mercoledì 21 agosto 2024

La conquista dell'inutile e la grande caccia





Qui sopra un affaccio sull'Oceano Atlantico tra Angola e Zaire. 

Come una sorta di piccolo Joseph Conrad, da giovane con qualche velleità fuori luogo, affrontai una personale avventura in Congo. 
 
Fu prima del conflitto civile avvenuto sul finire degli anni 90' nel ex Zaire, ora Repubblica Democratica del Congo e Repubblica del Congo, le aree in quel luogo cambiano spesso nome. Fu negli anni successivi al genocidio avvenuto in Ruanda le cui ripercussioni violente si estesero in quasi tutto il centro Africa. 

Me ne andai dal ex Zaire dove vi ho abitato più di tre anni, mentre infuriava la guerra, ma la decisione l'avevo presa poco prima a causa di un episodio drammatico che mostrò i prodomi del conflitto tra le due etnie principali (Hutu e Tutzi) che si stava irrimediabilmente estendendo in altre nazioni centroafricane accompagnato come succede di solito da ragioni economiche molto forti per non dire senza scrupoli.

Partii dall'aeroporto di Kinshasa (N'Djili) nell'estate del 1997 quando già si sentivano i colpi di mortaio provenire dal lato opposto del fiume Congo dove c'era la capitale Brazzaville, infatti il fiume divide le due città che sono a  ridosso l'una all'altra e quasi si confondono. I colpi erano sordi, ovattati come le sistole di un cuore lontano che batteva a intermittenza, un battito sinistro che riecheggiava senza fermarsi giorno e notte.

La decisione di andare via dall'Africa maturò vicino a Bukavu non lontano dal confine Ruandese, giusto qualche settimana prima che gli eventi precipitassero e avvenne in conseguenza di una situazione inaspettata, mentre ero in attesa di superare un posto di blocco militare al seguito di una fila lunghissima di automobili e persone. 

Ero tra i tanti che aspettavano di passare il controllo e poco prima del mio turno di esibire documenti e lasciapassare fu fermato un nero che per qualche ragione a me sconosciuta era nato dalla parte sbagliata del fucile. Un uomo che apparentemente non aveva fatto niente di male, sembrava una persona come tante altre.

Parlava in inglese, probabilmente era Ugandese: "Who keep my parents?" così continuava a ripetere. Una litania querula, una specie di ritornello disperato che a ricordalo ho ancora in testa. 

Quel uomo considerato forse una spia o chissà chi, forse solo perché non aveva i documenti in regola, non ne ho proprio idea del motivo del suo fermo, venne legato con le mani dietro la schiena e nonostante le suppliche, un militare lo spinse a faccia in giù nel fosso a lato della strada asfaltata, poco  avanti alla mia jeep, e improvvisamente gli sparò. Semplicemente quel soldato esplose una raffica, senza spiegazioni o animosità; Senza urla o strepiti. Come fosse stato un evento naturale, compiuto contro una persona assolutamente ordinaria. Un atto spietato ingiustificabile, fatto non solo con efferatezza, ma con naturalezza. Quello fu sconvolgente. Avevo già assistito a scene del genere, ma quella volta fu diverso. Quando l'orrore diventa prassi e la violenza routine, allora il confronto con la vita civile è stridente e si è arrivati al fondo della vita stessa, lì inizia la guerra. Compresi chiaramente che il "Cavaliere Pallido" dell'Apocalisse era arrivato in quei luoghi e vi camminava impunemente.

Un corpo seminudo a lato della carreggiata era quello che era stato una volta un essere umano. Ne ho visti di morti, ma quello mi colpì profondamente. Forse qualcosa dentro di me era giunto al colmo. Forse l'uomo che conoscevo non abitava più in me e aveva lasciato il posto a un essere umano diverso, forse più empatico. 

Nessuno davanti a quel fatto disse niente e non mi sognai di protestare e nemmeno di commentare oppure domandare. Gli occhi guardano altrove quando sei disarmato e sei di fronte alle armi spianate, è sempre stato così, non è che manca il coraggio, ma fanno questo effetto ed è da bugiardi dire che non capita.

Tra le Leggi certe dell'Universo esiste quella di causa ed effetto e poi vi è un'altra, umana: quando l'uomo con il fucile incontra l'uomo senza fucile, allora per quest'ultimo sono veramente cazzi amari.  

Lo scrivo di nuovo, a volte penso che in questa vita ho visto talmente tanti cadaveri che potrei fare una gara con un patologo. Ammesso che qualcuno abbia veramente voglia di fare una simile gara, e per quale vincita? 

Ci giochiamo la vita con le cattive abitudini, le frequentazioni sbagliate, con le situazioni pericolose e in mille altri modi stupidi, ma in realtà ci giochiamo qualcosa che non possediamo completamente. La vita non è nostra, abita in noi ed è un prestito; Dovremo restituirla più integra possibile, queste sono le mie riflessioni a riguardo del vivere, i miei commenti "a latere" dell'esistenza.

Tornado al fatto, dopo gli spari, ripresero i controlli come non fosse accaduto nulla,  mentre passavo oltre quel delitto a bordo della mia autovettura con i finestrini abbassati per il caldo torrido, sentii il caratteristico odore che lascia la Morte in quei frangenti: sangue, merda e polvere da sparo. Il trio infausto, così lo chiamo e di solito è accompagnato da una stretta ghiacciata alla pancia.

Basta! Dissi a me stesso e venni via per sempre da quell'Inferno per trovarne altri più confortevoli.

Sono passati già molti anni. 

Questi eventi appena raccontati però non erano ancora accaduti e parlo di un periodo antecedente dove vivevo a Kinshasa che preferivo alla capitale. Vivevo in un altro mondo, direi quasi di bellezza e di privilegio. Ero veramente un altro uomo.

In quel luogo e a quei tempi c'era ancora una sorta di "supremazia bianca" che eticamente non è ritenuta giusta, ma è obiettivamente una gran comodità in un continente dove sono tutti neri, poveri, disperati e spesso più grossi di te; Un paese dove sei solo: bianco in mezzo a una moltitudine nera, dove le armi improprie sono portate liberamente e quelle proprie con uguale disinvoltura. Dunque questo misfatto bianco non solo era utile, ma necessario se si voleva vivere.

Non si può immaginare una realtà simile, bisogna capitarci dentro per giudicarla con obiettività. 

Dicono quelli dei diritti civili (che si vedono solo quando non servono) "siamo tutti uguali" evidentemente non sono mai entrati in una discoteca di Kinshasa e non conoscono l'odore delle diverse umanità. Non siamo uguali, nessuno lo è rispetto ad un altro, ma questo non necessariamente significa che deve esistere una classifica dove quelli che stanno più in alto sputano sulla testa di quelli più in basso. Siamo diversi va bene, ma questo non giustifica la crudeltà, la cattiveria; La prepotenza è un'altra cosa. 

"Siamo tutti una famiglia" non è una frase vera, ma è solo un bello slogan, ispirato dai buoni sentimenti, e non corrisponde alla realtà, resta una bugia, che per quanto bella può essere non diventerà mai vera. Evidentemente le persone che la sostengono credendoci non hanno mai vissuto in mezzo alla strada a contatto con gente povera, non hanno mai lottato per sopravvivere e non hanno mai visto i massacri che produce l'Odio. Questi fatti tolgono molte illusioni a riguardo dell'essere umano. Dunque di queste persone apprezzo le buone intenzioni, ma non ne invidio l'ingenuità.

Certamente quelli bravi, buoni, i cosiddetti progressisti di sinistra, insomma quelli che chiamo: "I Comunisti al caviale" cioè quelli con i soldi, ma che si vergognano di averli e vogliono apparire meglio di quello che sono, quelli che stanno in città e sono "apparecchiati" cioè vivono nella loro casetta termo-autonoma o in un bel attico in centro, quelli egoisti fino al midollo che però si fanno vedere mentre pedalano in bicicletta (perché difendono l'ambiente) ma hanno il Suv parcheggiato in garage, storceranno forse il naso a questo racconto, ma della loro opinione a me non fotte proprio nulla. 

Non mi appartengono le loro ipocrisie, ho già le mie. 

Non li sopporto questi personaggi, mi disgustano, hanno occhi vuoti di vetro, aliti cattivi, sono patetici senza onore né carattere; Le loro bugie cui a volte credono essi stessi, fanno da contorno al loro perbenismo fatto di luoghi comuni, perfino negli stereotipi che adottano nella finta contestazione che manifestano sono omologati. Mi danno il voltastomaco. 

Le persone di solito parlano, parlano, ma alla fine si fanno i fatti propri; Alla gente gli interessano solo i propri impicci e soprattutto il proprio conto corrente bancario cioè i soldi. Parlo dell'umanità tutta o quasi.

Tornando alla mia vita vissuta ho curiosamente constatato che quando le cose mi vanno bene, le rogne me le vado a cercare. Sono vittima di una specie di masochismo autoindotto cui ora per fortuna sono contagiato in misura minore, non perché sia diventato saggio, ma solo perché mi stanco prima. Gli anni passano anche per me e si diventa meno ipocriti con se stessi e si sa che "A essere sinceri prima o poi si viene scoperti". 

Si è costretti dalla Vita a conoscersi.

A parte gli aforismi a quei tempi ero un uomo votato all'avventura, vivevo pericolosamente. Convinto, allora come adesso, di ciò che mi aveva detto un professore di matematica: "Se vuoi superare le tue paure devi prima misurarle". Così per complicarmi ulteriormente la vita decisi di partire dalla città dove stavo comodo e avevo affittato una bellissima Villa coloniale a due piani con ampio giardino annesso per fare un viaggio diciamo "esplorativo". 

Nella mia forse puerile idea giovanile pesavo che se Dio esiste e ha creato l'uomo, allora ne aveva lasciato traccia nel popolo più antico dell'umanità che sono i boscimani (San) e i pigmei. Dovevo incontrarli. Il miracoloso però non si trova, è Lui che ti incontra nel modo più inaspettato.

Considerazioni giovanili a parte, vivevo bene, avevo sette servitori che badavano a me: una cuoca, una guardia, un giardiniere e quattro cameriere. Abitavo vicino ad Avenue de la Mongala Gombé, in un quartiere pulito e dignitoso. Era bellissimo tornare a casa e godersi il fresco della penombra, le grandi pale sui soffitti che spostavano pigramente le tende alle finestre socchiuse; Entravo a passi lenti nell'ampio salone e man mano lasciavo cadere i vestiti a terra, mentre transitavo da una stanza all'altra e la mia domestica mi seguiva raccogliendoli uno a uno, poi li lavava, li stirava e li metteva nell'armadio. Mi immergevo in una vasca piena d'acqua appena tiepida e mi sentivo come un Maharaja africano, e mi piaceva anche. Ero abbastanza ricco rispetto agli standard del paese, sia di denaro che di possibilità, soprattutto ero giovane, ma così presuntuoso! Alla fine era inevitabile anche per gli altri constatare che la mia megalomania me la potevo permettere se non proprio me la meritavo.

Invece è una vera disdetta oggigiorno che non si trovano più maestranze così, cioè succubi e a "bon marché". Sto scherzando.

In quel periodo e in particolare in città la sicurezza non era garantita e bisognava prestarvi molta attenzione e occuparsene personalmente. 

Subivo saltuariamente dei furti per fortuna non proprio in casa, ma nelle pertinenze. Queste sottrazioni indebite mi procuravano disagio, in quanto anche solo ricomprare un rubinetto, una pala, un rastrello oppure una canna d'irrigazione richiedeva un notevole dispendio di tempo per trovarli e acquistarli nuovamente. In Africa in generale non ci sono molte fabbriche e quasi tutto è importato, dunque non è sempre disponibile immediatamente. C'è l'artigianato, l'agricoltura, la pastorizia e ovviamente le miniere dove si trova ogni bendidio, queste sono le risorse a disposizione, mentre il resto risulta difficile reperirlo  e ripararlo. Va computato che a quei tempi a Kinshasa per ogni uomo onesto c'erano dieci ladri. Quindi non si poteva lasciare nulla di incustodito. Licenziai la guardia che probabilmente era d'accordo con i ladri e adottai una soluzione che penso fu brillante, perché risolse il problema. 

Grazie a conoscenze trovai un abile addestratore di cani da guardia. Questa soluzione cinofila però non era sufficiente, perché i cani venivano ammazzati abbastanza facilmente a sassate dai delinquenti. Così mi domandai: di cosa hanno veramente paura gli africani?

Della magia.

Dunque comprai due cani da guardia uguali, ma di colore diverso, uno bianco e uno nero che chiamai: Giorno e Notte. Gli misi un collare con degli amuleti fatti da me con dei soldatini di plastica e altre cianfrusaglie colorate e poi li liberai a turno in giardino,  il nero di giorno e il bianco di notte, nascondendo però l'altro. Pare una cazzata, ma funzionò a meraviglia.

Secondo il sentire comune  avevo un cane che cambiava colore, un cane magico. Presto la notizia si diffuse oltre il quartiere e la mia Villa divenne inviolabile. In ogni caso questi animali facevano un ottima guardia e non abbaiavano, avevano una cicatrice sulla gola dovuta a un'operazione proprio per non farli abbaiare, mordevano e basta e anche molto bene.

Così la magia del bianco fu più forte di quella del nero, perché anche i ladri usavano gli amuleti magici che però non bastavano a salvarli da quei due molossi che alternativamente si occupavano egregiamente della mia tranquillità. 

In questo modo risolsi il problema della sicurezza della casa. Ci fu un piccolo danno collaterale cioè ogni tanto Giorno e Notte mi morsicavano una cameriera, ma ne avevo tante che non era un problema nel caso sostituirle. Se una di loro non sopportava quel piccolo disagio, ne trovavo un'altra al suo posto, d'altronde con quei culoni che avevano non si accorgeva nessuno se gliene mancava un pezzettino; Quante storie per un po' di culo!

La custodia relativa alle automobili (ne avevo tre)  di cui una in particolare, una grossa jeep, che usavo per i lunghi viaggi fuori paese nei miei spostamenti per lavoro, la risolsi in maniera analoga, comprando: Diavolo. Di solito è il Diavolo che compra l'anima delle persone, ma in questo caso particolare fui io a comprarlo sotto forma di un cane.

Un cenno particolare a questo botolo che credo più fetente non si sia mai visto. Un vero concentrato di malvagità.

Non era grosso, poco più di una ventina di chili, ma quello che non aveva in stazza lo compensava ampiamente in ferocia.

Quando parcheggiavo l'automobile la lasciavo aperta, altrimenti mi rompevano i finestrini o le serrature della portiere. Diavolo si appostava sotto di essa all'ombra. Non poteva stare dentro l'abitacolo, perché sotto il sole faceva troppo caldo e sarebbe morto dopo mezz'ora. 

Da sotto l'autovettura invece trovava la sua posizione di guardia ottimale, in quanto i ladri non riuscivano a colpirlo con i sassi; Appena qualcuno si avvicinava: uomini, donne o bambini (Diavolo era un convinto democratico e non faceva differenze) gli mordeva le caviglie e in un baleno si rintanava nuovamente sotto il veicolo. 

Era di una cattiveria inaudita, usava la tattica della guerriglia: mordi e nasconditi, ma con una punta di perfidia. Non ce n'era proprio per nessuno e a malapena mi sopportava, ma giusto perché gli davo da mangiare ed era ben addestrato a prendere ordini e cibo solo da me. 

Era un ottimo cane da guardia, ma era impossibile lavarlo. Non sono mai riuscito a fargli il bagno né credo nessuno ci sia mai riuscito. Dunque se non feriva a morsi, certamente poteva uccidere con la puzza. Non era bello, visto la commistione di razze assurde dei suoi antenati che avevano prodotto un "pericolo pubblico" grigio pezzato, puzzolente per scelta e mordace per vocazione. Non si poteva certo dire che ispirava affetto, ma faceva egregiamente il suo mestiere. 

Riuscivo a dargli solo qualche pacca sul costato come gratificazione che riceveva con assoluta indifferenza. Credo che in vita sua non abbia mai avuto una carezza né l'abbia mai voluta. Non si capiva cosa gli facesse piacere a parte il cibo, di altri riconoscimenti non gli importava. Se non fosse stato un cane lo avrei definito un personaggio unico.

Era certamente un guerriero solitario senza pietà. 

Quando lasciai l'Africa, Giorno e Notte li rivendetti al loro addestratore, ma Diavolo era diventato cieco e non poteva più avere futuro. 

Fu un bel dilemma, quasi un dramma per me. 

Nessuno lo voleva, lasciarlo libero era troppo pericoloso. Gli volevo risparmiare una fine ingloriosa e gli offri una morte onorevole. 

Glielo chiesi e lui mi rispose con un latrato strano che presi come un si. 

Gli diedi da mangiare della carne di prima qualità, vi aggiunsi un uovo di struzzo che adorava e insieme ci misi due "Tavor" sbriciolati. Quando si addormentò lo avvolsi in una bella copertina rossa e pulita, lo adagiai in una fossa lontano dall'ingresso di casa e gli sparai tre colpi. Onore a questo cane e credo che con Diavolo (visto anche il nome) ci rivedremo all'Inferno. Non che abbia fretta di rincontrarlo, ma gli volevo bene.

Infatti pare incredibile ma mi ero affezionato, nonostante non si possa crederlo. La sua vita fu semplice, scandita da poche e granitiche certezze: mangiare, fare la guardia e soprattutto mordere qualsiasi cosa o persona gli fosse mai arrivava a portata di mandibola. Era fatto così, forse male, non so, ma a me piaceva. Era stronzo, ma non nascondeva la sua natura. 

Ragionando sulla mia esistenza di allora, direi che la mia vita era organizzata in maniera ottimale. Stavo una pacchia.

