lunedì 27 maggio 2013

Rincorrere il vento

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Si dice che il peccato preferito dal Diavolo sia la vanità, ma lo è certamente anche per l’uomo.

Parlo della vanità nella sua accezione più estesa, non certamente di quella che ci fa specchiare la mattina per sistemarci i capelli prima di uscire di casa.
Quel difetto dell'anima che gli antichi greci definivano come: Hýbris.
La vanità cioè costituita dalle ambizioni, dalla superbia, dalla tracotanza arrogante, dal desiderio di essere qualche cosa di speciale o di essere altro rispetto a ciò che si è.
Di quel desiderio perverso che promettendoci di  tirarci fuori dalla mediocrità invece ci appiattisce in essa.
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Così, se un nessuno vuole essere un qualcuno dovrà per forza essere qualcun'altro.
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Generalmente avviene che per adeguarci a dei modelli conformisti presentati come obiettivi alla fine ci assomigliamo tutti.
L’ambizione (vanità tutto è vanità) è usualmente un peccato che è considerato con bonarietà, quasi tollerato e, in alcuni ambienti, addirittura auspicato.
Per esempio, nel mondo del lavoro se una persona non ha una forte ambizione è considerato meno di niente, perché con lui il sistema ha le armi spuntate.
Come si può prevedere il comportamento e comandare o motivare come si dice con un certo eufemismo, non privo di umorismo, un uomo senza ambizioni?  E’ impossibile.
Diviene così per una società come la nostra un vero rivoluzionario.
Un essere da compatire se va bene o da eliminare se gli butta male, perché si chiama fuori dal mondo e dai meccanismi che lo regolano e lo sostengono.
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Personalmente considero la vanità il peccato più pericoloso, perché si trascina dietro tutti gli altri che generalmente nella classifica della maggioranza sono additati come peggiori, quali: l’egoismo, l'odio, l’ipocrisia, l’avidità, l’invidia.
Se non desiderassimo essere altro e molto di più di ciò che siamo, quale sarebbe il senso di tanti affanni che spingono i più rapaci a commettere tutti gli altri peccati considerati ben più gravi?
Se non volessimo raggiungere un traguardo ambito per pavoneggiarci con superbia sugli altri e goderne i privilegi a discapito dei molti che non li hanno, perché mai dovremmo desiderare di vincere a qualunque costo?
Come aveva ragione il buon Oscar Wilde quando dicieva che "l'ambizione è l'ultimo rifugio dei falliti". 
Tutto allora trova senso e motivo in questa pulsione apparentemente innocua come la vanità.
E’ la matrice di mali assai peggiori.
Ci scagliamo con il dito accusatore sui suoi figli, ma la vanità è la madre di tutte le più abbiette azioni che si compiono ogni giorno.

Molti sostengono che sia un istinto naturale, se così fosse lo avrebbero anche gli animali, ma non ho mai conosciuto un cane che ha l’ambizione di essere che ne so, una gallina. Vive beato la sua "canità" e non si cura di altro.
Molti allora ribattono che è una qualità necessaria, addirittura allo sviluppo, alla crescita, all’evoluzione dell’uomo.
Identificando lo sviluppo con la ricchezza. Una ricchezza che si mostra dimenticando almeno il pudore che la connaturava prima delll'avvento della civiltà industriale,. Eleggendo il profitto a termine di valore, l'ostentazione a simbolo di successo personale si crede che questo porterà ad un mondo migliore. Il traguardo promesso da questo modello di vita è il solito: la felicità. Alla resa dei conti di questa promessa si constata che siamo tutti poveri di qualche cosa.
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Per lavarsi la coscienza questi anni vedono il parto di un nuovo salvatore: la filantropia. Figlia di questo momento storico è un pregio che maschera un vizio. E' il puerile tentativo di riabilitarsi agli occhi dei molti disagiati per salvaguardare ancora una volta se stessi, il proprio buon nome e l'esigua elite di sfruttatori, dinnanzi al giudizio critico della società che guarda ambiguamente alla ricchezza e ad una posizione abnormi rispetto alle reali necessità dell'individuo.
Ambiguamente, perché se da un lato quasi tutti si levano il cappello e chinano il capo di fronte al potente di turno ugualmente nel proprio intimo covano il rancore e l'invidia.
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Può darsi che questa ambizione tinta di  vanità e superbia abbia in alcuni casi costituito uno stimolo, ma il prezzo che si è pagato la rende conveniente?
I miliardi di morti delle guerre fatte durante la storia dell’umanità, le persecuzioni, lo sfruttamento dei più deboli, il colonialismo, la schiavitù ce li siamo già dimenticati?
Uno sfruttamento che è operato, anzi perpetrato ancora oggi ma in maniera più subdola.

