martedì 8 giugno 2010

Millenium Novo


Può un personaggio immaginario determinare il successo di un libro? Anche il successo del film cui si ispira? A prescindere dalla grandezza della storia e da come è raccontata ?
Pare di si.

E’ il caso di Millenium, trilogia tinta di giallo del giornalista svedese Stieg Larsson, morto qualche anno fa a cinquanta anni di infarto lasciando in eredità tre libri mai pubblicati.
In seguito ad una serie di circostanze fortuite la divulgazione dei tre romanzi è avvenuta postuma e con la pubblicazione anche il successo editoriale. Un successo eccezionale, inaspettato e fatto proprio dal cinema che ha realizzato tre film di grande consenso.

I diritti milionari di questa popolarità tardiva sono stati accaparrati dal padre e dal fratello dell’autore (con cui non andava d’accordo), in spregio alla sua compagna e collega che aveva collaborato alle fatiche della stesura dell'opera e con cui aveva diviso oltre trenta anni di vita lavorativa e sentimentale.
Questa almeno è la cronaca contemporanea e la notizia non è priva di una certa ironia, in quanto la storia dei tre romanzi si staglia su un fosco panorama di soprusi perpetrati particolarmente nei confronti delle donne.

La vicenda raccontata è un itinerario in tre titoli: -Uomini che odiano le donne, Donne che giocano con il fuoco, La Regina dei castelli di carta- .
La narrazione letteraria è lunga come un inverno, al modo di alcuni autori nordici.
Niente di particolare differenzia lo scritto dalla produzione comune sia nella trama che nei dialoghi. Ad un occhio obiettivo non si riesce a giustificare l’attenzione pubblica di cui gode.
Larsson non è certo James Elroy, questo va detto per amore di sincerità.

Il fatto strano o meglio la singolarità dell’opera è che nel libro, ed ancora di più nel film, il posto da protagonista è rubato da una donna al suo naturale detentore, cioè al giornalista Mikael Blomkvist il direttore della rivista Millenium che si occupa di scandali economico politici.
Una comprimaria che appare solo dopo la prima metà del racconto, ma che catalizza subito l’attenzione e la simpatia.

Questa donna è Lisbeth Salander, una giovane hacker socialmente emarginata posta in tutela da una struttura assistenziale delirante e bigotta, una burocrazia apparentemente irreprensibile come appare la stessa società svedese. La ragazza è assunta per un'indagine dal protagonista proprio grazie alle sue doti particolari.
Alla Salander è stata, infatti, diagnosticata la sindrome di Asperger, una forma particolare di autismo che “regala” ad alcune persone colpite da questa diversità capacità notevoli, a volte sorprendenti. Particolarmente in campi quali l’informatica e la matematica.
Questa è l'anamnesi che la descrive, ma questa donna supera la facile identificazione di “fenomeno” assumendo, da subito, un altro spessore.

Infatti, la sua diversità tratteggia una personalità complessa e carismatica che compensa la sua inabilità comunicativa con capacità superiori di analisi e logica.
Paradossalmente, lei che ha molto da dire non ha (o non vuole) nessuno cui rivolgersi.
Pare allora uno strano risarcimento della vita, donare grandi talenti a chi non riesce ad instaurare dei rapporti umani significativi se non in casi sporadici e al prezzo di molte difficoltà.

Lei diventa così man mano, il vero outsider della storia collaborando con il giornalista per questa investigazione e finendo poi, essa stessa, al centro di vicende criminali.
Da vera "ladro informatico" quale è riesce a rubare anche la ribalta, non solo al giornalista Blomkvist, ma a tutti gli uomini che si affacciano nel racconto. Uomini che brillano solo di una piattezza insignificante anche se ricoprono posizioni di rilievo.

Perfino i personaggi maschili che incarnano il male e che esprimono una ferocia potente e una violenza senza altra morale che il soddisfacimento delle proprie pulsioni, non riescono a colpire così forte e così in profondità. Non raggiungono il rilievo di questa anti-eroina. Il cui dolore, la cui pienezza, si esprime spesso in un mutismo assordante, cui basta un solo sguardo per trapassare nel medesimo tempo l’interlocutore e se stessa con il proprio passato nebbioso e terribile.

Lisbeth, tocca corde profonde nel sentire del lettore e ancora di più nello spettatore.
Merito probabilmente, nella versione filmica, della brava attrice che la interpreta: Noomi Rapace. Certo, ma non solo.

Credo che questa commistione di determinazione e disadattamento, di rifiuto delle convenzioni e genialità. Di coraggio anche corporeo, inaspettato in una donna fisicamente insignificante, incarna un ideale femminile estremamente attuale.
Questi elementi offrono spunti su cui si appoggia la simpatia prima, e l’ammirazione dopo che fanno amare un personaggio tanto originale.
Una figura presente probabilmente nel nostro inconscio sociale cui però ancora non ne abbiamo udito distintamente il richiamo.