Non che fossi viziato dal lusso sia chiaro, perché la mia educazione è stata spartana, però non posso dire che un certo agio mi risultava molesto. Se l'ho anche adesso me lo godo. Se ho una certa posizione di preminenza per il mio interesse la faccio sentire, come si dice "stringo" ma senza esagerare.

Sono commenti crudi? 

Niente affatto. Le differenze ci sono, è ipocrita non ammetterlo e ci fanno anche comodo. Il razzismo non ha senso di esistere, perché l'essere umano fa schifo ovunque e con qualunque colore di pelle, eppure le discriminazioni razziali le si trovano in ogni etnia, si chiamano soldi. Perfino i neri tra loro fanno differenze secondo la gradazione di nero della pelle e non lo si crede solo perché non lo si conosce. E' stupido, ma succede ugualmente. 

Tra i miei parenti ho un cugino meticcio che amo tantissimo e chiamo bonariamente "mezza cottura" e non si offende certamente. C'è molta ipocrisia invece in Europa, mentre in Africa si chiamano anche tra loro "negro" e non si offende nessuno e onestamente a me sembra anche più simpatico come termine. Però mi adeguo alle usanze un po' perbeniste europee che scimmiottano gli americani; Loro veramente insultavano gli uomini di colore chiamandoli "nigger" quello si era un epiteto malevolo che non si adatta alla nostra lingua. In ogni caso come ho detto mi adeguo.

E' inutile poi fare finta di essere modesti, il modello Occidentale è il modello vincente e dominante sugli altri. Solo in Occidente si ha un po' di benessere generalizzato e la donna ha, sebbene con difficoltà, una posizione quasi paritaria con l'uomo, nel resto del mondo è invece considerata poco più di un animale da riproduzione. Le intellettuali figlie del privilegio ci dicono come dobbiamo vivere e a volte compaiono perfino in televisione o nei circoli culturali, le riconosci dal loro "Pomellato" al dito che indica e inneggia alle culture diverse da introdurre tout court nell'ordinamento europeo. Queste dame non hanno la minima idea di cosa parlano, poiché in quelle "culture" che a chiacchere vorrebbero introdurre, loro non potrebbero nemmeno parlare né tanto meno esibire la ricchezza. 

L'Occidente è elitario e non è affatto il migliore, ma è quello che offre di più, fornisce oggetti e servizi ad alcune persone togliendole ad altre. Non è giusto, ma quando la vita lo è stata?

Dove si è costruita mai una società dove il denaro non fa la differenza tra una vita miserabile e una decente? Dove si è visto un luogo dove l'essere umano non sfrutta il suo simile? 

I miliardari che senza tema di errore sono tutti dei gran bastardi, si mostrano mentre distribuiscono il cibo alla mensa dei poveri, ma potrebbero con tutto il denaro che hanno e che hanno rubato con i loro crimini economici, eliminare completamente la povertà. Se non è ipocrisia è certamente malvagità.

Di cosa parliamo allora?

In ogni caso lo sfruttamento c'è anche tra di loro cioè tra i poveri, tra gli ultimi della Terra e dunque anche tra i neri. In alto o in basso la ferocia umana resta identica. L'avidità è una malattia endemica nell'essere umano. Non cambia nulla, purtroppo. Il colore della pelle non è il vero problema, ma casomai lo è come ragiona un uomo o una donna; La differenza tra le persone è determinata dalla sensibilità, non dalle regole sancite dalla società. 

Ci si ostina a cambiare Leggi e non si cambiano le persone, si cambiano gli ordinamenti politici, ma non si cambiano le situazioni economiche che determinano la miseria, si cambiano le Religioni e si convertono a forza di follie le folle e non si fornisce alla gente il modo di studiare e di ragionare per comprendere la realtà e fare scelte adeguate. Come potremmo vivere in un altro Mondo se in definitiva cioè nella sostanza questo Mondo non cambia? 

Non cambia ed è semplice comprenderne il motivo. Chi decide sta bene, dunque non ha nessuna intenzione di cambiare le cose. Quelli che invece stanno male in realtà non vogliono cambiare il sistema, vogliono stare bene a loro volta e qualsiasi modello sociale glielo garantirà cercheranno di promuoverlo, ma in definitiva, visto che ognuno pensa a se stesso, quest'azione sarà debole e il  tentativo di mutamento inevitabilmente convergerà in quello che già esiste, nello status quo, a favore di chi  detiene il potere cioè: denaro, risorse, armi, soldati e mezzi di comunicazione. Si consente una certa contestazione per dare l'illusione di essere in un sistema democratico, ma nella sostanza quando questa "contestazione" arriva nella cosiddetta stanza dei bottoni si comporta esattamente come i precedenti rappresentanti del Governo. Dunque: "Tutto deve cambiare per rimanere lo stesso" chi ha letto Tomasi di Lampedusa conosce questa sentenza.

Si riflette poco quando si fanno dei bei discorsi e si disquisisce di solidarietà umana (è molto chic farlo) che l'élite non rinuncerà mai al suo tantissimo, quelli i soldi non li mollano, e se mai vi sarà una ridistribuzione della ricchezza sarà tra chi ha poco e chi non ha niente. E' un bellissimo pensiero questa coesione, questo altruismo però quando la propria madre o il proprio figlio moriranno tra le braccia dell'altruista, perché le poche medicine a disposizione che potevano salvarli sono andate che ne so? A favore dei berberi dell'Atlante, allora sarà tardi per cambiare idea. 

Si è di solito molto generosi con le cose degli altri, moderatamente invece con le proprie, ma solo quando si ha tanto, per nulla quando si ha solo il sufficiente e infine tantissimo quando non si ha niente. 

Ecco che la strategia dei grandi ricchi è mettere i poveri uno contro l'altro e in ogni caso da che mondo è mondo un miliardario sa molto bene che è facilissimo assumere dei poveri per eliminare altri poveri. Ha sempre funzionato.  

Nella storia umana si sono combattute centinaia di migliaia di guerre, possibile che nessuno ha mai notato che quelli che dichiarano le guerre poi non sono quelli che le combattono?

Solo a me è capitato di constatarlo? 

Non pare strano?

I figli di quelli importanti e con i soldi (che sono sempre gli stessi) non vanno al fronte, non finiscono nemmeno vittime dei bombardamenti. E' evidente che è un'inculata. Come si fa a non accorgersene? 

I poveri vanno al fronte e i ricchi invece non ci vanno. A me non sembra molto equo e alla fine del conflitto i poveri, se saranno ancora vivi, saranno certamente più poveri, mentre i ricchi saranno sicuramente vivi e sicuramente ricchi se non molto probabilmente più ricchi. 

Se l'essere umano fosse sano di mente la prima cosa che dovrebbe fare, appena gli consegnano un arma per andare a combattere le guerre degli altri, sarebbe quella di mettere il colpo in canna e sparare immediatamente a chi gliel'ha data, quindi continuare seguendo tutta la catena di comando, cioè eliminare quelli che vogliono la guerra, quelli sono il vero nemico, non certamente quelli che ti troverai di fronte se gli dai ascolto. Sei vuoi fare il soldato sii almeno un soldato libero, libero di uccidere chi vuoi veramente e non quello che ti indicano gli altri. Combatti per te stesso e per le persone che ami. Non c'è altro modo per fare la cosa giusta.

Ci vadano i politici e i miliardari a combattere. Tanto i confini rimangono uguali, tutto resta esattamente uguale, perché è tutto finto (tranne i morti ammazzati). Non si crede? 

Seconda guerra mondiale, 70 milioni di morti, confini degli stati: inalterati. Cosa è servito? In Germania si parla tedesco, in Francia, francese. Tutto è rimasto identico, tranne per quelli sotto terra ovviamente o senza una gamba o un braccio che guarda caso, erano i soliti poveri. 

Gli altri muoiono, gli altri soffrono, chi decide non soffre e muore di vecchiaia, perché gode pure di ottima salute.  

Si parla degli africani, dei problemi nel loro continente e della loro integrazione in Europa, ma qualcuno conosce veramente qualcuno di loro? 

Quelli che dicono cosa bisogna fare per loro o contro di loro hanno mai vissuto con un nero? 

Qualcuno si è preso la briga di capire come ragionano, quali sono le loro qualità e quali sono i loro difetti?

Bisogna guardare l'essere umano per quello che è, senza proiettare i propri stereotipi sull'altro, ma questo lo si può fare solo se non siamo uguali ed è per questo che dobbiamo conoscerci. Se fossimo realmente uguali andremmo d'accordo e non ci sarebbe bisogno di intendersi.

Questo lo affermo alla faccia di chi dice l'opposto per farsi bello e in realtà credendo di fare il buono crea la sofferenza negli altri e in se stesso proprio perché al di là della presunta bontà c'è la realtà. La realtà è la prima cosa da considerare. Per tale motivo ci sono molti problemi, ma se non si guardano alle cose del Mondo senza idee preconcette, mi domando come si possono avere soluzioni?

Una persona vede un nero (faccio un esempio, ma si applica a qualunque persona) e pensa: quello è come me. Non è così. 

L'altro è un altro Mondo, anzi un altro Universo.  L'essere umano va capito e non valutato sulla scorta delle proprie categorie, altrimenti sarà un disastro. Non bisogna essere ipocriti, bisogna guardare al peggio della gente e solo così, forse, i rapporti tra le persone potranno migliorare. 

Come si comprende un'altra persona?

E' abbastanza semplice. Bisogna conoscere cosa quella persona desidera e come cerca di ottenerla. Non c'è bisogno di test Psicologici.  Sono i desideri che rivelano le persone e le azioni li sottendono e li mostrano ulteriormente. Il modo di essere di una persona è mostrato dalla volizione cioè: gli esseri umani sono ciò che desiderano e questo determinerà il loro comportamento che li qualifica. Questo è il modo onesto di valutare obiettivamente un individuo. Il giudizio, che si usa come semplificazione, quando non si vuole o non si riesce a comprendere un altro essere umano, si forma facilmente valutando le azioni senza usare però giustificazioni che altrimenti invalidano una visione obiettiva. Se una persona, giusto per fare un esempio, ha un fucile e spara ad un'altra: è un assassino. Anche se giustificato dalla guerra e perfino se lo fa per legittima difesa. I desideri e le scelte conseguenti ai desideri che si chiamano fatti ci chiariscono. Le parole rispetto alla realtà sono spesso solo una mistificazione.

I ragionamenti semplici non sono mai facili. 

Qualcuno veramente può credere che uno Stato (come quello Italiano ma sono tutti uguali) che depreda i suoi cittadini con tasse inique e ruberie di ogni tipo, abbia a cuore non solo i suoi malcapitati cittadini, ma addirittura quelli di un'altra nazione che immigrano illegalmente? 

E' evidente che l'élite dietro questo Stato prepara l'ennesima fregatura per i suoi cittadini e cerca solamente qualcuno cui darne la colpa. 

Chi comanda è estremamente furbo, magari non è intelligente e non ha saggezza, ma scaltrezza ne ha da vendere. Il potere è il Diavolo per dirlo in maniera Biblica, dunque chiunque abbia questa attrazione morbosa verso il potere, oppure verso il denaro in maniera smodata, chiunque esercita lo sfruttamento del suo simile è un "servo del Male" come direbbero quelli che credono alla Divinità. Personalmente non mi domando di Dio nel senso stretto del termine. Non posso capirlo dunque non ha senso che mi faccia domande a riguardo. Invece sento come madre la Terra e padre il Sole. Gli amici magari mi considerano una persona con un po' di cultura e abbastanza raffinato, ma in realtà sono un primitivo. Quello che sento è vero, il resto non esiste. Ogni giorno mi connetto alla Terra e al Sole i miei veri genitori. A Loro non domando nulla se non di infondermi come Madre la forza e come Padre i propositi da realizzare con tale forza. "Dammi un corpo sano, una mente lucida, uno spirito indomabile per fare ciò che va fatto. Sono il vostro strumento, la mia vita non conta". Questo è scritto nel mio cuore, questo è il canto del mio Spirito. Ma che ne sanno gli altri? Come puoi condividere queste cose? 

La maggioranza pensa generalmente al campionato di calcio.

Una persona spiritualmente sana secondo me non ha le velleità e le ambizioni di quelli importanti, non vuole apparire, dichiarare le guerre, avere dieci Ferrari in garage. Non vuole dirigere e possedere le altre persone.

Tornando a un discorso antropologico e meno ieratico, diciamo meno da arruffapopolo, direi che il nero africano è strutturalmente diverso dal bianco, bisogna dirlo con obiettività. Intimamente ha un'energia che è come una lieve scossa che lo attraversa. Non è facile descriverlo, si percepisce. Noi bianchi non l'abbiamo questa particolare energia, almeno tra noi non la sentiamo. Nemmeno gli asiatici l'hanno cioè gli asiatici l'hanno, ma diversa. Ognuno ha la sua particolarità. Anche le reazioni sono completamente diverse. In generale il nero è mansueto e sebbene dotato di una forza fisica eccezionale è pigro e indolente. Se si arrabbia non è un gran pericolo, finché non comincia a dondolare la testa e gli occhi gli si iniettano di sangue. In quel momento è pericolosissimo ed è meglio sparagli in testa, altrimenti ti travolge e ti fa fuori senza scampo. In generale e per fortuna sono brave persone, solo che una volta che hanno mangiato non capiscono il motivo per cui devono lavorare ancora, una volta sazi o con sufficiente denaro per comprare il cibo per saziarsi, semplicemente si siedono e aspettano, e cosa aspettano? 

Aspettano di aver di nuovo fame. 

Questo certamente non è funzionale al sistema economico-industriale che governa il Mondo. Vivono alla giornata. Filosoficamente non è sbagliato, anzi ha molto senso, ma nel mondo moderno un ragionamento del genere non funziona.

A livello fisico come accennato non c'è paragone con altre etnie. Ricordo degli operai che scavavano un canale vicino a dove abitavo in città, lavoravano sotto un sole ustionante. Io sudavo anche all'ombra e facevo fatica perfino a respirare per via del soffoco per la polvere e il caldo. 

Questi "uomini di fatica" giganteschi erano come un metronomo, mentre scavavano la dura terra. Tum! Tum! Tum! Si abbatteva in questo modo il piccone sullo sterrato sino a romperlo e poi un altro con la pala tirava via la terra divelta. Dopo ore di questo lavoro che avrebbe ucciso qualunque bianco, questi uomini chiedevano il permesso e si fermavano, si accucciavano sui talloni come usano e succhiavano un pezzo di canna da zucchero, mentre bevevano un po' d'acqua. Dopo riprendevano apparentemente indifferenti alla fatica e madidi di sudore emanando un odore fortissimo. 

L'Africa ha un odore inconfondibile, dopo un po' lo hai addosso anche se ti lavi continuamente e alla fine ci fai l'abitudine, quasi non te ne accorgi più. Un odore che sa di stallatico, lepre, sabbia e cumino messi insieme. Escrementi animali e umani invece sono un po' ovunque, anche in città e i loro effluvi ti arrivano a sorpresa, magari mentre stai facendo una dichiarazione d'amore a una bella ragazza. C'è sempre qualche particolare che ti rovina la giornata. Non c'è mai niente che funziona come dovrebbe. Se funziona oggi, domani non funzionerà. Hai a disposizione donne bellissime, ma la maggioranza di queste ragazze hanno l'HIV o chissà quali malattie veneree. Se proprio ci vuoi andare insieme ti devi mettere un preservativo spesso come un copertone di un camion, solo così puoi arrivare alla mezza età. Gli Africani non usano il preservativo, perché dicono che è come mangiare una caramella con la carta. Nel caso del bianco un preservativo non basta ce ne vogliono almeno due ed è come mangiare un Kinder insieme con l'ovetto di plastica. L'Africa richiede uno stomaco forte e non solo per la cucina.  

Volendo spiegare e semplificando per forza di cose le differenze, faccio un esempio ludico, mentre un bianco balla semplicemente (neanche troppo bene) il nero è invasato dalla musica e mosso dal ritmo e lo si vede da come si muove; E questo accade perché è posseduto dalla "Forcer" ovvero dalla forza, detta precisamente: "Fuerza" come in spagnolo. 

Non è che sto facendo confusione con Star Wars, è proprio il modo con cui loro chiamano la Magia. 

Essa non è solamente un potere della persona, ma la magia è nei luoghi, nelle maschere, negli spiriti, nel rito. Essa è ovunque, almeno per chi la sa cogliere e usare. La Natura e il Magico colora la vita in Africa: è Africa. Queste cose lì  sono tangibili. Non se ne parla, perché sono evidenti in quei luoghi, sarebbe come se noi parlassimo del fuoco in cucina che scotta. 

Bisogna considerare che l'Africa è enorme e ci vivono quasi un miliardo di persone diverse e le particolarità che si possono cogliere sono ovviamente proprie della persona che si valuta, ma ci sono anche differenze tribali, religiose e culturali cioè di carattere generale. Sono caratteristiche molto profonde che un bianco stenta a riconoscere, perché nell'immaginario occidentale, gli africani sono tutti uguali. L'Africa invece è un continente diversissimo, perfino all'interno della medesima Nazione. Le idee che esprimo sono le mie considerarsi relative alla mia esperienza, certamente limitata, ma espressa con sincerità e credo perfino con obiettività. Non ho nulla da vendere a chi legge, dunque perché dovrei dire cose non vere? 

Solamente mi sono rotto il cazzo di sentire le puttanate dette a destra e a manca e così dico la mia, non per altra ragione che per amore di verità, perché così ho visto, così ho sentito e così ho vissuto. Questo è un resoconto nudo e crudo. 

In generale non si parla degli aspetti sociali più forti e contradditori africani, perché il loro modo non è rivelato al bianco sfruttatore. Si vergognano con noi. Questa realtà è difficile da capire e spesso se dichiarata è fraintesa, perché interpretata dai luoghi comuni della civiltà occidentale. 

