Come una sorta di piccolo Joseph Conrad, da giovane con qualche velleità fuori luogo, affrontai una personale avventura in Congo prima della guerra civile.
Sono passati molti anni.
La mia Africa non fu un Safari e neppure una vacanza in un accogliente Club Med, ma una scioccante scoperta a riguardo della Natura più intensa e selvaggia e il confronto con me stesso, oltre gli schemi confortevoli in cui tutti ci rifugiamo per nasconderci.
Non era mia intenzione farlo, ma accadde.
Fu proprio come inoltrarsi nel cuore di tenebra dell'Africa nera e la mia avventura giunse al suo apice con una rovinosa disavventura.
Partii da Kinshasa diretto a Nord-Est lungo una strada che definire asfaltata sarebbe stato un azzardo e mi inoltrai lontanissimo, in piste sempre meno praticabili; Ero quasi giunto al vulcano Nyragongo, lungo la catena dei monti Virunga all'inizio della foresta dell'Ituri area dove vivono i Bantù, mia prima destinazione, quando si ruppe la jeep con cui viaggiavo in solitaria e certamente da irresponsabile, volendo in seguito dirigermi più a oriente dove vivono i pigmei e poi a settentrione verso i Monti della Luna, il grande lago Tanganika e infine in Sud Sudan.
Questo era inizialmente il mio ambizioso programma, le cose invece andarono diversamente. Dopo una settimana di viaggio ero bloccato in mezzo alla Savana.
All'inizio la situazione non mi parve drammatica, infatti l'inesperienza della gioventù ti protegge dalla paura, non eliminando però i pericoli.
Dopo un po' mi risvegliai da questo ottimismo e realizzai che ero completamente prigioniero in mezzo al nulla. Fui così certo che sarei morto lì, infatti trascorsi tre giorni nessuno passò lungo quella pista dimenticata.
Non c'era un'anima viva in quel luogo, l'unico segno di vita erano i terribili richiami degli animali durante la notte che udivo chiuso dentro l'autovettura, mentre cercavo di combattere il freddo che sopraggiungeva quando la sera diventava notte.
Non si può immaginare quanto è gelida l'Africa quando tramonta il Sole.
Le provviste finirono, ma soprattutto l'acqua scarseggiava ed è la cosa più importante. Infatti senz'acqua in pochi giorni diventi un pasto gratis per gli avvoltoi.
Detto con un eufemismo: ero nella merda completamente.
Così preso dalla disperazione mi inoltrai nella Selva alla ricerca di un villaggio dove ricevere aiuto. Morire per morire tanto valeva fare qualcosa.
Avevo una bussola e una mappa geografica, perché il GPS allora non era stato inventato.
Avevo anche un fucile Spas calibro 12, fedele compagno d'avventura, ma era inutile, perché nell'erba alta non si vedeva niente. I predatori hanno una velocità impressionante nell'attaccarti e se non hai sufficiente distanza tra te e loro, non hai nemmeno possibilità di sopravvivergli.
Piuttosto che gli ippopotami che non ne vidi e i famigerati leoni che sono invece cacciatori prevalentemente notturni, le iene sono predatrici anche diurne estremamente pericolose e aggressive come i leopardi che si appostano tra i rami degli alberi e ti piombano addosso dall'alto, al modo che fanno certi serpenti, oppure cacciano coperti dall'erba alta appunto.
Tutto è sovradimensionato e micidiale in Africa, perfino i ragni sono grandi come criceti e possono ucciderti.
Comunque mi persi ulteriormente, in quel luogo ove la civiltà non pareva mai essere apparsa.
Fortunosamente, miracolosamente sarebbe più appropriato dire, fui salvato da un nativo, incontrato per caso lungo un sentiero, un nero che mi parve quasi fosse giunto lì ad aspettarmi.
Gli raccontai la mia storia, mentre rideva di gusto e si convinse che doveva aiutarmi.
