mercoledì 31 dicembre 2014

Road to Myanmar -ultima parte (?)-



Piccoli bungalow di legno, il mio è di fronte  alla spiaggia, sento la risacca mentre mi rado la mattina.
Il ristorante vicino è una piattaforma sopraelevata in legno sotto un tetto di paglia. Mangio con il mare che mi guarda dritto negli occhi.
Nulla da dire, è come una cartolina.
Spiagge di chilometri di sabbia finissima, mare a tre colori che dolcemente degrada nella profondità, alberi di cocco che fanno cornice a questo presepe balneare.
Pochi turisti. Silenzio, aria fresca, belle donne sorridenti che incontro senza cercare.
La felicità non esiste, ma questo è sicuramente un momento che gli assomiglia tantissimo.
Passeggio su questa spiaggia infinita e vedo i ragazzi che aiutano i pescatori a disporre i pesci al sole su una miriade di grandi teli color turchese. Chilometri di pesce, chilometri di turchese.
Le ragazze ridono, e mi sorridono. Sorrisi unici, mai visti di così belli. Sorridono con il cuore prima che con le labbra.
Trovo occasioni per stare in compagnia. 
Forse è merito dell’abbronzatura.
Ogni giorno è diverso nonostante il rituale quasi uguale.
Passo il mio tempo tra pesca subacquea, barbecue su isolette deserte, ristorate la sera, rum con agli amici di notte se non c'è di meglio da fare.
Le stelle grandi come pesche mi guardano e forse mi invidiano.
Ci si incontra la mattina e magari capita di passare la notte insieme.
Volti, diversi, nuovi.
Ogni tanto vado in città che in realtà è un villaggio solamente poco più grade degli altri.
Visito il mercato con la sua gente indaffarata ma che non ha mai fretta.
Lo raggiungo dopo quaranta minuti di autobus, un autobus che in realtà è un camioncino senza sedili, solo panche di legno saldate al pianale di carico.
Non c’è bisogno di fermate o di orari.
Lo aspetti un po', poi lo vedi arrivare, gli fai un segno, ci sali sopra e gli dici dove vuoi andare. Quando è il tuo momento, scendi.
Si viaggia spediti, ma si fa sempre sosta vicino ad un tempio. Tra il rumore gioioso delle campanelle, un ragazzino alto un metro e venti, gira intorno al veicolo e tiene in alto una scodella come un trofeo.
Chi vuole allunga una moneta per il Budda, non c'è bisogno di ringraziare. 
Stretto tra altri, fra le ragazze che vanno a scuola in divisa e infradito, alle signore con i sacchi di riso e le borse colorate della spesa, accanto agli operai che masticano Betel, sono perfettamente a mio agio.
Mentre sono sballottato su questa strada tutta buche, ascolto Beethoven in cuffia e ricambio i sorrisi degli altri passeggeri.
Sono come a casa, anzi qui sono molto più a casa, purtroppo.
Lo so, la contentezza è banale da raccontare. Non c’è pathos, dramma. Non c’è suspense.
Sta in poco posto, ma non è mai piccola.
Posso dire che in quei momenti ho dimenticato chi ero e se non ci fosse stato il passaporto a ricordarmi il mio nome e i miei doveri avrei dimenticato anche loro.
Affascinanti incontri con la bellezza, semplice nell’aspetto, senza fronzoli né complicazioni, ma di un’intensità primitiva che ha in questo il suo valore inestimabile.
Un modo vero di vivere, libero dalla complessità, dai rapporti delle persone complicate nel mondo complicato che ho lasciato alle spalle senza rimpianto.
Non voglio dire di più.
Certamente, ogni cosa è effimera, transitoria, fugace forse priva di un valore assoluto, ma non è questa la natura umana?
Di cosa sono fatto se non d’impermanenza?
Non è più folle insistere nel cercare ad ogni costo un punto fermo quando tutto si muove?
Lascia che sia, dunque.
Così mi parla all'orecchio questa terra.
Se la vita ha il peso di una fiamma, comunque scalda.
Se ogni impeto del cuore è alla fine un “summer love” che male c’è?
In ogni caso sarà comunque autentico in quel momento.
Non saluto nessuno prima di partire.
Quando arriva il mio tempo, parto e basta.
Per me è il modo di non interrompere la connessione con il luogo e le persone che non voglio lasciare, cui voglio bene.
 
Comunque bisogna andare.
Sembra la frase che potrebbe definire la vita.
  
  
 

venerdì 19 dicembre 2014

The road to Myanmar -Parte Terza-


Il controllo doganale mi ha fregato la bottiglia.
Come un bebè cui hanno strappato la grossa mammella della balia, trattengo a stento le lacrime. 
Non è facile elaborare un lutto così inaspettato.  Spero che la Vodka che mi ha lasciato anzi tempo (sottratta vilmente dai gendarmi dell’aeroporto) si reincarni, magari in un’altra bottiglia e m’incontri lungo la strada del Karma. Del buddismo mi basta che funzioni solo questo.
E’ anche vero che: “L’uomo che sa rinunciare a tutto è padrone del mondo”.  Ma questa francescana forza mi appartiene solo a sprazzi.

Rinuncio, quindi obbligatoriamente (ma non virtuosamente) all’alcol e m’immergo ancora di più nel mio viaggio.
Heho dista circa un’ora d’automobile da un paesino con un nome impronunciabile dove c’è il mio hotel/guesthouse.  Un luogo confortevole che mi ospiterà per tre giorni, a ridosso del grande lago Inle. Di fronte alla mia stanza c'è un tappeto di risaie in quadrati contigui e ordianti. 
E’ una casa alloggio quella che mi accoglie ed è gestita da una famiglia di etnia Shan che è la tribù autoctona. 
Nel 2004 questa tribù ha subito da parte della dittatura militare molte persecuzioni per una specie di sollevazione popolare autonomista.  
Omicidi per gli uomini e stupri di massa per le donne, questo è stato il regalo di violenza che l’esercito ha potuto permettersi.  Almeno queste sono le notizie arrivate con i mezzi di comunicazione internazionali, la gente qui non parla di politica.
La zona turistica che visto invece non è stata toccata da questa tragedia, ma nella parte più a nord dove non è permesso andare pare sia accaduto di tutto.
E’ un peccato che un popolo così bello, mite, con un grande senso d’onestà e calore umano debba patire queste difficoltà.
Comincia a costituirsi in me l'idea che più la gente di un luogo è pacifica, maggiore è la probabilità che sia governata da cattivi politici.