Se vuoi comprendere qualcosa devi dimenticare ciò che sai.

Cercando di spiegare ulteriormente le differenze che esistono in un continente così vasto, antico eppure sempre giovane, moderno eppure selvaggio descrivo un altro fatto drammatico accaduto però a un mio conoscente. 

Un bianco che abitava vicino a casa mia e ogni tanto si imbucava da me a pranzo o a cena. Andava spesso al fiume a pescare, perché aveva per la pesca una vera passione. Un giorno un nero anche simpatico (come poi ho saputo) gli domandò della pesca, nacque così una chiacchierata tra loro che durò tutto il pomeriggio. Il giorno dopo questo nero, quasi amico ormai, lo incontrò di nuovo, nello stesso posto e, cosa da non credere, lo ammazzò per rubargli la canna da pesca. 

Non che ci fosse stata premeditazione; Perché per premeditare bisogna pensare prima e questa è un'attività poco in voga in Africa. Al nero semplicemente gli piaceva la canna da pesca e la prese. L'africano agisce generalmente d'impulso, nel caso descritto aveva preso una pietra e lo aveva colpito alla tempia, per soddisfare un desiderio che era maturato al momento senza valutare troppo le conseguenze. Al colmo dell'assurdo qualche giorno dopo, questo omicida ritornò esattamente nello stesso luogo a pescare con la canna da pesca che aveva preso. Per noi occidentali è un comportamento inconcepibile, invece per loro la cosa ha perfettamente senso, anche se sanno che non è giusto cioè conoscono le leggi, alla legalità non ci credono troppo. 

La legge esiste finché c'è il bastone. 

Passata una settimana per un africano è come fosse passata un'era geologica.

La realtà è che per loro è figo quello che fa il bianco. Non ci sopportano, e qualche buona ragione anche l'hanno, ma siamo comunque un irresistibile punto di riferimento. 

Il loro massimo piacere poi è fregare l'uomo bianco. Non si può immaginare una felicità più grande. Ne parlano e ne ridono per anni. 

E' come superare il "MENSA" il test d'intelligenza più arduo per un americano. Per noi non ha senso, ma in quei luoghi è una cosa normale. Vivono così.

Se però in quel posto cioè dove è avvenuto l'omicidio c'è la Polizia e qualcuno paga l'indagine, allora forse il colpevole verrà trovato e poi cosa gli succederà nessuno lo saprà tranne chi ha pagato l'indagine. Altrimenti non succederà niente. Di fatto la Polizia non arresta quasi nessuno, perché non esiste un vero apparato detentivo, le prigioni se ci sono, sono degli Inferni danteschi dove spesso non c'è nemmeno da mangiare. Non esiste un casellario giudiziario, una raccolta di impronte digitali. I documenti d'identità li hanno solo quelli che sono andati a scuola e lavorano. Non c'è nulla di quello che nel mondo bianco è necessario e scontato. Le indagini sono svolte a suon di manganellate e in questo modo si ottengono informazioni. Le cosiddette forze dell'ordine svolgono il loro lavoro picchiando la gente o facendo sparire quelli che hanno commesso qualche violazione o presunta tale. -E' andato a vivere "in" Foresta- oppure -E' uomo di Foresta- si diceva così di queste vicende che era meglio mantenere riservate. Se un ladro voleva continuare a fare il suo lavoro onestamente doveva dare una parte dei suoi proventi alla Polizia la cosiddetta "cagnotta" come si dice in gergo da noi, altrimenti la sua carriera non durava molto. Avviene la medesima  cosa nella nostra società, solo in maniera più dissimulata, quindi non bisogna scandalizzarsi troppo. 

Ogni giorno si assisteva in città alla sfilata dei vari ladri, stupratori e rei di ogni genere di reato. Le mani legate dietro la schiena e legati l'uno all'altro per il collo con un palo di legno, percorrevano le vie cittadine sorvegliati dalla Polizia. Il colpevole giunto nel luogo dove aveva commesso il fatto criminale, era slegato e fatto segno di diversi colpi di bastone che, se ritenuti sufficienti, dopo questa opinabile sentenza veniva liberato. Altro che Diritto. La Legge è un'entità molto originale e discrezionale in quei luoghi. 

Ho tanti ricordi di quegli anni selvaggi. Avevo un ragazzo che lavorava per i miei interessi, un tipo sveglio che però aveva una relazione con una cocotte cioè una "brava ragazza" e un giorno fu arrestato a causa di quella donna. 

Andai di corsa al commissariato prima che me lo sciupassero di legnate. 

Ci andai con un malloppo di soldi grande come un rotolo di carta igienica, le banconote locali cioè gli Zaire con l'effige del Presidente Mobutu Sese Seko, non valevano molto a causa della svalutazione e più che il portafoglio dovevi usare la busta per la spesa per portarti dietro i contanti. In ogni caso era una cifra congrua e misi questo rotolo sulla scrivania del Capitano della Stazione di Polizia senza dire una parola. L'ufficiale (che conoscevo) con un gesto rapidissimo della mano, molto divertente e degno di un esperto croupier, diede un colpetto al  rotolo di denaro che rotolò lungo tutta la scrivania e cadde esattamente nel cassetto già aperto. 

Fu un canestro degno del migliore Pivot!; Immediatamente la mia istanza di liberazione venne accolta. Altro che avvocato. 

Il mio uomo me lo portarono fuori da una cella ricavata sotto la scala che saliva al primo piano dove c'erano altri uffici. Era una sorta di gabbia per cani dove non si poteva stare neanche in piedi, vi erano stipati forse quindici neri, di loro si vedevano solo il bianco degli occhi spalancati dalla paura. Parevano animali terrorizzati. Finalmente vidi chi avevo pagato e lo dissi alla guardia; "No quello, l'altro" gridavo e indicavo per farmi intendere. Lo riconobbi grazie ai vestiti, altrimenti, ciao! Parevano tutti uguali. Quando fu fuori si inginocchiò per ringraziarmi manco fossi la Madonna, una sceneggiata napoletana che i neri usano quando combinavano qualche cazzata e vi ho creduto a malapena le prime dieci volte che l'ho veduta. Non è che dicono bugie è che sono proprio falsi.

Recitano sempre lo stesso copione. Non hanno fantasia nemmeno nelle menzogne.

Gli diedi invece un sonoro calcio nel didietro così si sarebbe ricordato di non prendermi per il sedere e gli dissi: "E' l'ultima volta che ti salvo il culo, i soldi te li scalo dallo stipendio e quella (la sua fidanzata) la devi lasciar perdere che ti porta sfortuna. Fine della questione!". 

Il concetto di responsabilità in generale è troppo arduo per il loro processo cognitivo, esiste al suo posto la fortuna o la sfortuna. Questi dati (illusori) per loro hanno senso. Tutto nella vita Africana è dominato da enti insostanziali fatti di superstizione, magia, fortuna e chissà che altro. Se una persona ha l'aria condizionata in casa e il frigorifero pieno in cucina non è perché lavora, guadagna e si compra queste cose, secondo loro è solo fortunato e questo "uomo fortunato" dovrà condividere questa sorte benevola con gli altri che invece sono sfortunati cioè quelli che si grattano le palle nere come il cioccolato fondente tutto il santo giorno. Ragionano così se si può chiamare ragionare questo modo di pensare. Certamente non facendo quasi niente a parte cercare un posto dove sedersi oppure un muro dove appoggiarsi, sono molto tranquilli e serafici. Lo sarebbero anche gli europei se non dovessero vivere con l'orologio in mano tutto il santo giorno per guadagnarsi il pane. 

Non si può dire che usino nel vivere un metodo scientifico. Personalmente non ho mai avuto nessuna intenzione di cambiare il loro modo di vivere e di pensare; Non ci sono riusciti i colonizzatori a forza di frustate e impiccagioni, figuriamoci se sia mai possibile fargli presente alcune realtà del mondo moderno quali il lavoro, le scelte e le conseguenze, le leggi e il Diritto, e una certa pianificazione della propria vita. Questi ragionamenti sono cose che non hanno senso per gli africani meno istruiti. Ho sempre cercato di capirli e di sfruttare questa conoscenza per i mei interessi e soprattutto per non farmi fregare. Quando sei in una situazione potenzialmente ostile tutto deve essere indirizzato alla tua sopravvivenza e sicurezza, perché se succede qualche cosa di pericoloso non sempre si ha il tempo di farvi fronte.

Non ho le velleità di certe persone che vogliono che tutti gli esseri umani del pianeta sposino le loro teorie sul vivere, insomma quelli che hanno sempre ragione, tanto per capirsi. Questa presunzione è troppo grande anche per me. A questo Mondo ci sono giunto che era già tutto fatto (male) e me ne andrò che sarà comunque fatto alla stessa maniera (male). Anche uomini eccezionali si sono rassegnati alla constatazione che il cambiamento è oltre l'azione del singolo. L'essere umano cambia solo per interesse e quando c'è l'interesse il cambiamento avviene immediatamente, altrimenti non si muove foglia. Siamo fatti così cioè comprendiamo molto bene ciò che ci conviene, il resto risulta indistinto.

Concludendo la narrazione della vicenda del mio uomo  lo presi per il bavero e me lo portai via, perché era mio, me lo ero comprato.  Da quelle parti funziona così in maniera un po' primitiva. 

Per tutti gli altri nella gabbia invece le pene corporali furono una realtà, visto che le pene detentive come detto, richiedono delle strutture che nessuno si sogna di costruire né ha i soldi per mantenerle. 

Appaino forse senza cuore questi miei ragionamenti? 

Ancora di più certi miei comportamenti? 

Per favore...Qui si parla di cose vere, mi spiace, ma le stronzate non sono invitate in questo scritto.

Comunque niente paura ho fatti terribili da narrare, ma compiuti da altri. Non che sia mai stato "buono" in vita mia, ma in confronto alla media nazionale congolese ero veramente una sorta di Gandhi. 

Una volta al mercato di Kinshasa che tutti chiamano "Marché des Voleurs" cioè "il Mercato dei Ladri", stavo comprando della frutta, quando arrivò una camionetta con dei militari a bordo e senza troppe scene, presero una donna anziana che vendeva della carne e la misero contro un muro e poi la fucilarono, immediatamente. La vecchia a quanto dicevano, vendeva carne umana, reato per cui era prevista una sentenza capitale immediata. L'anziana che fino a qualche momento prima era stata proprio vicino alla bancarella di frutta dove stavo contrattando il prezzo delle banane, teneva la carne che vendeva in vista a terra su una coperta con le mosche che le ronzavano intorno a nugoli. Appena i soldati agitarono il plaid per prendere "la prova di reato" sebbene fosse un po' tardi per raccogliere le prove visto che la condanna era già stata eseguita, le mosche a centinaia volarono via mostrando ossa bianche sporgenti da tranci di carne nerastra. L'avevano ammazzata senza processo, si dirà scandalizzati, ma in Africa non è una cosa tanto strana e inoltre nemmeno da noi il processo è garanzia di giustizia, anzi. 

In buona sostanza a me passò la fame per tutto il giorno e per una settimana non riuscii a mangiare una bistecca. Le altre persone che assistettero alla scena non ebbero reazioni particolari. Incuriosite guardavano e domandavano, ma si facevano subito dopo i fatti loro.

Vi è un'assuefazione all'orrore che credo si sviluppi non solo in Africa, ma ovunque per continuare a vivere con una certa serenità, mentre per poter dormire senza troppi incubi e potersi guardare allo specchio senza sputarsi in faccia nel riflesso, in questo sono competente: basta avere una scusa plausibile rivolta in modo convincente a se stesso. 

Si comprende facilmente che la televisione fa vedere un'altra Africa, i libri che ne parlano descrivono un altro Mondo. Secondo me però non è cambiata molto da ciò che ho visto, perché proprio in Congo qualche mese fa, un Ambasciatore italiano con annessa guardia del corpo dei Servizi ci hanno entrambi rimesso la pelle transitando in automobile lungo una pista fuori città, tra l'altro al seguito di un nutrito gruppo di funzionari governativi che li precedevano verso un raduno politico. Evidentemente il messaggio che è stato recapitato alla nostra Nazione non era quello che usualmente si considera "diplomatico". Questo è secondo la mia esperienza: Africa. 

La gente comune ha moltissime illusioni che chiama idee. Personalmente preferisco la realtà dei fatti che riconosco in maniera intuitiva cioè la realtà è quella cosa che nonostante quello che pensi anche immaginando, sperando o magari chiudendo gli occhi, appena li apri è quella che rimane esattamente davanti a te. 

Bisogna considerare obiettivamente cosa accade e cosa ha fatto accadere la cosa che è accaduta. Sembra banale, ma la maggioranza delle persone non lo fa. Si inventa un sacco di cose che crede vere e non vede quello che ha davanti agli occhi cioè la Realtà sono i fatti svincolati dalle parole che si usano per nasconderli, perché non piacciono tali fatti, oppure questi eventi non ci mostrano come vorremmo essere e allora con le chiacchere si cuce un vestito da indossare per non mostrarsi nudi. 

Dio invece, secondo la definizione di mio Padre che predo per buona, è quell'essere, quella forza, cui ti rivolgi con devozione e a volte con disperazione per avere aiuto e conforto. Insomma Dio è quello che ti ignora. Non mi occupo di Dio, perché non è possibile comprenderlo; Siamo uomini a contatto con i nostri simili e dobbiamo comprendere il modo di stare tra noi, poi forse potremo avere un contatto con Dio. Dobbiamo imparare ad andare d'accordo l'uno con l'altro, Dio verrà dopo, semmai verrà.

Tra le cose che ho imparato grazie alla Vita e alle esperienze, a volte durissime, cui ho avuto la fortuna di conoscere e superare ce ne una semplice che però non è così scontata che si conosca: Se vuoi l'aiuto di un altro devi essere sincero. Pare un comportamento semplice, ma non lo si fa. Bisogna ammettere i propri errori con umiltà solo così si "paga" l'aiuto regalato da un altro essere umano.

Tentando di capire l'Africa direi che non si può provare a comprenderla con i parametri del ragionamento, bisogna esserne pervasi e persuasi dalla sua natura contraddittoria. E' l'Africa che ti plasma non sei tu che la puoi cambiare.

Non parlo delle usanze strane e i riti magici con cui bisogna convivere che mi farebbero sconfinare in storie horror-fantasy.

Quindi resto all'interno di un maggior comprensibile perimetro aneddotico.

Un esempio divertente di vita africana sono i funerali delle morti ignote che si svolgono in corteo guidato dallo stregone che non è come si crede, ma vestito di tutto punto con giacca, ombrello e cappello. 

Descrivo questi fatti macabri non perché abbia un'anima dark, ma semplicemente perché l'Africa ti insegna  l'accettazione naturale della morte e per loro cioè per gli africani veri non è un evento particolarmente drammatico, ma spontaneo e onnipresente. Certamente soffrono per i lutti e tengono alla loro vita, ma poi alla fine si rassegnano alla grande legge dell'esistenza che include come benefit non voluto la fine. 

Marco Aurelio, diceva: "Tutte le cose nascono, crescono e finiscono". E poi aggiungeva: "Ecco! Ora hai visto il futuro". 

Tornando alla celebrazione funebre cui assistetti, la storia è presto detta, era morto un noto ladro ammazzato dalla Polizia. Tutti lo sapevano, ma nessuno lo diceva. 

Così la cassa del morto era trasportata a spalle lungo le strade alla ricerca dell'assassino, grazie allo stregone ovviamente. 

Un sussulto andava a destra, un altro e andava a sinistra. Perché la bara guidava la ricerca per trovare il colpevole. Una cosa da non credere! E si fece oltremodo seria la questione, quando il corteo giunse vicino al Commissariato. C'erano circa duecento parenti incazzati e quelli quando perdono la testa sono pericolosi. Uscì dal mandamento un poliziotto con il mitra. Sparò una raffica al cielo e come d'incanto la bara si diresse verso la foresta. Anche questo è Africa.

Non fu un evento generato da una superstizione in un  villaggio remoto, questo accadde in una delle più grandi città civili della Nazione. Dove però la gente di cultura andava all'Università, ma poi se si ammalava preferiva lo stregone al medico. Se un imprenditore doveva aprire un'attività commerciale si faceva aiutare dalla magia piuttosto che dai consigli di un Direttore di Banca. Se per caso una persona andava in un posto pericoloso, metteva gli amuleti sotto la maglietta con un cordino intorno al giro vita per non farli vedere, così erano più potenti. 

Questa è l'Africa nera non quello che raccontano ai turisti e devo dire che secondo me è anche più divertente.

Pare possibile a chi vive in Occidente? 

Non credo, le persone normalmente non sanno nulla della loro Nazione figuriamoci di un continente lontano, eppure è accaduto e molto probabilmente accade ancora oggi.

Nessuno racconta la vita autentica dell'Africa, perché verrebbe considerato un insulto al loro modo di vivere, ma solamente perché giudicato dalla nostra "cultura bianca".  Delle usanze, del loro modo di essere e di come vedono il mondo, nessun ha interesse a comprenderlo né tantomeno a descriverlo sinceramente. 

Chi generalmente lo testimonia con articoli o libri deve mediarlo per essere compreso e accettato da chi non conosce le cose per quello che sono. Chi fa un documentario, fa spettacolo e deve venderlo, anche le eventuali ricerche antropologiche e etnografiche sono spesate da istituti e intellettuali occidentali che non vogliono né possono essere sinceri né onesti, perché finirebbero in tribunale raccontando dei fatti così lontani dalla nostra realtà di plastica. Anche in occidente avvengono le stesse miserie, le medesime ingiustizie e gli stessi crimini, solo in proporzioni diverse e tutto è solamente meglio dissimulato. 