Trascorsi poi tre settimane nel suo villaggio suo ospite, dove non c'era nulla, a parte la Natura, il caldo soffocante del giorno e le albe e i tramonti d'inaudita bellezza. Le ragazze in quel luogo non erano molto carine e con dei concetti sull'igiene personale talmente fantasiosi da scoraggiare anche il testosterone più ostinato.
Sperimentai il silenzio dell'Africa che è unico. Quando accade è totale, indescrivibile. E' quasi solido.
Animali e Natura come se si fossero messi d'accordo si placano.
Non c'è più rumore, suono, verso o parola. Un'interminabile silenzio che dura pochi istanti e ti sorprende alle spalle per rimanerti dentro.
La mia Toyota fuoristrada (sono le migliori sebbene si fosse guastata) rimase dov'era, lungo quel sentiero lontano dal villaggio dove non c'era nessuno che potesse ripararla.
Questo amico africano per fortuna si prese cura di me e da lui appresi chi era veramente: uno stregone (Sorcier).
Mi aveva visto nel suo sogno ed era l'unico motivo per cui ero ancora vivo.
Con quest'uomo in un francese stentato parlammo di molte cose e di altre incredibili e magiche ne fui invece testimone.
Dopo quasi un mese di vita "agreste" non ne potevo più e lo supplicai di riportarmi al mondo che conoscevo; Alla cosiddetta Civiltà in cui la dicotomia della vita mostra tutta la sua inadeguatezza, mentre dove ero, in quel luogo via dal Mondo, tutto era uno.
Mi accompagnò infine, ma dopo molta insistenza, preghiere e lamentele alla "maison des blancs" perché diceva: "Lì non potrai essere felice, resta qui".
Io però non gli credetti. Volevo un caffè, fumare una sigaretta, guardare la televisione. Sognavo l'aria condizionata, la carta igienica e non sopportavo più le mosche e le zanzare che erano dappertutto. Ne avevo fin sopra i capelli di lavarmi i denti con le foglie e coprirmi di argilla per non scottarmi alla canicola africana. Ero stufo di cagare in un buco nel terreno in mezzo ai topi.
Ero un giovane uomo, un pochino superficiale, sebbene già mi facevo molte domande.
Nel delirio di onnipotenza che si chiama gioventù, credevo di poter ignorare il dolore e il disagio, ma dovetti ricredermi; Mi era possibile farlo, ma non come condizione stabile, solamente in momenti estemporanei.
La matrice psichica che si forma nei primi anni di vita è immodificabile. Una volta conosciuta una realtà confortevole non è possibile dimenticarla per un'altra disagiata, non si fa caso che le nostre molte esigenze sono in realtà semi velenosi.
Per questo affermo che la libertà è solo degli animali selvaggi. Noi siamo tutti prigionieri non solo dell'utile, ma del comodo.
Finalmente partimmo. Furono diversi giorni di cammino nella Savana. Attraversammo paesaggi sempre diversi, ma senza quasi parlare.
Tutto intorno era pericolo, ma grazie a quell'uomo la speranza aveva ancora senso di esistere. La sua calma era pari solo alla sua straordinaria forza. Scalzo attraversava i rovi come niente fosse, oppure lungo lembi di terra su strapiombi, si teneva in bilico con la lancia come un funambolo. Quando camminava sembrava un felino, l'incedere era nobile, eretto, bello come un principe povero, non possedeva nulla, ma si muoveva come se non gli mancasse niente. In una parola: Magnifico!
Ho ricordo di quando dovemmo attraversare un piccolo fiume e lui non sapeva nuotare. Così me lo caricai sulle spalle e guadammo insieme quello che si rivelò invece un torrente per fortuna non molto profondo. Lui rideva come un bambino, mentre io facendo la faccia feroce e fingevo di volerlo buttare nell'acqua, perché gli dicevo che non mi era piaciuto quello che aveva preparato per il pranzo.
Lui (uno Stregone non rivela il suo nome) improvvisava la scenetta di supplicarmi, mentre piangeva dal ridere, ma rifiutavo ogni tentativo di conciliazione, dicevo: -Fai troppo male da mangiare, non posso perdonarti, non meriti di vivere-
E giù un altro scossone.