La mia esperienza è limitata a poche informazioni frammentarie come la storia dell’eroina locale, il premio Nobel per la Pace Aung San Suu Ki che non si capisce bene cosa faccia effettivamente per il suo popolo, a parte fare qualche discorso. Questa donna è comunque una spina nel fianco per la dittatura, infatti gode non solo del seguito popolare, ma ha anche un alleato molto potente: la superstizione.
Perchè c'è un'antica profezia che annuncia una donna carismatica che condurrà il paese alla prosperità.
Come il corpo umano avvolge un elemento estraneo con un'area inspessita di contenimento, questo leader è stato isolato dalla dittatura nella sua residenza da una sorta di bolla tutt'altro che fragile, perfino adesso che gli sono stati revocati gli arresti domiciliari risulta inavvicinabile.

Il peso della superstizione in questa nazione è dunque notevole. 
Un esempio vale per tutti.
Il gruppo militare dirigente ha tenuto un discorso qualche anno fa, durante una ricorrenza importante, indossando un Longi (gonna) femminile. Il fatto ha lasciato i giornalisti stranieri perplessi, ma in realtà l'establishment stava scongiurando in questo modo la famosa profezia, lo hanno capito tutti, tranne i giornalisti. 
Funziona così  la comunicazione di massa nel paese.
Chi sorride di questo atteggiamento primitivo è bene che ricordi che la nostra politica agisce nel medesimo modo; Usa solamente archetipi diversi.
Per quanto mi riguarda devo chiarire che in Birmania il turismo è confinato solo ad alcune aree, quindi ho visto solo quello che potevo vedere, non certo quello che volevo.
Ci sono diversi motivi perché le cose sono e restano così. 
Una ragione è legata alla geografica fisica del paese, cioè alle impervie vie di comunicazione che scoraggiano chiunque voglia mettersi in viaggio. Molti birmani così non hanno visitato altro posto che il villaggio, dove sono nati.
Poi, c’è la questione politica (Dividi et Impera) giustificata dal fatto che le tribù del Myanmar sono in alcuni casi in contrasto tra loro e parlano perfino lingue diverse.
La religione buddista theravada è un elemento comune aggregante, anche se vi sono piccole enclave di mussulmani che però non sono ben visti.

Vi è anche una motivazione “umanitaria” che è sostenuta apparentemente dalla volontà di preservare il popolo dalla “contaminazione” del consumismo, un popolo che non è ancora completamente corrotto dal benessere ed è rimasto un po’ primitivo. Quest’ultima scelta mi trova d’accordo nelle sue applicazioni protezionistiche, anche se non per le medesime ragioni della giunta militare che a mio modesto parere è interessata principalmente a impedire una richiesta di beni da parte della maggioranza cui non può aderire. Il paese non ha molto da dare in contropartita all’economia mondiale e rischierebbe una tremenda svalutazione economica destabilizzante.
E’ mia opinione che noi, i turisti, i figli illegittimi del benessere, portiamo comunque la peste a ogni popolo che ha ancora un barlume di umanità e che vive ancora in contatto con la natura circostante.
Bisogna essere onesti e dirlo senza vergogna.

Personalmente, limito l’impatto socio-ambientale cercando di vivere come le persone che incontro, mangio, mi vesto e mi muovo come loro, spendo senza scialacquare perché la ricchezza offende il povero, anche quella raggiunta onestamente (ammesso che sia possibile) ma non tutti adottano il mio criterio.
In generale il cosiddetto “occidente” cerca di vendere oggetti e stili di vita a società cui questi modelli non appartengono. La scusa è sempre la stessa: la condivisione e lo sviluppo, quando non si parla addirittura di progresso. La cruda realtà è che l’economia globale è in mano a una decina di lobby che cercano sempre nuovi mercati e altre persone da sfruttare, per mettere le mani in tasca a ogni essere umano che cammina su questo porco mondo.
In definitiva anche una buona parte d’oriente ha quest’atteggiamento prevaricatore come ad esempio la Cina e l’India, infatti, non è un problema di latitudine ma di mentalità, una mentalità predatoria ormai largamente condivisa.
Si seducono dunque le popolazioni che vivono con poco. Gli si offrono tanti oggetti che non sapevano neanche di desiderare, ma non gli si dice che li pagheranno a caro prezzo con il loro tempo e non solo con il denaro; Soprattutto con la perdita della loro umanità, in altre parole con il progressivo atrofizzarsi di quella parte autentica, originaria forse migliore che spinge gli esseri umani a vivere in armonia l’uno con l’altro, e protendere verso il reciproco aiuto quando le risorse sono scarse.
Il comportamento sociale è espressione macroscopica della vita interiorie del singolo.
Infatti, appena un essere umano ha qualche dote rischia l'eventualità, tuttaltro che remota, di diventare arrogante.
Posso dirlo con certezza, perchè modestamente di qualità ne ho  centinaia.

"Si sta meglio quando si sta peggio", diceva mia nonna, perché appena l’Uomo diviene un po’ ricco, appena ha più di quanto gli necessita, pensa di non aver più bisogno di nessuno. 
Questo "uomo del benessere" si ritroverà così pieno di oggetti, ma deserticamente solo,. L'unica compagnia che gli rimarrà sarà la sua vanità.
Il percorso, o meglio la discesa, è purtroppo irreversibile; Così, una volta persa l’innocenza non è più possibile recuperarla.
Sono contento che ho fatto in tempo a vedere una società diversa, prima che si estingua o più esattamente si omologhi a quell’inferno di follia in cui viviamo ormai tutti.
Avevo perso ogni speranza di incontrare uomini e donne ancora umani e invece la vita mi ha stupito ancora una volta.

Appena credo di aver ragione, grazie al mio intelletto, mi sorprendo a darmi torto grazie all’esperienza.
Bene, considerazione politico-filosofiche a parte ecco che cosa ho combinato.
Il primo giorno mi sono avventurato in bicicletta macinando chilometri come Pantani per godermi il periplo del Lago, poi stremato sono tornato indietro con una barca di pescatori che mi hanno caricato (dietro un irrisorio compenso) insieme alla mia bici.

