martedì 28 agosto 2012

Mare Vostrum

Surfrando sull’onda anomala dell’estate, in equilibrio precario tra crisi e calura, ho trascorso ed esaurito le mie giornate vacanziere.
Ne do un breve cenno, ma solo per amore di cronaca e per sfamare la curiosità dei miei sostenitori, sempre famelici dei dettagli della mia esistenza terrena.

Un doveroso preambolo.
La cosiddetta “recessione economica” lambisce anche i miei augusti piedi, scalzi ma ben curati, con una conseguente drastica riduzione dei giorni fruibili del mio meritato riposo.
Amputando due terzi il tempo a mia disposizione l’infame chirurgo della contingenza sfavorevole mi toglie quindi molto, ma non tutto.
Le munizioni sono poche e i nemici ormai tanti.
Non potendo così più contare sulla forza dei contanti per vincere la battaglia del bilancio mensile ho fatto affidamento sullo spirito.
Ho vissutoi miei attimi di libertà con il triplo di intensità, pareggiando i conti, alla faccia delle tasse vampiro e dei prezzi esorbitanti generati della speculazione.

Usualmente opto per lidi lontani e non battuti dalle mandrie transumanti di turisti che fotografano tutto, ma poi non capiscono nulla dei posti che visitano.
Mi piace considerarmi un viaggiatore ma quest’anno ho fatto della necessità una virtù spostando il mio itinerario verso la costa più vicina, quella ligure appunto.

“Uomo libero sempre amerai il mare” recita una famosa poesia, e così punto verso il “Tiguglio” che non è certo Rio de Janeiro ma con un po’ di fantasia la spiaggia di Paraggi diventa quella di Ipanema; una birra può trasformarsi in una Caipirina e le bagnanti tracimanti cellulite in “garote” carioca giovani e sorridenti. Guardo avanti ad un futuro che ormai non è più quello di una volta…
Pochi ma buoni, è stato così il motto dei miei giorni d’evasione.
Montando in groppa alla mia fedele superbike “Diablita”, nera come la mia anima, mi sono diretto a tutta velocità (Tutor permettendo) verso le “Five Lands” come le chiamerebbero i figli di Albione, cioè le Cinque Terre come diremmo invece noi semplici figli di N.N.

Uno zaino sulle spalle con dentro lo stretto necessario, due costumi, un pareo di Ibiza, tre magliette, due jeans e uno smoking (non si sa mai) da indossare naturalmente con le infradito (un must mi si dice). Ho dato inizio alla mia avventura minimal ma con il sapore “on the road”.
Sin da bambino ho avuto il sogno di partire in motocicletta e andare, andare e andare ancora senza meta e senza più fermarmi.
“Ma dove vai?” Mi diceva mia madre riportandomi alla realtà- “che la cena è pronta fra mezz’ora”.
Allora con la fantasia mi spingevo in questo viaggio dove le mie giornate erano trascorse come capitava ma pienamente. Godendomi ogni alba come fosse l’ultima e ogni tramonto come se la vita non finisse mai.
Talvolta la mia avventura onirica era punteggiata da fugaci e struggenti incontri con occasionali fate perchè in un illusione è sempre meglio metterci dentro un po’ di tutto.

Il sogno però è ancora lì, ma ogni tanto lo tiro fuori del baule della memoria, lo spolvero sbattendolo un po’ e ci faccio un giretto dentro, poi ritorno al mio solito penitenziario full optional.
Probabilmente non sono ancora pago della mia cella, però non sono un detenuto rassegnato.
Anzi, nel fondo della mia coscienza c’è ancora un ribelle che si morde le nocche e il desiderio dell’evasione è solo sublimato non certo cassato.
Aspetto, e cerco sempre nel muro di cinta grigio e alto una breccia per poter correre lontano.
Non amo ancora così tanto le mie catene da non sentirne il peso e poi, sono ottimista di natura, tanto c’è sempre tempo per mettersi a piangere, no?

Nonostante tutto e tutti ho potuto trascorrere una buona vacanza e deliziarmi di paesaggi intriganti, dribblando tra le curve strette con strapiombi sul mare, godendo tramonti rossi come il mio conto in banca e dormendo in letti comodi ma non solitari. Non da ultimo accomodandomi in ristoranti che hanno deliziato il mio palato e arrotondato i miei fianchi usualmente snelli.
Ho scansato il macigno fiammeggiante del caldo torrido e luciferino che ha reso le città un girarrosto e questo aggiunge un plus valore al divertimento.
Finalmente ho riposato, compiacendomi in spiagge e mare insolitamente poco affollati.
Meno affollati del solito, ma non certo deserti, un fatto che ha generato un solo piccolo inconveniente durante la mia licenza premio dal vile giogo delle costrizioni.
Forse molti non sanno che i liguri sono affetti da una patologia endemica ma solo estiva. Un retaggio atavico oppure un effetto collaterale da over dose di Pesto, la scienza non si è ancora pronunciata.
Da questa epidemia sono contagiati molti villeggiati e in special modo i bambini che in questi ameni lidi trovano ristoro dalle fatiche scolastiche.
Gli infanti una volta contaminati vivono una strana patologia i cui sintomi sono un’emissione senza sosta di urla selvagge degne di un indemoniato sotto esorcismo.
A queste grida disumane si hanno, di rimando, quelle dei rispettivi genitori (contagiati anch’essi ma forse da un virus mutante) paragonabili invece al grido di guerra di un highlander in battaglia contro gli inglesi dopo che questi ultimi gli hanno bruciato il villaggio e trombato la moglie.
I bambini fingono di ubbidire a queste grida gutturali e terrorizzanti, i genitori fingono di redarguire i posseduti dal demonio senza in realtà scacciarlo, ma il risultato è che tutto rimane com’è cioè un gran casino fatto da loro.
La dolce musica della risacca si trasforma, alla calata di queste orde di senza dio con un serio disagio mentale, in una cacofonia distonica.
Lo spettacolo è di un’umanità in piena regressione neanderthaliana.
Si alza, in pochi minuti il livello sonoro della piccola porzione di paradiso in cui ci si godeva il sole trasformandola in un girone dantesco.
L’incredibile prodotto acustico è generato da questi ominidi instancabili che sembrano non avere polmoni ma mantici.
I decibel divengono quasi insopportabili, un amento che è proporzionale solo alla vacuità dei discorsi urlati con tanta veemenza.
Pare che l’imperativo cui la forza della natura costringe questi disgraziati non sia quello di dire qualche cosa di sensato, ma di dirlo il più forte possibile.

