lunedì 14 giugno 2010

Te lo do io il Mundial

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Panem et circenses, così scriveva Giovenale.
Sono passati duemila anni da allora e non è cambiato quasi nulla.
Milioni di esseri inebetiti, prima innanzi ai gladiatori, ora davanti al moto ondulatorio, sinusoidale, ellittico di una palla calciata da miliardari in brache corte.
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Le grida della folla che esulta al goal segnato.
Manco gli venisse in tasca qualche fortuna.
Viceversa la disperazione più nera che cala sulla moltitudine, quasi un lutto, per la sconfitta dei propri beniamini.
L'opinione pubblica mondiale distratta (ma è mai stata attenta?) dai veri problemi, mentre i potenti razzolano e fanno affari sporchi in santa pace.
Fiumi di denaro spesi dietro al gioco, mentre non si trovavano mai fondi sufficienti per la ricerca medica e scientifica.
Strano pianeta e strani esseri ci vivono.

Così ragionava il Comandante, seduto sulla sua comoda poltrona nella sala di controllo dell'astronave Zaporat, al largo della cintura degli Asteroidi.
Osservava da moltissimi anni lo svolgersi della vita sulla terra, ultimamente ogni quattro di questi anni terresti si allestiva, fra l'interesse generale, la complessa organizzazione dei mondiali di calcio.
Questa era l'edizione del 2010, almeno secondo il loro primitivo calendario.
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Il comandante del vascello, recenemente nominato Ammiraglio, era stato incaricato di valutare questa civiltà in rapida crescita, era una missione delicatissima.
Infatti, era al vaglio del Gran Consiglio delle Menti Pure e Illuminate, la possibilità di annessione di questi curiosi esseri al Parlamento delle Razze Civili.
Parimenti si valutava anche la possibilità di una loro eliminazione, ma solo nel caso fossero emersi motivi fondati di pericolosità.
L'esperienza aveva dimostrato che era meglio così, le razze folli erano un problema per l'Universo intero, non si poteva fare diversamente.

Invece, ogni nuova razza ammessa doveva dimostrare di saper convivere con gli alti standard morali della Congregazione delle Razze Pacifiche.
Questo sistema aveva determinato una coesione di intenti e di comportamenti che aveva prodotto una prosperità reale e condivisa.
In caso di ammissione certamente questi umani sarebbe stati aiutati e molto.

I benefici di entrare in contatto con la Congregazione erano immensi.
Gli abitatori della terra sarebbero stati finalmente liberati delle malattie e dalla sovrapopolazione, dalla sofferenza -sia materiale che spirituale-.
In poche centinaia d'anni, con i suggerimenti degli "Illuminati" sarebbe fiorito un Paradiso sulla Terra.
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La decisione del Consiglio era appena pervenuta dal comunicatore subspaziale.
Si era giunti unanimemente alla conclusione che gli umani erano privi di qualsiasi logica obiettiva.
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Prova ne erano le assurde guerre, l'economia delirante che aumentava la povertà a scapito di una ricchezza iniqua, gli sprechi folli che altrimenti avrebbero consentito una vita degna a tutti.
Per non parlare del fiorire delle più assurde passioni sportive che occupavano, quasi costantemente, le menti di miliardi di loro mentre le cose andavano a ramengo.
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Non era stata giudicata veramente pericolosa, almeno nell'imediatezza dei prossimi mille anni, ma solo perchè tecnologicamente arretrata...L'ultima parola su di loro, però spettava all'Ammiraglio.
Egli, infatti, insieme al suo equipaggio, aveva dedicato quasi tutta la sua vita (lunghissima rispetto agli standard terrestri) a raccogliere informazioni da inoltrare al Gran Consiglio. L'Ammiraglio si era guadagnato una lunga esperienza di come girava questo mondo.
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C'era stato un tempo lontano in cui aveva perfino inviato, in epoche diverse, alcuni volontari sul pianeta per aiutarne lo sviluppo.
Era stato un fallimento, pensò scuotendo la testa con un vago sentore di malinconia.
Questi eroi erano scesi sul pianeta, animati da un alto senso morale e un amore profondo per la vita in tutte le sue forme, con l'intento di educare questi esseri.
Erano stati invece, quasi tutti, vilmente uccisi, prima ancora di aver potuto in qualche modo instillare nella mente degli umani le basi di una visione oggettiva della realtà. Condizione primaria questa per una esistenza felice.

Lo aveva particolarmente colpito il destino di uno di loro, un suo caro e giovane amico.
Questi barbari gli avevano riservato una fine lunga e orribile, impalandolo addiritturaa su una croce di legno.
Anche gli altri, però non avevano avuto molta più fortuna. Rinchiusi in manicomio, bruciati come eretici, torturati o semplicemente ignorati.
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Scacciò il pensiero di vendetta che vide sorgere. Niente doveva contaminare la sua essenza interiore cristallizzata. Doveva prendere una decisone libera e chiara.
La sua meditazione fu interrotta dopo un bel po' dal Nostromo che chiese:
"A Capità che faccio? Lancio sto' siluro fotonico per la distruzione completa di chilla fetenzia di pianeta o no?".
Così la profonda riflessione dell'Ammiraglio si concluse con un sospiro rassegnato e rispose:
"Non è necessario, Paisà, basta aspettare...diamogli tempo e faranno tutto da soli".
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Poi rivolto uno sguardo nostalgico verso Le Pleiadi aggiunse:
"Facitemopiacere, turnammo a'casa. Qui abbiamo solo perso un fottio di tiempo e tengo na'voglia di una tazzurella e'cafè de casa che nun' sape dicere".
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Il boato del motore ad antimateria ruggì, in perfetto sincrono con l'urlo dei tifosi del Parguay, la cui squadra aveva inaspettatamente battuto l'Italia all'ultimo minuto.
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