Se non mi si crede, alcune informazioni sono a disposizione pubblicamente per un eventuale confronto. 

Le attrazioni notturne di Kinshasa sono poco note, ma qualche giornalista coraggioso ne ha dato testimonianza. Perfino oggi vivono nelle strade della città, ventimila bambini abbandonati, sono: I bambini Stregone. Una legione di dannati ripudiati dalla propria famiglia che, quando ha un problema, invece di risolverlo preferisce incolpare uno dei tantissimi figli riconosciuti, naturali o illegittimi che gravitano intorno a questo nucleo di prolifici genitori. Si incolpa un figlio dei problemi della famiglia e lo si caccia da casa, perché ritenuto una sorta di stregone malefico, il quale si accanisce guarda un po' su questa innocente famigliola di ignoranti, superstiziosi e pezzi di merda che abbandona la propria creatura.

Così anche adesso le strade sono piene di questi disperati, senza speranza e soprattutto pericolosissimi, in quanto purtroppo un essere umano quando non mangia da una settimana, subisce un'impennata vertiginosa di aggressività e per avere un paio di dollari per sfamarsi, questi ragazzini sgozzerebbero anche San Giuseppe e Maria Vergine, e con qualche giustificazione, visto che hanno maturato una bassa opinione dei genitori in generale.

Quando ci vivevo erano moltissimi, forse quanti sono oggi e siccome andavo abbastanza spesso a trovare la mia fidanzata che viveva dall'altra parte della città, ogni volta questo viaggio serale era una roulette russa. Frequentavo questa bella ragazza congolese di buona famiglia cattolica, che abitava in una zona residenziale e che studiava per diventare infermiera. A me non piacciono molto le donne di colore, ma lei era veramente bella. Dovevo per raggiungerla attraversare di notte una buona parte della città e transitare per diversi quartieri malfamati. Era come inoltrarsi in un campo minato. Una volta giunto a destinazione ci sistemavamo in un Albergo vicino alla casa dei suoi, giusto per salvare le apparenze e passavamo insieme tutta la notte, anche se dormivamo poco. 

La sua famiglia chiudeva un occhio sul nostro amore al di fuori dei sacramenti. Alla mattina l'accompagnavo alla Scuola Professionale e ci salutavamo come due bravi ragazzi. Un quadretto idilliaco, sebbene la mia realtà era un pochino diversa. 

Giravo sempre armato e lo potevo fare grazie a un permesso che avevo comprato insieme a una pistola cinese (Norinco) da un ufficiale di Polizia. Non costava molto e funzionava bene. Non era un fatto particolare questa precauzione visto i tempi e le situazioni. In automobile avevo sempre i finestrini abbassati e ponevo l'automatica con colpo in canna, pronta-mano, sistemata con un "accrocchio" per nasconderla sotto il piantone dello sterzo. Quando andavo da "mon chéri" non mi fermavo ai semafori, perché appena rallentavo uscivano dai giardini a lato della strada gli "assaltanti" così chiamavo quei criminali. 

Come uomo bianco a bordo di un automobile di notte ero come una forma di groviera fluorescente che rotolava davanti a dei topi affamati cioè ero un'occasione ghiotta e irresistibile per questi pittoreschi figuranti che animavano, diciamo così, la vita notturna cittadina. 

Si potrebbero pensare che vivevo in un incubo, ma per me era bello. La vita ordinaria mi stufa. Diciamo che se non rischio di morire per qualche accidente, rischio ugualmente di morire per la noia. L'adrenalina delle situazioni estreme è una droga potentissima che crea una forte dipendenza. La vita normale, poi sembra non avere più sapore. 

Parlando un po' per tutti, direi che ci si assuefa' alla routine dei giorni quasi uguali come fosse un supplizio sopportabile, ma è subdola questa condanna, perché non ci esaspera al punto da ribellarci. Ci convinciamo che se oggi sarà come ieri, allora non moriremo. Questo è il pensiero che sostiene una vita ripetitiva. Pare insensato, ma le nostre pulsioni come la sopravvivenza non sono razionali, sono sostenute da similitudini mentre le uguaglianze appartengono più propriamente al pensiero logico. La realtà è invece sempre diversa e seppure lo sappiamo bene questo dato in genere terrorizza. Ecco che una vita routinaria offre al suo proprietario una parvenza di sicurezza che obiettivamente non esiste.

Invece a quei tempi la mia esistenza era tutto meno che scontata. Ogni giorno era un regalo della sorte. Sfrecciavo nella notte come una candida meteora, per dirlo in poesia, ma a volte a causa del traffico o per via di qualche incidente oppure per un ingorgo dovevo fermarmi e subivo la poco gradita visita di questi "spettri notturni" che esorcizzavo esplodendo alcuni colpi di pistola sul selciato; Gridavo: Toca! Toca! che in lingua locale significa "Via! Vattene" e riprendevo senza intoppi la mia passeggiata notturna in automobile sino a giungere dal mio amore dolcissimo. Prima che lei uscisse di casa però dovevo togliere i bossoli dall'abitacolo; Non volevo farla preoccupare.

Diavolo, il mio famigerato cane da guardia non poteva venire con me, altrimenti mi avrebbe sbranato la fidanzata e dunque aveva poco senso affrontare tutte quelle peripezie solo per dargli da mangiare. 

Una volta per sbaglio (eppure ho una buona mira) colpii uno di questi delinquenti di strada nel piede. Far fuoco con una mano sola richiede parecchio addestramento per essere precisi, in particolare se l'arma è pesante e lo si fa da seduti in automobile. Bisogna porre la pistola fuori dall'abitacolo, altrimenti la detonazione ti rompe i timpani. Oppure più semplicemente si usano dei tappi per le orecchie. Inoltre puntare alle gambe per difendersi da un'aggressione non è una buona strategia, più che altro la mia azione era un'intimidazione e un disincentivo. Devo dire che comunque un calibro 45 ACP oltre a fare un gran botto fa anche un bel danno. Colpire il piede favorisce in maniera notevole il salto sul posto con una gamba sola da parte del suo proprietario. Non si può immaginare quanto migliora l'elevazione una stimolazione del genere. Non la proporrei nel training d'allenamento degli sportivi, ma garantisco che fa fare dei gran salti, non ne ho mai visti di così prodigiosi.

E' curioso come colpire il piede faccia saltare il malcapitato, mentre il ginocchio lo fa cadere. Le urla generalmente arrivano un po' dopo, perché l'essere umano ci mette un po' a realizzare il fatto. In realtà una volta colpiti da una pallottola, si sente come un morso e subito dopo una sensazione di bruciore molto forte. Più che altro scotta, il vero dolore arriverà dopo. Lo so per esperienza personale; Lo sperimentai quando fui colpito da una frazione di proiettile di rimbalzo alla mano sinistra dove a ricordarmelo ho ancora una cicatrice. 

Ci sono tre tipi di ferite al seguito di un colpo con munizionamento a palla. Quella alla testa che disperde intorno alla vittima una sorta di nuvola di sangue nebulizzata, un'altra diretta al corpo che provoca un sanguinamento esterno, a volte con getti copiosi se colpisce un'arteria e infine quella che lo fa sanguinare internamente, quest'ultima semmai ancora più pericolosa, perché non lascia scampo. La morte non è mai istantanea, almeno se non si è colpiti al capo o al midollo allungato alla base della nuca. C'è una differenza tecnica tra la perdita di coscienza e dunque di pericolosità e il decesso vero e proprio del cosiddetto nemico. A volte la reattività di un essere umano perdura anche per trenta, quaranta secondi sebbene il colpo sia fatale. Questo in un contesto operativo è un'enormità di tempo che non ci si può permettere. Trovo la traumatologia una scienza affascinante, ma solo se applicata agli altri. 

La rabbia è da evitare in tali frangenti movimentati, perché si è sempre puniti non per essa, ma a causa di essa. Il mio suggerimento è di rimanere sempre distaccati da questo tipo d'emozione. Meglio essere freddi.

Sebbene la trovi una storia comica non la racconto più, perché gli amici che una volta l'hanno ascoltata mi hanno fatto delle strane facce serie ed è calato subito dopo un silenzio imbarazzato. Probabilmente non hanno gradito.

A essere sinceri si rischia sempre il peggio, questo è una verità universalmente nota, dunque è una virtù da usare con parsimonia. 

Nelle discussioni con chi non conosce queste realtà esotiche si cucina qualcosa di commestibile "pur le blanc" o "for the Masta (contrazione di master)" come si dice dove si parla inglese e la cosa finisce così. Altrimenti sorgono infinite polemiche etiche e morali.

L'ipocrisia a questo mondo regna sovrana e si preferisce dar conto del numero di coiti di un leone in un Parco Nazionale, piuttosto che denunciare le problematiche scomode, i  "blood diamond" che sono ancora commerciati e sono tra le ragioni dei conflitti africani come le risorse minerarie di terre rare. Lo smaltimento dei rifiuti tossici. La sperimentazione di armi biologiche. Il nuovo colonialismo invece ha gli occhi a mandorla, è cinese e anche di questo non se ne parla. L'Africa è un paese enormemente ricco e grandissimo, nella sua rappresentazione nel planisfero sembra più piccola, ma è più grande della Russia, è un adattamento della proiezione conica con cui si rappresenta una figura sferica su un piano bidimensionale.

La mia posizione personale in quei tempi scellerati e a prescindere dalla mia innata abilità di sapermi arrangiare, era ben garantita. Altrimenti non sarei campato una settimana. 

Mio Zio era tra gli altri un ottimo aggancio, in quanto ammanicato con molte persone influenti, perché si occupava oltre che di aiuti umanitari, di costruzioni di pozzi d'acqua e di ospedali per la comunità congolese; A volte fungeva da aiuto-Attaché diplomatico. Se un politico voleva ottenere sostegno doveva comunque fare qualcosa per i suoi elettori e così si mettevano gli aiuti umanitari pagati dall'occidente a favore della politica locale. In questo modo l'occidente anche oggi, esercita un credito e un'influenza sulle vicende  africane. "Do ut des" -Ti do affinché tu mi dia- questo è in una frase la summa della vita umana. Precisamente a quello che succede da noi in occidente. Dunque allora sfruttando le sue conoscenze Politiche, Militari e all'interno della Polizia ero abbastanza ben accetto da quasi tutti e potevo muovermi agilmente disponendo di ogni tipo di permesso. 

Mio Zio era un uomo eccezionale, sia per umorismo e soprattutto per pragmatismo. Era sempre di buon umore, i problemi con lui diventavano occasioni per fare affari; Era una fonte di informazioni inesauribile. Mi ha insegnato molto del Continente Nero. Ha vissuto in Africa per  oltre trent'anni. Ora purtroppo non c'è più e mi manca terribilmente. 

Se si vive sufficientemente a lungo ci si trova ad essere dei sopravvissuti. E' come nel film Highlander: "Alla fine ne resterà solo uno". Arrivi sempre in solitaria all'ultimo traguardo.  Lungo il sentiero della vita ho perso molti amici. Alcuni morti giovani, altri un po' dopo la mezza età; Di malattia, incidente, un paio me li hanno ammazzati. Sono andati avanti prima, così penso, non gli chiedo di aspettarmi li raggiungerò comunque.

Considerazioni personali e filosofiche a parte, in Congo riuscivo a fare i miei affari senza pestare troppo i piedi agli altri e soprattutto riuscivo a non farmeli pestare. In poco tempo mi ero integrato perfettamente. I soldi che guadagnavo li depositavo in Gabon in un Conto Bancario Estero, mantenendo la valuta in Dollari. Il Gabon è una piccola Nazione centroafricana politicamente stabile, un ottimo posto dove vivere purtroppo piove sempre e io non sopporto la pioggia, perché mi deprime. 

Ero sempre in giro, non stavo mai fermo. Grazie al cielo ho sempre goduto di una vitalità eccezionale.

Avrei avuto l'occasione di guadagnare moltissimo denaro oltre ai proventi del mio lavoro diciamo istituzionale. Avevo la possibilità di comprare diamanti grezzi rubati dalle miniere. I minatori quando potevano se li mettevano nel culo per evitare i controlli e li vendevano a dei gruppi paramilitari che operavano nella Savana. Successivamente avrei potuto importarli illegalmente, imboscandoli in un tubo aggiunto in qualche macchinario, riempiendolo di sabbia e poi saldandolo, all'interno per esempio delle macchine agricole che gestiva mio zio e  che tornavano in Europa per la manutenzione.

Non c'era possibilità di controllo da parte delle varie Dogane, perché allora non disponevano di macchine a raggi X portatili.  I controlli avvenivano grazie al peso di queste macchine agricole, ma non avrebbero subito variazioni notevoli. Non lo feci, ma non perché avevo degli scrupoli, allora non sapevo nemmeno cosa fossero. 

Va puntualizzato che entrare nella giungla per arrivare in contatto con quelle forze militari, senza garanzie rasentava il suicidio. Pensai, almeno in un primo tempo, che mi fosse invece possibile. Avevo conoscenze in quel settore, grazie ad alcuni "Dogs" dei "Terribili" scampati ai precedenti conflitti con cui avevo fatto amicizia. Il guadagno era notevole e avrei usufruito anche di un contatto ad Anversa per il taglio e la messa sul mercato di questa importazione diciamo "parallela". Oggigiorno i diamanti hanno una cifratura interna fatta con il laser, ma allora non era ancora in uso. Fu mio Zio a dissuadermi da questo progetto "non autorizzato" perché secondo lui, mi avrebbero fatto fuori proprio quelli che dovevano garantire la mia sicurezza; Probabilmente aveva ragione. Aveva molte informazioni locali non ufficiali di cui non disponevo. In ogni caso mi affidai senza riserve alla sua esperienza di uomo saggio, perché ero certo che mi voleva veramente bene cioè oltre i propri interessi. Così lasciai perdere. Ogni tanto ancora ci penso e mi immagino milionario oppure in lenta decomposizione sotto sei piedi di terra africana e questo mi fa sorridere.

Quando invece vedo i documentari sull'Africa rido fino alle lacrime, perché quello che riprendono e descrivono non è la realtà o perlomeno non è quella che ho vissuto che è stata molto più cruda. Ad esempio affrontare il problema dei bracconieri che cacciano gli animali e in particolare gli elefanti per l'avorio, usando le guardie nei Parchi Nazionali è ridicolo. 

Non ho ancora capito se chi fa questi "prodotti culturali" per il grande pubblico "ci fa o ci è" perché probabilmente non hanno mai visto come si ammazzano veramente gli elefanti. Si usa il Kalashnikov (AK), un particolare fucile automatico d'assalto russo che a parità di calibro 7,62 ha una maggiore capacità di penetrazione del proiettile, credo dovuta a più spire della rigatura interna della canna. Oggigiorno per le armi da guerra si usa un calibro diverso 5,56 più piccolo, ma terribile, grazie a una piccola barra di acciaio all'interno, appena oltre l'ogiva che determina la rotazione sul proprio asse della pallottola una volta che penetra nel bersaglio e così girando su se stessa crea effetti devastanti sulla vittima, detta anche nemico. Nei film si vedono i soldati colpiti, a volte al braccio oppure alla gamba, che continuano a combattere e perfino a parlare imperterriti, manco fossero Superman. Nella realtà un calibro da guerra spicca via direttamente un arto dal corpo. Non si grida e non si cade vistosamente quando si è colpiti dai colpi di un'arma da fuoco; C'è una sorta di sbuffo, un'espirazione violenta come un: "Uh!" che assomiglia a quando si riceve un pugno allo stomaco e dopo un po' il corpo si affloscia. Non solo si spegne di vita, ma è proprio svuotato di essa. Non è esattamente come si vede al Cinema. Nel combattimento ravvicinato cioè con le armi da taglio, è invece molto più impressionante e feroce; Ci si sporca completamente di rosso e per chi non è abituato può essere scioccante sentire l'odore metallico del sangue che pare soffocarti ed esaltarti nel medesimo tempo. Ad alcune persone fa senso sentire il calore del sangue appiccicoso sulle braccia o in faccia. A me lascia indifferente è solo un casino da pulire.  L'accortezza da avere è penetrare poco oltre quattro dita nel corpo per raggiungere gli organi interni ed evitare che il coltello penetri ulteriormente e resti incastrato, non solo tra le ossa e le articolazioni, ma anche per via della pressione interna del corpo stesso che può determinare una specie di effetto "tappo" che non consente l'estrazione e si risolve usando il filo della lama per aprirsi un varco, almeno se si trova spazio. Quando la lama resta bloccata, diciamo che porta a un certo "imbarazzo" nell'azione. Non è professionale. Il combattimento a mani nude non è molto adatto per sopprimere un altro essere umano, si può fare, ma in questo caso richiede notevole forza e perizia. E' il motivo per cui quando si esegue quel mestiere si usano le armi.

Mi rendo perfettamente conto che sono descrizioni quasi da criminale e al limite del disumano, ma appartengono invece proprio alla natura dell'Uomo, quando è nella condizione più estrema, disperata e queste azioni sono spesso rivelatrici della sua natura violenta. 

Parlo dunque in generale e lo dico perché non vorrei prendermi un ergastolo solo per descrivere alcune cose che esistono, ma non mi appartengono. 

Ho dei principi etici moto solidi, ma avendo vissuto e fatto cose pericolose ho per esigenze di sopravvivenza dovuto prepararmi a queste condizioni. Non per cattiveria, ma per necessità. Il mio è un discorso di carattere generale, ma anche profondo e riguarda la vera natura umana. C'è ancora molto male in ognuno ed è spesso solo sopito, represso, mistificato. La sincerità è una medicina amara, ma efficace per curare questi comportamenti insani. Ed è il motivo per cui scrivo.

