giovedì 12 febbraio 2009

Il Prigioniero -Parte IV-



Osservava il mare seduto sul lettino vicino alla grande piscina, era un paesaggio mozzafiato che i suoi occhi conoscevano ormai perfettamente, ma che non smettevano di ammirare. Oggi era il giorno.

Dieci anni, dieci lunghi anni erano trascorsi e gliel’aveva fatta. Adesso avrebbe rivisto il suo “datore di lavoro”, il Numero 1, come nelle rarissime comunicazioni telefoniche si faceva chiamare il vecchio paralitico.
Un brivido lo percorse da capo a piedi e quasi si sentì sopraffare dalla gioia e dall’orgoglio della sua vittoria.
Certamente i momenti difficili non erano mancati, disse fra se, e ricordò con precisione tutte le difficoltà affrontate ed i cambiamenti che aveva dovuto operare su se stesso per arrivare a questo momento, per gustare questo istante che aveva il sapore dell’Ambrosia.
Ricordò il primo giorno del suo arrivo sull’isola. Era atterrato con l’elicottero privato del Numero 1, quel invalido malefico che lo aveva condannato a dieci anni di paradiso forzato.
“Una villa meravigliosa”, aveva detto quel avvocato molto tempo fa, ed, infatti, così era.
Purtroppo il lusso stemperato nella routine, annoia. Anche la carezza amorevole ma costante soffoca, alla fine l’abitudine soverchia ogni altezza.
La naturale associazione mentale che arrivò nella sua mente fu per tutte le donne che aveva posseduto in questi anni, ma questo pensiero non gli diede fastidio.
Una sorta di distaccata osservazione si fece largo fra le pieghe del suo cervello nel ricordare tutte le ragazze che aveva avuto.
Stranamente serbava memoria solamente della prima e ora si ripromise che avrebbe ricordato per sempre anche l’ultima.
La bella e giovane fotomodella lo attendeva da un pò in camera da letto per: l’ultimo rapporto sessuale obbligatorio della sua vita.
Il suo ultimo spettacolo osceno per il "Numero 1”.
Le altre “signorine” risultavano indistinte, corpi ben fatti, bocche vogliose, odori diversi si confondevano nella sua memoria come un collage scandaloso ma confuso.

“Finalmente sarebbe stato ricco e libero”, sorrise della propria vanità e ricordò ancora di come era cambiato.
Un cambiamento così radicale che fra il vecchio, ma allora giovane, se stesso e l’attuale uomo non passava nemmeno un segno di riconoscimento.
Aveva modificato la sua esistenza, come un atleta in occasione di un’olimpiade. Solo che per lui non ci sarebbe stato il guadagno di una medaglia alla fine della gara, ma un pezzo del suo corpo ancora attaccato a se stesso, e la cosa era molto più seria.
Eliminate le sigarette, ridotto a dosi omeopatiche l’alcol, aveva disciplinato il proprio corpo in un allenamento duro ma non esasperato. Nuoto, un’ora il giorno ma tutti i giorni.
“Ginnastica e cibo sano” erano stati i suoi compagni di viaggio. Il Trainig mentale il suo maestro per non cedere alla depressione e alla paura. Aveva costruito un corpo forte che gli aveva consentito di avere poco meno di 10.800 orgasmi in dieci anni e uscirne vivo da questa brutta storia.
“Vivo, ma non illeso”, precisò nel suo monologo mentale.
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Il lavoro più duro era stato plasmare la sua mente.
Estirpare da se stesso la paura di non farcela, mondare il suo inconscio da ogni pensiero parassita. La sua vita apparentemente dissoluta era in realtà una vita monastica. Un tempio costruito all’interno di un bordello. Aveva dovuto edificare una simile opera per sopravvivere e nel sopravvivere aveva covato l’odio e la rivalsa per il suo carceriere multimiliardario.
Aveva una sorpresa per lui: una trappola. Un regalo forgiato dal livore. Un’opera costruita dentro la sua mente. Aveva scavato nel suo cervello una buca irta di pali acuminati, dove il grande mammut sarebbe andato a cadere e morire, ma con dolore.
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Poi accadde. Gli angoli della sua bocca si distesero in un’espressione travisata e sgomenta che appannava il suo sguardo.
Il seme di un'intuizione stava sconvolgendo la sua interpretazione del passato e di ciò che si apprestava a fare. Era forse solo inciampato in un barlume di verità che, però non scalfiva la granitica costruzione cui aveva sacrificato un decennio. Fu quindi solo un attimo, una considerazione bizzarra che allontanò da sé come un'assurdità.
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Distese lentamente il braccio e prese il bicchiere di cristallo appoggiato sul tavolino, bevve il succo di pomodoro condito come fosse champagne.
Il cameriere alle sue spalle interruppe il corso del suo ragionare.
“Il Signore desidera qualche cosa?”
“No grazie, ho tutto quello che mi serve”, rispose e quelle parole per lui avevano anche un alto significato, molto più profondo.
L’accappatoio bianco lo copriva dal vento fresco che si era sollevato inaspettato. In questa isola della Grecia faceva sempre un tempo magnifico. Pioveva raramente e mai per tutto il giorno. Gli inverni miti gli avevano concesso una salute di ferro. Le lunghe ore di esposizione al sole, mentre sprofondava nella lettura e nella meditazione, avevano conferito alla sua pelle un colorito bronzeo elargendogli, però qualche ruga.
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“Ho già quaranta anni”, pensò come se questa verità biologica fosse stata per lui, in quel momento, una rivelazione spirituale.
Osservò poi con indifferenza le amputazioni che aveva subito, quattro falangi delle dita di un piede, il mignolo di una mano. Si accarezzò l'orecchio che gli era stato amputato del lobo e rivisse per un attimo il male e il terrore, ma senza più coinvolgimento, come se fosse accaduto ad un altro.
Aveva imparato anche a fare questo, ora era libero dal dolore, non insensibile, ma semplicemente oltre questo.
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“Bene!”, Disse per farsi coraggio, "Andiamo a lavorare", e così dicendo si avviò claudicante verso la camera da letto.
La stanza lo aspettava con le grandi porte-finestre aperte sul patio lastricato di belle pietre levigate .Le tende azzurre pigramente spostate dal vento davano saltuari scorci del locale dove, in centro campeggiava un grande letto bianco e sopra di esso c'era una ragazza sdraiata, nuda.
Lei gli dava le spalle, mentre leggeva una rivista. Era mora, magra ma perfetta con un seno scolpito e i glutei alti e muscolosi leggermente abbronzati; pareva un bassorilievo sul candore delle lenzuola.
La giovane si volse appena verso di lui e sorrise ammiccante.
“Sei l’ultima”, pensò Peter fra se, ma poi ricordò il suo piano e si corresse: “Forse”.
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Mentre si accoppiava con la bella amante provò un'inaspettata soddisfazione. Poi udì in lontananza l’elicottero che si avvicinava alla villa ed ebbe una stretta allo stomaco.
Nel momento dell’orgasmo apparve nella sua mente la faccia del vecchio che lo contemplava con un ghigno.
.“Ride bene chi ride per ultimo”, disse a se stesso, poi guardando fisso nella telecamera nascosta dietro l’armadio rise, rise forte come posseduto dalla follia.
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Continua….

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