Ho mangiato in ogni ristorante come un orso al suo risveglio dal letargo, gustando ogni genere di piatto che è sempre stato un paradiso per il palato.
Ho incontrato una bella e utile amicizia nella persona della gestrice di un’agenzia di viaggi,-ristorante,-servizio di noleggio auto-moto-bici; Ovviamente tutto nel medesimo negozio/abitazione, infatti, si usa diversificare le attività produttive in Myanmar cioè ci si arrangia.
Ho gironzolato in barca in ogni dove.
Ho sguazzato nelle terme a cielo aperto.
Ho visto i villaggi di palafitte, i mercati galleggianti, ho incontrato un vero bufalo, grande come una station wagon per strada la sera, mentre passeggiavo e a momenti mi è venuto un colpo.
Ho apprezzo il trekking, inerpicandomi sulle colline tra una vegetazione bassa e intricatissima, poi ho fatto amicizia con la mia guida e passato il resto della giornata a casa sua come ospite, gustandomi la cucina e la vita domestica birmana.
Sono salito, percorrendo 666 scalini di pietra altissimi, sopra il monte Popa, dove in cima c’è un monastero abitato dalle scimmie.  
Ho tampinato ogni genere di femmina maggiorenne, locale o turista che fosse di aspetto gradevole in un rigurgito testoroideo, riscuotendo qualche inaspettato e immeritato  successo che hanno compensato qualche simpatico (e meritatissimo) vaffanculo. Ne ho fatte di cotte e di crude.

La mia energia è grande ma non inesauribile.
Sono così arrivato al fondo della mia voglia di esploratore.
Dei templi ne ho abbastanza lo spirito è pago ora tocca alla materialità.
Voglio il mare, voglio il tempo del dolce far niente. E’ giunto il momento di andare verso l’ultima destinazione: il Golfo del Bengala.
Lì incontrerò le più belle spiagge del sud est asiatico.
Prenoto l’ennesimo volo interno per Ngapali, la località marittima più bella della Birmania.
Sono pronto per la vacanza nella sua accezione più classica e banale. Chiedo scusa alla mia voglia di avventura ma ho bisogno di questo.

Senza saperlo vado incontro al sogno, quello più bello: quello che si fa quando non si dorme.

 

lunedì 15 dicembre 2014

The Road to Myanmar -Parte seconda-


Certo che è proprio bello.
L’albergo, lo avevo scelto un po’ per caso in un’internet caffè di Yangon, ed ho avuto una buona intuizione.
Stradine in acciottolato che collegano piccoli bungalow di legno in teach, statue e muretti disposti con gusto, giardini e piccole vasche con fiori di loto e anche una piscina hollywoodiana. Mi sembra di stare nella villa del grande Gatzby.
Spendo circa 42 USD il giorno, e questo è perfettamente in linea con la condizione diffusa in tutta la Birmania, cioè i prezzi sono completamente arbitrari.
Non vi è correlazione tra costo e servizio, è tutto lasciato alla libera iniziativa per non dire a una sorta di gioioso caos.
Ma la fortuna è amica mia. 

Sono in un resort quasi di lusso e spendo come in una pensione familiare monostella sull’adriatico.
Dopo un tuffo in piscina, uno sguardo un po’ più lungo del dovuto alle belle turiste che prendono il sole, cortesemente ricambiato, sono pronto per partire alla ventura.
Monto in groppa a una bici elettrica, una sorta di motorino senza propulsione a scoppio e vado.

Dove? Non lo so. Ho anche il tempo di riflettere sui commenti che giudicano Myanmar arretrato, forse lo è, ma in linea con la più moderna tendenza ecologista, almeno in quest’occasione.
Il sole morde, ma l’umidità è nella norma grazie ad un vento fresco e così sfreccio con questa brezza; Come fossi una barca a vela.  
Percorro la strada che da Bagan nuova va a Bagan vecchia, circa una decina di chilometri su una strada asfaltata come capita ma, stupore-stupore, tutto intorno c’è una vegetazione bassa color smeraldo punteggiata da centinaia di templi antichi.

Come faccio a spiegarmi?
Ecco, se dovessi dirlo in sintesi in quel momento, mi sono sentito giovane, mi pareva di avere diciotto anni, nessun pensiero, nessuna preoccupazione, mentre guardavo il mondo con un mix di meraviglia e leggerezza insieme.
Non ho idea come abbia potuto verificarsi questo “ringiovanimento”, ma ho avuto una regressione adolescenziale. 
Forse un po’ del merito è nel viaggiare per conto proprio, è strepitoso. Puoi farti i cazzi tuoi, quando vuoi e come vuoi.

Nessuno mi conosce, nessuno mi cerca, non mi squilla il cellulare; Quelli della Vodafone non mi raggiungono, il loro scopo è implementarmi a tutti i costi l’ADSL, magari direttamente nel culo per essere sempre connesso. 
Connesso a che cosa?
Ora sono connesso! Sono connesso alla Natura, alla gente, al cibo, allo spettacolo del lavoro dell’uomo che è riuscito a sopravvivere al tempo.
I templi e gli Stupa sono magnifici, soprattutto perché sono disseminati in mezzo a stradine sterrate e comunicanti.
Gironzolo senza meta e incontro la bellezza, così per caso.
Là c’è un Budda dentro una grotta, in fondo a quelle sterpaglie una sorta di piramide azteca, ci salgo in cima, poi entro nei grandi templi.
Il tempio di Ananda è maestoso con quattro statue d’oro poste ai punti cardinali alte tre piani.

Sotto un albero mi bevo una Shark (una bevanda energetica locale, il cui nome rimanda allo squalo, noto pesce insonne).
Mi sento completamente “birmanizzato”.
E’ tutto magnifico, perfetto quasi irreale.
Ah che figata! Penso e infatti…si scarica la batteria del mio velocipede di fabbricazione cinese. Bastardi, sempre a risparmiare sulla qualità questi cinesi.
Provvidenzialmente si ferma un ragazzo del posto che mi vede in difficoltà. Sono sperduto sotto la canicola sulla strada per chi sa dove ma non mi sento perso.
Il mio sammaritano telefona al gestore del servizio bici che in dieci minuti arriva, non so proprio come sia riuscito a trovarmi ma sostituisce la batteria in un secondo. Sevizio impeccabile. 
Riprendo il mio instancabile gironzolare sino a sera.
Per quattro giorni scorrazzo in lungo e in largo.

Un giorno di questi prendo una barca a noleggio e mi godo il tramonto nella baia.
Poi un'altro giorno con una nave di linea “The Road to Mandalay” un nome preso a prestito dal noto libro di Kipling cui faccio un libero riferimento al titolo del mio racconto, visito Mandalay appunto.
Passeggio sul ponte di legno più lungo del mondo e visito, dove ha abitato il grande George Orwell nel suo soggiorno in Birmania come commissario di polizia.
L’ultimo giorno a Bagan riesco a bucare lo pneumatico della mia e-bike prontamente poi riparato.

