giovedì 28 agosto 2008

Welcome to Mars part II


Immaginate di poter diventare un ape e volare all’interno di un alveare sconosciuto.
Fra le migliaia di api come voi, si aprono alla vostra vista, spazi infiniti e costruzioni di inaudita complessità.

Ecco che Tokyo nelle prime ombre della sera si presenta in abito lungo, fra le luci multicolore e i grattaceli di sessanta piani che mi guardano curiosi dalle finestre illuminate.
Il buio arriva inaspettato e rapido in questo angolo del Pacifico. Alle sette di sera in meno di dieci minuti si passa dal tramonto alla notte più nera.
Sono ancora rincoglionito dal jet lag, che fedele come un cane molesto mi perseguita ed appena mi fermo si erotizza sul mio ginocchio nonostante i miei insulti. Procedo comunque insieme a K uscendo dalla metropolitana di "Ginza Station", per una passeggiata nel quartiere della moda e dei locali fashion: Ginza, appunto.
Il cambio di fuso orario mi regala un sonno insopportabile mentre intorno a me tutto si muove.
Condannato a pinneggiare instancabilmente come uno squalo, altrimenti muoio di sonno nel più grande agglomerato urbano del mondo.
La città invece non dorme mai, molti negozi sono sempre aperti, si può cenare in un ristorante alle cinque del mattino oppure tagliarsi i capelli da un coiffeur trandy, a volte le due cose le si possono fare nello stesso palazzo. Infatti non esiste piano regolatore e può capitare che un uscita della metropolitana porti direttamente in negozio o che saliti al primo piano di un palazzo residenziale ci sia un laboratorio di artigianato tradizionale accanto ad un dentista e poco più avanti un piano bar. E’ imperativo leggere le scritte (in ideogrammi) per trovare ciò che si cerca all’interno di un condominio.
Giusto per complicare le cose le vie non hanno nome (tranne le grosse arterie denominate Dori) e non esiste la numerazione per gli stabili civici. Ogni quartiere ha una numerazione concentrica e crescente per dividere i blocchi abitativi e lavorativi, ma può capitare che un indirizzo sia semplicemente indicato su una lettera come: "12-11-7, Al terzo piano della casa rossa vicino al dentista affianco all'edicola". Pare impossibile ma tutto funziona ugualmente. Spesso si gira con cartine fatte a mano che si possono consultare e confrontare vicendevolmente con gli occasionali dispersi al modo di naufraghi educati.


Ovunque si può trovare una sala di “pacinko”, il gioco d’azzardo nazionale, ufficialmente vietato, ma che quasi tutti praticano. Non chiedete comunque a nessun giapponese se ci gioca... Non lo ammetterebbe mai.
Il “pacinko” è misto fra un flipper verticale e una slot machine. Entro per curiosità in uno di questi santuari del divertimento, a volte disposti su piani diversi ed è un delirio di rumori assordanti, in confronto la strada a sei corsie di Ginza-Dori pare un monastero benedettino.

Immersi in un fumo di sigaretta stagnante decine di giocatori introducono biglie d’acciaio colorate e scelgono combinazioni complicate come un papiro egizio nella speranza di un guadagno facile. Spesso si perde ed a volte si vince, ma non pensate che la cosa sia semplice: si vincono altre palline che arrivano consegnate da solerti impiegati in grosse scatole colorate. A volte impilate una sull’altra per le vincite più fortunate. Alla cassa non vengono dati soldi, ma si vincono piccoli pupazzetti che poi, una volta usciti dalla sala vengono scambiati in un locale piccolo e anonimo, spesso nelle vicinanze a qualche decina di metri di distanza, per yen sonanti.

L’apparenza è salva, come vuole la regola della casa nipponica.
La vita a Tokyo viaggia su due binari paralleli che non si incontrano mai.
Un binario è la vita sociale, l’altro è quella privata: questi due fratelli non si parlano, ma nemmeno si somigliano.

In tutta la città è vietato fumare quasi ovunque, anche in strada. Su tredici milioni di residenti ci sono almeno cinque milioni di fumatori a Tokyo che sembrano non esistano. Fatto salvo ritrovarli a piccoli gruppi in un angolo nascosto dedicato a loro con i posacenere disposti attorno a questa area del vizio come piccoli altari votivi.
L’alternativa è andare al ristornate o in un bar dove è invece permesso intossicare il proprio vicino.

A proposito di bar, credo di aver trovato il bar più piccolo del mondo, solo venti centimetri separano il bancone dalla porta di ingresso. Gli avventori intrepidi possono bere, ma non alzare il gomito per ovvie ragioni di spazio. E' un nulla in confronto al brivido di sfidare impunemente qulunque regolamento sanitario ed edilizio.



Nella città non ci sono cestini, ma le strade sono comunque pulite. Se amate le contraddizioni il Giappone è fatto per voi.
Fissare una bella ragazza è considerato sconveniente, ma può accadere di vedere un buon padre di famiglia leggere un “manga” nella metropolitana dove scene di sesso esplicito vengono disegnate magari in ambientazioni sado-maso, senza che la cosa desti nessun tipo di problema.

Trovate ogni cento metri un distributore di bevande, ma se decidete di allontarvi da i bidoni di raccolta differenziata spesso dovrete portarvi la bottiglia di plastica sino a casa.
Questi distributori sono incredibili, credo che esistano non meno di quaranta tipi diversi di bevande analcoliche dispensate da questi congegni. La mia preferita è il latte di soia alla menta con soda Calpis, ma non domandatemi perché. In condizioni normali non la berrei neanche sotto minaccia armata, qui invece complice il clima la trovo gargantuesca.

Il caldo è opprimente, ma è nulla in confronto all’umidità. Per mia fortuna sono talmente preso dalla vista di questa fantasmagoria di palazzi e luci che mi dimentico di sudare.




Procedo con il mio amico fino Mejiro Station dove passerò qualche giorno a casa sua, una villetta insolitamente ampia per gli standard della città. K, mi saluta all’una del mattino: deve andare a lavorare. Comprenderò presto che gli orari lavorativi in Giappone sono più elastici di un paio di mutande rotte. Tutti lavorano a tutte le ore. Comunque per me è arrivato finalmente il momento di dormire.
Peccato che tre ore dopo sia perfettamente sveglio e con una fame atavica che mi attorciglia le viscere. Decido di passeggere per il corridoio e penso con nostalgia alle dormite nelle notti fresche della Versiglia, ma poi mi mi insulto da solo: “Sei il solito provinciale". In un rigurgito di maschio orgoglio grido: "Banzai!" e riprendo indomito a visitare le assi del parquet nel corridoio.

Aspetto paziente che il "cane jet lag" mi addenti, magari un polpaccio, così da tornare in sincronia con il resto del mondo o meglio con questa parte di mondo.

Per ora mi sento come un calzino spaiato mentre vedo l'alba di un nuovo giorno.


Continua...

1 commento:

Haemo Royd ha detto...

E' un vero piacere leggere il tuo diario di viaggio, lo bevo...