Salto di palla in frasca per esprimermi meglio.
Il libro più venduto in questo momento è la biografia di Agassi; Un tennista ex campione del mondo, il quale ammette dopo una vita spesa a correre dietro ad una pallina gialla per mandarla oltre una rete usando solo una racchetta che ha sempre odiato il tennis.
Stupore generale.
Poi, si legge che è stato condizionato dal padre che ha costruito con una disciplina disumana la sua storia di campione.
Ora finalmente la rivelazione. Applausi, lacrime qualche pacca sulla spalla.
Se, più intelligentemente, avesse vissuto la sua vita come voleva da subito ora non raccoglierebbe alcun clamore ed invece è premiato con il consenso.
Perché? Perché quasi tutti fanno cose e vivono vite che non amano, tutti rincorrono in un modo o nell’altro un’ambizione, un successo deciso da altri. Tutti bramano una certezza che possa definirli in qualche modo. 
Tutti infine, sperano di avere la forza e l'onestà di buttare tutto alle ortiche un giorno e fare ed essere quello che sono, ma quel giorno non arriverà mai.
Alla gente comune piace ammantarsi di virtù che non manifesta in nessuna occasione ma pensa, chissà poi perché, che in qualche modo e in qualche misura queste qualità gli appartengono di diritto, magari per il solo fatto di essere un uomo o una donna.
Questo strano personaggio spiega a se stesso "Adesso non posso fare questa cosa perchè o altri impegni importanti, ma se volessi, se proprio mi trovassi nella necessità saprei tirare fuori questa qualità, quella forza, quella volontà e certamente lo farò ma più avanti, un giorno." 
Allora perché mai non manifesta queste virtù subito? Semplicemente, perché non le possiede, ma ammetterlo è troppo difficile.
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Tra le tante vanità la più incredibile partorita dall'uomo è l'idea di Dio, almeno com'è pensato generalmente.
Un essere perfetto che ha fatto però un mondo imperfetto, e se non si pensa che sia imperfetto basta guardare l'umanità che è a sua immagine e somiglianza.
Questo Essere Celeste che si dice sia buono ha fatto però una Natura così crudele che prospera grazie alla sopraffazione di una specie sull'altra, dove l'assasinio generalizzato è la pratica per nutrirsi e vivere, vivere in ogni caso solo per un po', visto che poi moriremo tutti. 
Che meraviglia!
La perfezione di questo contesto criminale generalizzato mi sfugge, ma forse è perchè sono un po' tonto.
Com'è scaltro invece l'uomo...Ammettere di essere Dio per glorificarsi oppure per mitigare la sua paura di morire sarebbe troppo anche per lui, visto come si comporta meschinamente nel quotidiano, allora si è inventato di essere il figlio di Dio, una sua emanazione.
"Non sono perfetto, ma...guardate mio papà. Un giorno sarò come Lui o almeno con Lui,  alla sua destra, alla sinistra, un po' più sotto o in balconata, magari più in là, ma ci sarò, aspettatemi che arrivo."
Che presunzione!
Non c'è bisogno di Dio per essere umili, basta un virus, anche un piede rotto, un mal di denti, per metterci in riga di fronte alla nostra insignificanza, ma l'uomo ha così poca memoria che appena dispone di qualche cartuccia comincia a sparare cazzate.
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Intanto il mondo continua a girare.
"Vedi quello…è il presidente. Quel altro…Oh! quello è il dottor…Hai visto invece quello? E’ il campione di…".
Ognuno vive con la sua bella etichetta sulla fronte e qualche volta tenta di cambiarla con una più redditizia.
In realtà entriamo in una gabbia di stereotipi più o meno convenienti e ne diveniamo prigionieri, molti ne sono perfino contenti.
Non siamo dunque esseri umani ma ruoli; Personaggi che indossano maschere diverse secondo il momento richiesto da questo avanspettacolo che definiamo vita.
Ora padre o madre, poi marito o moglie, dopo ancora dirigente, poi di nuovo cittadino, contribuente, uomo, donna, italiano, straniero e così via.
Il nostro vero Sé si intravvede tra un cambio e l'altro di questi abiti di scena, ma non è quasi mai riconosciuto dagli altri e ancor meno da noi stessi, forse perché sotto le luci del palcoscenico arriviamo già cambiati.
Ogni tanto nella penombra di un camerino solitario, questo attore senza altro vero talento che la menzogna si guarda allo specchio.
Il volto che scorge è di un estaneo.
L'immagine che ne trae è terrorizzante, un viso deforme rigato dalle lacrime, lacrime salate che dovrà inghiottire perché lo show non si può fermare.
Ogni maschera perciò ci definisce e solo la maschera può avere un perimetro certo, ma in realtà è evidente che ci rinchiude in una prigione.
La punizione poi per chi disattende le aspettative proprie del suo ruolo sociale è inesorabilmente spietata.
Il soldato che non vuole più uccidere è fucilato, il medico che prtatica l'eutanasia è un reietto, l’amministratore economico che non è avido nell'ingigantire il capitale non ha più nessun credito, il politico che diviene onesto non ha più seguito, la sua stessa onestà lo allontana dal compromesso e dallo scambio vicendevole di favori che da senso alla sua posizione. 
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Dunque all'interno di un ruolo non è possibile agire con una coscienza personale libera dalle regole insite al ruolo stesso.
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Chi non percorre il sentiero tortuoso dell’ambizione, della vanità, di essere altro da se stesso è buttato giù nel dirupo dell’indifferenza.
Non potremmo semplicemente: essere?
La semplicità è troppo complicata per l'essere umano, evidentemente.
Le domande che a nostro rischio dovremmo porci sono: “Si può realisticamente pensare di essere felici alimentando questa tensione continua fra ciò che siamo e ciò che vorremmo o dovremmo essere?
E' plausibile impersonare un ruolo che ci è estraneo e il più delle volte obbedendo ad un desiderio che non è nemmeno nostro, ma indotto dalla società, dalla famiglia, da un ego fatto di sogno?”
Mi pare evidente come questa schizofrenia non porti altro che sofferenza.
Il traguardo raggiunto diviene immediatamente la delusione patita ed ecco perchè ogni arrivo è spostato oltre, sempre più avanti per sostituirlo con una nuova vanità, con un'ambizione più ardita. 
Una ruota con il mondo dentro come un criceto la cui spinta per farla girare è la brama.

