venerdì 19 dicembre 2014

The road to Myanmar -Parte Terza-


Il controllo doganale mi ha fregato la bottiglia.
Come un bebè cui hanno strappato la grossa mammella della balia, trattengo a stento le lacrime. 
Non è facile elaborare un lutto così inaspettato.  Spero che la Vodka che mi ha lasciato anzi tempo (sottratta vilmente dai gendarmi dell’aeroporto) si reincarni, magari in un’altra bottiglia e m’incontri lungo la strada del Karma. Del buddismo mi basta che funzioni solo questo.
E’ anche vero che: “L’uomo che sa rinunciare a tutto è padrone del mondo”.  Ma questa francescana forza mi appartiene solo a sprazzi.

Rinuncio, quindi obbligatoriamente (ma non virtuosamente) all’alcol e m’immergo ancora di più nel mio viaggio.
Heho dista circa un’ora d’automobile da un paesino con un nome impronunciabile dove c’è il mio hotel/guesthouse.  Un luogo confortevole che mi ospiterà per tre giorni, a ridosso del grande lago Inle. Di fronte alla mia stanza c'è un tappeto di risaie in quadrati contigui e ordianti. 
E’ una casa alloggio quella che mi accoglie ed è gestita da una famiglia di etnia Shan che è la tribù autoctona. 
Nel 2004 questa tribù ha subito da parte della dittatura militare molte persecuzioni per una specie di sollevazione popolare autonomista.  
Omicidi per gli uomini e stupri di massa per le donne, questo è stato il regalo di violenza che l’esercito ha potuto permettersi.  Almeno queste sono le notizie arrivate con i mezzi di comunicazione internazionali, la gente qui non parla di politica.
La zona turistica che visto invece non è stata toccata da questa tragedia, ma nella parte più a nord dove non è permesso andare pare sia accaduto di tutto.
E’ un peccato che un popolo così bello, mite, con un grande senso d’onestà e calore umano debba patire queste difficoltà.
Comincia a costituirsi in me l'idea che più la gente di un luogo è pacifica, maggiore è la probabilità che sia governata da cattivi politici.

La mia esperienza è limitata a poche informazioni frammentarie come la storia dell’eroina locale, il premio Nobel per la Pace Aung San Suu Ki che non si capisce bene cosa faccia effettivamente per il suo popolo, a parte fare qualche discorso. Questa donna è comunque una spina nel fianco per la dittatura, infatti gode non solo del seguito popolare, ma ha anche un alleato molto potente: la superstizione.
Perchè c'è un'antica profezia che annuncia una donna carismatica che condurrà il paese alla prosperità.
Come il corpo umano avvolge un elemento estraneo con un'area inspessita di contenimento, questo leader è stato isolato dalla dittatura nella sua residenza da una sorta di bolla tutt'altro che fragile, perfino adesso che gli sono stati revocati gli arresti domiciliari risulta inavvicinabile.

Il peso della superstizione in questa nazione è dunque notevole. 
Un esempio vale per tutti.
Il gruppo militare dirigente ha tenuto un discorso qualche anno fa, durante una ricorrenza importante, indossando un Longi (gonna) femminile. Il fatto ha lasciato i giornalisti stranieri perplessi, ma in realtà l'establishment stava scongiurando in questo modo la famosa profezia, lo hanno capito tutti, tranne i giornalisti. 
Funziona così  la comunicazione di massa nel paese.
Chi sorride di questo atteggiamento primitivo è bene che ricordi che la nostra politica agisce nel medesimo modo; Usa solamente archetipi diversi.
Per quanto mi riguarda devo chiarire che in Birmania il turismo è confinato solo ad alcune aree, quindi ho visto solo quello che potevo vedere, non certo quello che volevo.
Ci sono diversi motivi perché le cose sono e restano così. 
Una ragione è legata alla geografica fisica del paese, cioè alle impervie vie di comunicazione che scoraggiano chiunque voglia mettersi in viaggio. Molti birmani così non hanno visitato altro posto che il villaggio, dove sono nati.
Poi, c’è la questione politica (Dividi et Impera) giustificata dal fatto che le tribù del Myanmar sono in alcuni casi in contrasto tra loro e parlano perfino lingue diverse.
La religione buddista theravada è un elemento comune aggregante, anche se vi sono piccole enclave di mussulmani che però non sono ben visti.

Vi è anche una motivazione “umanitaria” che è sostenuta apparentemente dalla volontà di preservare il popolo dalla “contaminazione” del consumismo, un popolo che non è ancora completamente corrotto dal benessere ed è rimasto un po’ primitivo. Quest’ultima scelta mi trova d’accordo nelle sue applicazioni protezionistiche, anche se non per le medesime ragioni della giunta militare che a mio modesto parere è interessata principalmente a impedire una richiesta di beni da parte della maggioranza cui non può aderire. Il paese non ha molto da dare in contropartita all’economia mondiale e rischierebbe una tremenda svalutazione economica destabilizzante.
E’ mia opinione che noi, i turisti, i figli illegittimi del benessere, portiamo comunque la peste a ogni popolo che ha ancora un barlume di umanità e che vive ancora in contatto con la natura circostante.
Bisogna essere onesti e dirlo senza vergogna.