Con il cuore gonfio come la ruota appena sitemata mi godo l’ultimo tramonto tra i templi arrossati dal sole calante. La mente si spegne in questa situazione surreale e mi scopro libero, almeno per un attimo.
La nuova destinazione è già pronta per il giorno dopo. Heho Airoport per visitare il lago Inle.
Mentre aspetto il volo interno in un aeroporto grande come un asilo nido e colgo la chiamata della partenza grazie a un inserviente che mi passa davanti con un semplice numero scritto con il gesso su una lavagna, comprendo che basta poco perché le cose funzionino comunque.
Emozioni coloratissime pigmentano i miei ricordi recenti con l'eco di alcune avventure che non nomino per discrezione.
Saluto Bagan, dall’alto del cielo e sono così sereno che non mi disturba nemmeno la coppia di francesi rompicazzo con due bimbi indemoniati al seguito.

Beh! Se cadiamo almeno, avrò un po’ di silenzio, penso e un sorriso mi esce dall’oblò e rimbalza sulle nuvole.
Strizzo l’occhio al Destino che ha deciso di regalarmi questi momenti e mi addormento sereno come un bimbo. Senza un rimorso, senza un pentimento, perfino senza un rimpianto. 
Per me, in questo istante magico il tempo non passa, arriva.

 

lunedì 24 novembre 2014

The Road to Myanmar


Parte prima

Di solito faccio così. Lavoro sodo per due o tre anni, metto da parte un po’ di soldi, poi mollo tutto per un mese e vivo come capita in un posto diverso.
Questa volta la mia destinazione è la Birmania, o come si dice adesso la Repubblica di Myanmar.  Un viaggio non solo nello spazio ma anche nel tempo, infatti si dice che è un paese arretrato.

Se voglio andare lontano devo così affrontare un lungo viaggio.
Personalmente più mi allontano dalle mie abitudini e dai posti che conosco più cose mi lascio indietro, ed è questo il senso del mio viaggio.
Stavolta parto anche da solo.
Generalmente preferisco la compagnia degli amici, pur odiando gli inevitabili compromessi nel viaggiare con altri, comprese quell’esigenze dovute al confronto con il carattere e le abitudini delle persone, perfino con le abitudini delle persone cui voglio bene; Mi adatto, e spesso non lo includo nella lista delle cose troppo sbagliate.
Amo dunque incondizionatamente l’umanità composta dalle persone a me prossime? Non proprio, forse è meglio dire che ne sono attratto fortemente, nonostante il mio sia un sentimento contraddittorio, diciamo che è un amore mal corrisposto.
Avevo, in un impeto condivisorio, proposto ad alcuni amici il mio itinerario ma avevano tutti dei buoni motivi per non sostenerlo.

E’ lontano, ci sono le malattie, la malaria, la febbre Denge, la gonorrea perniciosa, l’unghia incarnita asiatica e così via. E poi, non so cosa troverò, perderò i miei clienti se parto con te adesso.
Insomma, tutte quelle buone ragioni che ti fanno sentire quel formicolio nello stomaco e che chiamiamo prudenza, coscienza, quando in realtà è solo paura dell’ignoto.
In definitiva era un viaggio che volevo fare da solo, ma non lo ammettevo a me stesso, quindi non mi è dispiaciuto il loro cortese diniego.  
Credo che fosse mia intenzione, forse inconsciamente fare un tratto in solitaria  lungo quella strada iniziata molto tempo fa per vedere il mondo, e vedere me stesso in modo diverso facendo esperienza di quel mondo.

Parto dunque solo, senza nessuna garanzia, ho un itinerario ideale nella mia mente e nient’altro, a quale scopo questa sorta di mini avventura?
Vedere se ho ancora le palle per vivere arrangiandomi, se mi merito l’esistenza nella sua dimensione meno addomesticata e così magari incontrare la bellezza se la saprò cogliere. 
Non che sia un vero viaggio da esploratore, nulla d’impossibile o veramente pericoloso, ma già essere fuori dagli schemi, senza ausili di agenzie, guide o intermediari è un passo avanti verso un’emancipazione dallo scontato, almeno per me che da qualche anno mi ero ammansito un po’ troppo.
Ho solo il biglietto intercontinentale prenotato.
Poi, sarà tutto in mano alla mia capacità di sopravvivenza, alla fantasia, all’organizzazione personale e ovviamente a ciò che domina la vita: la fortuna. 
Libertà estrema? No, non è proprio così, ma almeno ci vado vicino, perché è nelle nuove esperienze che colgo l’espressione più bella del mio spirito.

La mia prima tappa è una sosta intermedia: Hong Kong. 
La televisione avvisa che è in fermento per questioni politiche.
Nella realtà la vita scorre nel consueto tran-tran proprio della grande isola d’oriente. 
I mezzi di informazione lanciano proclami terrificanti e immagini di scontri in piazza, io vedo solo gente che placidamente si reca al lavoro e mangia agli angoli delle strade.
Le ipotesi attendibili sono solo due; O la televisione dice solo minchiate, oppure sono finito in un universo parallelo, è l'unica spiegazione che riesco a darmi.
Ci sono naturalmente tanti cinesi, ma sai che novità! Nella mia città ve ne sono altrettanti, solo che qui i caucasici sono pochi e sono guardati a volte con curiosità; In particolare le signorine cinesi guardano i maschi bianchi di aspetto non proprio da buttare in maniera un po' sfrontata.
Diciamo che ho colto una certa attenzione da parte delle donne del posto. Non ho tempo per approfondire quest’argomento, interessantissimo e gratificante, perché voglio raggiungere la mia destinazione prima possibile.

Sono così a Yangon (ex Rangon) nel cuore della notte.
Zaino in spalla con il suo contenuto minimale ma comunque pesante: due jeans (uno dei quali indossato) un solo paio di scarpe Adidas ai piedi, tre magliette, costume da bagno e articoli da toilette, giacca a vento super compatta e un pile tecnico, poi gli immancabili infradito. Una cartuccera di condom per i momenti romantici se mai capiteranno messi in una tasca a pronta estrazione nello zaino… Il resto non mi serve, anzi non lo voglio.

Appena uscito dall’aeroporto, dopo le lunghissime pratiche d’immigrazione e superato il vallo di una polizia gentile ma severa, faccio subito amicizia con un tassista nella piazza antistante, mentre ci fumiamo una sigaretta contrattiamo sul prezzo della corsa e evito di farmi fregare per andare in città, forse mi guadagno la sua simpatia, perfino un po’ di rispetto non facendo la figura del solito turista babbione.
Durante il tragitto in automobile che mi porta a Yangon Downtown, faccio prima una sosta per mangiare assieme al mio chauffeur. Nel cuore della notte, in un posticino alla buona, ma sempre aperto. Dopo una cena fantastica (la cucina Birmana è grandiosa) mi accompagna in un albergo a buon mercato, ma dotato di aria condizionata che è un lusso cui non voglio rinunciare, visto l’umidità notevole della città. 
Spendo circa dieci dollari per il taxi (circa trentacinque minuti di viaggio), più cinque per la cena, mentre il mio hotel costa 35 dollari U.S.A. al giorno. Tutto sommato un buon affare.
La stanza è un po’ spoglia nel suo arredamento anni settanta, ma è l’ultima cosa che m’interessa.
Voglio una doccia che desidero come un templare il Santo Graal, e voglio liberarmi del bagaglio che vivo come un giogo e una zavorra.

