martedì 10 luglio 2018

Elephant Man



E' curioso come si sviluppi il concetto di giustizia a livello umano. 
Spesso appare un compromesso tra egoismi. 

Quando più persone con i  loro desideri ed esigenze convergono in un equo tornaconto cioè sono sufficientemente e reciprocamente soddisfatte, si  decreta che la transazione o la scelta intrapresa è giusta. 

In realtà la "giustizia" è un'invenzione. 
Tra l'altro è una concezione astratta molto relativa, perché dipende dalle cirocostanze, da ciò che c'è in ballo e da quanta avidità si desiseri conciliare.
Una condizione relativa non potrà mai diventare un valore assoluto come dovrebbe essere la Giustizia nella sua accezione più completa. 
Ecco, perché sono scettico su questa convenzione, così diversa secondo  tempi, luoghi, culture e società.

Forse è banale ricordare che se si guarda come la maggioranza considera la giustizia, si noterà che coincide sempre con il proprio interesse.  
E' assai raro sentire parlare una persona di giusto, quando da questa giustezza essa ne ricaverà un danno. E' ancora più raro vedere questa persona "giusta" comportarsi in tal senso cioè contro i propri interessi. 
Nemmeno afifdarsi a terzi "super partes" specializzati in diritto, chiamati Giudici che hanno a disposizioni leggi fatte con le migliri intenzioni ci eviterà l'abissale differenza tra legalità e giustizia. Rendendo ancora più amara la delusione nel constatare quanta differenza ci sia fra queste due. 
Non resta che la giustizia Divina, l'unica che a quanto si dice possa esercitare una riparazione al male, ma basta farsi un giro in un reparto oncologico pediatrico e anche questa flebile speranza, risuterà irrimediabilmente e tristemente disattesa. 
Che male hanno mai commesso questi bambini innocenti da meritare tanta sofferenza?

E' troppo cinico pensare che quello che l'uomo chiama giustizia sia, spogliata dai sofismi, solo vendetta? 
In definitiva bisogna considerare che al male fatto non c'è rimedio, dunque perché punire? 
Qual'è il senso di esigere la restituzione di un debito quando non è possibile pagarlo? 
Si sostiene che la punizione ha un valore educativo per evitare la reiterazione di un comportamento malsano nel futuro, e sarebbe forse ragionevole se si potesse conoscere il futuro.
Chi può essere tanto presuntuoso da sapere cosa farà un altro uomo tra un giorno, un mese o dieci anni? 
Chi può credere fino in fondo che la sofferenza imposta a chi a sua volta l'ha causata, possa in qualche modo innescare un processo di crescita, quando è solo grazie alla libera scelta che esso può avvenire realmente? 
Sono molto perplesso a riguardo di questi sistemi punitivi e coercitivi, almeno come sono adottati nella nostra attuale società.

All'opinabile Giustizia andrebbe sostituita la tangibile Equità. Infatti, solo assegnando a me stesso il medesimo peso di chi o di cosa ho di fronte che il mio comportamento sarà conforme all'ordine naturale delle cose. 
Il cosiddetto "bene" non ha bisogno di nozioni, ma di percezioni cioè solo percependo il mondo e cosa esso contiene come me stesso che posso vivere "giustamente", assegnando come già detto a questo "me stesso" lo stesso valore di ciò che ho davanti agli occhi; E in tal modo non essere cieco. 
Questa saggezza non è da imparare ma da ricordare, perché appartiene all'ancestrale e naturale condizione umana. 
Nel momento che l'essere umano ha perso o dimenticato questa condizione ha spalancato la porta dell'Inferno.  

