venerdì 22 giugno 2012

Nudo e crudo


Potrebbe capitare anche a voi e a me succede di interrogarmi su cosa sono.
Perché dico “cosa” e non “chi”? Semplicemente perché non voglio partire per questo piccolo viaggio interiore con dei preconcetti.

La mia osservazione mi ha portato a notare che il tanto esaltato “uomo” in realtà non è, in molti casi, poco più che una macchina. Apparentemente raffinata, addobbata di tante qualità generalmente esaltate principalmente da se stesso, potenzialmente si dice con opzioni quasi infinite ma nella quotidianità sempre uguale a stesso. Stesse azioni, stessi pensieri, situazioni che si ripetono instancabilmente senza una divagazione da quanto già visto e fatto.

In definitiva un sistema organico ripetitivo condotto da un congegno complesso e sconosciuto: il cervello. Un organo talmente misterioso che “cervello” pare non essere neanche il suo vero nome.

Ora, la bellezza del corpo è evidente nella sua perfezione meccanica, nel silenzio in cui esegue ogni movimento a patto che non mangi fagioli, ma la mente? La cosiddetta mente esiste o possiamo definirla semplicemente un prolungamento sensoriale, un’architettura più complessa ed estesa del cervello?

Che senso ha poi sminuzzare e cavillare con le definizioni, il risultato è evidente.
Parliamoci chiaro: Se mettiamo da parte le presunte opportunità della mente, il cervello non è che un tossicomane.
Regolata da delicati equilibri biochimici la nostra, presuntuosamente definita, vita sociale ed emotiva è determinata da sostanze che sono costantemente ricercate tramite quello che ingeriamo e più ancora grazie alle situazioni e gli stimoli della realtà che creiamo e cerchiamo.
Uno stato di dipendenza febbrile e cronica da neuro sostanze che fa sembrare al confronto un tossicodipendente all’ultimo stadio un fiore di primavera.
Questo questuante che ci domina dirige dunque quello che è presentato al mondo come l’uomo moderno, un essere libero, il supremo araldo dell’evoluzione a immagine e somiglianza di Dio. Araldo di che? Ma per favore.

In “nuce”, l’uomo, ha “forse” la possibilità di auto determinarsi, di emanciparsi dalla meccanicità dei pensieri e delle risposte stereotipate, dai profondi condizionamenti che lo avvolgono e dalla necessita di dipendere da una dose di serotonina per sorridere al mondo, ma un uomo così, emancipato da ogni fattore esterno, io non l’ho mai incontrato. Ho trovato nel migliore di casi, persone parzialmente complete, ma nessuno veramente libero da se stesso.
Questa riflessione, su cosa sono, mi accompagna da quando sono nato. Che sfiga, direbbe qualcuno, ma non sarei così sicuro che questo giudizio sia completamente giusto.
Tutto è cominciato dal momento che la mia memoria ha cominciato a registrare una serie di eventi che usualmente sono catalogati in ordine cronologico cui il mio cervello ha iniziato a darne un senso.
E’ naturale. Il cervello deve dare un senso a tutto; La sua funzione è di prevedere, interpretare, dividere, sommare e infine trovare, in una serie di dati diversi, una correlazione cioè un nesso causale di un principio e di una fine. Questo strumento cerca sempre una logica, un senso, un perché.

Non fa altro che dividere tutto in due, in/out come un microchip di un computer.

Questo sistema nel voler dare un senso a tutti i costi ad eventi diversi secondo me spesso perde la bellezza del mistero che compone la realtà nel suo insieme.
Di fatto l’interpretazione della realtà, il senso delle scelte che crediamo di operare nella nostra vita, la creazione delle religioni, l’etica della morale, delle leggi, segue questo criterio: piacevole/spiacevole, giusto/sbagliato, bene/male, vantaggio/perdita ecc. ecc.
Io penso che questo sia solo un modo di vedere e vivere le cose, un meccanismo, spesso riduttivo e neanche troppo funzionale.

Un modello, uno strumento adatto a certi eventi, utile magari per progettare un’automobile, per regolare la vita di un condominio ma nulla di più. L’uomo ha in se qualche cosa di più complesso che però non si rivela facilmente, non parla eppure dice molto.
Una sensazione indistinta cui non prestiamo orecchio se non in casi eccezionali, cioè quando le nostre presunte certezze e strutture razionali cadono.
Ho provato a parlare con qualcuno di una nuova visione della realtà, di una diversa interpretazione della tangibilità che esula da questa dicotomia, ma mi ha preso per matto.

Quindi, di solito non parlo più di questi argomenti, però continuo a rompere le palle agli occasionali lettori scrivendone sulla scorta di barlumi di coscienza oggettiva che avvampano nella mia essenza e che mi diletto nel metterli nero su bianco.
A volte penso che siano solo i soliloqui della mente pericolosa di un uomo innocuo.

