ma In definitiva è solo una provocazione.
Sono convinto però che casualmente in un angolo di questo pazzo mondo si sia formata una piccola oasi di normalità.



Peccato che a differenza della follia, la sanità mentale non sia contagiosa.

lunedì 15 ottobre 2012

Milk and cookies kept you awake, eh?

Abbiamo bisogno di materialismo.
In questi tempi dove viviamo continuamente distratti da tante notizie inutili, da comunicazioni e informazioni virtuali senza confronto né riscontro. Credendo di conoscere diventiamo più ignoranti.
Siamo dunque lontani dal cibo che mangiamo senza gustarlo completamente, dal camminare in maniera attenta, dal rapporto vero con gli altri coperto com'é da frasi inutili e atteggiamenti stereotipati, dal comprendere il momento di saper tacere quando invece alziamo la voce.

Il denaro poi? E’ quanto di più metafisico ci sia.
Carta colorata e numeri che appaiono fuggevoli su un monitor, dandoci una effimera quanto irreale illusione di sicurezza.
Abbiamo dunque bisogno di un demone che entri nei nostri sogni per dirci che stiamo dormendo.

giovedì 27 settembre 2012

Apolidi

Si raccontano le favole per far dormire i bambini, poi agli adulti si raccontano favole più avvincenti per farli dormire ancora più profondamente.
La favola dell'amore, quella della libertà per esempio, ma anche quelle più fantasiose delle religioni.
Come già ribadito in un altro scritto, si coltiva in questo modo la puerile speranza che senza far nulla “domani sarà meglio di oggi”.

Noam Chomsky che per la linguistica è quello che Einstein è stato per la fisica, segnala nelle dieci regole di manipolazione che personalmente chiamo -I dieci modi per fare di un uomo un coglione- di rivolgersi al pubblico come ai bambini.
Avviene così una sorta di regressione di cui siamo vittima spesso e che fa fare un bel pisolino al nostro senso critico.
Sarebbe più utile invece indirizzare la propria attenzione e il poco tempo di vita per cercare di migliorare il presente, un presente fatto però di problemi reali senza farci distrarre da enti che oggettivamente sono solo inganni.

I rapporti umani non si discostano dagli obiettivi e dai paradossi dalla società in cui viviamo; Come potrebbe essere diverso, quando questa società è fatta di uomini?
Non ci piace magari ammetterlo, ma è così.
L'economia che muove il mondo muove prima di tutto l'essere umano.
L’avidità che da al forte l’istinto di “predazione” c’è anche in ognuno di noi. Non vederla è esserne in definitiva dominati.
Tutto è economia. Economia di movimento per il corpo, economica emotiva -ti do, mi dai- economia di investimento -faccio per poi avere- economia in senso stretto fatta da un mercato di scambio dei beni materiali, ma anche di cose materiali per quelle emotive e intellettuali, cioè su piani diversi che interagiscono.

Questa osservazione, direi banale, sfugge stranamente alla maggioranza dell’umanità che ammanta le motivazioni delle proprie scelte di qualità che non esistono e che a ben vedere nessuno ha mai incontrato in un uomo in vita sua.
Sentimentalismi da operetta che non solo seducono, ma in definitiva conquistano, creando quella discrepanza evidente che ci sorprende in particolare nell'assoluta imprevedibilità dei comportamenti umani.
Il comportamento umano è in definitiva molto prevedibile se si vuole indagarlo senza preconcetti sulla scorta dell'interesse e della necessità, viceversa risulta incomprensibile.
Sarebbe come voler capire un libro di algebra auscultandolo con uno stetoscopio e aspettandosi dei dati significativi. Con tali sistemi di indagine non stupisce che la matematica resterà infine un mistero.

In questa commedia dell'equivoco si confondono così troppo spesso i comportamenti, chiamiamoli “egoistici” con i buoni sentimenti.
Si crede di possedere qualità morali intrinseche, quando nel migliore dei casi si è solo animali ammaestrati alle buone maniere.
Talvolta un gesto estemporaneo di generosità serve solo a convincerci che poi non siamo così male.
Pochi così amano parlare dei peccati che invece amano compiere.