Nell'antico Giappone quando avveniva un fatto di sangue era autorizzata la vendetta, perché non esisteva un vero apparato penitenziario. Nessuno quando c'è poco da mangiare si sognerebbe di mettere un reo in prigione, e così doverlo sfamare e sorvegliare; Si preferiva eseguire una condanna corporale o capitale. 
L'azione vendicativa sebbene spesso al di fuori della legge, era generalmente  tollerata. Essa era affidata a un familiare, a un amico oppure a qulcuno che aveva un debilto di riconoscenza con la vittima. 
Questo killer, più o meno giustificato, scannava il presunto esecutore del crimine, poi ne tagliava la testa e avvoltola in un bel panno, era posta sulla tomba della vittima, affinché potesse riposare in pace.  
Devo ammettere che i giapponesi hanno sempre avuto un certo stile nel fare le cose.
E' ovvio che se tale procedura fosse stata elevata a sistema, oggi non ci sarebbe però neanche più un giapponese. 
La dissuasione dai reati, grazie alla vendetta non funziona se non su scala approsimativa.
Un metodo non molto lontano da come viviamo, sebbene non siamo nel Giappone feudale, perché mettere in prigione per trent'anni un assassino, chiuso in una gabbia di tre metri quadri è in definitiva una sorta di vendetta in guanti bianchi della società, condannando un colpevole alla morte civile. 
Tanto varrebbe sparagli alla nuca com'è fatto con maggiore semplicità, in Cina. 
Non scrivo questo perché sia a favore di un filantropico "liberi tutti", infatti al mondo ci sono persone veramente pericolose, e non parlo solo dei politici, dei giornalisti oppure delle ex mogli, ma di esseri che sono dei veri diavoli malvagi. 

Quello che vorrei evidenziare è che se tra un cittadino e un atto illecito, violento e prevaricatore, c'è solo la paura della vendetta dello Stato, oppure la paura di una ritorsione dei parenti della vittima, o di un contrappasso Divino, beh! Allora, siamo messi davvero male.

Dio, secondo l'interpretazione corrente usa (casualmente?) il medesimo criterio, anzi per l'esattezza ne usa uno ancora più estremo, elevando la comminazione della pena in un'eterintà di suplizi. 
Probabilmente perché nella considerazione umana  è così che Dio diviene buono e compassionevole. 

Sarebbe invece più utile educare in modo diverso, possibilmente prima che il  male si compia e poi, una volta commesso, redimere; Ammesso che esista la redenzione che generalmente è intesa come una specie di pareggio contabile tra bene e male, però difficilmente quantificabile perché ancora una volta la valutazione è fatta in maniera personale e opinabile e in ogni caso il "bene" fatto ad altri non cambia il "male" fatto alla vittima. 

Alcuni animali si ammaestrano con la frusta, altri invece con il cibo. 
Resta comunque una bella differenza fra educare e ammaestrare, ma è talmente sottile nell'uomo che spesso si confondono le due cose, sebbene distano molto l'una dall'altra. 
In alcune circostanze, cadute le convenzioni sociali, si assiste ad un imbarbarimento delle cosiddette persone civili che dimostrano che quello che si crede un comportamento morale, integrato nella coscienza, solido come l'uccello in erezione di un diciottenne, posto alla base delle azioni nobili, buone e ragionevoli non è nient'altro che un condizionamento superficiale. 
Solo alcuni uomini non subiscono questa metamorfosi inversa, perché in loro il volontario processo di crescita o per meglio dire di riflessione personale li ha portati realmente a espandere la propria coscienza personale in una più ampia coscienza collettiva. 
La maggioranza tende a uniformarsi a certi schemi comportamentali, grazie al conformismo di facciata adottando un modo utile e facile di vivere, ma profondamente ipocrita. 
Qual'è dunque il senso di  sembrare civili senza esserlo?  
Questo discorso è evidentemente una palude, meglio allora non attraversarla rischiando di perdersi ma sorvolarla con un diverso punto di vista.
   
Esiste, a mio parere, qualcosa di meglio: la consapevolezza. Gioverebbe alle persone e a questo mondo, ma non è considerata ahimé un obiettivo primario, anche perché si edifica con la sofferenza liberamente scelta e la riflessione, due animali estinti da prima che l'uomo comparisse sulla Terra.    

A proposito di animali in via di estinzione, quando un Elefante è abbattuto a molti dispiace, generalemnte quando lo vedono in televisone, ma se si considera questo dramma da un'altro punto di vista, forse non è la fine tra le più difficili che attendono questo meraviglioso  animale; Infatti ogni elefante, una volta esaurita l'ultima fila di denti, è condannato a morire di fame. 
Quest'animale non muore mai di vecchiaia, ma di stenti dovuti al digiuno forzato. 
In questa prospettiva non sembra poi così orribile una morte rapida  per un colpo di fucile. 

Ovviamente, ogni essere vivente desidera vivere. 
Non credo che l'elefante si rassegni più facilmente nel farsi abbattere se potesse conoscere a quale fine sarebbe destinato se vivesse abbastanza da sfuggire ai cacciatori.
Certamente è poco probabile che possa fare questo ragionamento, ma non scirvo di questo per parlare del bracconaggio, ma per riflettere su altro.