A parte queste considerazioni personali metto subito tranquillo chiunque scorra queste parole: non ho soluzioni.

Se per caso siete alla ricerca di risposte andate a cercarle altrove e risparmiatevi la noia della lettura, lungo questo sentiero non si arriva da nessuna parte, perché sono convinto che non c’è posto migliore dove andare di quello in cui si è.
Dico che non ho soluzioni anche perché non credo che l’esistenza sia un problema ma semplicemente un fatto.

Certo la vita non è un giardino di delizie, dove guardo vedo sofferenza e se non me ne accorgo è solo perché non la voglio vedere.

Perché poi la realtà dovrebbe conformarsi alle mie aspettative soggettive? Io sono solo un’ospite in questa dimensione e per giunta momentaneo.
A volte resto attonito pensando che la vita è veramente una condizione inspiegabile creatasi da incredibili correlazioni e interdipendenze che hanno determinato per esempio che io (?) ora sia qui a scrivere e in un tempo successivo qualcun altro a leggere.

Il panorama completo certamente mi sfugge ma posso osservare i particolari dell’esistere da questo “buco di serratura” che è la mia soggettività e da questa visuale è presuntuoso affermare qualunque cosa che superi la mia individualità.
Volendo azzardare però tutto, ma proprio tutto, può essere spiegato ugualmente senza tirare in ballo l’anima, Dio e tutti i santi canonizzati e quel fiorire di fantasiose teorie sulla vita.

Così, spesso una ipotesi più semplice è anche quella esatta.

Però come dicevo non mi interessa spiegare un bel niente, a me basterebbe vivere veramente, in un mondo reale a contatto con persone reali. La realtà mi presenta invece miliardi di estranei che convivono senza una vera coesione.
Su questo pianeta non ho trovato nessuno che non pensi ai soldi e non è servo di se stesso prima di essere un tiranno quando può con il suo simile per tornare ad essere uno schiavo quando gli conviene o non può fare diversamente.
Se volessi giudicare me stesso non mi sentirei onestamente di chiamarmi completamente fuori da tutto questo ma la distanza che colgo da queste umane pulsioni è siderale.

Vivo su questo mondo talvolta come un alieno, un viaggiatore che ha sbagliato destinazione e gironzola stranito per questa stazione guardandosi attorno con le valige tra le mani ed è perso tra la folla che corre a destra e a manca, quando poi cerca di esprimersi questo extraterrestre riesce solo a proferire un “Ba-ba-ba” inintelligibile.
Ogni tanto sento parlare senza ritegno alcune persone della loro vita. Importantissima, probabilmente solo per loro, in cui riversano ogni genere di ambizione e patema d’animo.

Pare che quando parlano di se stessi siano convinti di vivere in eterno, anche se a me sembrano già morti da un bel po’.
Avete mai visto quei gruppi di settantenni in giro per il mondo?

Si avventurano con i coetanei in un tour de force di viaggi verso le destinazioni più note. Vogliono vedere tutto il mondo in quindici giorni per poi tornare a fare la spesa al supermarket sotto casa e continuare il loro tran-tran che ha lo stesso spessore di una suola Vibram. Sembrano sempre nella attesa di una nuova spedizione.
Pare che non possono presentarsi al padreterno se non hanno tutto il passaporto timbrato manco gli toccasse un esame di geografia per ascendere al paradiso.
Ecco, io guardo le persone anziane con grande attenzione cogliendo l’ansia che li accompagna, allora mi domando cosa mai hanno imparato da una lunga vita se ancora non comprendono la lezione più importante?

Perché li guardo? Perché loro sono ciò che io forse sarò o rischio di essere e dimenticarmi di loro è come dimenticarmi di me stesso.
Invece i Ragazzi?

A me paiono delle mezze seghe con sguardi da triglia, masticano avidamente tutto quello che gli metti davanti senza il minimo discernimento.
Il loro unico senso di sopravvivenza è concentrato nel divertirsi ad ogni costo, senza sapere minimamente cosa veramente gli possa dare una felicità reale.

Vivono senza il minimo ideale che possa rendere più grande la loro realtà stipata di beni di consumo deperibili nell’arco di una stagione di moda.

Sedati da un condizionamento capillare, vogliono tutti le stesse cose che li renderanno tutti finalmente uguali: delle pecore. Sintetizzando sono dei deficienti nel senso che “dificitano” di un’autonomia cerebrale.
Quelli di mezza età (come se ci fosse una sorta di contratto con Dio per vivere almeno ottanta anni) mi fanno ancora più pena.
Sono drogati di lavoro, alla ricerca spasmodica di un parcheggio per il Suv, con i loro abiti tutti uguali e l’alito pesante da acidità cronica di stomaco. Le loro mogli, finte che sembrano di plastica, con quelle voci isteriche rincorrono continuamente i loro marmocchi, viziati, impauriti e piagnoni. Transumano in mandrie all’Ikea e riempiono il carrello di cazzate immani senza una vera necessità. Il trionfo del nulla.