Senza realizzare la propria cattiveria non si può esercitare compiutamente la propria bontà. 

Bisogna risvegliarsi alla vera natura dell'uomo che è generalmente sottoposto a un condizionamento fortissimo che gli permette di vivere in quell'aggregato sociale folle che chiamiamo società civile. A volte per rabbia, stress oppure per paura queste catene vengono spezzate e una persona compie degli atti abominevoli, senza quasi rendersene troppo conto. Nell'addestramento militare migliore questa "liberazione" è fatta in maniera scientifica e si ottiene il cosiddetto nullaosta di "ready to combat" che in realtà è un "ready to kill". Poiché lo scopo in un teatro di conflitto estremo non è combattere, ma uccidere. Questo porterà il soggetto a svincolarsi da alcune inibizioni scoprendo una parte della propria natura autentica che esiste in ogni persona. Ovviamente non si riconoscerà più nemmeno se si guarda allo specchio. 

C'è una storia istruttiva ed esemplificativa di quello che descrivo: "Quatto uomini si diedero appuntamento in un ristorante. Al tavolo prenotato si sedettero, l'uomo che credevo di essere, l'uomo che ero veramente, insieme all'uomo che gli altri credevano che fossi e da ultimo l'uomo che avrei potuto essere. Tra loro non passò nemmeno un cenno di riconoscimento. Erano completamente estranei l'uno all'altro.". 

Agli elefanti invece si spara da un elicottero e non si va certo con il fuoristrada a far fuoco contro di loro come a un poligono di tiro, perché questo farebbe campare molto poco il bracconiere. 

Infatti i pachidermi vivono in branco e si difendono l'uno con l'altro. Avete presente una carica di elefanti pazzi di furia? 

Il fuoristrada un branco infuriato prima lo infila nel culo e poi lo mette di traverso come lapide al bracconiere. 

Un tempo si utilizzavano fucili da caccia grossa con un particolare munizionamento ad altro potenziale (300 Win Mag) e si combinava con un'ottica che permetteva il tiro di precisione da lunga distanza. Questo tipo di caccia era comunque estremamente rischiosa e si operava solo su esemplari solitari che sono però difficili da trovare, mentre i branchi di pachidermi si muovono alla luce del Sole con molta sicurezza. 

Non bisogna mai mettersi tra gli elefanti e la loro pista, ne sanno qualcosa i rinoceronti che sono miopi e non li vedono sino a che non gli arrivano addosso e li ammazzano senza troppi problemi.

La caccia d'appostamento era propria del periodo coloniale, diciamo una sorta di Ancien Regime africano, ed era fatta comunque da persone molto esperte, perché altrimenti finiva male. Bisogna intendere che un'arma da fuoco fornisce un gran vantaggio ad un uomo, ma non è garanzia di vittoria. Lo possono confermare molti cacciatori sotterrati prematuramente al cimitero dei bianchi.

Le persone non hanno la minima idea di che cos'è un elefante africano. E' una montagna grigia cui solo il barrito terrorizza mezza Savana. Non si può nemmeno immaginare quanto danno possano fare degli animali così quando sono infuriati. Un gruppo di elefanti può uccidere un intero villaggio in pochi minuti e questo può succedere solamente perché non sono state coperte completamente le tracce della caccia. Gli elefanti di un branco seguono la pista olfattiva, quando viene ammazzato uno di loro e si vendicano con tutti gli uomini che incontrano nel villaggio dove si trovano i resti di quell'animale cacciato che generalmente sono mangiati (la proboscide in particolare). Sebbene lo sanno bene le persone del luogo che adottano delle contromisure per coprire le tracce, di solito se c'è tempo affumicano la carne oppure orinano sulla carcassa, ma può capitare che non sia sufficiente. La fame è brutta, ma la vendetta degli elefanti è terribile. 

Invece in elicottero non ci sono questi problemi, i bracconieri (chiamiamoli così, perché definirli con il grado militare o di polizia forse sta male) sparano raffiche dall'alto e appena si disperde il branco, abbattono l'animale scelto, atterrano e gli si tagliano le zanne con una motosega, legandole ancora sanguinanti di traverso sui pattini dell'elicottero e poi via in cinque minuti. Si porterà successivamente l'avorio in Sudan e da lì verso il vero mercato da cui arriverà il ricavo cioè la Penisola Arabica. 

Con il denaro intascato si compreranno armi e munizioni, droga e quant'altro, mantenendo un circolo vizioso di malvagità e miseria. Il mercato che permette queste transazioni illegali è quello del medio-oriente dove le Leggi internazionali non solo non sono arrivate, ma verso cui neanche sono mai partite. 

Il mercato africano compra molte armi per via delle guerre tra stati e per i conflitti interni sia etnici che religiosi, i quali mascherano invece gli interessi economici. 

Gli Elefanti per me sono animali magici, hanno un'immensa conoscenza quasi come le loro dimensioni. Quando salutano i loro cari estinti, i membri con con cui hanno avuto relazioni forti e che sono morti, hanno un rituale bellissimo. Si avvicinano alle spoglie di chi è andato e pongono la proboscide sul loro orecchio sinistro, è il loro modo di dire addio. Poi con dignità si allontanano. La sacralità di un tale atto si percepisce fortissimo, almeno a me è capitato di vederlo e rimanerne affascinato. Sono esseri molto sensibili e veramente misteriosi e forse anche più saggi di noi.  

Mi ricordo a proposito di altri animali che vi fu un periodo dove la stagione della pioggia tardò ad arrivare e successivamente i campi produssero poco. La penuria di cibo raggiunse anche i soldati dell'Esercito, in particolare quelli di stanza nei luoghi più remoti che risolsero il problema sfamandosi con gli ippopotami, riuscendo anche a guadagnarci sopra vendendo la carne pregiata ai contadini affamati. Questi mammiferi enormi derivanti dai cetacei, il cui peso può arrivare anche a quattro tonnellate, erano uccisi mettendo le mine anticarro vicino ai fiumi dove sguazzavano e facendoli esplodere. Un modo sicuro di cacciarli visto la loro pericolosità, infatti andargli vicino non è affatto consigliabile. Questi eventi ormai per fortuna rari avvenivano molto lontano dalle città. Fuori dalla circoscrizione civile non c'era né Legge né Stato in Congo.

Questo è tra gli altri il motivo d'estinzione delle specie protette: i soldi; Ma per vendere e guadagnare ci deve essere qualcuno che compra e un mercato dove le cose sono vendute. 

Quello che dicono in Televisione non è mai vero, solo ai cretini cioè quelli che parlano e sono disinformati, solo a loro, le soluzioni prospettate nei telegiornali, sulla Stampa o nelle trasmissioni a tema possono sembrare originali e utili. 

Il problema non è propriamente in Africa, ma è nel Golfo Persico. 

In quei paesi arabi fanno quello che gli pare, sono nazioni dove spariscono le donne (belle) e gli uomini (scomodi) figuriamoci le zanne di un elefante. Il mercato arabo inoltre compra magia e pare non poterlo credere in paesi mussulmani, eppure si acquistano maschere e amuleti che contengono "Fuerza" fermo restando che ci sono molti falsi, ma le magie autentiche invece hanno prezzi da capogiro a Muscat, Dubai oppure a Riad. 

Pochi forse le conoscono queste cose, ancora meno sono quelli che ne parlano, eppure succedono anche in questo preciso momento. 

A me non interessa cambiare il mondo, mi interessa solo conoscerlo per quello che è. Ed è già una bella impresa.

I giornalisti e gli studiosi, si affidano a dei mediatori culturali e a guide locali oppure altri giornalisti neri che non sono più dei "veri" africani. Ragionano come i bianchi e dunque non mostrano quello che non sono più. 

Non si vedono queste cose e se si vedono non si raccontano come ho detto per diversi buoni motivi. A me è successo di assistervi cioè non me la sono andata a cercare propriamente quella realtà, questa autenticità mi è caduta addosso. Ho vissuto un poco lì e i miei affari erano in contatto con la vita africana per quella che è, ma a volte è stato molto pericoloso. 

La vita in quei luoghi può valere poco e durare anche meno.  

Ancora sulla scorta dei ricordi c'era un villaggio lontano dove spesso mi fermavo a far rifornimento e riposarmi quando andavo a Sud in Zambia e perfino in Mozambico, mentre alle isole Comore dove avevo svolto un incarico ci arrivavo più comodamente in aereo da Nairobi in Kenya. 

Preferivo quel villaggio ad altri, perché lo conoscevo bene, infatti non sono tutti uguali i villaggi nella medesima Nazione. In alcuni arrivi e sei come il dottor Schweitzer cioè sei il benvenuto e visto come una medicina e in altri finisci come il dottor Livingstone ovvero non si sa più dove sei finito.  

Vicino alla stazione di sevizio dove facevo rifornimento c'erano diverse capanne e in particolare quella dove abitava una famiglia di brave persone con diversi figli e un bambino: Dudù, che mi salutava sempre con affetto sincero. Era un ragazzino intelligente e simpaticissimo, parlava francese molto bene. In generale erano tutti molto cordiali in quel posto. Poi un giorno arrivai e quel bambino non lo vidi. Chiesi notizie alla sua mamma e lei mi portò a salutarlo. Era morto il giorno prima e solamente perché la madre non aveva un dollaro (uno non cento) per comprargli il Chinino per la Malaria.  

Adesso questo flagello si cura anche con un estratto di Artemisia (Artemeter) scoperto però nel 2015 cui è stato assegnato il premio Nobel per la Medicina a una ricercatrice cinese (Youyou Tu). 

Ma si sa che il progresso arriva sempre tardi.

Esistono due sistemi di ricerca farmacologica cioè per creare nuove molecole tramite prospezioni biologiche. Il primo è tramite un "drug-design", mentre il secondo metodo con molecole naturali testate  per verificare se hanno effetto su una malattia. Quest'ultimo è stato il sistema utilizzato per la scoperta.

Mi sarei accecato per non vedere quel ragazzino morto. Una fine determinata non dalla mancanza di una cura, ma dalla mancanza di disponibilità di denaro per usarla su un bambino, e questo fa veramente schifo per tutta l'umanità in generale, perché siamo tutti responsabili di questo sistema economico spietato che manteniamo inalterato solo perché ci fa comodo. Di Dudù invece non gliene fotteva una mazza a nessuno, è così che vanno le cose. Era rimasto di lui solo un corpicino gonfio, biancastro con le labbra livide, adagiato su una stuoia rotta a terra. Può un bambino così bello, intelligente e vivace finire così? 

Come può essere giusto questo Mondo se accadono fatti del genere?

Non ho una risposta e semmai l'avessi non sarebbe educata.

Quando capiterà di vederlo si potrà comprenderlo, ma non si rimarrà gli stessi di prima. Questo lo garantisco. Sono stato una pellaccia, ma quell'esperienza mi ha fatto male. Certe cose bruciano dentro e ti segnano per sempre.

Dudù, era lì in attesa di essere sotterrato, lo ricordo come se fosse ora, inerte come lo sono quelli che non vivono più. 

Vidi il suo spirito danzare vicino al suo corpo. A volte succede. I morti rispondono se sai come domandare e allora gli chiesi: com'è?

Ho fatto qualche volta questa domanda ai morti e ho udito sempre la stessa risposta: "Era meglio essere vivi".

Una sentenza che sembra terribile e senza speranza, ma la intendo in un altro modo; Vivere è toccare, amare, soffrire e anche gioire, ma soprattutto è compiere, perché nell'Oltre tutte queste cose non le potremo più fare. Per questo appare meglio vivere.

Ecco com'è

Sarebbero bastati tre giorni, sarei dovuto partire prima, ma avevo rimandato per pigrizia o per chissà per quale motivo futile. Glielo avrei dato io il Chinino (lo portavo sempre con me) e ora forse sarebbe ancora vivo. Era tardi oramai. Il Destino si era compiuto per lui, ma come essere umano non posso fare a meno di trovare una colpa nelle cose che accadono e ho sofferto per questo profondamente, anche se effettivamente non era stata colpa mia mi sentivo in qualche modo responsabile. Siamo Uomini dobbiamo capirci per renderci forse diversi e magari migliori. Avrei forse potuto evitare almeno di vederlo e risparmiarmi quella brutta scena, ma la mia natura è spesso contradditoria e ho bisogno di guardare in faccia le cose per quello che sono. Forse volevo punirmi della mia indolenza. I "mostri" così chiamo queste pulsioni e questi eventi che devo guardare negli occhi. Non posso farci nulla. E' un desiderio d'autenticità che non si estingue mai.

A parte le lacrime versate per quell'innocente, forse perché con gli anni sono diventato un po' sentimentale o forse mi sono rammollito, trovo che i neri a volte siano meravigliosi, in particolare quando sono bambini con quei sorrisi indescrivibili e quegli occhi brillanti pieni di dolcezza e vita, e poi? 

Poi crescono. 

Come succede ad ogni fottuto essere umano, me compreso. 

E' assurdo fornire il cibo con adozioni a distanza, quando queste piccole creature moriranno comunque per la malaria che è la vera piaga del continente africano, non certo la mancanza di cibo. Le carestie sono palle che si vendono per fare soldi con gli aiuti umanitari. Il problema reale è invece endemico ed è la Malaria che uccide un milione di africani ogni anno. Certamente ogni tanto e solo in alcune nazioni c'è la siccità e poi la carestia. Quel tipo di disagio è per fortuna circoscritto, mentre la Malaria invece è ovunque. Nessuno la vuole debellare per motivi economici e per sperimentare impunemente armi di contagio con strumenti zoologici. L'Africa è anche un laboratorio militare. In ogni caso negli anni sessanta erano trecento milioni i suoi abitanti, oggi sono un miliardo. Da mangiare ce ne abbastanza, perché se una persona non mangia non ha certamente la voglia né la forza di scopare. Dunque non la raccontano giusta. Certamente più gente c'è meno c'è da mangiare, questo lo sa qualunque famiglia. Se si fanno venti figli a coppia, probabilmente qualche problema di mantenimento si avrà, non è cattiveria è matematica, ma pare impossibile farglielo capire. I maschi africani non riescono e non vogliono tirare indietro il culo sul più bello. Questa è la verità, sono degli egoisti altro che "cultura".

Se non mi si perdona il cinismo, almeno mi si conceda una punta di autocommiserazione. Tutti nasciamo innocenti e ci ritroviamo dopo un pugno d'anni a essere dei gran figli di puttana, salvando certamente la reputazione delle mamme. 

Le porte del Paradiso dei Cristiani per me non si apriranno, questo lo so bene ed è per questo che prevale un certo agnosticismo nella mia concezione spirituale, semplicemente mi conviene. La redenzione non ha senso, perché non c'è possibilità di rimediare agli errori e agli orrori commessi. 

I sentimenti però non mi hanno abbandonato, sono ancora forti e soprattutto veri, ma a volte per continuare a vivere si deve avere il cuore di pietra. Non mi pento, ma nemmeno sono orgoglioso del male fatto e ne ho fatto. Non sono stato buono nella vita, forse solo meno crudele di altri. 

Il Destino non ha ancora preparato il conto finale che dovrò certamente spesare. Mi preparo ogni giorno a questo momento anche se non è possibile prepararsi. Rispetto così l'impeccabilità cui aderisce il mio cuore che ha scelto per me la Via Antica. Una strada inesprimibile che accade a pochi, non perché si è migliori, ma solo diversi. E' una predestinazione.

Maktub si dice in arabo: così è scritto. 

Ed è proprio così. 

Non si può allungare di un solo secondo l'esistenza che ci è stata data in prestito. La data della fine è scritta su un libro misterioso cui non è dato modo di leggerlo completamente, eppure esiste. 

Tra i doni originali che ho ricevuto oltre il mio valore, vedo prima alcune cose che accadranno, per esempio ho già visto la mia fine, quando e dove succederà, ma non come. Non si può conoscere tutto. 

La vita inoltre è immodificabile e come dico sempre: "Il Destino ti aspetta lungo la strada che hai scelto per evitarlo". 

Com'è?

Almeno com'è per me?

L'ho ben veduto e sebbene il male e il bene non esistono propriamente, ogni Uomo è chiamato a rispondere al suo "dovere" solo questo conta, ma queste considerazioni non sono opportune in questo modesto resoconto, dove descrivo, anche con pudore, una parte della mia vita, a volte folle. a volte violenta, sicuramente contradditoria, ma vera. Senza falsità con me stesso sono giunto a conoscere la mia natura sin nelle ossa. 

Mi sono capito grazie alle circostanze difficili che ti rivelano.  

Quello che ho visto non sempre mi è piaciuto, ma a volte inaspettatamente ho scorto anche nelle mie azioni e nei miei atti più spontanei una grandezza oltre me stesso, veramente più grande di me.

Anche se sarà salato questo saldo che forse mi verrà presentato lo pagherò volentieri. Tanto ho visto, tanto ho amato e tanto ho sofferto. Questo è vivere, questa è  la mia vita e non la rinnego. La Dignità affidatami è stata conservata con la massima cura. Del dolore inferto non è sempre possibile scriverne.

