mercoledì 24 settembre 2025

Essere Baby 2

 


Quando si è bambini la felicità è un regalo.

Se c'è qualche lacrima ci penserà Papà oppure Mamma.
Essere grandi invece cioè essere adulti significa non avere più questo regalo, ma la felicità o la tristezza dipendono da te divenuto adulto, da come vedi il mondo, da come ti comporti, da chi frequenti e da quanto impegno metti nella tua vita, non solo per viverla bene, ma capirla meglio che puoi.
Per questo i genitori possono lenire le lacrime dei figli.
Mentre quando i bambini sono felici cioè quasi sempre non c'è bisogno dell'aiuto di nessuno.
Parlo dei bambini normali non quelli che ha tre anni hanno le stesse nevrosi di loro genitori e a dieci sono continuamente davanti allo smart phone.
Considero un vero "regalo" questa felicità goduta nella sana fanciullezza, perché quello che fa star bene e che è ricevuto senza fare niente è secondo me un regalo.
Da adulti questo non succede.
Gli adulti sono veramente adulti solo quando pagano ciò che hanno, cioè dormono nel letto che si sono fatti.
Mi domando chi fa questo regalo ai bambini?
Chi li protegge dal male di vivere che tocca perfino i loro genitori?
Da cosa perviene questa benedizione tutti lo possiamo immaginare, credere o sperare, ma con certezza nessuno lo sa.
E dunque non ne parlo come se lo sapessi.
Di certo è qualcosa di grande. Perché un sentimento come la felicità non è solo un'emozione. Inolte nei bimbi c'è quasi sempre.
Almeno se hanno da mangiare, non patiscono il freddo, hanno i genitori che li amano e hanno degli amici con cui giocare.
Una volta in Cambogia finii in un villaggio poverissimo sulle rive del fiume Mekong. Un luogo sperduto, senza luce elettrica, senza acqua corrente. Le strade erano sterrate, perché non c'erano automobili, motocicli e neanche le biciclette.
C'era solo un negozio che era una capanna con niente dentro.
Non c'era nulla da vendere, perché era finito tutto. Una donna stava sui gradini di questa capanna tra gli scafali vuoti come se lavorasse comunque.
C'erano delle ceste che ogni tanto sistemava in una sorta di riflesso Pavloviano automatico. Un'abitudine nel mettere in ordine cose che non c'erano più.
Chiesi dell'acqua e mi indicò il fiume.
Gli unici felici che ridevano erano i bambini.
Gli altri erano così poveri che avevano finito anche le lacrime e seppi che non mangiavano da una settimana per poter dare almeno un po' di riso ai loro figli.
Gli occhi della miseria non si dimenticano.
Graffiano l'anima. Hanno un colore unico.
Il capo villaggio mi disse in un inglese improvvisato che il trasporto sul fiume era interrotto.
Se non fosse arrivato il riso entro una settimana sarebbero cominciati a morire i bambini piccoli e poi i giovani e dopo sarebbero morti tutti in un mese.
Non c'erano più vecchi in quel villaggio.
Gli anziani erano già andati, erano in viaggio su una barca diretti all'oltretomba. I loro corpi erano stati bruciati con delle pire di legno come si usa in quel posto.
Un corpo umano può ardere anche per un giorno intero prima di diventare cenere. Questo lo so perché lì l'ho visto.
Intanto che parlavamo, ogni tanto scrutava il fiume che indifferente scorreva, ma non portava altro che tronchi, foglie, liane e qualche zattera d'erba.
Non era nemmeno triste, non era più nemmeno disperato.
La vera povertà asciuga anche le speranze.
Avrei potuto dargli un po' di soldi, ma quelli non si mangiano. Nella nostra società civile non l'hanno ancora capito.
Trovai il giorno dopo un passaggio di fortuna su una piccola barca in transito. Ero stravolto da questa esperienza.
Non posso dimenticare non solo quella povertà, ma il silenzio.
Quando l'indigenza tocca il suo estremo emette un particolare silenzio. E' denso, ti avvolge, ha come un peso.
Provai una forte emozione come uno stato d'impotenza che mi faceva guardare avanti lontano per non vedere quello che avevo invece davanti agli occhi.
Non sono un uomo impressionabile, ma ciò che avevo visto non riuscivo a sostenerlo.
Annaspavo, mi mancava l'aria e non per il caldo equatoriale.
Mi era entrato dentro qualcosa che aleggiava, un che di indistinto che mi attanagliava le viscere come prese in una morsa.
Morte e miseria fanno questo effetto. Non ci si fa mai l'abitudine.
Mi ricordo che piansi come un vecchio senza riuscire a fermarmi mentre mi allontanavo da quel Inferno verde e lussureggiante.
Io almeno potevo andarmene, loro no.
Vivevano come mille anni fa.
Senza scuola, senza farmacia, senza e basta.
I bambini sulla sponda intanto giocavano con delle ciabatte rotte spingendole con un bastone come fossero barche e facevano a gara tra loro, spensierati.
Mi salutarono dalla riva, avrei voluto essere cieco per non vederli.