E' oltremodo evidente, a chi è onesto con se stesso, che come già detto nulla di quello che facciamo supera la soglia dell'interesse.
L'amore che descriviamo e auspichiamo è allora proprio di un mondo di favole.
Se mai un amore autentico può sorgere fra due esseri umani è quello edificato sull'onestà e non sul fraintendimento, in primis sull'onestà a proposito di se stesso.
Solo vedendo il confine che ci rinchiude è possibile trovare il modo di superarlo e così facendo raggiungere semmai l’altro.

A priori siamo tutti apolidi, poi il caso ci assegna una famiglia, una nazione, un’identità.
L'uomo comune si accontenta di questa definizione che è in definitiva una confortevole trappola, e non sente il bisogno di altro.
Alcuni, forse pochissimi, come salmoni risalgono la corrente per giungere al primigenio luogo ove nacquero.
Un luogo non fisico, ma interiore, un posto senza nome e senza confine; Il percorso che affrontano è lungo, faticoso, senza garanzie e in certe circostanze...molto amaro.

Bisogna lasciare tutto per possedere infine se stesso, cogliendo così forse, quella leggerezza e quella libertà che abbiamo svenduto per possedere cose inutili che ci distraggono solamente dal rassegnato orrore del mero esistere.
Talvolta questa leggerezza che ci sgrava dal superfluo appare paradossalmente un peso insostenibile.
Valicare questa sorta di ponte sul nulla è, semmai auspicabile e desiderabile, una via verso lo spogliarsi di tutto, rischiando una volta nudo molto più di un semplice raffreddore.
La domanda nodale che bisognerebbe porsi è sempre e comunque una sola: “Sei disposto a pagarne il caro prezzo?”.

C’è anche qualche cosa da dire sulla ubiquità.
Siamo tutti un po’esuli dal nostro passato e con lo sguardo timoroso ci volgiamo al futuro. Esistiamo dunque ovunque e divisi in più parti, ma quasi mai coesi dove dovremmo essere, cioè nell’unico momento possibile: il presente.
Forviati dai sensi e dalla memoria conosciamo di noi stessi solo una allegoria per non dire un dato presunto e, il più delle volte, presuntuoso. Questa è la nostra condizione miserevole.
Così ognuno è per sempre prigioniero nella sua solitudine.

Pochissimi uomini, ci è stato detto, hanno realizzato una via d’uscita verso un mondo diverso, ma probabilmente sono solo una leggenda. Gli altri, per non dire tutti quelli che appartengono al nostro presente, indulgono per lo più nei miraggi, colgono solo ombre e riflessi perché non possono sostenere lo sguardo diretto verso la luce abbagliante della realtà che li priverebbe forse della vista, ma è paradossale questa paura perchè siamo già tutti cechi.
Viviamo nel migliore dei casi costantemente combattuti fra la pace dell'anima, credendo o volere la verità per guida, cercando.

Pare proprio che possiamo solo vivere da stupidi aderendo ad un preconcetto mascherato da fede, oppure essere disperati nel constatare quanto poco sappiamo con certezza e quanta poca strada riusciamo a percorrere con l'ausilio della nostre sole forze.
Procediamo in entrambi i casi per opposte strade lungo la medesima circonferenza conchiusa nel cerchio  della nostra abissale ignoranza.

C’è dunque molta speranza nel mondo, ma nessuna per me.

giovedì 20 settembre 2012

Ah, la Sintesi!

Non sarebbe possibile sostituire tutti Libri Sacri, le filosofie, le religioni e le leggi del mondo con un unico, sano e incontestabile precetto?

E' già stato fatto. E' noto ma non è considerato.
In ogni caso lo ripeto: "Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te".