Vorrei anche dormire e sarebbe ragionevole farlo dopo venti ore di viaggio, di cui quindici di aereo, ma è inutile.
Ogni volta che vado a oriente è la stessa canzone, per tre o quattro giorni soffro il jet- lag.
Forse è l’adrenalina, forse ho un bioritmo che non vuole cambiare, in ogni caso sono sveglio come un grillo nel grande letto che mi accoglie generoso ma senza regalarmi il sonno.
Così approfitto della difficoltà per farne un’occasione, mi alzo e vado in esplorazione, tanto non ho sonno e non dormirò per altri due giorni, ma non lo so ancora.
Vedo gente che passeggia di notte sopra i marciapiedi alti un metro (per via delle piogge monsoniche) mastico Betel, una sorta di “smart drug” locale ma legale, che da un certo vigore anche se è leggermente cancerogena, ma in fondo cosa non lo è ai giorni nostri?
Ascolto musica dal mio mp3 e intanto capito per caso in un tempio buddista con le guglie dorate sempre aperto. Poi sul far del giorno i mercatini, la gente che incontro che mi guarda e mi sorride, sono l’unico bianco in un mondo con gli occhi a mandorla. 

Provo una sensazione d’incredibile libertà interiore che mi sopraffà e mi accompagnerà come un amico fidato per tutto il tempo che rimarrò in questa meravigliosa nazione.
Nei giorni successivi vedo quasi tutto di questa caotica città.
Le mete solite e più importanti (Swedangon Paya) i vari templi sparsi, il museo nazionale, il Buddha sdraiato lungo 64 metri, ma anche le cose semplici incontrate per caso che sono sempre le più belle e speciali.
Due parole per Swedangon, un'opera grandiosa dell VI secolo che toglie il fiato. Le guglie degli Stupa sono d'oro con oltre 7.000 pietre preziose, in cima alla più alta (circa 98 metri) c'è un enorme diamante che cambia colore a secondo della posizione dello spettatore.
Gustarsi il crepuscolo in un simile contesto mi avvicina a una spiritualità profonda che le parole sono inadeguate a esprimere.
Ci sono così momenti in cui il corpo diventa un respiro e il respiro si confonde con il vento.
La sensazione che pian piano mi entra dentro è di familiarità con questo posto e con il suo popolo che trovo semplice, quasi primitivo, umanamente vero.
Quasi tutti emanano un calore che non trovo facilmente in Italia, da noi in città le persone sono sempre più macchine e meno esseri viventi.  Il gelo che hanno dentro ferisce come ghiaccio affilato la pelle di un cuore sensibile o almeno di chi è ancora normale, umano direi.
Dunque non mi sento solo in mezzo a questa gente ed è una vera sorpresa per me.

Curo il jet lag con un personalissimo metodo, una medicina che mi sono  prescritto. Sono la cavia di me stesso.  Red Bull di giorno per non cedere al sonno improvviso che arriva inaspettato e Vodka Absolut (comprata a Hong Kong) la sera per dormire. Sembra un buon piano, ma inutile.  
Di giorno sono schizzato come un broker di Piazza Affari e di notte sono un insonne ubriacone ciondolante.
Faccio amicizia con un sacco di ragazzi e ragazze del posto e anche qualche turista simpatico, con tutti questi nuovi amici  trascorro i pochi giorni dedicati alla capitale in una bella atmosfera accogliente.
Poi, inaspettatamente un piccolo trauma mi riconnette a un bioritmo normale e mi cura da questa patologia che rischiava di rovinarmi la vacanza e la salute.
E’ proprio il giorno della partenza per Bagan o meglio la mattina che dovrei prendere l’aereo alle 6.30 con un volo interno. Accade in questo contesto la mia guarigione.
Avrei potuto preferire il più pittoresco tragitto in chiatta lungo il fiume (13 ore) oppure l’autobus (15 ore) ma le strade sono generalmente dissestate e quando sono disponibili, hanno tempi biblici di percorrenza. Queste considerazioni mi fanno decidere per la soluzione più semplice: un volo interno (circa 110 USD).
Completamente scombussolato, sono convinto di avere ancora un giorno davanti a me e invece ecco che apprendo con stupore di aver regolato male il calendario sul mio cellulare (scambiando la mezzanotte con il mezzogiorno). Un cellulare inservibile come telefono ma che uso come sveglia e come macchina fotografica.
Realizzo questa illuminazione nella nebbia della mia cura notturna.
Il mio disorientamento cognitivo è dunque all'apice mentre sonnecchio quando suona il telefono in stanza. E’ la reception che mi rivela, quanto sono coglione e che devo partire, proprio quando finalmente mi ero addormentato da un’ora.
Apprendo inoltre di non essere il solo rincitrullito a Yangon, mi fa compagnia il personale dell’hotel, infatti, si erano dimenticati di me e mi hanno svegliato alle 5.15.

Evidentemente quegli "storditi" si sono semplicemente dimenticati di chiamarmi con un ragionevole anticipo, nonostante glielo avessi raccomandato, anzi li avevo scongiurati con preghiere in latino e in tutte le lingue conosciute, perché mi piace fare le cose con calma. 
Passo invece dall’ottundimento ameboide di un sonno ipnotico e fumosamente alcolico a un’efficienza paramilitare da marines sotto attacco vietcong in meno di tre minuti.
L’adrenalina è veramente una grande invenzione.
E’ come tuffarsi nella Taiga ghiacciata dopo una sauna all’inferno.
Tre “rincoglionitissimi” facchini dell’hotel mi aiutano raccattando ogni cosa che ho disperso come Pollicino nella mia stanza, e poi saltano sullo zaino come fosse un tappeto elastico, pare intatti che la mia borsa si è ristretta sotto effetto del clima o di chissà quale maledizione equatoriale. La scena sarebbe comica se però capitasse ad un altro.
Alle 5.40 uno stralunato essere umano che mi assomiglia esce dall'hotel ed entra in un taxi materializzatosi provvidenzialmente davanti all'hotel.
In realtà non è un vero taxi ma l’ogiva di un razzo Sputnik, il cui conducente o per meglio dire, il cui cosmonauta viaggia a non meno di mack 3 con accelerazioni di 3G, infischiandosene di qualunque segnale di prudenza posto agli incroci;  I semafori per questo kamikaze in cerca della morte sono solamente decorazioni luminose che punteggiano una pista di decollo. 