Chiesi a Dio il senso di tutto questo?
Mi rispose come al solito con il Suo eloquente silenzio.
Ancora silenzio che si aggiungeva al silenzio. C'era da diventarne sordi.
Avevo dentro un furore inutile. Non potevo fare nulla se non condividere un poco la loro sofferenza oltre ogni umana sopportazione.
Se allora non è un regalo di qualcosa di grande questa spensieratezza dei bambini anche nel peggio oltre la desolazione, allora è un miracolo.
Ho visto tanto del Mondo.
Ho visto spesso gli ultimi della Terra sparsi un po' ovunque.
Non solo i morti e la distruzione della guerra nel Libano della mia gioventù durante il servizio militare.
Anche l'estrema povertà che strappa quasi la dignità umana.
In Bielorussa ho ricordo delle anziane che vendevano dei mazzetti di fiori fuori dalla metropolitana di Minsk, senza domandare, senza parlare, senza guardare, perfino senza guanti. Sferzate da un gelo che da noi non sappiamo esistere.
Gli ubriachi con la disperazione in bottiglia appoggiati ai muri della periferia di Mosca.
Una donna anziana in Vietnam mi trafisse, perché non aveva più nulla, non aveva più famiglia né casa.
Aveva solo un mango. Glielo comprai e lo mangiai guardandola, era felice. Rideva quasi senza più denti. Quel giorno anche lei avrebbe mangiato.
Aveva mani piene di rughe, le notai e mi domandai: Quanto hanno lavorato queste mani per non avere niente?
Tutto si perde in un'estinguibile vuoto. Questa è la vita umana.
Ricordo dei ragazzi seminudi in Laos al limitare della giungla, un gruppetto che parlava un dialetto incomprensibile e parevano dei pigmei ambrati con lo sguardo acquoso di chi non conosce nulla.
Inutile dire che tutti loro e i molti altri che mi hanno colpito li ho dentro di me.
Ho il dono della memoria, ma ha volte mi pare una maledizione.
Queste esperienze non solo ridimensionano i tuoi problemi, ma la tua Vita.
Ogni volta che ho esperienze così profonde e torno a casa dovrei cambiare il Passaporto, perché non sono più lo stesso uomo di quando sono partito.
Ho dentro un'estinguibile attrazione per le cose autentiche, vere, crude.
I mostri dell'esistenza li voglio guardare negli occhi.
Le paure per superarle devo prima misurarle.
Non so perché sfido me stesso, ma questa strada mi chiama e a volte mi dilania.
Guardo le foto degli amici al mare e penso che non sono come me.
Non che sbagliano, ma andare in spiaggia, stare sotto l'ombrellone e fare il bagno dopo due ore che si è mangiato il bombolone alla crema per me non è vacanza è una specie di condanna.
Ho nuotato con gli squali balena e nel plancton fosforescente, ho fatto la doccia vicino a cascate alte centinaia di metri, mi sono inoltrato nella selva Amazzonica e nelle giungle del sud est asiatico. Sono salito sulle piramidi Maya tra gli strepiti delle scimmie urlatrici, ho fatto un sacco di cose, visto tanti posti e questo mi ha regalato emozioni, incontri, conoscenza.
Un giorno senza apprendere per me è un giorno sprecato.
Non è stato facile. Ma la Libertà senza la paura dell'ignoto non può esistere.
A volte sono solo in questo piacere e in questo dolore, ma non è passione per la sofferenza. E' solo un disagevole gusto per l'avventura.
Non credo sia masochismo; Sebbene ho perso il conto delle volte che ho rischiato la pelle amo la Vita, purtroppo ogni volta ci ricasco nell'attrazione irresistibile per l'ignoto.
Il mio desiderio di Verità non conosce fine né riposo.
Sono così. Me ne faccio una ragione.
Un'acuita sensibilità porta inevitabilmente un maggior dolore.
Tutto si paga.
Non sono più un bambino.
La mia spensieratezza non è durata molto.
Per me è stato presto tardi.
Mio padre mi ha lasciato che ero ancora ragazzo.
Ho dovuto diventare uomo in fretta.
La felicità dei bambini richiede invece poche cose che costano poco e comunque pagano i genitori.
Questo sentimento inoltre non lo possiamo creare né quando si è bambini né da adulti, ci viene da dentro (si dice così) ma secondo me ci viene dall'alto e dall'oltre.
Se fosse realmente in noi sarebbe nostro, e potremmo provarlo a comando.
Da adulti arriva comunque, ma bisogna pagarlo con un certo impegno.
Il segreto della felicità è essere amico di ciò che ti è attorno.
Non è più gratis la felicità, la serenità, la gioia spontanea. La noia felice che avevamo da piccoli non ci accompagna a letto, quando ci si addormentava contenti.
Insomma quando il pupazzo di neve era un uomo vero; Ora non è più così.
Quello che so è che essere adulto significa vivere ed essere ciò che faccio.
Pare poco?
Forse.
Credo che non sappiamo quasi niente dell'esistenza sebbene la viviamo, perché nessuno sa fino in fondo se la vita sia oppure non sia.

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