Basterebbe che tutti ci ponessimo questa semplice domanda prima di ogni azione od omissione: "Se fossi io quell'uomo, mi dispiacerebbe?".
Una elementare domanda la cui risposta onesta e la conseguente azione ci catapulterebbe da questo mondo Infernale in un Paradiso senza neanche bisogno di morire.

lunedì 10 settembre 2012

Citarsi adosso


“In un qualche angolo remoto dell'universo che fiammeggia e si estende in infiniti sistemi solari, c'era una volta un corpo celeste sul quale alcuni animali intelligenti scoprirono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e menzognero della «storia universale»: e tuttavia non si trattò che di un minuto. Dopo pochi sussulti della natura, quel corpo celeste si irrigidì, e gli animali intelligenti dovettero morire.”

Così scriveva F. Nietzsche, in "Verità e menzogna in senso extramorale".
Una mirabile sintesi, un fulgido ritratto della storia dell’umanità, che cito, come del resto faccio continuamente; Infatti, tutto quello che scrivo, dico e penso non mi appartiene. Dico che non mi appartiene non perché non lo abbia ma semplicemente perché non ho autonomamente deciso di averlo; un concetto che cercherò di spiegare meglio.

Sono nato nudo, incosciente e ignorando ogni cosa.
Al momento della mia comparsa in questa dimensione umana non sapevo se ero un maschio o una femmina, non conoscevo se ero bello o brutto, non immaginavo nulla a riguardo delle persone che cominciavo a vedere per la prima volta.
Tutto era mistero e stupore senza però l’ansia della paura e dell’aspettativa.
Eppure pensavo, provavo sensazioni, emozioni che, però non sapevo definire, ma comunque vivevo pienamente.
Il mio pensiero era così non-verbale, libero e lucidissimo. Non avevo un passato in cui indugiare né un futuro da prevedere, il concetto stesso di tempo non esisteva in me.
Non ero certo come adesso, offuscato da quel continuo soliloquio interiore che accompagna ogni riflessione e precede ogni comunicazione.
All'ora il prodotto della mia mente era adamantino e lucido, perché non mitigato dall’esperienza né contenuto in quello strumento inadeguato che è la parola.

Tutti noi appena cominciamo a vivere una esistenza autonoma creiamo una frattura con la realtà che si palesa man mano formando un'identità sempre più strutturata e con un dialogo interiore inarrestabile e incessante con noi stessi. 
Una conversazione schizofrenica fatta come un sogno che continua anche durante la veglia. 
Lo stesso concetto di autonomia necessita per essere sostenuto dall’idea di separazione, cioè di quella contrapposizione tra ego e mondo che è una costante che accompagna la nostra vita, anzi che è in definitiva la nostra vita.

Sulla presunta soggettività cui diamo il valore di "me stesso" vale la pena farsi qualche domanda.
Snoam Chomskyi famoso linguista, sostiene che se uno scienziato marziano senza preconcetti analizzasse tutti i linguaggi del nostro mondo ne concluderebbe che a dispetto degli idiomi diversi tutti parliamo la stessa lingua.
Vi è una matrice unica e comune, una "grammatica universale" da dove sorge la comunicazione. 
Un’espressività che non è dovuta all’ambiente poiché molto più articolata rispetto agli stimoli dell'apprendimento, ma è biologica e si potrebbe aggiungere con la dovuta cautela che il termine richiede, innata nella nostra natura. 
Il linguaggio cresce in noi come i capelli e le unghie.

Si azzarda anche un’altra ipotesi, sulla base di questo modello e cioè che non solo parliamo tutti la stessa lingua e non ne potremmo parlarne una diversa (nella sostanza e nella costruzione grammaticale), ma addirittura confrontandoci agli altri esseri biologici di questo pianeta: siamo tutti lo stesso animale.
La base chimica è il carbonio, quella genetica è anch'essa comune. Ci differenzia l’attivazione di alcuni geni rispetto ad altri. 
La matrice che ci plasma appare così incorruttibile ed esclusiva,  uno stampo dove nulla pare lasciato al caso e al libero arbitrio.