La strada è tutto una buca, e nel chiarore di un’alba magnifica realizzo che essa sarà l’ultima che vedrò nella mia vita. 
Non è male come ultimo sguardo al mondo, penso.
Scorre sotto di me velocissimo l'asfalto come un tapis roulant cui hanno applicato per errore il motore di una Porsche 911.

Nonostante i pronostici negativi ho una certa fiducia (ingiustificata) nel collaudatore di questo prototipo di Shuttle travestito da taxi, anche se mi sembra invitabile che ci schianteremo. 
Mi raggiunge una rassegnazione che mi ricorda la sensazione che provo ogni volta che faccio la dichiarazione dei redditi.
Ingollo le ultime due Red Bull rimaste che rotolano sul pianale dell'auto come barili nella stiva di un Brigantino colto dalla tempesta. Spero mi diano il coraggio di guardare la morte in faccia con un minimo di dignità, ma ogni nobiltà e decoro è rimasto nella mia ex stanza d'albergo.
Considero filosoficamente la mia posizione umana nell'universo tutto in un contesto tanto strano, mentre sono sballottato come in una centrifuga di una lavatrice.  Realizzo tra un saltello e l'altro che almeno sono in sincrono con questo samba automobilistico.
Miracolosamente invece arrivo in aeroporto alle 6.15, in tempo per il check in che dura solo alcuni minuti.
Non ho la minima idea di come ho fatto, lo giuro contemporaneamente sulla timurti indiana e sul manuale delle giovani marmotte, ma sono sul volo giusto.
Destinazione Bagan, dove troverò il più importante sito archeologico e monumentale birmano.
Confesso però che in quel momento non me ne frega un cazzo.

Mi addormento come un naufrago sulla spiaggia, esausto.
Il seggiolino/poltrona dell’aereo mi pare una nursery accogliente e vorrei solo evaporare.
Dopo un’ora e mezza di sonno ristoratore, atterriamo.
Lo stidire degli pneumatici mi fa da sveglia.  
Scendo da quest’aereo a elica che sfida le leggi aeronautiche ma anche quelle del buon senso, e attraverso questo aeroporto playmobil che pare costurito per il doposcuola.

Sono inaspettatamente sobrio, attento, pieno di energia e mi sorprende alle spalle la felicità.

 

domenica 23 novembre 2014

La Mutua nascosta


Zenit, con passo sicuro ma leggermente sinusoide entrò: Buongiorno, dottore.
Ah! Signor Z è molto che non ci vediamo.

Dunque, dunque, disse il medico ticchettando sui tasti del computer. Pareva Liberace al pianoforte mancava solo il candelabro sulla scrivania.
Ecco, sono due anni dall’impianto della sua protesi,  nel calcagno?  Adamantio? Giusto?

Corretto, rispose Z;  E una volta sedutosi cominciò ad accarezzarsi con nostalgia il grande piede destro.
Qual è il problema?

Il mio testicolo, è ingrossato.  Vorrei mi vitasse.
L’ha già fatto vedere a qualcuno?

Agli amici, a tutti gli amici, lo mostro durante le conversazioni. Condivido ogni angoscia conn loro; Ai più stretti li invito anche ad odorare la parte, ma generalmente ne ricevo un cortese diniego. Chissà poi perché?
Certo è strano, ma non dimeno è interessante, commentò meditabondo il clinico, bussando con i polpastrelli la propria calvizie incipiente.

Si spogli.
….

Ah! esclamò il dottore con un leggero sovracuto. Poi si diresse verso la porta.

Meglio chiudere…a chiave. Parlò a bassa voce con un sorrisino un po’ così.
Umpf! sbuffò Z di rimando,  mentre con le braghe alle caviglie proiettava un’ombra anomala nello studio medico.

Spengo anche  la luce, e così dicendo l'uomo in camice lo fissò e aggiunse un’espressione incredula alla voce rotta da una strana intonazione.
Bah! Esclamò ancora il nostro eroe annoiato.

Poi, il discepolo di Ippocrate si prostrò come un penitente per visitarlo. Una visita forse fin troppo ravvicinata.
I testicoli sono a posto, disse roteandoli come biglie antistress, quelle cinesi di  metallo. Ma il resto è fuori norma…

Emmmm! Disse Z aduso allo stupore che suscitava con la sua grande personalità.
Ratto il “dutur della mutua” azionò il telecomando. Dallo stereo ne uscì una canzoncina, tipo quella degli ascensori; Burt Bacharach: The look of Love, forse.
Poi si tolse il camice con un solo movimento, grazie alla chiusura in velcro, e  lo lanciò via, mostrando un completino aderente in puro lattex nero punteggiato da  borchie random, probabilmente non in dotazione all’ASL.

Non poteva però immaginare, il grandissimo figlio di Ippocrate che Z aveva anche un altro dono, una rapidità sovrumana, merito  della sua elasticità articolare gattopardesca.
In due secondi fu fuori, e in meno di tre in strada.

Il mondo era ancora lì, intonso, come il suo didietro.
 

 

venerdì 3 ottobre 2014

Due puntini..


Il punto è troppo definitivo, tre punti di sospensione creano delle inutili aspettative.
Due punti verticali  sono per le precisazioni e per le definizioni , limitano.
L’esclamativo poi, è arrogante.  Il punto di domanda, stupido.
Due puntini orizzontali è la punteggiatura che mi piace di più. Mi rappresenta; Non esiste.