Ridemmo così tanto che ricordo mi fece male la pancia. Momenti spensierati, attimi di fuga, poi l'angoscia mi catturava nuovamente. Che devo dire? L'ho amato come un fratello.
Non si crede e non penso di essere un fifone, ma la paura e il disagio che la Natura provoca, insieme alla constatazione della sua abbagliante bellezza e straordinaria potenza, in un uomo civilizzato (addomesticato) quale sono, può quasi portare alla follia. Ti senti come risucchiato in un altrove e la mente vacilla, hai come un mancamento e rischi di andartene via.
Dovetti così fare appello a tutte le mie risorse fisiche e psicologiche per non perdere il senno.
Quando si vedono i documentari delle spedizioni realizzate da troupe attrezzate nelle varie parti del Mondo, magari in luoghi quasi inesplorati, si assapora solo la bellezza di quei posti, ma non si può sentire la solitudine che si produce dal confronto personale tra se stesso e il mondo naturale, esso ti trasmette tutta l'inadeguatezza della dimensione umana, rispetto a quella forza immensa che percepisci provenire dalla Natura, ma che in realtà è propria del pianeta; Questo ridimensiona drasticamente le personali certezze rendendole evidenti a quello che sono: realtà arbitrare.
Insomma per dirlo con semplicità non fu come una gita in montagna.
Entrambi eravamo sfiniti e una strana malinconia ci seguiva lungo il percorso. A volte mi pareva di vederla, un essere incappucciato, vestito con una specie di mantello scuro che ci pedinava a debita distanza. Vicino a quello Stregone avevo a volte strane visioni. La magia è contagiosa. Compresi molto bene che non appartenevo a quella realtà. Era troppo per me quel Tutto, e non ero ancora pronto a un simile distacco dal conosciuto. Più avanti nella vita avrei avuto modo di superare quel limite, ma allora non potevo immaginarlo.
Fu così un viaggio a ritroso verso il Mondo noto, e fu talmente faticoso da renderlo interminabile.
Un cammino lungo le mie paure, attraverso le meschinità proprie delle necessità che emergono dal profondo, quando si è oltre i limiti dall'orrore e dalla morale.
Liberato da ogni convenzione, l'essere umano si accorge che la sopravvivenza è l'unico comandamento necessario ed è l'unico ad aver senso.
Le umane preoccupazioni spesso futili, gli usi, i costumi, la Legge della società civile e perfino la personale Etica non trovano posto in quel Mondo autentico, perché sono prive di oggettività.
Ecco che la Realtà, in quei luoghi e in quelle condizioni, rivendica la sua assolutezza prepotentemente; Il resto sfuma e così ti accorgi che non è mai veramente esistito.
Il senso personale di quel Calvario Infernale patito si concretizzò in una fulminante verità: Il Mondo è un'effimera scenografia, davanti a cui l'Uomo si esibisce credendosi un protagonista. Una Verità che mi accompagna ancora oggi.
E' un fragile Teatro la vita umana.
Queste sono le mie modeste considerazioni, tra l'altro nemmeno originali. Un conto però è leggerle e un altro è viverle.
Ad ogni modo giungemmo infine al limitare dell'inizio della civiltà, e ci salutammo. Ero felice e profondamente triste nel medesimo tempo.
L'agognato confine si presentò inaspettato. Ricordo il caldo di mezzodì, l'erba alta sino al ginocchio e gialla, l'azzurro intenso del cielo senza una nuvola. Colori brillanti che si sovrapponevano piuttosto che cose. Le prime case mi apparvero strane con tetti coperti dalle tegole rosse e con i muri bianchi, non ero più abituato a quelle forme.
Ah! Quella era finalmente la civiltà.
Indelebile rimane in me il suo ultimo consiglio: -Tu ne crois pas au landiman- cioè mi disse: "Non credere al domani".
Non mi voltai, mentre andavo. Non volevo mostrargli le lacrime che mi scendevano lungo il viso, sgorgavano semplicemente, non ne avevo controllo, sopraffatto da sentimenti opposti e confusi. Era un moto inarrestabile che mi sussultava nella pancia come una danza tribale: una danza d'addio.