I bambini sono gli unici ancora spontanei ma è una autenticità che dura poco.

Appena cresciuti già si addestrano alla menzogna e a usare quella crudeltà che connoterà l’istinto di sopravvivenza per il resto dei loro giorni.
Alla fine nessuno pare scampare all’omologazione che ci livella a una non vita.
Cosa resta di bello in questo teatro dell’assurdo? I rapporti umani? A parte le inculate che ci si scambia come gli auguri a Natale in nome dell’amore, dell’amicizia e dei rapporti di parentela, non c’è molto che mi sento di salvare.
Vogliamo allora parlare del sesso che lega un uomo ad una donna?
Analizziamo onestamente e spietatamente le basi del rapporto fra le due metà del cielo?
Esso è una fregatura di proporzioni colossali a mio modesto parere, sia per il maschio che per la femmina. L’uomo, corre dietro a quel piacere effimero di una manciata di secondi come un cane e la donna invece esercita la seduzione come un potere per tenere al guinzaglio il “cane” e così ammaestrarlo a compiere lavori utili a lei e darle un po’ di svago.

C’è chi sostiene che i rapporti sessuali dovrebbero essere goduti solo per amore.

Questi signori dimenticano che il sesso è una forma di comunicazione e pare assurdo limitarla ad un solo sentimento.
E’ come se volessimo parlare ma potessimo usare solo una parola, il discorso che ne seguirebbe sarebbe di una noia mortale.
A volte i ruoli si ribaltano, si mischiano, si confondono ma non cambia un fico secco.
E’ tutto una sopraffazione fra noi umani, un braccio di ferro per dar corpo alle proprie aspettative mascherate con le belle parole, che altro non sono che il trucco pesante di una baldracca, anzi è molto peggio, almeno una prostituta non si ammanta di una nobiltà che non ha.

Alla fine tutto pare essere una questione di mero interesse, ma per quanto si cerchi di accumulare oltre le necessità ci si scorda che, come diceva mia nonna: “La cassa da morto non tiene tasche”. Allora a che pro tutto sto daffare per arraffare?

E’ un panorama umano desolante non so se si è capito.
Oggi stavo andando al lavoro in metropolitana e davanti a me camminava un vecchio (so che non bisogna dirlo), ebbene questo “vecchio” camminava un poco più avanti, anche abbastanza spedito, ma senza una vera trattoria cioè, sapete com’è, mi dava l’impressione che se gli fossi passato vicino mi avrebbe certamente urtato.

Non che mi desse fastidio la cosa in se, ma pareva proprio che vivesse in un mondo avulso da ogni relazione con la realtà circostante, navigava senza la minima rotta.
Mi giungeva da lui un odore di dopobarba scadente, tipo: sandalo e tabacco, ma alla fine il sentore che spargeva in sottofondo era di vetusto, ammuffito, di morte e decomposizione.
Avrei voluto prenderlo per il bavero e chiedergli: “Ma dove cazzo vai? Non vedi che stai correndo verso la tua fossa?”, così per ridestarlo dal suo torpore letargico non certo per offenderlo.
Se fossi veramente un uomo buono avrei dovuto invece sparargli alla nuca, semplicemente.
Abbatterlo come un cavallo zoppo, per pietà, proprio davanti a quelli che aspettavano l’arrivo della metropolitana per andare in ufficio.

Sarebbe stato un grande spettacolo per tutti, un insegnamento magari cruento e sicuramente incompreso ma certo toccante.
Invece scusate ma non avuto il cuore di farlo.

Poi mi sono domandato: Voglio ridurmi così? No.
Campare e non essere più utile a nessuno, esistere senza vivere, No! (ci metto anche il punto esclamativo, minchia).
Quando toccherà a me mi farò forza e leverò le tende senza un fiato, spero di avere questo minimo di coraggio, un sussulto virile nei confronti del fato.
Se mi ammalo gravemente non mi faccio curare, ho già deciso.
Ecco lì, davanti agli occhi della mia immaginazione più nera vedo una moltitudine decrepita che fa la fila davanti all’ospedale o alla farmacia e mi aspetta, anzi mi chiama: “Vieni, aggiungiti alla nostra fila, dai”. Orrore, orrore, si è l’orrore.
Peccato che da questo incubo non è possibile svegliarsi.