Mi interrogo sulle cosiddette esperienze formative della mia vita.
Le più importanti le ho comprese in generale dopo dieci anni, e questo la dice lunga sulla mia intelligenza e saggezza. 
Gli incontri significativi? Cioè quelle persone che la maggioranza potrebbe chiamare  “maestri”?  
Certamente importanti, ma principalmente per distruggere in me l’idea di aver bisogno di un maestro.
Gli errori della mia vita? Sono stati, oggi lo riconosco, la massima espressione di opportunità che mi è stata offerta dal Caos. 
Penso ai pochissimi esseri che ho incontrato come  geniali artisti  della vita che a  scalpellate assai dolorose,  hanno sgretolato l’assurda tendenza radicata in me di farmi guidare da altri nelle scelte e nelle idee, mentre potevo fare da solo; Mi hanno aiutato a smembrare quel duro investitore che non faceva niente per niente, legato mani e piedi al "Ti do per quanto mi dai".
A Loro, la mia riconoscenza più profonda. A mani giunte li ringrazio di tutti i calci in culo che ho ricevuto.
Essi mi hanno mostrato, mettendomi sotto il naso la nauseabonda e puerile tendenza ad avere  degli schemi, dei modelli, dei preconcetti, delle idee, delle credenze e delle fedi senza fondamento alcuno se non l'illusoria volontà di controllo e per il desiderio malato di certezze, mentre in realtà  è solo paura.
La folgorante comprensione che solo l’esperienza personale può essere chiamata come propria, il resto sono supposizioni e quando va bene probabilità. 
Ogni essere vivente è un esemplare unico.
Se un uomo ha la curiosità di andare oltre la banalità, grazie alla propria coscienza può giungervi sicuramente, ma solo sul sentiero che si è fatto.
Fino a quel punto, terribile e bellissimo,  in cui ci si troverà a capire che nessuno può più dirti cosa fare  e sei  "deserticamente" solo di fronte alla realtà dell’esistenza.
Quando ci sono arrivato è stato il momento più terribile della mia vita che ha dato però il via al parto spontaneo di una nuova esistenza. Non migliore ma solo diversa.
Mi accade qualche volta un'incredibile sensazione di connessione con tutte le cose, rari momenti scaturiti probabilemente da una resa momentanea della mia coscienza nell'assurda follia che condivido con il mondo. Percepisco che  tutto è uno, e viceversa; Questa però è solo una frase che non rende affatto l'esperienza. Allora è meglio tacere.
La vita è così per me un test Kobayashi,  un fantastico rompicapo che si rigenera ad ogni istante, cioè un problema (fittizio) senza ovviamente alcuna soluzione reale.
Il senso di tutto questo?
Vedere di cosa sono fatto, essere un testimone del mio tempo. Non avendo in me la disposizione per liberare la mia energia dal vincolo del corpo, dovrò ancora per un po' passare per questo tritatutto che chiamiamo esistenza.
Il mio piacere?
E' nel sperimentare e osservare la mia natura umana, mentre reagisce nella sua meccanicità e programmazione biologica. Soprendermi nei rari momenti di universalità quasi divina, nel silenzio né caldo né freddo di una verità inesprimibile molto, molto più grande di me. Ed infine considerare tutte queste cose con distacco.  
Niente di più, niente di meno.
La mia unica ambizione rimasta è imparare a essere modesto.

E’ bello comprendere che la prigione che mi opprimeva era nella mia mente, perché come racconta la favola Zen: L’oca è già fuori.

 

mercoledì 27 agosto 2014

LIFE




Non ricordava il momento esatto.
Quando si era accorto che lo seguiva? Era già molto, però.
A volte lo precedeva, altre volte lo accompagnava.
Quella domanda, molesta era una persecuzione. Con gli anni gli faceva meno male ma a volte, come le ferite quando cambia il tempo, tornava a farsi sentire: acutamente.
Qual è il senso? Il vero scopo ? Perché?
C’era da diventare matti.  La studio, la religione, perfino l’esperienza pareva non bastare.

Domandò a Dio. Con tutta la forza e la devozione di cui era ancora capace. Serrando i denti come in uno spasmo, chissà poi perché.
Il  silenzio della stanza si riempì della solita risposta: ancora silenzio.
Stanco di ogni domanda, sprofondò nella poltrona. Passarono minuti, quanti? Chi poteva saperlo? Forse una vita.
Lo sguardo corse lungo le pareti sfiorando i ricordi appesi. Rotolò sui mobili e  si fermò tintinnando come una moneta su comodino. Una vecchia rivista: Life.
Ne sporgeva solo il titolo tra gli alti giornali. Un nome evocativo, pensò.
Senza più forza per ragionare scorse le pagine.
Fotografie, articoli, oggetti, volti; In certi casi colti di sorpresa, in altri in posa. Parole scritte che erano state prima pensieri, opinioni,  esperienze, amori. Comunque belli.

La disperata crudezza delle immagini, di tutte le immagini. Momenti senza didascalia, senza commento, senza giudizio. Solo un’istantanea, ma così loquace nel suo mutismo.
Poi lo lesse. Era il motto della rivista.
“To see the word, things dangerous to come to, to see behind the walls, draw closer, to find each other and to feel that is purpose of LIFE.”
Lei era sempre stata davanti ai suoi occhi. Doveva solo accorgersene e darle un senso più ampio. Come aveva fatto ad essere così cieco. Solo ora la riconosceva come  propria, come se l’avesse intuita e scritta lui, ma si  quel giorno pieno di sole di tanto tempo fa,  e  poi? Se l’era dimenticata.  
Ora c’era inciampato contro cercando altro.  
“Guardare il mondo, i pericoli che arrivano, vedere oltre i muri, stare comodi, trovare gli altri e sentire che in questo è il vero senso della vita”.
Cosa c’è di più vero della semplicità?
Vivere con curiosità osservando la bellezza ma senza essere ingenui. Essere svegli e riconoscere il male con responsabiltà.
Andare oltre le proprie opinioni,  le convenzioni del mondo e i preconcetti della mente, fin dove ti porta l’intelligenza e ti sostiene il cuore. Senza paura di passeggiare dove le mappe non sono state ancora disegnate.
Godersela.
Ritrovarsi negli altri come in te stesso, e  così sentire che vivere pienamente tutte queste cose è già di fatto trovarne il senso.  

Rimase un eco della domanda del passato. Non c’è dunque altro?
E’ bello. E' vero. E' a portata di mano di ognuno.
Non serve altro per vivere  un altro giorno.

Poi, finalmente si addormentò.


 

lunedì 25 agosto 2014

Nudi alla méta.


Leggo la notizia che una coppia fa sesso in pubblico, in una spiaggia molto frequentata. Scandalo. Ognuno dice la sua, così anch’io.

Banalmente direi che piuttosto che del sesso  bisognerebbe vergognarsi del male che invece è esibito, quasi come fosse una virtù.
E' rappresentato con molta attenzione dai Media che spesso ne amplificano la diffusione per emulazione; Il sesso invece, almeno come attività ricreativa  pubblica, non è molto apprezzato dalla morale corrente.
Un accanimento moralizzatore su questa operosità all'aperto che è già di per sé non priva di rischi, come  tutte le attività “en plein air” : colpi d'aria, morsi di insetti, scottature solari, infiammazioni dovute allo sfregamento ecc. ecc..

