lunedì 15 dicembre 2014

The Road to Myanmar -Parte seconda-


Certo che è proprio bello.
L’albergo, lo avevo scelto un po’ per caso in un’internet caffè di Yangon, ed ho avuto una buona intuizione.
Stradine in acciottolato che collegano piccoli bungalow di legno in teach, statue e muretti disposti con gusto, giardini e piccole vasche con fiori di loto e anche una piscina hollywoodiana. Mi sembra di stare nella villa del grande Gatzby.
Spendo circa 42 USD il giorno, e questo è perfettamente in linea con la condizione diffusa in tutta la Birmania, cioè i prezzi sono completamente arbitrari.
Non vi è correlazione tra costo e servizio, è tutto lasciato alla libera iniziativa per non dire a una sorta di gioioso caos.
Ma la fortuna è amica mia. 

Sono in un resort quasi di lusso e spendo come in una pensione familiare monostella sull’adriatico.
Dopo un tuffo in piscina, uno sguardo un po’ più lungo del dovuto alle belle turiste che prendono il sole, cortesemente ricambiato, sono pronto per partire alla ventura.
Monto in groppa a una bici elettrica, una sorta di motorino senza propulsione a scoppio e vado.

Dove? Non lo so. Ho anche il tempo di riflettere sui commenti che giudicano Myanmar arretrato, forse lo è, ma in linea con la più moderna tendenza ecologista, almeno in quest’occasione.
Il sole morde, ma l’umidità è nella norma grazie ad un vento fresco e così sfreccio con questa brezza; Come fossi una barca a vela.  
Percorro la strada che da Bagan nuova va a Bagan vecchia, circa una decina di chilometri su una strada asfaltata come capita ma, stupore-stupore, tutto intorno c’è una vegetazione bassa color smeraldo punteggiata da centinaia di templi antichi.

Come faccio a spiegarmi?
Ecco, se dovessi dirlo in sintesi in quel momento, mi sono sentito giovane, mi pareva di avere diciotto anni, nessun pensiero, nessuna preoccupazione, mentre guardavo il mondo con un mix di meraviglia e leggerezza insieme.
Non ho idea come abbia potuto verificarsi questo “ringiovanimento”, ma ho avuto una regressione adolescenziale. 
Forse un po’ del merito è nel viaggiare per conto proprio, è strepitoso. Puoi farti i cazzi tuoi, quando vuoi e come vuoi.

Nessuno mi conosce, nessuno mi cerca, non mi squilla il cellulare; Quelli della Vodafone non mi raggiungono, il loro scopo è implementarmi a tutti i costi l’ADSL, magari direttamente nel culo per essere sempre connesso. 
Connesso a che cosa?
Ora sono connesso! Sono connesso alla Natura, alla gente, al cibo, allo spettacolo del lavoro dell’uomo che è riuscito a sopravvivere al tempo.
I templi e gli Stupa sono magnifici, soprattutto perché sono disseminati in mezzo a stradine sterrate e comunicanti.
Gironzolo senza meta e incontro la bellezza, così per caso.
Là c’è un Budda dentro una grotta, in fondo a quelle sterpaglie una sorta di piramide azteca, ci salgo in cima, poi entro nei grandi templi.
Il tempio di Ananda è maestoso con quattro statue d’oro poste ai punti cardinali alte tre piani.

Sotto un albero mi bevo una Shark (una bevanda energetica locale, il cui nome rimanda allo squalo, noto pesce insonne).
Mi sento completamente “birmanizzato”.
E’ tutto magnifico, perfetto quasi irreale.
Ah che figata! Penso e infatti…si scarica la batteria del mio velocipede di fabbricazione cinese. Bastardi, sempre a risparmiare sulla qualità questi cinesi.
Provvidenzialmente si ferma un ragazzo del posto che mi vede in difficoltà. Sono sperduto sotto la canicola sulla strada per chi sa dove ma non mi sento perso.
Il mio sammaritano telefona al gestore del servizio bici che in dieci minuti arriva, non so proprio come sia riuscito a trovarmi ma sostituisce la batteria in un secondo. Sevizio impeccabile. 
Riprendo il mio instancabile gironzolare sino a sera.
Per quattro giorni scorrazzo in lungo e in largo.

Un giorno di questi prendo una barca a noleggio e mi godo il tramonto nella baia.
Poi un'altro giorno con una nave di linea “The Road to Mandalay” un nome preso a prestito dal noto libro di Kipling cui faccio un libero riferimento al titolo del mio racconto, visito Mandalay appunto.
Passeggio sul ponte di legno più lungo del mondo e visito, dove ha abitato il grande George Orwell nel suo soggiorno in Birmania come commissario di polizia.
L’ultimo giorno a Bagan riesco a bucare lo pneumatico della mia e-bike prontamente poi riparato.

Con il cuore gonfio come la ruota appena sitemata mi godo l’ultimo tramonto tra i templi arrossati dal sole calante. La mente si spegne in questa situazione surreale e mi scopro libero, almeno per un attimo.
La nuova destinazione è già pronta per il giorno dopo. Heho Airoport per visitare il lago Inle.
Mentre aspetto il volo interno in un aeroporto grande come un asilo nido e colgo la chiamata della partenza grazie a un inserviente che mi passa davanti con un semplice numero scritto con il gesso su una lavagna, comprendo che basta poco perché le cose funzionino comunque.
Emozioni coloratissime pigmentano i miei ricordi recenti con l'eco di alcune avventure che non nomino per discrezione.
Saluto Bagan, dall’alto del cielo e sono così sereno che non mi disturba nemmeno la coppia di francesi rompicazzo con due bimbi indemoniati al seguito.

Beh! Se cadiamo almeno, avrò un po’ di silenzio, penso e un sorriso mi esce dall’oblò e rimbalza sulle nuvole.
Strizzo l’occhio al Destino che ha deciso di regalarmi questi momenti e mi addormento sereno come un bimbo. Senza un rimorso, senza un pentimento, perfino senza un rimpianto. 
Per me, in questo istante magico il tempo non passa, arriva.

 

Nessun commento: