lunedì 22 giugno 2020

Per chi suona la campana?

C'è una interessante teoria pubblicata circa vent'anni fa su diverse riviste scientifiche e in un libro ancora reperibile dal titolo: "La curva a campana" -Bell Curve- che ha studiato il Q.I. (Quoziente Intellettivo) umano e il suo decorso nella storia. Questa ricerca ha generato grandi polemiche.
L'autrice, sostiene che l'andamento dell'intelligenza media nel tempo può essere descritto da una funzione, il cui punto apicale fu nel Rinascimento italiano, dove vi furono un gran numero di geni concentrati in poche regioni italiche e in poco più di due/tre secoli. In quel punto si trova il vertice di questa funzione Gaussiana che la descrive, nella rappresentazione delle variabili casuali a valori reali che tendono a concentrarsi attorno a un singolo valore medio, il cui grafico di densità e di probabilità associata è simmetrico ed ha una forma che assomiglia a una campana appunto.
Il Rinascimento italiano fu un vero boom demografico di cervelloni che alzarono la media dell'intelligenza nel mondo.
Oggigiorno vivremmo, secondo questa teoria, nel punto più basso di questa curva d'intelligenza media. Nel parto continuo delle mamme dei cretini.
Mi domando quando mai avrebbe potuto riscuotere successo una pubblicazione scientifica del genere se non avesse avuto un minimo di fondamento?
Mi pare evidente che non poteva che raccogliere critiche.
Vi è correlato uno studio comparato tra intelligenza ed etnie che ha sollevato ancora più polemiche, perché considerato discriminatorio, nonostante i dati siano stati raccolti correttamente.
Se l'autrice fosse stata anche un avvocato credo che gli avrebbero conferito il premio di donna più odiata del mondo.
Molti sociologi, antropologi e studiosi, hanno infatti contestato i parametri di valutazione utilizzati e invalidato i risultati ottenuti.
Nel libro risulta che le popolazioni negroidi sono all'ultimo posto della classifica stilata dello sviluppo medio del QI con circa 70/75 punti (poco sotto il limite di un essere umano per essere considerato normale) per giungere a 80 punti nelle popolazioni asiatiche e 90/100 in quelle caucasiche, il primato va agli ebrei Chassidici Ashkenaziti con 110.
Ci sono etnie come quella Indiana che presentano particolari abilità matematiche, ma hanno altre forti carenze. Ovviamente è stata considerata una teoria se non proprio razzista, discriminatoria e di parte. Molto contestata nell'ambiente accademico se non addirittura sconfessata, al limite del linciaggio mediatico.
Di fatto sembrerebbe invece ragionevole domandarsi, ma non è ammissibile farlo, e solo per fare un esempio -come mai in Africa si trasporta ancora l'acqua in recipienti sulla testa come migliaia di anni fa (le donne sono deputate a questo lavoro) mentre nell'antica Roma già 2.000 anni or sono si costruivano acquedotti che funzionano ancora oggi?- Questo tipo di domande sono considerate tendenziose e non si possono porre, per motivi di opportunità e di cosiddetto rispetto delle diverse culture che sviluppano l'intelligenza secondo parametri molto diversi e non sono quantificabili, quest'ultima è l'obiezione che viene sostenuta più largamente.
Non è certamente sbagliata questa contro-tesi, in effetti il cosiddetto progresso del mondo civilizzato è spesato con un'ansia profonda di chi lo vive e lo sostiene. La crescita materiale e le performance richieste dal mondo industriale, forse non sarebbero così sviluppate se le persone fossero più tranquille e sane psichicamente, meno dominate dalla mania del controllo, dal desiderio smodato di accumulo spesso ben oltre le oggettive necessità.
Bisogna domandarsi: -Lo sviluppo scientifico e la tecnologia hanno un valore positivo?- E' una domanda la cui risposta non è così scontata, perché le valutazioni sono sempre funzionali alla classifica di priorità che sono considerate.
Nel mondo umano spessissimo è considerato buono ciò che è utile, utile ciò che ci fa vivere comodi, di valore tutto ciò che può essere comprato e venduto. I limiti di tale filosofia si evidenziano da soli nella realtà di ogni giorno.
Lo sviluppo della tecnologia dunque non può costituire l'unica discriminante nel computo dell'intelligenza, ma obbiettivamente saremmo ancora nelle capanne a cantare intorno al fuoco con un'aspettativa di vita di venticinque anni se non ci fosse.