La constatazione che segue dopo questa piccola provocazione da Safari è che gli animali sono liberi dall'idea di "giustizia" o per meglio dire, da tutti quei ragionamenti che stanno alla base delle valutazioni di correttezza a riguardo degli eventi, in rapporto alla propria esistenza. 
Ciò che però è veramente interessante è che gli animali pur non avendo morale, non sono estranei a una certa misura nel loro comportamento. Hanno comunque un limite nelle azioni.  
Anche senza "giustizia" non sono anarchici, anzi c'è un  ordine nella  loro vita. 
Hanno "un'etica naturale" sensata, anche se a volte  sconcertante. 

Sempre continuando con l'esempio dell'elefante, quando non può più mangiare esegue una sorta di commiato verso il suo branco, rivolge un preciso saluto al gruppo con cui ha trascorso tutta la sua vita fedelmente; Poi, si allontana raggiungendo un cosiddetto "cimitero" il luogo esatto dove altri prima di lui, sono andati a morire. 
Lascia la compagnia dei vivi e abbraccia la compagnia dei trapassati con continuità. 
Un modo di fare che ha dell'incredibile. 
Questo animale gigantesco, molto intelligente e con una memoria prodigiosa, all'altezza se non superiore al detto popolare, aspetta paziente senza apparente timore la terribile fine per inedia. 
La "logica" con cui si relaziona con il suo gruppo, la sua stessa fine e il rapporto con i defunti della sua specie, lo elevano quasi a livello umano, anche se parlare di logica riferendosi a un'animale pare un'eresia. 
Allora, come definire le scelte sensate che intraprende?

Addirittura gli elefanti si riconoscono allo specchio, dunque anche nella volutazione psicologica umana hanno coscienza di sé, la loro memoria è prodigiosa, dunque imparano, hanno una sorta di culto dei defuntil e allora, perché non possono essere considerati a tutti gli effetti esseri senzienti? 
Forse, per gli esseri umani se un essere vivente non parla,  non ha un cellulare, non grida allo stadio e non distrugge il mondo in cui vive non è abbastanza intelligente per essere considerato tale.
Se, liberando dalle catene l'Assurdo per vedere in quale direzione correrà, si immaginasse di essere un animale che ha comprensione e addirittura realizza che la teconologia e gli oggetti snaturano la vita stessa, e pur avendone i mezzi scegliesse di non sviluppare la sua attitudine al loro utilizzo, perché questa assuefazione alla comodità  lo deruberebbe dalla libertà e che sarebbe un modo autodistruttivo di vivere, sarebbe così folle pensarlo? 
Allora, grazie a questo ragionamento bizzarro si intravvederebbe una saggezza che noi umani non abbiamo, oppure non abbiamo più.
Chissà magari se l'avessimo non ci metteremmo con tanta sicumera sul podio delle specie al primo posto. 

La scienza liquida tuttI questi comportamenti con l'istinto  come fosse un dato  certo, ma a conforto di questa certezza non vi è nessuna prova. 

Tornando per un secondo al digiuno forzato di  Dumbo o Jambo come si voglia chiamarlo amichevolmente, esso dimostra un "coraggio" che pochi, anche tra i più coraggiosi esseri umani, avrebbero oggigiorno. 
Naturalmente anche il concetto di coraggio per un animale non dovrebbe avere senso.
Si pensa generalmente che nella dimensione animale esiste solo la semplice realtà; Gli animali così fanno quello che va fatto come possono. Nulla di più. 
Sono senza giudizio né morale o sentimentalismo, ma allora perché questa mancanza di freni non li porta a comportamenti estremi? 
La risposta è sempre nella stessa parola: istinto. 
E' proprio tutto così semplice, oppure si trascura un'analisi più profonda?

Guardando al comportamento animale è indiscutibile una "logica biologica". Un'istruzione che li guida  e alla quale ubbidiscono, senza che nessuno li obblighi. Pare anche che condividano tutti gli stessi comportamenti, sebbene involontari.