Tutta sta falange geriatrica di zombie che si fanno operare, sezionare, trapiantare di tutto, vivono (?) pieni di cannule e cateteri in qualche letto di ospedale senza decoro per rimandare ciò che è inevitabile magari solo di sei mesi, una settimana, ma gli basta anche meno. Follia pura.
“Si è salvato”, si dice di qualche guarigione inaspettata. “Ha solo rimandato un appuntamento certo”, penso invece dentro di me.
Capita anche che giunti alla terza età (che definizione ipocrita) alcuni di loro appassiscono rincoglioniti dai sedativi in qualche residenza per anziani, è questa la migliore fine auspicabile?
Se gli va bene a pochissimi, ancora più fortunati (sic), capita di vivere nella propria abitazione o ciondolano in casa dei parenti, passano la loro giornata abbruttendosi davanti alla televisione con la De Filippi che gli urla nelle orecchie ormai sorde anche alle novità.
Un numero esiguo forse uno su un milione mantiene il suo status di decente autonomia ma quasi mai sino all’ultimo giorno di vita.
Il senso di questo affanno a volte lungo una vita sembra essere continuare a stare su questo palcoscenico, anche solo per un giorno, senza domandarsi il senso di questa rappresentazione mediocre.
I miei simili non sono mai paghi della noia delle loro giornate, sono avidi di vita ma quando l’hanno non sanno che farsene e la sprecano. Rido.

Sperano in giorni migliori, sognano di vivere bei momenti ma questi non arrivano mai se non grazie alle circostanze fortuite. Sono vissuti dalla vita ma non vivono.
Se potessero questi signori si mangerebbero tra loro pur di continuare ad esistere, senza mai chiedersi il senso di questa realtà.
Rotolano, trascinati dal loro stesso destino, visto che non vogliono andarci incontro.
Li avete mai visti così? Non credo perché è come vedere se stesso nudo sotto la luce del riflettore impietoso del tempo.
Ogni difetto è palese, ogni piega, ruga, deformità del nostro ego è evidenziata senza pietà.
Fate caso a quando si incontrano fra loro gli anziani. Non si guardano, si scrutano.
Fanno la conta dei conoscenti morti, l’elenco dei mali che rispettivamente li affliggono e poi si salutano augurandosi in cuor loro di crepare dopo il loro interlocutore.
Ditemi un po’ se non è proprio così.

Non sono peggiorati vivendo, solamente hanno perso l’energia per mentire, sanno che il loro tempo è poco e questo li rende furibondi.
Basta guardare come si comportano con i più giovani per capire che sono morsi dall’invidia.
Li aspetta di solito a casa una pastina sciapa da mangiare in solitudine mentre il telegiornale gracchia cattive notizie e un letto freddo dove non c’è amore; Nonostante tutto sono incatenati alla loro stessa pena che considerano, pensate un po’, preziosa.
Bisogna aver il coraggio di mollare quando è ora, prima di giungere a quel punto di non ritorno dove si perde la dignità e soprattutto ci si dimentica di averla avuta.
In quel caso bisogna tirare fuori le palle, un attimo e via, fine della storia, e lasciamo il posto a un altro.

Salto come mia abitudine sopra spunti di vita colta per caso, attimi rubati, presi al volo.
E’ sempre il solito modo che ho di andare oltre alla miseria che mi grida in faccia, la zittisco guardandola dritta negli occhi.
Questi ragionamenti sono probabilmente sottilmente uniti, più che da un filo logico, da una sensazione come quando si cerca la strada dopo essersi perso e si è smarrita ogni indicazione e così si usa l’istinto.

E’ magari solo uno sfogo per l’immane disgusto che talvolta mi prende per la meschinità umana, la crudeltà di questi esseri che si definiscono costituzionalmente buoni, che pensano di avere un’anima eterna, pure.
Una presunzione talmente grande da gettare un’ombra sinistra su tutta la loro vita.
In fondo rimarcarlo non è poi così importante, chi ne è consapevole non ha bisogno di sentirselo dire e chi non se ne accorge non lo può udire né tanto meno comprendere.
La consapevolezza pare essere disdegnata dalle persone ordinarie.
La saggezza poi è da sempre ignorata da quasi tutti, a me pare che essa è, o dovrebbe essere, il fine dell’uomo.
L’arte di vivere o come è altrimenti definita la conoscenza di Dio e dell’Uomo alla quale si arriva, o si dovrebbe arrivare, attraverso la vita.
Una vita però nella sua accezione più ampia, bella perché vera, grandiosa perché vissuta pienamente, poetica perché legata al mistero e, perché no? Eroica, di un eroismo fatto non di imprese mirabolanti, ma di pratica della virtù e di esercizio del vero bene.
Invece la moltitudine, i miliardi di esistenze che si azzuffano su questo pianeta pensano solo a riempirsi la “panza” dimenticando poi la fine che faranno queste pietanze così avidamente ingurgitate, ma voglio essere magnanimo, magari si riempisse solo quella ne fanno molto peggio e per fini meno naturali.

E con questo termino la mia tiritera prima che cominci veramente a parlare sul serio.

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