Personalmente, limito l’impatto socio-ambientale cercando di vivere come le persone che incontro, mangio, mi vesto e mi muovo come loro, spendo senza scialacquare perché la ricchezza offende il povero, anche quella raggiunta onestamente (ammesso che sia possibile) ma non tutti adottano il mio criterio.
In generale il cosiddetto “occidente” cerca di vendere oggetti e stili di vita a società cui questi modelli non appartengono. La scusa è sempre la stessa: la condivisione e lo sviluppo, quando non si parla addirittura di progresso. La cruda realtà è che l’economia globale è in mano a una decina di lobby che cercano sempre nuovi mercati e altre persone da sfruttare, per mettere le mani in tasca a ogni essere umano che cammina su questo porco mondo.
In definitiva anche una buona parte d’oriente ha quest’atteggiamento prevaricatore come ad esempio la Cina e l’India, infatti, non è un problema di latitudine ma di mentalità, una mentalità predatoria ormai largamente condivisa.
Si seducono dunque le popolazioni che vivono con poco. Gli si offrono tanti oggetti che non sapevano neanche di desiderare, ma non gli si dice che li pagheranno a caro prezzo con il loro tempo e non solo con il denaro; Soprattutto con la perdita della loro umanità, in altre parole con il progressivo atrofizzarsi di quella parte autentica, originaria forse migliore che spinge gli esseri umani a vivere in armonia l’uno con l’altro, e protendere verso il reciproco aiuto quando le risorse sono scarse.
Il comportamento sociale è espressione macroscopica della vita interiorie del singolo.
Infatti, appena un essere umano ha qualche dote rischia l'eventualità, tuttaltro che remota, di diventare arrogante.
Posso dirlo con certezza, perchè modestamente di qualità ne ho  centinaia.

"Si sta meglio quando si sta peggio", diceva mia nonna, perché appena l’Uomo diviene un po’ ricco, appena ha più di quanto gli necessita, pensa di non aver più bisogno di nessuno. 
Questo "uomo del benessere" si ritroverà così pieno di oggetti, ma deserticamente solo,. L'unica compagnia che gli rimarrà sarà la sua vanità.
Il percorso, o meglio la discesa, è purtroppo irreversibile; Così, una volta persa l’innocenza non è più possibile recuperarla.
Sono contento che ho fatto in tempo a vedere una società diversa, prima che si estingua o più esattamente si omologhi a quell’inferno di follia in cui viviamo ormai tutti.
Avevo perso ogni speranza di incontrare uomini e donne ancora umani e invece la vita mi ha stupito ancora una volta.

Appena credo di aver ragione, grazie al mio intelletto, mi sorprendo a darmi torto grazie all’esperienza.
Bene, considerazione politico-filosofiche a parte ecco che cosa ho combinato.
Il primo giorno mi sono avventurato in bicicletta macinando chilometri come Pantani per godermi il periplo del Lago, poi stremato sono tornato indietro con una barca di pescatori che mi hanno caricato (dietro un irrisorio compenso) insieme alla mia bici.

Ho mangiato in ogni ristorante come un orso al suo risveglio dal letargo, gustando ogni genere di piatto che è sempre stato un paradiso per il palato.
Ho incontrato una bella e utile amicizia nella persona della gestrice di un’agenzia di viaggi,-ristorante,-servizio di noleggio auto-moto-bici; Ovviamente tutto nel medesimo negozio/abitazione, infatti, si usa diversificare le attività produttive in Myanmar cioè ci si arrangia.
Ho gironzolato in barca in ogni dove.
Ho sguazzato nelle terme a cielo aperto.
Ho visto i villaggi di palafitte, i mercati galleggianti, ho incontrato un vero bufalo, grande come una station wagon per strada la sera, mentre passeggiavo e a momenti mi è venuto un colpo.
Ho apprezzo il trekking, inerpicandomi sulle colline tra una vegetazione bassa e intricatissima, poi ho fatto amicizia con la mia guida e passato il resto della giornata a casa sua come ospite, gustandomi la cucina e la vita domestica birmana.
Sono salito, percorrendo 666 scalini di pietra altissimi, sopra il monte Popa, dove in cima c’è un monastero abitato dalle scimmie.  
Ho tampinato ogni genere di femmina maggiorenne, locale o turista che fosse di aspetto gradevole in un rigurgito testoroideo, riscuotendo qualche inaspettato e immeritato  successo che hanno compensato qualche simpatico (e meritatissimo) vaffanculo. Ne ho fatte di cotte e di crude.

La mia energia è grande ma non inesauribile.
Sono così arrivato al fondo della mia voglia di esploratore.
Dei templi ne ho abbastanza lo spirito è pago ora tocca alla materialità.
Voglio il mare, voglio il tempo del dolce far niente. E’ giunto il momento di andare verso l’ultima destinazione: il Golfo del Bengala.
Lì incontrerò le più belle spiagge del sud est asiatico.
Prenoto l’ennesimo volo interno per Ngapali, la località marittima più bella della Birmania.
Sono pronto per la vacanza nella sua accezione più classica e banale. Chiedo scusa alla mia voglia di avventura ma ho bisogno di questo.

Senza saperlo vado incontro al sogno, quello più bello: quello che si fa quando non si dorme.

 

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