Come è possibile che esistono comportamenti molto complessi involontari? 
E' credibile invece che esistono impulsi primari,  dovuti al DNA,  ma condotte a volte eleboratissime paiono difficili da considerare come bagaglio naturale di conoscenza. 
Si dovrebbe forse cominciare a considerare il comportamento animale come frutto di un partilcolare ragionamento. 
Un ragionamento animale, certamente diverso da quello dell'uomo,  alla cui conclusione univoca, però tutti gli animali giungono senza neanche bisogno di discutere.  
Essi raggiungerebbero il medesimo accordo,  perché semplicemente la realtà percepita  e la conseguente scelta naturale non avrebbe bisogno della persuasione del linguaggio come invece avviene nell'Uomo.  
Si considera l'istinto come l'unica soluzione onnicomprensiva a tutte queste domande e lo si concepisce quasi come un meccanismo implementato. 
La stranezza è che a livello fisiologico non è stato ancora trovato. Dov'è allocato questo istinto?
Questo benedetto "istinto" non si trova, ma è necessriamente ipotizatto per poter dare soluzioni, e anche per evitare problemi. 
In particolare quello di elevare il comportamento animale al rango di un modo di fare ragionato, immediato e rapidissimo, che risulterebbe meno stupido di quanto immaginiamo. Sarebbero in questo caso dotati di una lucidità senza aberrazioni tra l'altro, semmai si volesse considerare questa "stranezza" come vera cioè che l'istinto non esiste. 
In quest'ottica  la posizione dell'umanità si ridimensionerebbe grandemente.

In ogni caso l'uomo è ormai molto lontano dalla semplicità e dalla schiettezza, ma non perché sia andato avanti...

Pare diversissimo il mondo animale da quello umano, ma è proprio così?  

A volte (sempre?) la presunzione degli uomini non permette di cogliere le similitudini tra questi due mondi che talvolta sono invece speculari, ma in realtà sono uno solo.

Proprio ora, ricordo che almeno un popolo  aveva un rito molto simile a quello dei pachidermi: L'antica tribù artica degli Inuit, ora quasi completamente "civilizzata". Essi facevano su per giù la stessa cosa.  
Come mai? Visto che il comportamento umano è guidato dal ragionamento, mentre quello animale dall'istinto. 
Ribadisco il quesito per l'ultima volta: Se  l'istinto fosse un'invenzione dell'uomo? 
Lascio aperta la risposta ad ognuno, non per paura di sollevare una tempesta di critiche, ma  perché chi vuole osservi e ci ragioni  autonomamente, semmai voglia esercitare il libero pensiero. 
Tornando al popolo dei ghiacci, quando un familiare non aveva più denti doveva essere abbandonato, addirittura questa scelta era presa proprio da chi subiva questa fine terribile. 
Accettava questo brutale destino con la medesima stoicità dell'elefante, perché non poteva più provvedere a se stesso.

Restava una vecchia o un vecchio solo, fermo sul pack sferzato dal vento gelido. 
Il resto della famiglia lo lasciava indietro senza girarsi, perché altrimenti non ce l'avrebbero fatta ad abbandonare quell'essere umano con cui avevano condiviso, risate, cibo, riparo e difficoltà per così tanto tempo. 
Immagino quel momento come vissuto, mentre tracimava il dolore di quell'addio silenzioso sin nello stomaco; In quella tragica immagine che si allontanava, vista di sottecchi, ognuno dei familiari intuiva come in una profezia, il proprio futuro. 
Il padre o la madre, diventava per quel gruppo che andava, un puntino sempre più piccolo che infine si perdeva lungo il filo candido dell'orizzonte. 
La slitta ora stranamente leggera è più veloce, il peso dove è finito? Tutto nel cuore.

Le lacrime si perdono sempre... 
A volte cadono a terra, altre volte si mischiano nella pioggia, altre volte ancora sono accolte dalla neve, oppure asciugate dal vento che soffia forte. 
In questo c'è un insegnamento, perfino il dolore non ci appartiene, e bisogna lasciarlo andare. 
La vita d'altronde non fa distinzioni, che siano lacrime di gioia o di infinita tristezza non c'è alcuna dfferenza per la realtà, solo l'uomo distingue. 