Cambiando prospettiva e rivolgendo più modestamente l'osservazione a me stesso, ecco che mi rendo conto che nello scorrere del tempo ho accumulato molti enti nella mia memoria, ma secondo questa teoria non potevo fare diversamente che trovare ciò che avevo già.
Infatti ho rinchiuso il mio pensiero e l’idea che ho di me stesso nella gabbia delle definizioni che ho adottato per forza di cose per andare avanti in una società umana.
Ho posto i miei sentimenti nelle strette pastoie della morale per adattarmi al mondo in cui vivo e per non essere un alienato.
Questa impalcatura psichica è stata costruita grazie a tanti strumenti che ho preso in prestito via, via lungo la strada; Li ho quindi usati per utilità, o perché, come detto, non potevo fare diversamente.
Questi attrezzi come ad esempio la conoscenza di elementi condivisi, il linguaggio, alcune abilità ecc. ecc. sono propri della  natura umana e funzionali alle esigenze contingenti, agli usi e ai costumi che questa stessa natura non poteva fare a meno di creare in una società di uomini.
In alcuni casi queste nozioni si sono appiccicate a quel “me stesso” apparentemente in modo casuale.
Nozioni che in sostanza, lo ribadisco, sono dei preconcetti e delle convenzioni come tutte le strutture mentali che condividiamo a cui dovremmo però, dare solo un presunto valore di realtà.
Cognizioni dicevo, che si attaccano a volte come i fogli di giornale buttati via e spinti dal vento; fogli che si attorcigliano alle gambe e non si vogliano più staccare, anzi a volte sono talmente stretti a noi che diventano la nostra stessa pelle.

Sono in definitiva una citazione vivente che elabora e rimpasta gli elementi tirati su lungo il cammino e che presento come miei, ma in realtà non è così.
Tra gli strumenti più importanti che adottiamo  vi è il linguaggio; Esso è in definitiva un contenitore di idee che altrimenti non potrebbero essere trasmesse, quando però, questo sistema ingegnoso e variegato tenta di definire la realtà in maniera esatta paradossalmente se ne allontana. 
Se si vuole spiegare la vita interiore di ognuno e la propria verità soggettiva questo mezzo di comunicazione diviene muto.
Forse, perché la realtà non può essere conosciuta direttamente, almeno quando si utilizzano per coglierla i filtri e le lenti distorcenti che tutti usiamo per vivere, comunicare e guardare il mondo.
Fra le nostre tante esigenze abbiamo bisogno costantemente di esprimerci, di comunicare chimicamente, corporalmente, emotivamente con il mondo circostante. 
Senza interazione con l'esterno, senza ricevere nutrimento dalle sensazioni, moriremmo all’istante.
Talvolta questo strano essere chiamato uomo sente il desiderio di indagare oltre le apparenze illusorie e, chissà poi perché, di scoprire (nientemeno) la realtà ultima, di conoscerla addirittura da se e attraverso se, ma non è facile. Forse è un concetto che va oltre le nostre capacità cognitive.
Quindi, sarebbe opportuno prima di tutto capire cos’è quel “sé” che vorrebbe conoscere la realtà.
Inoltre, la natura cioè la vita, tanto per confrontarsi con l’immensa forza che ci circonda, ci plasma e ci costituisce non parla, ma fa.
A Lei (la Realtà) non interessa essere capita, perché nella sua meravigliosa armonia è conchiusa in se. Basta a se stessa. E' energia pura che obbedisce solo a se medesima.
E’ l’uomo, e solo l’uomo, semmai che deve, per necessità o per ambizione, avanzare lungo questo sentiero incerto su cui vorrebbe incontrarla, toccarla e magari possederla.
Un’impresa che sembra irrealizzabile con i comuni strumenti, poiché ogni idea che abbiamo del mondo è generata dai fallaci sensi e risulta in definitiva una metafora per non dire una menzogna.

Come dare torto a Vladimir Nabokov quando scrive: "Ogni informazione che ho su me stesso viene da documenti falsificati."

