domenica 13 aprile 2008

Le vicende di Zerbinetor (ovvero racconto parziale della vita del bipede palmario su questo pianeta)

Perdita di I-Denti-tà

Parte I - I sogni sono presagi-

Zerbinetor, il solo evocare questo nome gli avrebbe provocato un brivido, se solo fosse stato sveglio, ma ora era al riparo da qualunque rimorso.

La testa appoggiata soavemente sul cuscino candido come neve di febbraio, era in perfetto abbinamento cromatico con il grigio topo dei suoi capelli, irsuti e scarmigliati,

Un leggiadro sorriso accompagnava il respiro rumoroso e baritonale che ricordava un mantice di una fucina medievale.
La stanza era avvolta dal silenzio, un silenzio quasi liquido.
Non solo riposava con una leggera stalattite di saliva all’angolo della bocca, irta di denti numerati, ma sognava.
Fatto inconsueto per lui, o meglio lui sognava sempre, ma mai quando dormiva.

Sognava di lei, l’ineffabile dea malese, che tanto piacere gli regalava nei rari momenti di quiete e ancor più sapeva dispensargli sofferenza negli abituali momenti di furia, per altro ampiamente giustificata ( a detta di lei).
Lui sapeva nel profondo del suo animo che ella aveva su di lui un ascendente ed un potere irresistibile e inconfessabile, tanto da avergli fatto impersonare quel simulacro di uomo che non nominava mai a se stesso: Zerbinetor appunto.

Tali pensieri indistinti non offuscavano affatto la dolcezza del suo sonno che come una lontana bruma mattutina accompagnava il suo sogno e in maniera discreta faceva da contorno al suo viaggio come una musica strana accompagna un film surreale.

Eccolo, nel suo spettacolo onirico, che passeggia seminudo in un campo di grano, un pareo gli cinge i fianchi ancora snelli come un “ciripà” sovradimensionato.
“Sono un Gandhi, un Gandhi alla moda” commenta tra se nel sogno e sottolinea la sua soddisfazione nella realtà con un peto sibilante sotto il piumino caldo ed ora, ancora più caldo.

All’orizzonte, di questo paesaggio morfetico, ma non troppo lontano da lui, appare la sua divinità femminile in tutta la sua orientale bellezza.
Indossa un vestito di foggia cinese in seta marrone “testa di moro” con delicati ricami d’oro che le disegna ancor meglio il profilo aggraziato. I piedi minuti calzano delle babbucce di raso nero con un impercettibile tacco che slancia questa venere bonsai.
Il viso di lei è in ombra, mentre il sole, forte del mezzodì, le fa corona sui capelli corvini che accennano dei riflessi blu cobalto.
Il nostro eroe in un moto subitaneo avverte un sussulto erettile che lo fa scattare come un crotalo alla vista di un topo(a), e gli ricorda che di fronte a tanta bellezza, egli non è che uno schiavo.

Lui, in questo frangente sfiora con la mano le spighe di grano, novello Russel Crowe in Gladiatore, e finalmente la raggiunge.

Come avviene spesso nei sogni, inaspettatamente la situazione cambia, il viso di lei si incupisce e la frase che il nostro amico ode è piena di rimprovero, stridente rispetto al bucolico panorama: “Domani è il mio compleanno” dice lei “e tu dove sarai?”.
Il nostro Gandhi-Prada trasalisce sgomento nella constatazione, ahimè, che la situazione gli è sfuggita di mano ed ancor più è sfuggita alla sua memoria che fa acqua peggio di una sentina di una nave in procinto di affondare.

Vorrebbe giustificarsi, ma non fa a tempo, un frastuono pauroso lo sveglia di sobbalzo e gli fa morire in bocca le poche frasi che ora va a balbettare nel suo traumatico risveglio: Amore…mah, mah, ora arrivo, carta di credito e cialis (parole apparentemente senza senso).
Il boato non è opera di un seguace di Al Qaeda immolatosi con il suo carico di bombe, ma è iniziativa del suo “triolesco” cugino, è un’eruzione di musica “trance”.
Ormai da quando abitano nella stessa casa loro sono sempre più gemelli separati alla nascita. Tendono ad assomigliarsi nella forma, ma la distanza dei cuori appare siderale, non è così per i timpani del nostro conte di Massa, sommerso dalla cacofonia assordante.
I due abitualmente si sfidano come un Giano bifronte che voglia mordere il volto che gli si cela alle spalle, ma naturalmente è impossibile.
Il cugino colpisce alla distanza come un cecchino bolscevico nella battaglia di Stalingrado, con attacchi sonori subitanei ed inaspettati anche nel cuore della notte, il nostro beniamino risponde con compassata signorilità mangiando di nascosto le merendine preferite dell’antagonista pensando così di essere pari.
Ai turbinii della jacuzzi del cugino risponde con lo spazzolino da denti sui suoi nuovi incisivi, una lotta impari che però affronta con stoica determinazione come Leonida alle Termopili.

La curiosa abitudine del consanguineo di stordire i vicini (il più prossimo è a 4 km) e soprattutto lui, con onde sonore partorite dal suo stereo a tutto volume, in verità più simile ad uno “shock device” Klingon che ad un vero e proprio riproduttore musicale, ha accelerato l’inevitabile cesura che porterà questi gemelli siamesi presto ad una dolorosa operazione di separazione.
Questa è la sentenza che appare evidente anche ai frequentatori più distratti della loro villa Balearia.

Tornato in sé, realizza con la velocità di un bradipo sedato che deve partire.
Il suo volo da Ibiza è per Milano e poi per Parigi (residenza della Perla di Labuan).
Scorre mentalmente la sua agenda (inesistente) che scandisce come il ruolino di servizio di un corpo di guardia gli impegni incalzanti.

Denti e pelo, pelo e denti, pensa tra sé, chi ha il pane non ha i denti, chi ha il pelo non ha la voglia, ma chi ha voglia non ha il pelo, alla fine tutto si realizza nel trascendere questa dicotomia odonto-ginecologica della vita, chiosa così parlando a se stesso con questo profondo pensiero filosofico.
“Avrò entrambi” urla dalla sua stanzetta e il cugino dalla “suite” accanto risponde fraintendendo (è quasi sordo): “No, le tue ultime mutande pulite le ho prese io ieri sera, sai avevo un puntello…capirai è stata una nottata!”.
Il nostro eroe sospira come un fachiro trafitto da un letto di chiodi e sentenzia: “Partirò senza”.

La tappa lombarda si rende necessaria per l’ampliamento della sua capacità dentaria che presto raggiungerà la quota di 57 denti installati e perfettamente funzionanti.
Sostenuti dalle famose viti numerate al titanio molibdeno che fanno vanto nelle sue discussioni più appassionate, egli le mostra, sempre più spesso, agli ospiti e agli occasionali interlocutori con orgoglio quasi paterno.
Questa pervicace abitudine non lascia gli astanti mai indifferenti.
“Potrò masticare ogni cosa, anche il mio fegato se lo vorrò”, intona un eco nella sua mente.

Il suo piano prevede l’arrivo ad Orly in calcolato ritardo per la festa della leggiadra pulzella, alzando così il desiderio di Lei, pensa compiaciuto, mentre si osserva allo specchio, ma la sua immagine stranamente non risponde al suo sorriso amichevole.

Gli dei mi amano ancora?
Erompe questa domanda nel suo cervello, ma non ode che uno scroscio di sciacquone dal gabinetto del malefico cugino come risposta, mah!






Continua...

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