venerdì 29 agosto 2008

Welcome to Mars part I


Se mai un giorno un uomo potrà incontrare una razza aliena tecnologicamente sviluppata, ma con usi e costumi diversissimi dai propri, molto probabilmente proverà le stesse sensazioni che al viaggiatore attento possono accadere visitando il paese del Sol Levante.
Non è solo dall’altra parte del mondo, non è solo perché vivono a testa in giù come si pensava anticamente, ma semplicemente perché il Giappone è un meraviglioso mondo alla rovescia.

Dodici ore di aereo, 10.000 km, sette ore di fuso orario di differenza ed eccomi all’aeroporto Narita di Tokyo.

Un tubo collegato direttamente alla carlinga del 747 mi immette nello spazio porto, segue con continuità una sensazione di disorientamento, dall’atmosfera pressurizzata dell’aereo alle luci eternamente accese degli ampi corridoi che portano all’uscita. Distese di moquette grigio a perdita d’occhio fanno da contorno a tapis roulant in movimento. Stranisco, mentre annunci in lingua sconosciuta fanno eco nelle mie orecchie.

Sono in un perfetto mondo di plastica.


“Welcome to Japan”, recita gentile attendendomi all’uscita degli arrivi internazionali il mio anfitrione: Kitaro. D'ora in avanti semplicemente K, come suo costume gentile, molto gentile, tremendamente gentile. Qui è tutto gentile, molto gentile, tremendamente gentile.

L’aeroporto è a due ore di treno (Japan Rail Line) dalla città, ma non è la nostra prima destinazione.
K, ha pensato bene di portarmi a Hakone, località termale a "solo" 350 km dalla grande metropoli, ma ancora due ore di treno e un’ora di autobus non mi aiutano a riprendermi dal viaggio e dal jet lag che mi torturerà per tutta la mia permanenza, solo che io ancora non lo so.
Non chiedetemi cosa ho fatto durante questo primo viaggio, mentre prendo il famoso treno proiettile "Shinkansen" che corre a 250 km orari. Sono così sotto sopra che non mi rendo quasi conto di arrivare alla fermata d’autobus necessario all'ultima tratta di questa giornata che sembra non finire mai. Salgo e mi accomodo su questi sedili a misura di nano, poi finalmente si parte, inerpicandoci sulla montagna tra le curve bagnate di pioggia.
Il Palace Hotel di Hakone mi appare come una terra promessa.

E’ nel “sento”, il bagno termale dell’albergo, che comincio a riprendere vita come una pianta di basilico dopo una copiosa innaffiata.
Nella vasca caldissima si entra già puliti e lavati, quindi lascio la vestaglia tradizionale cortesemente fornita dell’albergo ed ecco che mi ritrovo tutto nudo in mezzo a un gruppetto di giapponesi piccoli rispetto alla mia altezza e mi faccio la doccia seduto su un microscopico sgabello. Appollaiato mi lavo con un microasciugamano in posizione “rannicchiata” fino a che sono mondato da ogni traccia del viaggio e posso gustare le vasche di acqua calda.
Una grande al coperto e una sotto una pagoda di legno all’aperto fra il gorgoglio delle cascatelle tra i sassi e il verde della vegetazione che fa da paravento a questo momento di autentico relax.
Il silenzio è totale.
Nel “sento” non si parla, e cosa mai potrei dire? Conosco solo poche parole di questa lingua strana che ha cinque alfabeti diversi per dire la stessa cosa.

Trascorro una notte ed un giorno a Hakone nella attesa di poter vedere il monte Fuji che invece si nasconde timido dietro una coltre di nuvole. La temperatura fuori dell’albergo è intorno ai 28°, ma l’umidità supera il 90% scoraggiando qualsiasi velleità podistica. In compenso all’interno l’aria condizionata mantiene una temperatura polare di 18°, cosa normale in Giappone, notoriamente abitata da persone immuni alla polmonite.
Il Fuji-Hama non si concede facilmente, come tutto in questo paese.

Il massimo dell’arte giapponese si realizza nel far apparire naturale una cosa creata con infinita cura e lavoro, questa già la dice lunga sulla mente di questo paese.
Niente è mai semplice, diretto, palese, ogni cosa va cercata, capita, conquistata forse sofferta.
Il profumo della sofferenza: intesa come dedizione, dono, forse esercizio di virtù non mi abbandoneranno per tutto il mio viaggio, ma come ho detto prima, questo ancora non posso saperlo mentre mi gusto la mia prima sublime e luculliana cena.

La prima di molti e diversissimi pranzi che mi faranno ampliare notevolmente le idee sulla cucina giapponese, gereralmente nel nostro paese non molto varia.
La mia abilità con gli hashi (le bacchette) riscuote molto successo da parte di K che non conosceva il mio lungo e costosissimo training presso i ristoranti jap di Milano.
Domani partiremo per Tokyo, dove mi aspetta un nuovo mondo come in un gioco continuo di scatole cinesi, quando credi di aver capito...Capisci che non hai capito.
Prima però mi attende una traversata fluviale sul lago Ashi o come dicono i giapponesi: Ashi-no-ko.
Per giungere al lago bisogna attraversare un parco molto bello, ma tremendamente umido che illuminato da un inaspettato sole riesce a far evaporare le mie energie con incredibile rapidità.


Arrivo stremato all’imbarco e mentre attendo il mio turno mi addormento per qualche attimo su una panchina sotto i rami di questi alberi così diversi da quelli a cui sono abituato.
Ora ci si imbarca su queste navi per turisti decisamente Kitsch, fedeli repliche di galeoni spagnoli oppure di battelli americani a ruota in un trionfo di plastica che non contamina però la bellezza del paesaggio.



Concludiamo la visita raggiungendo un santuario Shinto nascosto nella montagna vicino all'ultimo molo della parte opposta del grande lago. E' decisamente bello, dove trovo un "dojo" dove si pratica la millenaria arte del tiro con l'arco (Kyu-Do).
Pare per un attimo di tornare ai tempi del giappone feudale.

E' un regalo che sorprende proprio come una carezza dopo una discussione estenuante.


Continua...

1 commento:

Haemo Royd ha detto...

Bentornato Visir, delizioso diario di viaggio, proprio stamattina è venuta in studio Mariko, una giovane signora giapponese alta quasi 1,80, ho pensato a te, non per l'1,80 ma per il giappone che' dell'1,80 chi cazzo se ne frega?
Essendo la signora giapponese ed essendo tu in giappone l'associazione d'idee era pertinente.
P.S ogni tanto mi piace essere logorroico , indisponente&rincoglionito, è perche' sto attraversando un periodo di misantropia.
Cià