Se volessimo indagare poi sulle credenze relative a quella “coscienza” che probabilmente non abbiamo ma che presumiamo con tanta sicumera di avere, sarebbe come cercare di afferrare un miraggio.
Perché è proprio questa presunzione che ci impedisce di cercare quel “qual cosa” che, se mai esite, ci è venduto come una nostra proprietà inalienabile.
Chi si prenderebbe la briga di cercare una cosa che pensa già di possedere? Nessuno, appunto.
E in questo presuntuoso azzardo si può intuire l’errore che determina tutti gli altri.

Costruiamo le relazioni personali e la nostra stessa vita “grazie” alle convenzioni condivise, ma dovremmo invece dire, purtroppo.
Questi non sono che utensili che utilizziamo e che talvolta sono funzionali alla nostra esistenza o meglio sopravvivenza ma, di fatto, si frappongono al reale come mura invisibili di una prigione.
Più accumuliamo dati, convenzioni, nozioni, teorie, modelli e più la cella si stringe finché un giorno soffochiamo nella follia.
Il motore di questo gran d’affare è naturalmente l’intelletto che ci è stato dato dalla Natura probabilmente non perché siamo i migliori ma forse solo perché siamo i più fragili fra gli animali che abitano questo sasso perso nel cosmo.
Questo intelletto tuttavia per esistere necessita di un’identità.

E’ dunque le presuntuose convinzioni che accompagnano questo senso di essere ci spingono addirittura a credere in un’anima eterna, il cui destino è importantissimo e caro ad un Dio che dovrebbe governare non solo questo mondo, ma l’universo intero e che si occupa personalmente, si pensi un po’, fra le molte cose, della nostra vita.
Questa favola se fosse raccontata a un bimbo innocente, forse stenterebbe a crederla, eppure miliardi di esseri adulti su questo pianeta non ne fanno mai oggetto di un’indagine seria.
Forse questa sensazione di identità è così solo uno scherzo del nostro cervello. Un artifizio del nostro sitema nervoso esteso utile per l’autoconservazione.

Secondo il buddismo zen per esempio l’anima non esiste, non esiste un pensatore dietro al pensiero; Vi è solo il pensiero.
Siamo dunque un orologio senza un orologiaio?
"Tic-tac", potrei rispondere se fossi saggio.

In ogni caso, l’uomo comune e anche molte rispettatissime autorità negano questa ovvia constatazione avanzando ipotesi fantasiose e assai complicate per dribblare una situazione semplice ma che non consola, e soprattutto non gonfia come una mongolfiera la nostra esistenza ingigantendo quel minuscolo granello di polvere che siamo ad astro del firmamento.
Il senso di questa drastica riduzione di tante superstizioni?
Tralasciando l'amore per la verità che non alberga mai stabilmente nel cuore dell'essere umano, penso che avendo meno speranze, magari avremmo anche meno dolori perché la speranza (che ci consola del nostro presente) nutre in definitiva la maggior parte delle sofferenze future e ci rende pigri nell'attivarci fattivamente per cambiare il nostro attuale. Perseverando così nella infantile convinzione che "Il domani sarà meglio di oggi" anche senza far nulla per determinarlo.
Dunque, la vita potrebbe essere con maggiore semplicità solo un’anomalia nel panorama dell’universo, breve effimera, certamente temporanea e senza altra ragione che la propria esistenza.