C’è una storia che trovo bellissima.

Racconta di un Mago che alla fine della sua carriera si ritirò in campagna ad allevare ovini.
Dopo qualche tempo si accorse che era un lavoro molto difficile.
Le pecore, infatti, una volta libere al pascolo non volevano tornare nel recinto; Spesso fuggivano perché non volevano essere rinchiuse e avevano paura di essere macellate.
Allora il Mago trovò una soluzione.
Le ipnotizzò.
Ad ogni pecora gli disse che era in realtà libera, che il recinto non era una prigione ma la sua casa, e soprattutto che lei non era una pecora, ma un altro animale.
Ad una disse “Tu sei un leone” ad un'altra invece “Tu sei un’aquila” e così via.
Le pecore da quel momento non fuggirono più.
Ogni sera tornavano mansuete al recinto e quando una di loro era macellata le altre rimanevano tranquille perché pensavano “Io non sono una pecora sono un altro animale e a me non succederà”.

Così tira avanti il nostro bel mondo.


2 commenti:

ross ha detto...

"tensione tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere o potenzialmente potremmo e quindi dovremmo essere"
"Se vuoi essere intero,concediti di essere parziale.Se vuoi essere un uomo retto concediti di essere storto.Se vuoi essere pieno lasciati essere vuoto.Se vuoi rinascere lasciati morire.

Visir ha detto...

Condivido quanto hai scritto.
La perfezione è già insita in ognuno in quanto unico.
Non è possibile un confronto fra generi diversi, almeno in senso assoluto.

Nel quotidiano invece i desideri e gli obiettivi generano inevitabilmente una classifica di valori.
Per andare più veloci serve un’automobile più potente, ma una graduatoria del genere non trova senso se non si ha fretta o destinazione.
Apparentemente discorsi sterili, ma che ci danno la misura (e la grandezza della prigione) della nostra soggettività espressa nelle ambizioni.
Scriverò presto una sorta di libro, un prontuario su come smettere di migliorarsi.
Sarà uno scritto (apocrifo) per una nuova generazione di esseri umani, una bibbia per dei senza Dio che hanno trovato finalmente la spiritualità, un atlante geografico per quelli che non vanno da nessuna parte e...come dici tu, arriveranno ovunque.

Ops! Mi è uscita fuori un'ambizione, fammela buttare via subito prima che cresca. :)