Cosa ci distingue dall'uomo delle caverne? Senza tecnologia vivremmo ancora come lui e probabilmente saremmo uguali a quel cavernicolo.
Non è assolutamente facile esprime un giudizio in tal senso e ancora più difficile valutare l'intelligenza, cui per altro la definizione esaustiva di cosa sia, non è stata ancora data.
Fino a trent'anni fa era -La capacità di risolvere un problema- oggi è invece considerata riduttiva questa definizione, perché prende in considerazione principalmente le facoltà logico/matematiche e l'onnipotenza semantica o per meglio dire la plurifunzionalità del linguaggio come valori predominanti rispetto ad altre capacità intellettive e pratiche. Inoltre i test per quantificarla sono creati da studiosi con un "certo tipo di logica" che ha familiarità cioè con concetti che altre culture non padroneggiano, oppure non ritengono utili usandone altri. Questo con molta probabilità falsa una seppur difficilissima valutazione.
Insomma, è un ginepraio quando si quantifica l'intelligenza in una persona che rischia sempre di offendersi (se il suo punteggio è basso, altrimenti se è buono non ha nulla da obiettare a riguardo del metodo di valutazione) mentre la difficoltà aumenta esponenzialmente quando questa quantificazione si vuole estendere a una popolazione.
Nel mio caso sono "fortunato" e non ho particolari problemi a riguardo, visto che il mio punteggio è di 140 punti, utilizzando un sistema standard, ma se tanto per dire, fosse di 65 forse diventerebbe un fattore mortificante e potrebbe creare non solo pregiudizio, ma anche un disagio psicologico e imbarazzo nel condividere il risultato di un test del genere con altre persone, tanto è stretta l'identificazione tra un soggetto e il suo apparato cognitivo.
Accettiamo più facilmente una malattia fisica o una menomazione funzionale, rispetto a una malattia psichica o un ritardo mentale. Ci riconosciamo più fortemente nella mente che nel corpo.
Sembra che per ognuno sia più prezioso il modo con cui indaga il mondo, piuttosto che il corpo con cui fa esperienza di questo mondo.
Il quesito che mi pongo è "Sarei ugualmente un uomo intelligente se vivessi in un altro contesto?" La mia esperienza personale, quando è giunta a contatto con popolazioni diverse rispetto agli standard della civilizzazione, mi ha fornito una risposta negativa. L'intelligenza che mi serviva in un contesto selvaggio non era quella cui ero abituato ad attribuirmi né a usare.
Ho notato inoltre che la cosiddetta intelligenza che talvolta riconosco in me stesso all'interno della nostra società, non è sempre funzionante, ma intermittente. Mi capita così in alcune occasioni di fare colossali figure di merda, mentre in altri momenti ne esco come un gigante.
E' dunque un terreno assai scivoloso quello su cui sviluppo questo discorso.
In sostanza il mio QI non è un gran punteggio, visto che la genialità si attesta tra i 160 e i 180 punti, ma anche la valutazione della genialità è un valore relativo.
E' un genio la persona che sviluppa una nuova teoria quantistica, oppure quello che vive godendosi la vita con pienezza e gioia? E' un interrogativo ragionevole da porsi visto che la maggior parte dei cosiddetti geni hanno sempre fatto un vita grama, piena di frustrazioni e ansie.
Onestamente non riesco a rispondere a una tale domanda.
Paradossalmente l'uomo più intelligente al mondo è una donna (IQ 203), europea, caucasica, che fa per la maggior parte del suo tempo la casalinga e scrive libri per bambini. Non ha conoscenze scientifiche e con tutta questa intelligenza a disposizione non ha mai realizzato un'applicazione eclatante o fatto una scoperta significativa.
Dunque, è sempre meglio evitare questo tipo di discorsi e valutazioni. Una valutazione diventa ancora più foriera di critiche, quando si argomentano diversità di genere per etnie o per tipi di popolazione.
Non è chiaro se è ipocrita non ammettere delle diversità oggettive tra i popoli e tra i singoli, oppure è giusto non esprimere valori che non possono essere considerati in maniera assoluta, ma solo relativa.
La comprensione però avviene per divisione e poi c'è una valutazione cioè per capire qualsiasi cosa dobbiamo separarla da altro che non sia quella cosa.
Si comprende che esiste un genere femminile, perché esiste anche quello maschile ed essi si evidenziano per caratteristiche peculiari. La luce dal buio. Il comodo dal disagio. Rinunciare alla dialettica nella ricerca della verità, priva l'essere umano di un formidabile strumento.