Queste considerazioni cambierebbero qualche cosa nelle nostre vite?
Forse risparmieremmo tempo la domenica mattina disertando le Chiese, si eviterebbero molte guerre di religione, il mantenimento dei preti che si infervorano e ci invitano a pregare questo fantomatico essere celeste che si pensa ascolti tutti, ma in definitiva non parla mai a nessuno. Se non dice nulla forse non esiste. Una spiegazione semplice che non è considerata dalle religioni le quali chiedono un atto di fede, al quale rispondo con la medesima domanda che rivolgeva il Cavaliere alla Morte ne -Il Settimo Sigillo-
“Perché dovrei aver fede nella fede degli altri?”.
Tutti prima o poi cerchiamo Dio e tutti prima o poi troviamo la morte che è  fra tante cose mondane una delle poche cose serie; tra le tante menzogne del mondo è forse l'unica che non mente mai a nessuno...
Dunque l’unica speranza accettabile mi pare essere il dubbio.
Ed è proprio nel film citato che è indicato in forma allegorica una spiegazione al tema cardine della speranza, quando cioè la Morte risponde alle molte domande che tormentano l’uomo con un conclusivo:: “Forse, Dio non esiste” e in quel “forse” si apre lo spiraglio cui possiamo rivolgere il nostro sguardo abituato ormai alle tenebre dell’ignoranza.

"Questa vita ci sembra insopportabile, un’altra irraggiungibile. Non ci si vergogna più di voler morire. Si prega di venir trasferiti dalla vecchia cella che odiamo in una nuova che dobbiamo ancora imparare ad odiare. C’entra anche un briciolo di fede che, durante il trasferimento, il Signore passi per caso nel corridoio, guardi in faccia il prigioniero e dica: -Costui non rinchiudetelo più, ora viene con me-”
Questa citazione di Franz Kafka così ben esemplificava il baratro in cui la vita talvolta "pare" volerci gettare e la speranza che "pare" voglia invece sostenerci. In definitiva però rimaniamo in bilico sul bordo di questo orrido.

Alla luce di questo si ha solo una piccola, eppure grandissima opportunità, non un diritto senza merito come ci vendono gli illusionisti religiosi di professione ma una possibilità da realizzare, nulla di più.
Le persone prenderebbero forse più seriamente il poco tempo a disposizione se avessero ben chiare queste semplici considerazioni?
Può darsi, certo si eviterebbero i danni connessi al desiderio famelico e all’accumulo di una ricchezza smodata e insensata che il più delle volte fa danni al prossimo in una sorta di convinzione di immortalità o una assurda edificazione di una qualche eredità da lasciare ai “discendenti” o ai posteri in un desiderio di eternità che appare ridicolo e puerile.
Forse non eliminerebbe l’avidità, ma se non altro gli metterebbe un freno.

In fondo siamo tutti figli unici e orfani su questo pianeta e questa semplice constatazione ci spinge o ci dovrebbe spingere a divenire una famiglia, fratelli l'uno per l'altro, padre per chi ha bisogno e madre per chi è disperato. Non abbiamo certo bisogno della morale e della religione per giungere ad una conclusione evidente, alla naturale constatazione che si vive meglio in armonia piuttosto che nel conflitto.
Una considerazione che trova spazio a malapena con le persone a noi più vicine per non dire vicinissime.
Mi domando però: "Quale merito c'è in un amore che ama solo se stesso e ama tanto spesso una proiezione di se come nei legami di sangue?
In fondo la monolitica educazione familiare mi pare limitante rispetto alla pluralità dei modi di vivere e di pensare. Potessimo essere figli di molte famiglie non sarebbe più bello? Non avremmo maggiori informazioni e punti di vista? Non è un modello irrealizzabile perchè è già presente in alcune etnie primitive ed è un sistema che forma esseri umani più equilibrati rispetto al modello monofamiliare dove i figli sono spesso considerati una risorsa su cui investire se non addirittura una sorta di proprietà.
I rapporti di parentela dunque, semmai attecchisse una diversa visione delle cose, perderebbero quella aura di sacralità che ora esigono anche quando non lo meritano per indirizzarsi alle sole persone che invece dovrebbero godere tale dono, cioè quelle con cui stiamo veramente bene e, a ben vedere, sono le uniche con cui dovremmo trascorrere il tempo di questa curiosa esperienza che chiamiamo vita.
Quante ipocrisie cadrebbero insieme alle tante assurdità a sostegno del nulla.
Tante, ma penso che la maggior parte dei miei irriconoscibili simili, preferisce di gran lunga un pugno di false certezze ad un vagone di possibilità incerte.