Questo reietto volontario lasciato sulla banchisa aveva ancora un compito, ancora più duro da eseguire. Doveva donare il suo ultimo sprazzo di vitalità all'orso polare che in gioventù lo aveva più volte nutrito con la sua carne, restituendo ciò che gli era stato dato in completa simbiosi e chiudendo drammaticamente, ma perfettamente il cerchio della vita. 
Recitava, l'ultima preghiera (un po' diversa per l'uomo o per la donna). 
Un canto con intonazioni basse e vibrate che iniziava appena si intravvedeva la sagoma bianca avvicinarsi, se ne sentiva il pungente odore, poi si udiva il somesso grugnito, se non ricordo male faceva così: 
"Grande Orso, ombra bianca di morte. Tu sei il temibile cacciatore che vive nel freddo. Lo sono stato anche io, per tante stagioni ho cacciato e mi sono nutrito anche della tua carne. 
Oggi, non potendo più mangiare non ha più senso combattere. 
Ti offro la mia vita. Pace, dunque. 
Nulla ho preso che non mi fosse necessario, ora restituisco il necessario che ho preso, pago il mio debito. 
Così anche in quest'ultimo momento posso essere felice."

La cantilena di solito si interrompeva bruscamente, un arabesco rosso gettava sul candore della neve un muto epitaffio.
Un semplice addio di un semplice essere umano che semplicemente lasciava questo  mondo impietoso. 

Crudele eh? 
Certamente, ma solo per chi non si accorge che la vita si nutre sempre di vita. 
La sopravvivenza è cannibale, vita per vita, non c'è molto da aggiungere a riguardo. 
Se a livelllo umano, riusciamo a conciliare questo dilaniante massacro cui siamo chiamati a combattere pur saperndo che alla fine tutti perderemo con un po' di cuore, Beh! Allora questo sarà la nostra unica vittoria. 
La Natura invece ha una sua aritmetica strana, uno più uno fa tre, a volte perfino quattro. 
Quando qualcuno arriva, qualcuno dovrà andare. 
C'è chi sostiene che quando il numero delle persone sulla Terra raggiungerà la somma di tutti gli uomini vissuti in precedenza, l'umanità smetterà di esistere, ma questo è come dico sempre, solo accademia.   
In ogni caso quest'immagine di vita di un mondo passato ha per me una sua bellezza, e quasi balugina di giustizia. 

E' divertente ricordare, tanto per alleggerire l'animo dopo il racconto quaresimale rievocato, che nella lingua Inuktitu parlata da questi abitatori dell'Artico, ci sono più di venti modi diversi per dire: "neve". Descrivendola così in tutte le sue forme. Non per un virtuosismo linguistico, ma per l'oggettiva necessità di indicare per esempio una pista per la caccia o per segnalare un luogo specifico. Sul ghiaccio, a parte la neve non ci sono molti punti di riferimento, infatti gli spuntoni che si formano nel "ice field" cambiano repentinamente a causa del disgelo/gelo diurno e notturno e non sono un buon sistema per orientarsi.


Lasciando gli aneddoti con cui pigmento le mie monocromatiche e monotematiche analisi, tornerei al modo umano di vedere il mondo, semmai me ne sono allontanato durante il discorso. 
Trovo interessante che consideriamo peculiari della ragione molti comportamenti che sicuramente hanno un senso per la nostra organizzazione umana e ci differenziano dal resto del mondo animale, ma non sempre ci rendono grandi e migliori, come crediamo di essere. Anche se quest'ultima valutazione è anch'essa un'idea dell'uomo.

Spesso, mi sono domandato il senso della nostra organizzazione sociale; Il reale valore cioè delle regole e delle consuetudini che diamo per scontate, per giuste appunto. E altrettanto spesso non ho trovato una risposta univoca e confortante al loro mantenimento.
Ho invece trovato che sotto la leggera patina di civiltà, l'uomo primordiale è ancora presente, molto più vicino ad ognuno di  quanto invece credevamo di averlo lasciato lontano.


In alcune condizioni particolari l'uomo può perdere il supporto di questa struttura interna, fatta di morale, leggi e regolamenti, ritrovando uno stato primitivo bizzarro e stupefacente. 

Il rischio è che si perda completamente il senno, perché un tale cambiamento non è solo drastico ma dirompente.  
A volte però può capitare di far ritorno a una dimensione meno strutturata, senza effetti collaterali così traumatici. 
Si scopre così una condizione liberatoria inaspettata.


Constato come la Natura inspiegabilmente, si manifesta con le medesime regole sia nel comportamento animale che in quello primitivo umano. 
Si palesa una strano spirito intelligente (?) con un'intelligenza non solo brillante ma smagliante, visto come mantiene in armonia tutto il Cosmo.