E a proposito di conti, ho veramente perso il conto delle volte che ho rischiato la pelle, ma non solo in Africa, anche in Oriente, in Russia, in Cina e perfino in Europa. Il mio fortissimo istinto di sopravvivenza è parimenti un desiderio di morte, non trovo altre parole per descriverlo. Due forze drasticamente opposte che non è facile conciliare in me stesso. Sono un uomo irrimediabilmente complesso, a volte sfuggente, certamente enigmatico non solo agli altri, ma perfino lo sono stato per molto tempo anche a me medesimo. E' la ragione delle mie profonde inquietudini, a volte ho come una pena che mi dilania, gli altri per loro fortuna non la vivono o perlomeno non la vivono così intimamente forte. La maggioranza si dispera, perché purtroppo perde il lavoro o viene lasciato dal marito o dalla moglie. Invece di essere grato di aver ritrovato la propria libertà, si affligge per questioni che non sono proprie, appartengono alla vita e agli altri. La gente si dispera per cose che non sono propriamente "proprie" e così magari fanno gesti inconsulti. Le persone si abbandonano alla violenza su un altro essere umano quando sono in condizione di forza, mentre quando sono deboli, il più delle volte ignorano tutto e tutti. Che assurdità. Che vigliaccheria. Per me ha poco senso questo tipo di sofferenza proiettiva. Invece sebbene soffra più o meno quanto gli altri, soffro per cose molto diverse. Non riesco a essere completamente felice se gli altri esseri umani soffrono, nondimeno soffrono per cose senza senso e pare impossibile farglielo capire. Accetto invece la mia natura per quello che è, sento profondamente il mio Destino immodificabile, nondimeno cerco costantemente di comprendere la Vita e di renderla più armoniosa, almeno in me stesso. A volte incespico nella mia fallace natura umana e mi domando come un pusillanime: Chissà se mi sarà risparmiata l'estrema vecchiezza. Quella del decadimento inesorabile del corpo, quella dell'ottundimento dei sensi e infine l'insopportabile perdita di ogni passione? 

In ogni caso riesco ad amare il mio Divenire qualunque esso sia anche se ammetto che mal sopporto la vecchiaia.

A volte nel sogno che considero vita alla stregua della veglia, visito mondi lontani. Vi è uno bellissimo, dove abito le mie notti. In quel luogo un altro me stesso vive senza conoscere il decadimento, dove tutti non invecchiano e non soffrono. Una sorta di Paradiso dove sebbene la morte esiste, poiché Lei si compie in tutti i mondi e le dimensioni, l'esistenza è senza il fardello del Io e si vive come dovremmo. E' solo un sogno si dirà, ma non è così. Queste però sono le mie considerazioni un po' folli o almeno così appaiono agli altri.  

Non esagero invece raccontando della mia vita, ma avendo percorso milioni di chilometri me ne sono capitate di tutti i colori. Ho visto molto del Mondo, eppure a volte mi pare sempre poco. Dai quartieri malfamati di Bogotá, cazzo il Santa Fe era proprio una giungla urbana, alle strade senza luci di Phon Pen e perfino certi quartieri di Bangkok dove è meglio non avventurarsi o si finisce a dormire negli stagni con i fiori di Loto. Dalla Taiga Siberiana al Deserto del Gobi, lungo la via della Seta e proprio lungo di essa, una volta per chiarire che non ero cosa per loro ho dovuto rompere la testa a tre uzbeki con una bottiglia e io odio sprecare così della buona Vodka. Tentativi di aggressione, esplosioni, incendi e inondazioni, risse, oramai ho fatto collezione e potrei, se non fosse inelegante, avere qualche trofeo appeso in salotto, ma non è di buon gusto simili elementi d'arredo Sono pieno di cicatrici anche se poco visibili, ma le più dolorose sono proprio quelle che non si vedono. C'è un'antica tradizione che sostiene che chi uccidi sarà per sempre tuo schiavo nell'oltretomba, certamente la Vita si nutre di Vita e questo è evidente nell'esistenza. Siamo obbligati a questa predazione, sia nei confronti degli altri animali che con le piante che sono comunque esseri viventi. 

Fino a ora ho vissuto e non perché sia un fenomeno di sopravvivenza, sono stato solamente fortunato. 

Da Katmandu in Nepal a Colombo in Sri Lanka. Dalla giungla Birmana sino alla foresta Amazzonica. Dal Mekong al fiume Azzurro, lo Yangtse. Che bello il fiume Li! Dai Templi di Mrauk-U in Myanmar a quello di Barabundur in Indonesia (sembra uno scioglilingua). Un atterraggio di fortuna e da incubo in Venezuela, due incidenti aerei, uno a Tangeri e un altro nel suo opposto climatico sulla pista ghiacciata di Riga in Lettonia con un Foker 50. Grazie al cielo senza vittime. Ma da cagarsi sotto, quello si. In aereo è vera paura, perché non puoi fare nulla. Il pericolo però c'è sempre ed è ovunque, è solo questione di fatalità, a volte può accadere anche in casa cambiando una lampadina. Come dicono al sud bisogna essere: "Un gran figlio e'bocchino" se si vuol sopravvivere.

Fine della mie considerazioni sull'Africa, sul Mondo in generale e del mio piagnisteo un po' scomposto a proposito della mia insignificante esistenza.

Concludo le mie constatazioni con una rivelazione. 

Tutti pensano che una volta avuto tanto denaro saranno felici. Non è così: "I soldi non fanno la felicità". Al massimo mezza felicità. 

Ma che ovvietà è mai questa?

Anche i bambini lo sanno. Non so dei bambini, ma certamente quasi tutti gli esseri umani conosco le parole di questa sentenza, ma non la vivono nella loro esperienza, dunque in realtà non la conoscono. Quindi la ribadisco.

Anche se ricco i problemi esistenziali restano esattamente uguali, anzi a volte si inaspriscono. Il denaro che muove il Mondo e da valore alle cose e alle persone è un'immensa illusione condivisa. Niente di più. Basta guardare gli occhi dei grandi ricchi per capirlo, perché hanno occhi persi, avendo constatato che tutto resta uguale.

Tutto è un inestinguibile vuoto.

Questi personaggi grandemente abbienti non hanno un'altra illusione altrettanto forte come i soldi per sostituirla. E' il motivo che pur avendo ricchezza continuano ad accumularne. Non hanno pietà per i poveri che depredano ancora e ancora. Non sono mai sazi. E' una coazione a ripetere che li emenda dal valutare obiettivamente il loro fallimento. Sono "cosi" senz'anima; Non sono comunque felici.

Come diceva Ennio Flaiano (un gigante): "Quando l'uomo non ha più freddo, fame e paura è scontento".

Scrivo finalmente di ciò che mi premeva sin dall'inizio, cioè del mio percorso umano, la mia metamorfosi e del viaggio che intrapresi per follia e inesperienza. Quel tipo di follia che guarisce, ma soprattutto a chi è dedicato questo racconto. Questo è il reale motivo per cui ho scritto di me, nonostante ho sempre evitato di parlare da protagonista. 

"La mia Africa" si realizzò grazie a un viaggio che avvenne come detto, prima della guerra civile, ma non fu un Safari e neppure una vacanza in un accogliente Club Mediterranee. A un certo punto di questa esperienza giunsi a una scioccante scoperta a riguardo della Natura più intensa e selvaggia ed ebbi un profondo confronto con me stesso, oltre gli schemi confortevoli in cui generalmente tutti ci rifugiamo per nasconderci. 

L'Africa è un continente forte e non ti lascia indifferente, ebbi così una profonda rivelazione su me stesso. Non era mia intenzione propriamente viverla, ma accadde.

Fu proprio come nel libro "Cuore di Tenebra" e la mia avventura giunse al suo apice con una rovinosa disavventura. 

Partii da Kinshasa per questo viaggio che volevo compiere per conoscere veramente la realtà e l'origine dell'essere umano (che presunzione!) diretto a Nord-Est, ma preferii  utilizzare strade più selvagge, insomma volevo fare l'esploratore, a pensarci ora fu proprio da incosciente. Percorsi strade che definire asfaltate sarebbe stato un vero azzardo e mi inoltrai lontanissimo, in piste sempre meno praticabili; Ero quasi giunto al vulcano Nyragongo, la cui città vicina Goma mi avrebbe fornito i rifornimenti necessari a integrare quelli già consumati e permettermi di continuare il viaggio lungo la catena dei monti Virunga sino all'inizio della foresta dell'Ituri, un'area estesa dove vivono i Bantù, mia prima destinazione, quando si ruppe la jeep con cui viaggiavo in solitaria e certamente da irresponsabile. Ero però ancora molto lontano dalla città.

Volevo in seguito dirigermi a oriente dove vivono i pigmei e poi a settentrione verso i Monti della Luna, il grande lago Tanganika e infine terminare il mio viaggio nell'area del odierno Sud Sudan a predominanza animista, allora ancora incorporato nel Sudan. 

Questo era inizialmente il mio ambizioso programma, le cose invece andarono diversamente. Dopo una settimana il mio itinerario si bloccò in mezzo alla Savana. L'autovettura mi aveva piantato in asso completamente.

All'inizio la situazione non mi parve drammatica, infatti l'inesperienza della gioventù mi proteggeva dalla paura, ma non eliminava però i pericoli. 

Dopo un po' mi risvegliai da questo assurdo ottimismo e realizzai che ero completamente prigioniero in mezzo al nulla. 

Fui certo che sarei morto lì in quel luogo sperduto e selvaggio. Mi diedi del coglione centinaia di volte e avevo perfettamente ragione. Mi ero accorto troppo tardi dell'immensa cazzata che avevo fatto.

Trascorsero tre giorni, ma nessuno passò lungo quella pista dimenticata.

Non c'era un'anima viva in quel luogo, l'unico segno di vita erano i terribili richiami degli animali durante la notte che udivo chiuso dentro l'autovettura, mentre cercavo di combattere il freddo che sopraggiungeva quando la sera diventava notte. 

Non si può immaginare quanto è gelida l'Africa quando tramonta il Sole, almeno nelle aree montuose. 

Le provviste finirono, ma soprattutto l'acqua scarseggiava ed è la cosa più importante. Infatti se è possibile vivere anche un mese senza mangiare, senz'acqua in tre giorni diventi un pasto gratis per gli avvoltoi, se bevi la tua urina hai forse una settimana di vita. La disidratazione è subdola, ti spegne inaspettatamente come la fiamma di una candela in una giornata ventosa. Non si fa attenzione quanto l'acqua sia la cosa più importante. Le fonti d'acqua infatti sono quasi introvabili e le poche reperibili sono talmente contaminate da batteri portatori di malattie inimmaginabili che tanto varrebbe spararti in testa. La pioggia c'è solo in una stagione. 

Quelli che non sanno un cazzo diranno: trova l'acqua e falla bollire. 

Peccato che, ammesso di trovare una fonte, un fiume o una pozza, lì ci trovi anche i predatori che forse non hanno il dono delle domande cretine, ma da mangiare sanno come e dove trovarlo e si appostano dove c'è l'acqua. 

Il fucile non serve quando arrivano quindici leonesse tutte insieme, e quelle non si spaventano per un colpo o due,  vengono avanti veloci finché non ti sbranano. 

Non fai nemmeno in tempo a difenderti, infatti quando questi animali feroci sono ripresi nei documentari o fotografati per qualche libro e rivista gli operatori sono dentro una jeep. 

La Savana ammazza i neri che ci sono nati, figuriamoci i bianchi. 

La Natura selvaggia è tutta un "ceci tuera cela" (è francese non latino).

Inoltre, trovare la legna non è facile, perché di alberi ce ne sono pochi e sotto alla loro ombra ci trovi ancora i soliti "amici" predatori e "dulcis in fundo" appena smette di bollire l'acqua, ammesso e non concesso che sei sopravvissuto a tutto questo, ci arrivano dentro le mosche che sono ovunque e sono anch'esse portatrici di malattie terribili e sei d'accapo. Insomma l'Africa è un casino, altrimenti ci rimanevo.

Comunque a parte le lezioni di sopravvivenza spicciola e detto con un eufemismo, nonostante la mia presunta preparazione: ero nella merda completamente.

Così preso dalla disperazione mi inoltrai a piedi nella Selva alla ricerca di un villaggio dove ricevere aiuto. Morire per morire tanto valeva fare qualcosa. 

Chi ha un po' d'esperienza dell'Africa sa che per un bianco inoltrarsi senza automobile nella foresta equivale non solo a morte probabile, ma certa e inevitabile. 

Non potevo fare diversamente e mi giocai con pessime carte quella che mi parve l'ultima mano al tavolo della vita. Ero fatto e finito, lo sapevo, ma non volevo mollare.

Avevo una bussola e una mappa geografica, perché il GPS allora non era ancora disponibile.

Avevo anche un fucile Spas calibro 12, fedele compagno d'avventura, ma era inutile, perché nell'erba alta non si vedeva niente. I predatori hanno una velocità impressionante nell'attaccarti e se non hai sufficiente distanza tra te e loro, non hai nemmeno possibilità di sopravvivergli. 

Gli Ippopotami che non vidi, insieme al Bufalo Nero Africano che evitai accuratamente sono  entrambe le specie considerate le più pericolose, mentre i famigerati leoni sono generalmente cacciatori prevalentemente notturni, le iene invece sono predatrici anche diurne estremamente pericolose e mi regalarono meravigliosi momenti di terrore, sebbene si dice non attaccano animali più alti di loro; Aggressive tanto come i leopardi, quest'ultimi si appostano tra i rami degli alberi e ti piombano addosso dall'alto, al modo che fanno anche certi serpenti, oppure cacciano coperti dall'erba alta appunto. 

Questo per dire che tutto è sovradimensionato e micidiale in Africa, perfino i ragni sono grandi come criceti e possono ucciderti.

Comunque mi persi ulteriormente, in quel luogo ove la civiltà non pareva mai essere apparsa.

Fortunosamente, miracolosamente sarebbe più appropriato dire, fui salvato da un nero, incontrato per caso lungo un sentiero, un sentiero che non ho idea di come avessi fatto ad accorgermi che esisteva; Era più che altro una linea, appena accennata tra l'erba dove al fondo di essa vi trovai quel nativo. 

Prima lo vidi. Fermo su una collinetta, eretto e appoggiato a una lancia con un piede posto nell'incavo della coscia opposta. Un modo che usavano per riposarsi. Mi parve quasi fosse lì ad aspettarmi.

Dopo la prima diffidenza circospetta, perché i selvaggi ci mettono un cazzo a farti fuori, vidi che era pacifico e perfino ben disposto nei miei confronti.

Parlava un po' di francese e gli raccontai la mia storia. Rideva di gusto nel sentirla e si convinse che doveva aiutarmi. Rideva come un matto intanto che gli spiegavo che ero in viaggio da solo e si era rotta, a mezza giornata di viaggio, la mia automobile. 

Era una situazione assurda oltre che drammatica. Pensavo: "Qui ci lascio la pelle e questo mi prende per il culo" La domanda che mi ronzava in testa era: "Ma chi è sto' coglione?"  

Mi chiese se avevo affari da sbrigare o parenti da visitare da quelle parti, ma gli dissi che viaggiavo per piacere. Fece una faccia incredula e rise ancora più forte. Era piegato in due dal ridere, poi finalmente smetteva, mi guardava e di nuovo riprendeva a ridere senza quasi prendere fiato facendo su e giù con il dito indice verso di me. Questa manfrina durò un po'.

Quando mi conviene so essere molto paziente e sopportai questa presa in giro, ma solamente perché avevo bisogno. Anzi per l'esattezza ero proprio disperato, altrimenti sai dove gliele avrei messe le sue risate...

Diventammo invece, conoscendoci meglio, grandi e veri amici e trascorsi dieci settimane nel suo villaggio come suo ospite, dove non c'era nulla, a parte la Natura, il caldo soffocante del giorno e le albe e i tramonti d'inaudita bellezza. Le ragazze in quel luogo non erano molto carine e con dei concetti sull'igiene personale talmente fantasiosi da scoraggiare anche il maschio bianco più ostinato.

La vita in quel villaggio sperduto era secondo i miei canoni di una noia mortale. Ero sfamato da loro, ma la quantità di cibo che ricevevo era insufficiente, non per avarizia,  ma bisogna comprendere che un uomo caucasico abituato al benessere e all'abbondanza si nutre quasi del doppio di loro. Praticamente avevo sempre fame. Inoltre non potevo mangiare verdure crude né bere l'acqua direttamente dalla fonte a causa della flora batterica completamente diversa del mio intestino. Una gastroenterite o la dissenteria non mi avrebbero lasciato scampo e nonostante avessi delle medicine con me non ero certo che avrebbero funzionato. I farmaci sono prodotti per gli occidentali e per le malattie dell'occidente. Negli altri paesi esistono patologie diversissime. In India una mia conoscente facendo il bagno in un bel laghetto si prese la Tenia, detta anche verme solitario, e al Centro di Malattie Tropicali in Italia non riuscirono a curarla. Dovette tornare in India dove guarì grazie a pillole di Oppio. 

Nel villaggio africano bollivo l'acqua, poi usavo delle foglie di una specie di té per togliere il sapore delle pastiglie disinfettanti che aggiungevo. Inoltre masticavo uno spicchio d'aglio mezz'ora prima dei pasti come antibatterico naturale. Con questi semplici accorgimenti  e  molta fortuna sono riuscito a portare la pelle a casa. 

Trascorrevo le mie giornate cercando di sdebitarmi della loro generosità, i soldi in quel luogo erano inutili cosi partecipavo ai lavori che erano eseguiti per chi aveva bisogno. Se una coppia si sposava, tutto il villaggio costruiva la loro capanna, oppure se una famiglia doveva sistemare lo steccato per le capre, si andava ad aggiustarlo tutti insieme. Non sono mai stato il mago del bricolage, anzi, facevo quello che potevo.

Probabilmente le mie preghiere furono ascoltate da qualche Spirito della Foresta (Jenji), perché fu esaudito il mio desiderio d'avventura. Un pomeriggio inaspettatamente, perché non parlando Bantù cioè Kinyarwanda, nessuno mi diceva un cazzo di quello che succedeva, sentii un casino incredibile. Si celebrava una sorta di festa. Una danza un po' folkloristica dove assistevano tutti i membri del villaggio, ma ballavano solo i guerrieri. 

Il rito era officiato nientepopodimeno che dal mio salvatore.