Confesso che provai paura di avere un'allucinazione, temevo che le abitazioni dei bianchi sparissero.
A furia di stare con i neri ero diventato una sorta di Bantù sbiadito, avevo perso la familiarità con la nostra civiltà.
Mi affrettai a raggiungere quelle case come se potessero partire da un momento all'altro. Il mio passo era concitato come quello di un bambino spaventato dopo che si è perso e va incontro finalmente alla madre.
Invece sui sentimenti profondi che provavo verso chi mi aveva aiutato fui timido, me ne pento, non glieli mostrai dandogli le spalle e allontanandomi. Non che fossi stato proprio irriconoscente, ero solamente sconvolto.
Così di quel uomo cui devo la mia vita non ne seppi più nulla.
Per molto tempo, però ci siamo incontrati nei sogni.
Da un po' questo non accade più.
Quindi scrivo questa storia per ricordarlo e descriverlo a chiunque legge e dirgli che Lui è esistito; Al mondo vivono uomini straordinari ed è forse il motivo per cui il mondo ancora esiste.
Nel mio curioso modo di essere, pago il mio debito e offro un tributo, celebrandolo. Cose strane che non si possono spiegare. Appaiono a volte presuntuose certe mie affermazioni, ma nell'essenza autentica non esistono le forme variegate delle convenzioni, dove è buona norma con la gente premettere ogni propria Verità con un "forse" oppure un "magari".
E' così oppure non è, non c'è altro modo di essere.
Come vita o morte, amore bruciante oppure odio furioso, sono elementi drastici cui un Uomo deve conciliarli profondamente e accoglierli con gratitudine nel suo Sacro.
Può un piccolo uomo quale sono testimoniare di cose così grandi?
Credo di si, in fondo anche l'oceano è riassunto in un bicchiere d'acqua.
Personalmente fatico a scendere nei particolari di quanto mi è accaduto, in quanto il ricordo è inciso nella mia anima con la sofferenza ed è come una cicatrice che mi indica un antico sbaglio; Esso però si è rivelato con il tempo e la fortuna, un'esperienza formativa fondamentale.
Così a me piace pensare che troverò la risposta che cerco, giunto al fondo di me stesso. Vissuta ogni esperienza e colto ogni sapore della Vita.
La conoscenza in me attraversa inevitabilmente il dolore, il pericolo, l'ignoto. La mia strada è solitaria, l'ho constatato: tutto è fatica.
E' il Destino che ho scelto e lo abbraccio totalmente. La mia accettazione del divenire è completa.
Nel vivere non mi concedo alcuna pietà, a volte sono duro con me stesso, eppure ogni sera mi perdono e lo faccio per iniziare una vera nuova vita ogni nuovo giorno.
Grazie! E' ciò che sento profondamente nella meravigliosa esperienza di vivere. Questa gratitudine mi dona contentezza, nonostante le delusioni e le paure che sono determinate dal male di vivere. La natura dell'esistenza è tragica, bisogna ammetterlo con onestà. Siamo in cammino verso la nostra tomba e l'oblio sarà il nostro epitaffio; Questo è vero per l'esistenza materiale, per l'Oltre invece?
Chissà! Un avverbio che pronuncio sorridendo.
Mi piacerebbe ogni tanto e sarebbe comodo fare una vita come quella degli altri, ma non succede.
La mia domanda però rimane: "È possibile essere civile e nello stesso tempo migliore?"
E ancora di più: "È possibile essere veramente umano?".
Sono in cerca di quella risposta, cammino ancora lungo quel sentiero dimenticato africano, talvolta a lato di esso nell'alba ancora fredda scorgo dei fiori coperti di rugiada come occhi che piangono.
Cammino svelto, perché sono ancora in caccia del "Luogo delle cose Vere" così lo chiama il mio Spirito.
Lungo questa pista inesplorata, sempre nuova e senza indicazioni che gli altri chiamano Esistenza;
Io invece la chiamo: Significato.
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