Da dove viene questa saggezza così spesso insascoltata?  Come riesce a volte a toccarci?  
Come dona a tutte le crature viventi se la vogliono questa lucidità?
Domande, domande, domande...Sono il più grande produttore di quesiti sul mercato delle cose che non servono, anche se non è detto che ciò che non serve sia inutile.

Di certo parlo di uno stato atavico che quando accade, ridimensiona la presunzione umana, e talvolta gli mostra il suo reale posto nel mondo.


Molte persone si ritagliano, grazie alla tecnologia, all'organizzazione,  alla religione, un mondo di idee e perfino un mondo di ideali; In esso trovano così una posizione centrale rispetto al divenire. 
Grazie a questi enti immaginari, concepiscono un mondo che ruota intorno a loro, trovando non solo un senso e una ragione al proprio esistere, ma anche un'importanza. 
Rido sino alle lacrime osservandoli.  
A me pare non solo eccessivo, ma sbagliato soprattutto perché inutile.  
Perfino Dio se avesse uno scopo non sarebbe libero, dunque non sarebbe Dio. 
Invece questo bipede quasi folle che dispone di così pochi anni per giungere a tale comprensione, grazie a una forma  biologica tanto fragile, se ne attribuisce il vanto. 
Che l'unica ragione dell'esistenza sia esistere è' così semplice da capire che quasi nessuno lo pensa, su questo pianeta di pittoreschi esseri che dicono di essere intelligenti.

In ogni modo non è un mio giudizio sull'umanità ma una scelta di ordine pratico, poiché l'uomo quando perde il contatto con ciò che lo circonda, con la Natura tanto per intendersi, diventa immediatamente presuntuoso e stupido. 
Questo sforzo di innalzarsi da se stesso non gli fa bene. 
L'incomunicabilità con il Mistero  nella sua forma più diretta lo smarrisce.

Per comprendere quello che dico basta osservare la differenza tra l'ordinaria routine della vita e certi momenti di quiete. 
Bisognerebbe provare a rievocare ogni tanto in se stessi la sensazione che si prova quando in certe notti si guarda in silenzio il firmamento. Miliardi di stelle che brillano in strane forme e colori. 
Sopraggiunge una percezione flebile, ma chiara di appartenenza, di piccolezza e nonostante ciò di connessione a un vasto universo che pare dirci qualcosa, malgrado il suo mutismo.  
La verità di questo dire è inesprimibile, eppure questa silente voce sembra a tutti sussurrare la stessa cosa. 
Non credo sia romantico parlarne, perché non è confortante questa visione ma ridimensionante. 

Non bisogna infatti dimenticare che tutte le certezze cui conteniamo la vita sono vasi vuoti.

Inoltre, è proprio a causa di queste certezze che si compiono atti scellerati e crudeli che non hanno nessuna giustificazione con dalle reali necessità.

A volte mi rendo conto di quanto poco riesco a vedere, ed è solo perché ciò che si manifesta è per me inconcepibile. 

Non trovando posto nella mia mente, anche i miei occhi divengono ciechi
Mi rivolgo allora a questa primitività, chiedendogli umilmente di aprire i miei sensi, di poter ascoltare le mie percezioni e liberare la mia consapevolezza dalla gabbia della coscienza. Divenire etereo e oltre i confini del corpo è un viaggio nell'ignoto, misterioso e  pericoloso nel medesimo tempo, ma anche bellissimo. 
Cerco di prestare attenzione all'Astratto che vive in me, mi circonda e mi contiene; Accade allora che è come se un papiro tinto di geroglifici si srotolasse davanti ai miei occhi, criptico eppure tanto esplicito nel suo significare. 

La mia preghiera in quei momenti di raccoglimento è sempre la solita: 

"Non dimenticare. Possa il silenzio attento farmi acuto ma umile. 
Possa vedere anche quello che non guardo; Possa accorgermi anche di ciò che non mi piace e accertarlo per il solo fatto che nulla mi è dovuto. 
Possa non perdere mai la fiducia nell'Ordine più grande delle cose, sebbene il Caos non possa essere sconfitto.
E quando arriverà il momento e attraverserò l'Ombra...Beh! Che i miei occhi colmi di riconoscente stupore siano bene aperti."

Non bisogna trascurare i fondamenti del vivere, del conoscere ma soprattutto dell'essere.
  
Come si diceva allora tra i ghiacci: "La pista si accorcia se la slitta è buona, ma ciò che conta è riconoscere il sentiero".  

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