Questo amico africano che si era preso cura di me era lo stregone  (Sorcier) della tribù. 

Mi raccontò, dopo quella sorta di ballo rituale che mi aveva visto la notte pima di incontrarmi nel suo sogno, proprio nel luogo dove mi aveva trovato e questo era l'unico motivo per cui ero ancora vivo. La mia prima impressione che avevo avuto vedendolo per quanto incredibile si era rivelata esatta. Mi stava aspettando.

Seppi inoltre che il giorno dopo questa danza propiziatoria, gli uomini sarebbero partiti per la caccia all'elefante, perché era stato avvistato un esemplare solitario. 

Chiesi di parteciparvi e grazie all'intercessione del mio amico la questione fu presa in considerazione seriamente. Nacque comunque una "querelle" in seno al consiglio tra gli anziani e il Capo villaggio che era già in là negli anni e anche con il Capo-Guerriero. Non erano tutti d'accordo e così discussero per molto tempo. Alla fine fu convenuto che siccome non ero un cacciatore della tribù, avrei dovuto solamente guardare e a debita distanza e non intromettermi nella caccia, sarei stato assistito da un vecchio cacciatore che mi avrebbe fatto da baby-sitter e a cui dovevo ubbidire "come a un padre", queste furono le parole testuali. Feci una promessa formale davanti al consiglio e così venni accettato.

Non mi fu permesso di portare il fucile, ma nascosi comunque la pistola nello zaino insieme a un Mag di scorta, perché la mia sicurezza personale non la demando a nessuno. Portai anche con me un poncho impermeabile, una coperta, dieci litri d'acqua bevibile, un po' di carne secca, del piri-piri secco (peperoncino) e due grosse focacce che facevano le donne del villaggio. Avevo al fianco e serrato alla coscia un grosso machete. Circa una quindicina di chili di peso era la mia zavorra. Il mio abbigliamento credo consono per la Savana era comodo e coprente. La zona non era malarica così potevo evitare le pillole di Chinino che non si possono prendere in via continuativa, in quanto sono tossiche per il fegato.

Partimmo all'alba. Una trentina di cacciatori mi precedevano in una lunga fila  sinuosa che si inoltrava sempre più nella foresta. Quando la vegetazione divenne più fitta iniziò la marcia forzata di avvicinamento all'animale di cui seguivamo le tracce ormai fresche.

La marcia si rivelò invece una corsa, una corsa particolare, perché nella Savana si corre alzando le ginocchia per non incespicare nelle radici. 

Non si può immaginare la fatica. Non si può credere come questi uomini siano veloci in quel particolare modo di correre. Mi adeguai arrancando con il mio "sorvegliante" che sebbene avesse i capelli bianchi, correva più di me. In ogni modo nessuno mi superò, perché mantenni salda l'ultima posizione. 

Mi credevo forte e in buona forma fisica, ma se non avessi avuto una scorta di noci di Cola da masticare che sono un formidabile stimolante sarei schiattato dalla fatica. Credo che almeno un paio di volte rischiai di svenire, poi fortunatamente il cielo fu coperto dalle nuvole e un breve scoscio di pioggia mi regalò un po' di refrigerio. La corsa durò quasi un giorno, ma fu una sorta di incubo; Iniziato la mattina inoltrata e terminato al tramonto. Senza sosta, senza bere, sena poter pisciare. 

Circondati da una piccola fortificazione di rovi che venne allestita e acceso al centro di essa il fuoco ci addormentammo. Appena un'ora dopo la nascita del Sole nuovo si intravvide lontanissimo il pachiderma. Lo seguimmo sino alle due del pomeriggio, finché il Capo-caccia trovò il posto giusto. 

Non credo che questo comandante avesse mai letto "L'Arte della Guerra" di  Sun-Tzu, ma sicuramente il suo mestiere lo sapeva fare, era uno navigato nell'arte di portare la Morte. Oltre che cacciatore era un temibile guerriero.

Sottovento ci avvicinammo, i cacciatori strisciando nell'erba senza fiatare. Mentre io e il mio mentore eravamo defilati sul loro lato destro a debita distanza. Anche se non ero coinvolto direttamente sentivo l'eccitazione del momento, fremevo al pensiero della caccia, immaginando l'odore del sangue. Ero tormentato dalla fame che rende però coraggiosi. Ero coinvolto totalmente in quell'istantanea che mi rimandava ai primordi dell'umanità e stimolava qualcosa di non ben definibile dentro di me, qualcosa di antico. 

Ero teso, magro, famelico.

Quello che accadde andò oltre ogni mia aspettativa. Eravamo tutti coperti dal letame d'elefante per non far sentire alla bestia l'odore dell'uomo. Due in particolare, due cacciatori molto esperti, fecero una manovra a tenaglia muovendosi nascosti e ponendosi a ridosso di due grandi alberi di Caucciù o Tamarindo, non lo so, perché in botanica ho sempre fatto schifo.

I due si confondevano quasi con la corteccia, mentre l'elefante era a circa cento metri oltre loro; Stava mangiando, strappando dei rami dagli alberi e masticandoli pigramente. Intorno a lui la Savana era fitta e piena di arbusti bassi e rovi intricati che disegnavano un semicerchio dove l'uscita da quel "cul de sac" era proprio tra i due grossi alberi. Un luogo perfetto per un'attacco a tradimento. Nulla da dire sulla loro strategia.

I giovani guerrieri si avvicinarono di più, strisciando, mentre gli altri del guppo riamassero in posizione. Improvvisamente uscirono allo scoperto e gridando e movendosi con fare minaccioso provocarono il pachiderma, un giovane maschio. Questi all'inizio non li degnò di uno sguardo, poi quando ricevette qualche sassata comincio a barrire, sbuffare e fingere una carica che interrompeva. Scuoteva la testa sempre più e le orecchie si agitavano come grandi ventagli sollevando nuvole di terra rossastra. La provocazione durò un bel po'.

Poi inaspettatamente, successe. 

Un barrito potentissimo scosse la Savana. Perfino gli uccelli si alzarono in volo dai rami. L'elefante partì all'attacco, Un attacco feroce e selvaggio. La terra tremava e risuonava della sua corsa. Mi parve quasi impossibile che un animale tanto grosso potesse muoversi così velocemente. 

I giovani cacciatori fecero dietro front e cominciarono a correre verso il gruppo nascosto, correre per modo di dire, perché sembravano volare tanto erano veloci. Una scena impressionante che lo divenne ancora di più quando la grande bestia oltrepassò i due grossi alberi; Come sorti dal nulla, vidi i due guerrieri coperti di letame che correvano alle spalle dell'elefante con uno scatto esplosivo. Davanti i giovani cacciatori in corsa, seguiti dal giovane maschio che comunque aveva una dimensione notevole, e dietro a lui questi due guerrieri, apparentemente piccoli che si muovevano all'unisono. Non ho mai visto un tale coraggio in tutta la mia vita. 

I cacciatori avevano cosce grosse, quasi gommose e glutei molto sviluppati, mentre noi bianchi quando abbiamo muscoli allentati risultano essere duri. Siamo fatti diversamente e abbiamo anche prestazioni diversissime.

Questi due uomini giunti a ridosso delle terga dell'animale sfoderarono una sorta di machete fatto a "C" e lo issarono alto, dritto sopra la loro testa. Fu un gesto compiuto per coordinassi ulteriormente. Colpirono l'animale insieme, in perfetto sincronismo,  proprio dietro alle ginocchia dove si trovano i legamenti e gli tranciarono con un sol colpo i tendini della zampe posteriori. Sfilarono poi lungo versanti opposti a fulminea velocità. 

Un barrito di dolore, lungo e acuto, accompagnò la seduta del giovane maschio. Atterrò sul culo per dirlo alla buona. E lì rimase, dondolando il capo a destra e a sinistra, pazzo di rabbia.

Un urlo belluino del Capo-caccia fu il segnale per gli altri cacciatori nascosti che raggiunsero l'animale ferito e lo circondarono. A turno lo colpirono alle spalle, mentre altri fingevano di attaccarlo di fronte. Questo stratagemma non funzionò per molto, perché l'animale imparò in fretta e si trascinò girandosi  per non fornire spazio a chi lo infilzava da dietro. La lotta per vivere veramente non conosce pietà. 

Va detto che con solo le lance non si può uccidere un elefante, infatti le punte erano intrise di veleno, ma per fare effetto dovevano arrivare alle grandi vene e arterie, dunque la punta doveva penetrare in profondità, perché il corpo del pachiderma è protetto da diversi centimetri di muscoli marmorei. L'elefante sebbene sembri grasso non lo è affatto.

Il cacciatore per colpirlo doveva avvicinarsi molto e scaricare con tutta la forza e l'abilità che aveva la lancia dentro il corpo della bestia; Univa al gesto un grugnito gutturale come una sorta di maledizione. 

Per oltre mezz'ora questa danza macabra continuò incalzante. Due volte l'elefante riuscì a colpire. Ferì, per fortuna non in maniera grave, due di loro che assorbirono il colpo di proboscide sullo scudo. Infatti, mi ero domandato: come mai hanno lo scudo per una caccia? 

Ora ne avevo capito il motivo. Lo scudo fatto di legno e pelle non serviva per contrastare il colpo, ma lo distribuiva smorzandolo, altrimenti sarebbe stato micidiale. I due cacciatori colpiti, letteralmente si librarono nell'aria e atterrarono a circa sei, sette metri di distanza, rotolarono poi come stunt-man di un film acrobatico. Uno dei due si ruppe l'Ulna dell'avanbraccio, ma poi guarì dalla frattura perfettamente. L'altro invece aveva solo lividi dappertutto che però su di loro si vedono poco. 

L'animale diede infine segni visibili di sfiancamento e poi non solo di stanchezza. Il veleno era entrato in circolo, doveva solo giungere al cuore; Il corpo dell'elefante era striato da linee vermiglie di sangue. Si adagiò su un fianco e poi si riprese quasi subito sollevandosi un poco, poi ancora sul medesimo lato si accasciò e si rialzò parzialmente. Stava per spegnersi, ma ci vollero due ore, perché morisse. Prima di avvicinarsi i cacciatori per prudenza lo colpirono ancora molte volte, fino a che furono certi che la vita aveva abbandonato il corpo dell'animale.

Si allestì immediatamente un piccolo fuoco coperto di foglie che fece un gran fumo per tenere lontano le mosche.

Un altro fuoco, più grande, fu preparato un po' più lontano e lo si usò per affumicare la carne che veniva macellata al momento in grossi tranci che  erano trafitti da parte a parte da una lancia e trasportati a spalle da due cacciatori verso il grande falò. 

Il Capo-caccia osservava ogni azione e impartiva ordini perentori. Alcuni cacciatori erano di guardia intorno alla carcassa, mentre gli altri lavoravano alacremente conoscendo bene il loro compito.

Quando mi avvicinai vidi quanto era immenso l'animale ucciso. 

I guerrieri ridevano tra loro, mimavano il gesto della caccia al mio indirizzo e mi sorridevano radiosi. Erano veramente felici non solo di poter sfamare il villaggio, ma anche d'essere ancora vivi. 

La vita diventa ancora più bella quando hai rischiato di perderla.

Più che una caccia mi sembrò un'azione di commando, perfettamente coordinata e realizzata con determinazione e sprezzo del pericolo.

Tornammo al villaggio esausti, ma felici e mangiammo tutti carne di elefante per una settimana. Fu l'unica settimana cui non patii la fame. Era una carne senza grasso, fibrosa dal sentore quasi di cervo. Veniva preparata in due modi, bollita oppure alla griglia, condita con succo di tamarindo, spezie ed erbe selvatiche. Ci mettevano anche molto aglio e cipolle. Non sarà stata forse una delizia da gourmet, ma avevo così  fame che mangiai sempre con grandissimo gusto; Il mio cibo preferito della cucina africana è il Moambe il piatto tipico congolese; Lo mangiavo spesso in città, quando lo preparava la mia bravissima cuoca. E' fatto con pollo o pesce, cucinati in olio di palma, generalmente è accompagnato con riso e Fufu (farina di Manioca). A volte me ne "scofanavo" anche due piatti di seguito. L'elefante comunque mi piacque, perché quando si ha fame ogni cosa diventa squisita. I miei amici dicono che cucino abbastanza bene, perché mi piace mangiare, credo si sia capito, ma in caso di bisogno mi so anche adattare. Amo le cose belle e anche quelle buone, ma a volte per necessità ho mangiato anche cavallette e serpenti e ho perso il conto delle volte che ho dormito per terra senza neanche una coperta. 

Se qualcuno mi domandasse a proposito dei Bantù la mia opinione sincera, direi che quel popolo ha una profonda dignità e saggezza. Particolarmente queste qualità brillano nella loro dimensione più autentica e primitiva. 

Purtroppo e parlando in generale, quando il nero vuole fare l'occidentale cioè quando viene a contatto con il benessere e vive in città in mezzo agli affari e ai soldi, inevitabilmente perde il suo Spirito e la sua bellezza; Vende il proprio Sacro per possedere le cose che vede nella vetrina di oggetti che è il nostro mondo e che vuole. 

Non sono scettico nei confronti del valore degli africani, lo sono di tutte le persone che vivono in un contesto civilizzato. Il mondo degli oggetti e del denaro è il mondo dell'ipocrisia e dello sfruttamento.  Il desiderio, l'accumulo e perfino lo spreco sono una  prassi talmente generalizzata che non si nota quasi più. Questo succede, perché tale realtà non solo è ben mistificata, ma è talmente condivisa che si considera come normalità. La nostra normalità non è normale. 

Non si può avere un'esasperata materialità come quella della nostra società e conservare anche lo Spirito. Bisognerebbe trovare un modo per far convivere in modo spirituale la tecnica e l'Uomo.

Perché l'avidità mangia l'anima. 

E' questo è vero non solo per i neri, ma per tutti gli esseri umani di questo Pianeta.

Dunque quando il nero vuole fare il bianco non è più figlio della Savana.

Non si ragiona correttamente quando si pensa alla Natura come fosse un Eden. Mama Africa è generosa, ma anche stronza. La Natura dona solo ciò che il guerriero reclama con la forza. Lei è madre solo se l'uomo la rispetta e la ama.

Se un nativo di quel villaggio abitasse per sua sfortuna in Europa, morirebbe intossicato dai coloranti, dai conservanti e dal cibo geneticamente modificato dopo tre mesi. Così è per noi da loro. 

Siamo mondi inconciliabili. 

L'uomo civilizzato non è più il benvenuto nella Natura Selvaggia. Bisogna prenderne atto con onestà. 

Così mi sentivo un po' prigioniero in quella libertà, perché il mio condizionamento civilizzato era estremamente restio ad abbandonarmi, anzi credo che non mi abbia mai mollato. 

Nei giorni successivi alla caccia, tornata la calma interiore grazie alla pancia piena, sperimentai perfino il silenzio dell'Africa che è un evento raro che pare unico. Avvenne in modo inaspettato. E' totale, indescrivibile. E' quasi solido. 

Animali e Natura come se si fossero messi d'accordo si placano. Tutto si zittisce.

Non c'è più rumore, suono, verso o parola. Un'interminabile silenzio che dura solo pochi istanti e ti sorprende alle spalle per rimanerti dentro. 

Io però a parte il silenzio magico dell'Africa volevo tornare a casa, ma la mia Toyota fuoristrada (sono le migliori sebbene si fosse guastata) rimaneva ancora dov'era, lungo quel sentiero lontano dal villaggio dove non c'era nessuno che potesse ripararla -Puttana miseria-.

Con quest'uomo nero che mi aveva salvato, un vero amico, in un francese stentato parlammo di molte cose e di altre incredibili e magiche ne fui invece testimone. Lui, non era sposato per via della sua "professione". Secondo i miei parametri non faceva quasi niente tutto il santo giorno. Da mangiare glielo portavano gli altri, se aveva bisogno qualcosa lo aveva, era molto rispettato dalla sua tribù. A volte curava qualcuno con il fumo o con lo sputo, altre volte con le erbe, in altre ancora solo con le mani e con il canto.

A me insegnò a togliere il dolore con il soffio che uso su me stesso ogni volta che devo pagare le Tasse. 

Altre volte faceva dei riti comunitari cioè per tutti quanti; Erano danze, celebrazioni, riti, a volte raccontava le antiche storie della Tribù. Godeva di una memoria prodigiosa. In generale però non è che facesse chissà che, ma io ovviamente tenevo per me queste opinioni da bianco, ovvero da chi non capisce nulla dello cose loro. 

Dopo oltre due mesi di vita "agreste" non ne potevo più. Arrivavo a malapena a settanta chili scarsi. Com'ero magro! Avevo fame anche quando dormivo, perché sognavo di mangiare però senza sfamarmi. I Bantù invece non pativano affatto quella dieta povera, erano magri, ma robusti.

Supplicai il mio amico di riportarmi al mondo che conoscevo, alla cosiddetta Civiltà in cui la dicotomia della vita mostra tutta la sua inadeguatezza, mentre dove ero, in quel luogo via dal Mondo, tutto era uno; Però volevo andarmene ugualmente. 

Il mio salvatore mi aveva detto che uno dei suoi tantissimi cugini sarebbe dovuto giungere al villaggio e mi avrebbe aggiustato l'autovettura, ma bisogna capire che lo sport nazionale africano è raccontare palle. Dunque nessuno arrivò mai e nemmeno aggiustò un bel niente. Lui non voleva che andassi via. Quando gli chiedevo quando saremmo partiti, mi diceva sempre: "Domani, domani" che per un africano è come dire "No non accadrà mai".  Voleva che restassi, perché con me rideva tanto, ma non ho mai capito se rideva di me oppure rideva con me.

