venerdì 17 maggio 2013

I piccoli fazzoletti


C’è una bella espressione francese per indicare le bugie e anche quello che si vuol tentare di dimenticare: "Le mettre dans la poche avec le mouchoir par dessus" cioè mettere qualche cosa in tasca e coprirlo con un fazzoletto.

Un atteggiamento molto diffuso nel mondo e di cui non sono immune.

Di quante cose allora non parliamo, mentre conversiamo eloquentemente?
Si dice poco o quasi niente dei peccati che amiamo compiere, delle piccole o grandi viltà che ci mostrano comunque fragili, delle meschine debolezze con cui ci facciamo forti, dei sorrisi di circostanza tanto amari e dei silenzi comodi quando dovremmo invece alzare la voce.
Dimentichiamo invece di tacere, mentre gridiamo e ci infiammiamo nel sostenere le nostre personali ragioni a volte assurde, in ogni caso che ci convengono.
Presentando al mondo i nostri impeccabili difetti, siamo apparentemente “affettuosi” con gli amici ma in realtà silenti, spesso bugiardi, e tendenzialmente menefreghisti.
La sincerità è il più delle volte determinata da una mancanza di una via di uscita più comoda; E' solo un ladro colto sul fatto.
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I rapporti umani non sono facili, non sono mai lineari, ma seguono un sentiero tortuoso che sceglie di solito la via più lunga per arrivare in luoghi che a ben vedere nessuno vorrebbe visitare.
Un atteggiamento contraddittorio ci guida, spesso dominato dal capriccio del momento o dalla dose di serotonina che abbiamo a disposizione nel cervello.
Affidiamo la nostra vita a zattere di pensiero varate in un mare in perenne burrasca verso destinazioni incerte a interlocutori sconosciuti, perché l’altro è un mistero.
Uno spazio bianco nella mappa della vita che è un Portolano con poche terre segnate dove la Rosa dei Venti indica un nord di nessun sud nella rincorsa perenne verso un enigmatico presente.

Quanto conosciamo veramente di chi ci è vicino? Quanto conosciamo veramente di noi?
L’unica risposta sincera a questa domanda semplice, naturale quasi banale si trova solo nel mettersi alla prova.

Solo il confronto ci misura con onestà.
Non il risultato, però che è spesso in bàlia delle circostanze e degli eventi fortuiti, ma il prodotto onesto dell'atrito che siamo chiamati a determinare fra il nostro mondo interiore e la realtà oggettiva.
Quanto spirito ardente, quanto di buono e grande profondiamo in un’azione?
Solo questo ci precisa e definisce chi ci è attorno, almeno se riusciamo a cogliere questo frammento di verità.
Non è certamente facile guardare il cuore di un altro essere umano; E' ben protetto sotto uno sterno duro come la pietra. Un sarcofago impenetrabile di un Faraone misterioso come una sfinge.
Non è facile nemmeno vedere il nostro stesso cuore con onestà, spietatamente direi. Lo illuminiamo con la coscienza, ma cogliamo sovente solo un’ombra fuggevole.

A volte parlando con persone, amici, gente cui voglio bene, patisco una pena infinita per la loro vita. Mi arriva come un’onda di sentimenti che mi sommerge e mi annega. Sputo acqua salata e con qualche vigorosa bracciata mi rifugio nel porto sicuro dell’indifferenza, del distacco, perché non sono abbastanza generoso; Forse è solo  ipocrisia o istinto di conservazione.
Sono però un naufrago anch’io nel mare della dimensione umana che mi appare estranea, lontana, diversa da come dovrebbe essere per avere un senso, una bellezza, una poesia.
Tutto è dolore, con occasionali momenti di quiete e ancora più rari e reali momenti di felicità e condivisone. La sofferenza è la matrice costitutiva del divenire, la radice della vita che si nutre di questa sensazione per crescere o almeno per continuare a esistere.
Non c'è fine a tutto questo, non c’è scampo.
E’ un gigantesco equivoco che se in qualche misura si cerca di spiegare si complica ulteriormente.
Un mare plumbeo di male che si rinnova continuamente e non evapora mai neanche con qualche giornata di sole.

Cerco di esprimermi, di spogliarmi dinanzi a chi mi vuole nudo, ma paradossalmente più l’altro è vicino più diventa difficile farmi udire e farmi vedere per ciò che realmente sono.
La trasmissione di concetti ed emozioni negli uomini è sempre un po' inadeguata e inversamente proporzionale alla distanza e all’interesse che una persona ricopre per noi. L'incomunicabilità con chi ci è vicino ci allontana. Gesti e parole paiono impoverirsi dei significati più complessi.
In questo prolisso silenzio mi soccorre ogni tanto la scrittura che, però non è una vera comunicazione né tanto meno una consolazione.
Infatti, non si rivolge a qualcuno in particolare, ma è una sorta di io narrante che parla a me stesso, coinvolgendo uno sconosciuto lettore di cui non è prevedibile avere la misura dell’effetto delle parole scritte, delle intuizioni prospettate, degli aneddoti lasciati liberi come palloncini della festa che salgono verso l’azzurro, spinti dal vento del caso e forse non saranno mai colti.
E' un gioco, un artifizio con me stesso per andare nell’unica direzione possibile e percorribile: la profondità.
Quante cose dunque porto nelle mie tasche e ricopro con un fazzoletto? Tante, poche?
In ogni modo ci sono e appesantiscono il mio passo. Magari senza fazzoletti non ci sarebbero più lacrime? Il mio intuito mi guida in questa direzione.
Certamente queste tasche colme sono un fastidio cui non voglio più dare asilo.
L’ultima destinazione di un mondo pazzo è la follia? Forse è il modo che chiamo l’estrema saggezza di trascendere ogni paradosso.
Probabilmente è l’ultimo approdo di chi si è perso e nel perdersi si è ritrovato.

Solo il confronto mi dirà cos’è.
Leggero salpo verso un orizzonte che non ha più confine con il cielo.
Un profondo blu che abbraccio con un largo sorriso, perché non mi fa più paura.



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