A questa invasione ostile si accompagnano di solito come alleati i giocatori di volley. Questi ultimi si dilettano lungo la riva in prestazioni da campionato; Lanciano per ore la palla nelle più disparate direzioni con bordate degne di una salva di cannoni di un veliero pirata.
Talvolta, questi atleti del ferragosto centrano con una schiacciata il cranio di un ignaro bagnante che si inabissa con un guaito nelle profondità del mare e di lui se ne perdono presto le tracce, tanto la sua famiglia se va bene se ne accorgerà a Natale, quando avanzerà un regalo e stupiti i superstiti ne constateranno la dipartita.
Negli autori di questi omicidi colposi non si trova traccia di alcun pentimento, a meno che non si può intendere come atto di contrizione il “Palla!” che urlano senza educazione per la restituzione dell’arma criminale finita lontano.
Il primato olimpico degli sport della spiaggia è conteso ai pallavolisti dai giocatori di volano. Un’altra sottospecie pericolosissima che si camuffa da giocatori innocui, ma appena acclimatati nell’eco sistema balneare si trasformano man mano in finalisti della Coppa Devis.
Essi, sparando colpi rovesci e dritti tremendi che sebbene di calibro inferiore alle palle da volley sono ugualmente letali. In particolare quando colpiscono le virili parti molli inguainate, senza via di fuga, nello slip di qualche preda ignara che si avventura lungo il lembo di battigia oggetto della loro discutibile prestazione atletica.
La povera creatura, ferita a morte nell’onore più caro al maschio, generalmente emette un barrito orripilante e stramazza al suolo in uno sbuffo di sabbia presto circondato da pargoli festanti che gli corrono in circolo come Zulù in un’imboscata a delle bionde esploratrici senza difesa.

Stordimento acustico e proiettili vaganti di grosso e medio calibro sono la parte d'ombra della vacanza che si estende ben oltre l’ombrellone e che evito agilmente frequentando spiagge isolate, luoghi impervi come una sorta di stambecco marino e in subordine ad orari di canicola che incenerirebbero questi primati che pare aborrano l’ombra e la protezione solare durante i loro allenamenti senza posa.
Grazie alle mie piante dei piedi ignifughe posso camminare sull’arenile ustionante senza batter ciglio e come un fachiro birmano mi dispongo al riposo dopo il bagno su solitari scogli acuminati che non riescono a trapassare il mio marmoreo posteriore aduso ad ogni angustia e forgiato in anni di versamenti all'Erario.

Attendo paziente, il ritorno di un nuovo Erode per la riduzione drastica di quelle bertucce maleducate che si fanno chiamare indebitamente "bambini" e che meriterebbero, nel migliore dei casi, solo frustate di ratan sul culo; Prego inascoltato anche per una pioggia di bombe al neutrone che porti all’eliminazione definitiva dei loro genitori che hanno la gravissima colpa di aver procreato simili abomini acustici, sicuramente affetti da malattie genetiche perniciose e inestirpabili.
Una genia subdola che si “attana” nei luoghi più gradevoli per uscirne all’improvviso allo scoperto e fare scempio di ogni regola cavalleresca e di condominio.

Noto che con gli anni mi sono trasformato da un fautore dell’amore universale in particolare con l’altro sesso avente un aspetto gradevole, in una sorta di dottor Stranamore, non chiedetemi però, quando e come è successo.
Un mio conoscente dice che è colpa del lavoro, ma forse divento solamente vecchio.
Alla fine mi consolo e mi dico: “Cosa si può volere di più?”
“Tantissimo”, risponde una delle mie mote personalità che zittisco con gli ammonimenti del buon Seneca: “Non si può avere tutto, ma si può rinunciare a tutto”.
“Bella roba!” Replica la medesima personalità schizoide notoriamente refrattaria alla morigeratezza.

Mi accontento invece del molto di cui posso ancora godere.
Saluto il mio filosofo preferito con la manina, mentre approfitto di una sosta dal mare per farmi una scorpacciata di granita al fico con gelato allo yogurt presso il “Tritone” di Sestri Levante.
La granita di questa gelateria artigianale, che considero un santuario, è un’esperienza che rasenta l’estasi mistica.
Per non parlare di un paio di ristoranti sul mare a Cavi dove il pesce sembra portato in tavola dal Dio Nettuno stesso.

Alla fine la vacanza è finita.
Come direbbe il mio amico stitico, quando finalmente esce dal gabinetto: “Anche questa è fatta” .

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