Mi accompagnò infine, ma dopo molta insistenza, tante preghiere e lamentele alla "maison des blancs" perché diceva: "Lì non potrai essere felice, resta qui". Lo diceva serio con la tristezza negli occhi. Non solo era sincero, ma aveva ragione. Eccome!

Io però non gli credetti. A parte la fame perenne, volevo un caffè, fumare una sigaretta, guardare la televisione. Sognavo l'aria condizionata, la carta igienica e non sopportavo più le mosche e le zanzare che erano dappertutto. Ne avevo fin sopra i capelli di lavarmi i denti con le foglie e coprirmi di argilla per non scottarmi alla canicola africana. Ero stufo di cagare in un buco nel terreno in mezzo ai topi.

Non pensavo altro che a tornare non tanto alla Civiltà ma alla comodità.

La vita selvaggia è di una durezza che spezza chi non vi è nato lì.

Ero un giovane uomo, un pochino superficiale, sebbene già mi facevo molte domande, diciamo che ero tutto palle e niente cervello.

Nel delirio di onnipotenza che si chiama gioventù, credevo di poter ignorare il dolore e il disagio, ma dovetti ricredermi; Mi era possibile farlo, ma non come condizione stabile, solamente in momenti estemporanei. 

La matrice psichica che si forma nei primi anni di vita è immodificabile. Una volta conosciuta una realtà confortevole non è possibile dimenticarla per un'altra disagiata. 

Non si fa caso che le nostre molte esigenze sono in realtà semi velenosi. 

Per questo affermo che la libertà è solo degli animali selvaggi e forse dei primitivi. Noi siamo tutti prigionieri non solo dell'utile, ma del comodo.

Qualche giorno prima della nostra partenza, ebbi la fortuna e l'onore di partecipare a un rito molto importante per la Tribù. Fu durante la notte di luna piena. Intorno al grande fuoco, bevuto insieme a tutti gli altri una pozione fatta di erbe e radice di Iboga, ci prese una sorta di delirio, eravamo tutti fuori di testa in un'estasi collettiva, mentre incalzava il ritmo dei tamburi in maniera sempre più frenetica e ossessiva. Si ballava insieme in uno stato di unione mai provato prima. Sotto l'effetto di queste sostanze psicotrope sentivo il ritmo sincopato dei tamburi e il canto sacro che mi entrava nelle ossa e mi muoveva. 

Fu la seconda volta in vita mia che percepii: l'Essenza. 

Non fu solo grazie a quella sorta di pozione, l'esperienza confermò ulteriormente quello che avevo già provato in un altra circostanza molti anni prima, ma a differenza del rito, la prima volta fu  drammatica. Sentivo distintamente il mio corpo, ma era un involucro. Il mio Spirito vi era connesso, senza abitarlo, perché ciò che invece sentivo dentro il corpo era solo un altro corpo, un corpo energetico, mentre lo Spirito non era e non è all'interno, ma dietro la schiena a un paio di metri dal nostro interno dove invece crediamo sia. 

Lo Spirito non è l'anima comunemente intesa che in realtà non esiste, almeno come è concepita nell'accezione comune. Lo Spirito è impossibile da definire, direi provando a balbettare una descrizione che è una sorta di punto senziente connesso al Tutto, è il Tutto. Questo lo scrivo non perché lo credo, ma perché lo so. L'ho provato, ma una volta "rientrato" nel corpo la mente fatica a concepirlo e ancora di più a descriverlo. In quella condizione la mente non esiste.

A un certo punto del rito non bastasse quello che stavo provando, si aprì una specie di portale, mi sembrò di colore viola non so descriverlo meglio e lo attraversammo tutti, era la via percorsa dalla storia umana. A ritroso si svolgeva quel nostro procedere, viaggiavamo tutti vicini l'uno all'altro, senza paura, al ritmo del Tamburo che non ci avrebbe fatto perdere. Indietro nel tempo sino a incontrare gli antenati ancestrali. 

Incontrai così la mia vera famiglia. Fu anche questo un viaggio, un viaggio interiore, morendo e rinascendo come non credevo potesse essere: nemesi e genesi insieme. 

Fu un'esperienza che chiamare strana è poco, fu esaltante e scioccante, ma non garantisco sulla realtà oggettiva del fatto. Ci misi un bel po' a riprendermi, perché mi sentivo completamente sottosopra. Diciamo che fu vero per me e per chi lo visse con me. 

Ripresomi completamente da quel rito catartico, dopo qualche giorno, finalmente partimmo e furono ulteriori giorni di cammino nella Savana. Io e Lui attraversammo paesaggi sempre diversi senza quasi parlare. Nella Savana non si fanno chiacchiere amene, al massimo si parla un poco la sera davanti al fuoco.

Tutto intorno era pericolo, ma grazie a quell'uomo la speranza aveva ancora senso di esistere. La sua calma era pari alla sua forza. Non l'ho mai visto arrabbiato. Era sempre pacato e connettendomi a lui, quasi adagiandomi nella sua serenità, trovavo pace. Il suo silenzio interiore mi parlava. Scalzo attraversava i rovi come se non ci fosse niente, oppure lungo lembi di terra su strapiombi, si teneva in bilico con la lancia come un funambolo, facendomi strada. Quando camminava e mi precedeva sembrava un felino, ne vedevo il dorso nero e muscoloso come quello di una pantera. L'incedere era nobile, bello come un principe povero, infatti non possedeva nulla, ma si muoveva come se non gli mancasse niente. In una parola: Magnifico!

Ho ricordo di quando dovemmo attraversare un piccolo fiume e Lui non sapeva nuotare. Così me lo caricai sulle spalle e guadammo insieme quello che si rivelò invece un corso d'acqua per fortuna non molto profondo. Lui rideva come un bambino, mentre io facendo la faccia feroce, fingevo di volerlo abbandonare nell'acqua, perché gli dicevo che non mi era piaciuto quello che aveva preparato per il pranzo. 

Lui (uno Stregone non rivela il suo nome) improvvisava la scenetta di supplicarmi, mentre piangeva dal ridere, ma rifiutavo ogni tentativo di conciliazione, dicevo: -Cucini troppo male, non è possibile perdonarti, non meriti di vivere- 

E giù un altro scossone.

Ridemmo così tanto che ricordo mi fece male la pancia. Capitava così che lo abbracciavo, una cosa un po' strana per i neri, ma. quando voglio bene divento affettuoso. Momenti spensierati, attimi di fuga, poi l'angoscia mi catturava nuovamente.  

Che devo dire? 

Era proprio una bella persona, mi ha onorato con la sua amicizia.

Soprattutto l'ho amato come un fratello. 

Non si crede forse e non penso di essere una persona impressionabile, ma la paura e il disagio che la Natura provoca, insieme alla constatazione della sua abbagliante bellezza e straordinaria potenza, in un uomo civilizzato (addomesticato) quale sono, può quasi portare alla follia. Ti senti come risucchiato in un altrove e la mente vacilla, hai come un mancamento e rischi di andartene via.

Dovetti così fare appello a tutte le mie risorse fisiche e psicologiche per non perdere il senno.  

Quando si vedono i documentari delle spedizioni realizzate da  troupe attrezzate nelle varie parti del Mondo, magari in luoghi quasi inesplorati, si assapora solo la bellezza di quei posti, ma non si può sentire la solitudine che si produce dal confronto personale tra se stesso e il mondo naturale, esso ti trasmette tutta l'inadeguatezza della dimensione umana, rispetto a quella forza immensa che percepisci provenire dalla Natura, ma che in realtà è propria del pianeta; Questo ridimensiona drasticamente le personali certezze rendendole evidenti a quello che sono: realtà arbitrare. 

Insomma per dirlo con semplicità non fu come una gita in campagna.

Quando era il mio momento di aprirci un varco a colpi di machete, dopo appena mezz'ora non sentivo più il braccio. Avevo dolori ovunque per la fatica, forse solo i lobi delle orecchie non mi facevano male.

Entrambi eravamo esausti. Una strana malinconia ci seguiva lungo il percorso. A volte mi pareva di vederla, era un essere incappucciato, vestito con una specie di mantello scuro che si appoggiava nel procedere a un bastone e ci pedinava a debita distanza. Quando vedevo, questa "malinconia" mi giravo verso Lui e rimanevamo per diversi momenti seri a guardarci dritto negli occhi. Non osavo domandare. Ci capivamo lo stesso immediatamente, ma se dovessi spiegare cosa ci dicevamo senza parlare non potrei riuscirci. Vicino a quello Stregone avevo a volte delle visioni, il Mondo aveva colori più nitidi, l'aria e la luce sembravano spesse. La mia percezione era allargata. La magia è contagiosa. 

Compresi molto bene però che non appartenevo a quella realtà. Era troppo per me quel Tutto, e non ero ancora pronto a un simile distacco dal conosciuto. Più avanti nella vita forse avrei avuto modo di superare quel limite, ma allora non potevo immaginarlo.

Fu così un viaggio a ritroso verso il Mondo noto, e fu talmente faticoso da renderlo interminabile.

Un cammino lungo le mie paure, attraverso le meschinità proprie delle necessità che emergono dal profondo, quando si è oltre i limiti dall'orrore e dalla morale. 

Liberato da ogni convenzione, l'essere umano si accorge che la sopravvivenza è l'unico comandamento necessario ed è l'unico ad aver senso. 

Le umane preoccupazioni spesso futili, gli usi, i costumi, la Legge della società civile e perfino la personale Etica non trovano posto in quel Mondo autentico, perché sono prive di oggettività. 

Ecco che la Realtà, in quei luoghi e in quelle condizioni, rivendica la sua assolutezza prepotentemente; Il resto sfuma e così ti accorgi che non è mai veramente esistito. 

Il senso personale di quel Calvario Infernale patito si concretizzò in una fulminante verità: Il Mondo è un'effimera scenografia, davanti a cui l'Uomo si esibisce credendosi un protagonista. Una Verità che mi accompagna ancora oggi.

E' un fragile Teatro la vita umana. 

Queste sono le mie modeste considerazioni, tra l'altro nemmeno originali. Un conto però è leggerle e un altro è viverle.

Ad ogni modo giungemmo infine al limitare dell'inizio della civiltà, e ci salutammo. Ero felice e profondamente triste nel medesimo tempo. 

L'agognato confine si presentò inaspettato. 

Ricordo il caldo di mezzodì, l'erba alta sino al ginocchio e gialla, l'azzurro intenso del cielo senza una nuvola. Colori brillanti che si sovrapponevano piuttosto che cose. Le poche abitazioni mi apparvero strane con il tetto rosso e i muri bianchi, non ero più abituato a quelle forme e colori.

Ah! Quella era finalmente la civiltà. 

Ma quale civiltà? 

Era a malapena una fattoria con la luce elettrica che ai miei occhi apparve come un prodigio della tecnologia.

Indelebile rimane in me l'ultimo consiglio del mio compagno d'avventura: -"Tu ne crois pas au landiman"- cioè mi disse con la sua voce profonda quasi baritonale: "Non credere al domani". Fu un gran consiglio pieno di saggezza.

Non mi voltai, mentre andavo. Non volevo mostrargli le lacrime che mi scendevano lungo il viso, sgorgavano semplicemente, non ne avevo controllo, sopraffatto da sentimenti opposti e confusi. Era un moto inarrestabile che mi sussultava nella pancia come una danza tribale: una danza d'addio. Non fu però sentimentalismo frignone quello che provavo, credo fu qualcosa di diverso. Probabilmente non ero molto in me. 

Confesso che pensai perfino di avere un'allucinazione, temevo che le abitazioni dei bianchi sparissero improvvisamente. 

A furia di stare in quel villaggio con i neri ero diventato una sorta di Bantù sbiadito, avevo perso la familiarità con la civiltà. 

Mi affrettai a raggiungere quelle case come se potessero partire via da quel luogo da un momento all'altro. Il mio passo era concitato come quello di un bambino spaventato dopo che si è perso e va incontro finalmente alla mamma. Mi sorprese questa mia inquietudine ingiustificata. 

Cercai di darmi un contegno, di rizzare la nuca per non fare brutta figura verso chi avrei incontrato, ma non avevo idea per chi avessi preparato una tale rappresentazione visto che non c'era nessuno a guardarmi. Le prime persone di quella piccola fattoria che incontrai tornarono dal lavoro solo verso sera e così rimasi per molto tempo ad aspettare nonostante mi fossi inutilmente affrettato. Mi sorprese che mentre ancora camminavo per giungervi mi sentii improvvisamente solo, non solamente fisicamente solo, ma "deserticamente" solo. Mi colpì questa sensazione inaspettata come fossi nudo. Nel villaggio la solitudine del vivere mi aveva abbandonato e improvvisamente era tornata. Lui non mi aveva accompagnato nel mio ultimo tratto, non si mischiava con il nostro Mondo.

Ci rimasi male; Non tanto per la situazione in se, ma di me stesso e del mio comportamento poco dignitoso, un po' pavido. Allora ero ancora molto centrato su me stesso.

Con i sentimenti profondi che provavo verso chi mi aveva molto aiutato fui timido, me ne pento, non glieli mostrai completamente dandogli sbrigativamente le spalle e allontanandomi. Non che fossi stato irriconoscente, perché gli avevo lasciato diverse cose utili di mia proprietà e in particolare il mio fucile e le munizioni che per loro sono una vera ricchezza; Ero solamente sconvolto e completamente sottosopra. 

Ero sicuramente confuso, questa è la verità, vedevo solo quello che avevo davanti agli occhi cioè quello che desideravo o meglio quello che credevo di desiderare, dimenticando invece quello che avevo lasciato alle spalle ovvero quello che avevo ricevuto in dono. Tra quelle benedizioni c'era il regalo più importante: la Vita. 

L'Uomo è proprio un animale irriconoscente. 

Questo giusto rimprovero mi giunse netto da me stesso, ma più tardi. "Mai più dimenticherò" questa fu la mia promessa solenne che feci per emendarmi da un tale errore. 

Così di quel uomo cui devo la mia esistenza non ne seppi più nulla.

Per molto tempo ci siamo incontrati nei sogni.

Da un po' questo non accade più.

Quindi scrivo questa storia per ricordarlo e descriverlo a chiunque legge e dirgli che Lui è esistito, io lo chiamavo "Monsieur Lui" in un modo un po' canzonatorio, allora non si usava "Monsieur" per i neri; Comunque al Mondo vivono uomini straordinari ed è forse il motivo per cui il Mondo ancora gira ed esiste. 

Nel mio curioso modo di essere, pago il mio debito e offro un tributo, celebrandolo. Cose strane che non si possono spiegare. Appaiono a volte presuntuose certe mie affermazioni, ma nell'essenza autentica non esistono le forme variegate delle convenzioni, dove è buona norma con la gente premettere ogni propria Verità con un "forse" oppure un "magari". 

E' così oppure non è, non c'è altro modo di essere. 

Come vita o morte, amore bruciante e gelido odio, pace immota e furia turbinosa, sono elementi drastici cui un Uomo deve conciliarli profondamente e accoglierli con gratitudine nel suo Sacro, il cui significato è "separato" cioè il luogo dove gli opposti convivono. 

Può un uomo quale sono testimoniare di cose così grandi? 

Credo di si, in fondo anche l'oceano è riassunto in un bicchiere d'acqua.

Personalmente nonostante abbia molti ricordi di quei mesi "selvaggi" fatico a scendere nei particolari di quanto mi è accaduto, in quanto il ricordo è inciso nella mia anima con la sofferenza e nel rievocarli provo anche una sorta di timidezza nei confronti di un uomo, un amico che non c'è più. Fatico anche a riconoscermi in quel vecchio, allora giovane me stesso. E' come una cicatrice che mi indica un antico sbaglio; Esso però si è rivelato con il tempo e la fortuna, un'esperienza formativa fondamentale. 

A me piace pensare che troverò la risposta che cerco. Vissuta ogni esperienza e colto ogni sapore della Vita. Certamente troverò ciò che è stato preparato per me. 

La conoscenza in me stesso attraversa inevitabilmente il dolore, il pericolo, l'ignoto. La mia strada è solitaria, l'ho constatato: tutto è fatica. Per me niente è facile.

E' il Destino che ho scelto e lo abbraccio totalmente. La mia accettazione del divenire è ora completa. 

Nel vivere non mi concedo alcuna pietà, a volte sono duro con me stesso, ho un carattere un pochino complesso, a volte drastico, eppure ogni sera mi perdono e lo faccio per iniziare una vera nuova vita ogni nuovo giorno. 

Grazie! E' ciò che sento profondamente nella meravigliosa esperienza di vivere. Questa gratitudine mi dona contentezza, nonostante le delusioni e le paure che sono determinate dal male di vivere. La natura dell'esistenza è tragica, bisogna ammetterlo con onestà. Siamo in cammino verso la nostra tomba e l'oblio sarà il nostro epitaffio; Questo è vero per l'esistenza materiale, per l'Oltre invece? 

Chissà! Un avverbio che pronuncio sorridendo.

Mi piacerebbe ogni tanto e sarebbe comodo fare una vita come quella degli altri, ma non succede.

Ho trovato in me il segreto della felicità: essere amico di tutte le cose.

La mia domanda interiore però rimane: È possibile essere civile e nello stesso tempo migliore?

E ancora di più: È possibile essere veramente umano?

Cos'è realizzare completamente: essere Uomo?

A me interessa solo questo.

Sono in cerca di quella risposta, cammino ancora lungo quel sentiero dimenticato africano e talvolta a lato di esso, nell'alba ancora fredda, scorgo dei fiori coperti di rugiada; Sono come occhi che piangono. 

Cammino svelto per giungere al "Luogo delle cose Vere" così lo chiama il mio Spirito. 

Lungo una pista inesplorata, sempre nuova e senza indicazioni che gli altri chiamano: Esistenza.

Io invece la chiamo: Significato. 

Questa è la mia caccia.