Certamente queste prestazioni sono esposte alla vista dei passanti e  sarebbe opportuno che i praticanti dell’amore agreste adottassero alcune cautele per non "urtare" le anime più sensibili.
Personalmente non mi sconvolge più di tanto vedere due persone che si vogliono bene alla "vecchia maniera".
In fondo se non esistesse il sesso non sarei nemmeno qui a scriverne in proposito.
Diciamo che è un po' sopravvalutato in questo mondo bacchettone.
 
Più precisamente sulla vicenda di cronaca, un applauso da parte degli occasionali spettatori (sempre che se lo meritassero i protagonisti ) poteva ironizzare una situazione che nel migliore dei casi è bizzarra; Visto che il mercato immobiliare è in depressione e una stanzetta non la si nega più a nessuno.

Nel caso si rientri invece nella patologia psichica definita "esibizionismo" in quel caso sarebbe cortese e utile, mettere in contatto questi performer con i  voyeur in apposite aree ludiche.
Così sarebbero entrambi contenti e magari con il pagamento di un piccolo ticket d'ingresso spesare chessò l'illuminazione, la pulizia, le recinzioni di questi parchi dedicati a Eros.
In un secondo tempo con il successo dell'iniziativa, creare anche un canale tv amatoriale fruibile da tutti quelli interessati, dove questi attori della domenica in aggiunta alle loro pirotecniche copule, potrebbero rilasciare interviste, consigli, aneddoti di vita vissuta e qualche ricetta di cucina (che ormai mettono dappertutto); Un palinsesto comprensivo di vere e proprie biografie per i più famosi e maggiormente seguiti. Regalerebbe un po' di successo a giusto premio per questi attori in erba (visto che stanno sempre in camporella).
Con uno sguardo disinibito al futuro direi, perché fermarci a queste "arene" per eterosessuali?
Apriamone anche per i gay, uomini e donne che siano.
Non fermiamoci a combattere la discriminazione, ma diamo una mano anche all'ecologia. 
Tutti quelli che vorranno e che hanno sufficiente spirito patriottico avranno a disposizione un dinamometro da agganciare alle loro pelvi, in modo che questi campioni infoiatissimi producano, grazie ai movimenti frenetici del bacino, energia elettrica per il fabbisogno della Nazione.
Sarebbe un messaggio di alta caratura ambientalista.

Anche quelli che hanno rapporti "strani" andrebbero tutelati.
Magari con lezioni didattiche ad hoc sull'emittente in argomento, del genere: "Sesso sicuro con l'opossum" ed ancora "Il bufalo cafro, l'amante infaticabile della Savana" Una sorta di National geografic etnico ed erotico con riserve boschive per congiungersi con gli amati animali. 
Cosa manca? Ovvio, un Campionato Sportivo, perché lo sport è importante, dove squadre si affrontano in una -mischia- senza esclusione di posizioni.
Poi in un futuro ancora più in là: le Olimpiadi sessuali.
Con discipline di velocità come l'eiaculazione precoce; Di resistenza e durata: con vere e proprie maratone. Gare di "getto in lungo" maschile e di "squirting" femminile.
Nuove discipline liberamente ispirate alle olimpiadi sportive: la copula sincronizzata, la trombata in staffetta, l'inculata a squadre.

Chi più ne ha più ne metta, è il caso di dirlo.
Il limite ce lo impone solo la fantasia e l'ardimento.
 
Questa promozione sportiva emenderebbe il sesso da quel sordido scantinato in cui la maggior parte delle "culture" lo ha relegato e assurgerebbe, se non proprio ad arte a condivisone popolare.
Immagino come in un film di fantascienza un'umanità ancora diversa, ma unita in un orgasmo planetario dionisiaco che possa mettere fine alle guerre ed ai contrasti.
Ecco che i due protagonisti della vicenda di cronaca che hanno dato inizio a tutto ciò sarebbero considerati dei pionieri di una nuova epoca, e non degli sporcaccioni.
Una sorta di Garibladi e Anita, un Che Ghevara e Castro della rivoluzione, un Adamo ed Eva di un Nuovo Testamento XXX.

Tornando al futuro, mi domando come investire gli introiti?
Cioè i proventi delle  aree dedicate al passatempo più antico dell'uomo (e della donna), le royalty dei canali interattivi che fioriranno; Tutti i soldi della pubblicità e della vendita dei prodotti correlati: magliette, integratori alimentari, dildo autografati dai campioni. Immagino un grande successo commerciale.

Utilizzerei questo fiume di denaro per alleggerire la soma fiscale dei poveri "normali" che lavorano tutto il santo giorno e tornano a casa stanchi morti.
Un'associazione internazionale con un nome evocativo come "Save the Soft" gestirebbe l'organizzazione e l'aiuto umanitario  per le persone che non hanno tutta quella foga, fantasia e vitalità erotica.
Per tutti i poveri cristi ordinari che oramai le performance sessuali  le trovano solo nei reconditi anfratti della memoria; Che le acrobazie le fanno solo per arrivare a fine del mese.
Una sovvenzione caritatevole per chi soffre l'acuta nostalgia di quando aveva più tempo libero, ma anche più energia non depauperata nella fatica di pagare un mutuo.
 
Con questo "New Deal" avremmo tutti più tempo a disposizione.
Sgravati, almeno in parte dall'iniquo peso contributivo. Si potrebbe ridurre l'orario di lavoro e  accoppiarci tutti a nostra volta con maggiore frequenza, anche banalmente con un solo compagno nella serena intimità del letto cui si è abituati.

Si creerebbe una spirale positiva mondiale.
Tutti che fanno "In and out" e poi, chi ha più voglia di litigare?
Una nuova scienza: l' Erotoeconomica, guiderà l'umanità.
Magari non debellerà la miseria ma renderà le persone più tranquille.
Se il cervello con cui si si sono valutate le scelte politiche sino ad ora ha prodotto solo disastri...Beh! Allora,  facciamoci guidare dal "pisello" e dalla "patata", magari andrà meglio. 
Alla peggio sarà più divertente.
Questo è progresso, questa è democrazia, anzi demofilia.

E' un sogno, anzi è un delirio.
Domani, sarà tutto dimenticato per una nuova notizia.

Qualche nuova guerra, una nuova truffa perpetrata dalle banche, un nuovo omicidio per gelosia, per avidità, per disperazione. Un altro politico sorpreso con le mani nel sacco che la farà franca come al solito. Tutto come sempre.

L'uomo sguazzerà ancora nel fango del proprio destino, si abbufferà nel trogolo delle occasioni quando capitano e ogni tanto, qualcuno alzerà la testa e guarderà una stella...Ma solo per un attimo.

Come ben diceva quasi con un ossimoro mia nonna poetessa, a proposito del futuro di questo mondo: "So' cazzi,  Alleluia".