L’uomo, il maschio, negli ultimi diecimila anni non ha realizzato poi molto.
I tentativi di cambiamenti radicali di vita comunitaria sono stati sempre degli insuccessi.
I problemi e le dinamiche sociali sono rimaste pressappoco le stesse, forse solo più subdole e raffinate. Prima c'erano gli schiavi ora i salariati, prima le guerre sante ora si adora il petrolio e il denaro.
Una volta si perseguiva la ricchezza ora si è compreso che il vero potere è il debito.
Chi controlla il debito delle nazioni, delle imprese, dei singoli è il vero padrone ed ha al guinzaglio questi soggetti. I vantaggi sono molteplici, uno per tutti? Il debito non si può rubare.
Le responsabilità e l'identificazione di questi "padroni" si perde nell'organigramma complesso di organizzazioni, fondazioni, enti e società multinazionali. Un dedalo di connessioni inestricabili che costruiscono un anonimato quasi perfetto, che regalano la sicurezza di non essere visibili. Non si spiegherebbe diversamente il sorriso di alcuni di loro che salturiamente finiscono sotto i riflettori dell'opinione pubblica, essi hanno il ghigno soddisfatto di chi non pagherà per i propri peccati.
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Un salariato, difficilmente ucciderà il proprio datore di lavoro nel sonno come accadeva ai tempi degli spartani e dell'antica Roma con le rivolte degli schiavi esasperati dalle vessazioni.
Si è compreso il vantaggio di non dover mantenere uno lavoratore, quando diventa vecchio e improduttivo. Ora c'è il licenziamento, la mobilità, la cassa integrazione, il lavoro interinale. La pensione(?) che viene elargita come un favore dopo aver messo le mani in tasca ad ogni contribuente per una vita intera.
Parole altisonoanti vengono pronunciate con sollenità da questi "personaggi" e coprono solamente tutte la stessa azione: il guadagno senza scrupoli.
La schiavitù, per esempio, non è terminata nel mondo per ragioni umanitarie, ma per ossequio alla logica economica. Questi "capitani d'industria" hanno semplicemente capito che è più economico andare con una prostituta piuttosto che mantenere una moglie che può magari ammalarsi e sicuramente invecchiare.
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Non si vede, dunque come si reprime blandamente il responsabile di una bancarotta fraudolenta o di un crac economico che procura al reo un bottino milionario senza quasi rischio, rispetto ad uno sprovveduto rapinatore che ruba qualche migliaio di euro?
Questi delinquenti in passamontagna e pistola in confronto ai malviventi in doppio petto e ventiquattrore appaiono dei veri dilettanti.
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Ora credo sia giunto il tempo delle donne, almeno questo pare dirci Lisbeth Salander.
"La rivoluzione è nostra", sembra esigere questo volto androgino di toccante femminilità.
Ma di quale tipo di donna stiamo parlando? Certamente non quella che si vede abitualmente in televisione o per strada. Una donna cioè omologata nello stereotipo universalmente condiviso da una società maschile. Donna, che assomiglia a ciò che gli uomini pensano di desiderare (o dominare?) e peggio ancora che assomiglia agli uomini nei suoi peggiori vizi e mancanze.

No, Lisbeth, è un prototipo diverso, unico, nuovo.
Il suo messaggio non si rivolge solo agli uomini come monito, ma anche alle donne come esempio.
Incarna così nell’immaginario uno strumento iconoclasta; capace di affermare se stessa oltre le regole, oltre i modelli che essa rifiuta, perché una definizione è parimenti un limite.
Pare, che riesca ad esprimere un concetto semplice, ma terribile: "Prima di rivoluzionare questo mondo, rivoluziona te stesso".
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Certamente una nuova costruzione non può poggiarsi su vecchie fondamenta.
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La sua forza non è negli slogan, non è nelle parole, non è nel suo modo di essere femminile in un mondo maschile. E' innanzitutto la forza di un'identità vissuta con la propria libertà personale, il resto viene dopo.
E’ una donna che supera a piè pari le convenzioni e pare dica, anzi gridi: “Io sono”, e non c’è altro da aggiungere.
Una figura apparentemente inquietante per un certo tipo di uomo. Ingestibile per la società come è fatta adesso, ma che con il suo comportamento anti-sociale mette a nudo le viltà del nostro mondo.
Proprio perché è un essere umano difficile che diviene preziosa, proprio perché è unica diviene bella.

E’ un catalizzatore nella vasca galvanica della collettività. Un mondo che come lo conosciamo ora è funzionale solo perché non messo veramente alla prova, è giusto solo grazie alla disinformazione. Un luogo pericoloso ed iniquo, ma camuffato da Luna Park.
Non sembra forse che ci si costringe tutti a non vedere la realtà per vivere così tranquilli? Così facendo è come accecarsi per poter camminare sereni in una landa piena di burroni.
Lisbeth, ha aperto gli occhi sull’orrore e non li ha più richiusi.

Mi piace pensare allora che esista da qualche parte del mondo un numero sempre crescente di donne così, ed è forse questo il merito del successo mediatico di un tale personaggio.
Mi piace pensare ancora che possa instillare il germe della rivolta in altre donne desiderose di cambiare.
Non adeguandosi certo al suo modello, ma ispirandosi alla sua unicità;
E così operare un cambiamento sociale cui l’uomo ha ormai rinunciato.
Si rende necessario non un nuovo modo per uscire da una situazione stagnante che soffoca e affoga ogni novità ma un nuovo essere umano.
Questo compito gravoso può essere portato solo da una società femminile che si regge però su basi proprie, nuove e libere dal condizionamento passato.
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Per una Donna del genere questo è il suo tempo finalmente giunto.
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