Se non è possibile evidenziarci in gruppi e suddividerci per caratteristiche come ci potremo comprende in ambito sociale?
Questo è un problema che si infrange con le attuali regole che non permettono di evidenziare le differenze tra le persone.
Un modo che la società adotta per evitare i pregiudizi o se non altro per contenere la violenza insita in questo atteggiamento prevaricatore, ma che non fa affidamento sul vero e dunque anche se per giustificati motivi risulta essere una mistificazione. Il risultato di questo maldestro tentativo di farci tutti "copie della medesima stampa" non sortisce grandi effetti benefici, visto che la nostra società in realtà è fatta di divisioni che, a parte il divieto di parlarne, non sono effettivamente risolte, e forse proprio perché non se ne parla con franchezza.
Un altro esempio di questa difficoltà di processare dei dati in un'obiettiva ricerca in campo antropologico è la definizione di "razza"; Oggigiorno non è più consentito usare questo termine riferendosi all'uomo (si usa solo per gli animali allevati come se l'essere umano non fosse anch'esso un animale allevato) sostenendo che in campo umano tale classificazione è priva di fondamento scientifico, però tale definizione si applica come tutti sappiamo, quando vi è diversità di DNA, ovvero se il DNA è diverso in due esseri viventi della medesima specie cioè con caratteristiche simili ma alcuni caratteri esteriori trasmissibili diversi, allora si hanno due "razze" diverse, almeno questa è la definizione corrente.
Ma negli esseri umani il genoma risulta essere diverso, non uguale, non omogeneo, benché si sostenga che non esistono razze diverse, ma etnie che a parte la parola, il significato a me sembra molto simile. Appare così una contraddizione, perché esistono a livello genetico umano delle diversità importanti, per esempio nelle popolazioni africane (non arabe) e nei Berberi dell'Atlante non sono presenti i geni Neanderthaliani, riscontrabili sino al 3% in tutti i caucasici per giungere con proporzione variabile dal 1% al 1.5% nell'etnia asiatica, dove si ha una commistione di altri geni detti Desinoviani (dell'uomo di Desinova, un sapiens arcaico presente nel sud est asiatico oggi estinto, ma contemporaneo dell'uomo di Neanderthal) La percentuale di questi geni Desinoviani giunge sino al 6% nel DNA della popolazione malese, e come già detto sono del tutto assenti negli altri popoli non asiatici.
Caso a parte sono le popolazioni aborigene Australi e gli Indio amazzonici, ma visto la minaccia incombente su di loro di estinzione, presumo e con dispiacere che non rientreranno a breve nelle popolazioni esperibili per una valutazione più ampia dell'umanità come specie.
Dunque tali ibridazioni ci distinguono, facendoci geneticamente diversi, ma non è possibile suddividerci per razze, e questo è un po' un paradosso, per non dire una negazione della realtà, almeno se ciò è fatto solo per ragioni politiche. Se invece è un problema di definizione, bisogna considerare che ogni definizione è comunque un arbitrio. Anche il linguaggio è arbitrario, eppure funziona per comunicare cose reali. Anche i soldi sono un valore arbitrario, perché non si possono mangiare e materialmente servirebbero al massimo per alimentare un fuoco da campeggio, eppure nel mondo civile hanno un peso fondamentale. Questo per dire che non sempre un valore arbitrario è sbagliato, è aleatorio ma a volte pare addirittura necessario, sempre parlando per il genere umano, perché è l'unico "animale" che considera "reali" le convenzioni condivise e i valori arbitrari.
Una risposta a questo ragionamento che sembra non averne è, secondo la mia opinione forse un po' semplicistica, nel non utilizzare la diversità come una discriminante; Questo eviterebbe il rischio di ripercorre gli errori passati come ad esempio quei milioni di morti finiti nelle camere a gas che insomma non è che ci nobilitano molto come esseri umani.
Mi sembra più onesto considerare che sebbene in realtà siamo diversi, non necessariamente ci deve essere qualcuno in cima a questa differenziazione che fa la pipì in testa agli altri. La vera domanda però è un'altra.
Può l'Uomo mostrarsi sinceramente nudo senza fare a gara nel misurarsi il pisello con il suo vicino?
E' una risposta che sospendo, non per timore di sembrare supponente, ma perché credo che ognuno conosca già la risposta senza bisogno del mio suggerimento.
E questo è quanto.
A me piace pensare, come scrisse una famosa poetessa, che "Siamo tutti diversi come due gocce d'acqua".

Miseria che "pippone" di post.