giovedì 10 aprile 2008

Spendo quindi sono


Pulendo le piastrelle del bagno mi sorprendo felice a pensare alla mia bella casa, alla macchina nuova che riposa al sicuro nel garage e sono contento di tutte queste cose che possiedo e mi riempiono la vita.
Se proprio non mi sento ricco, certamente questi oggetti mi aiutano ad essere più tranquillo, mi rassicurano. Mi trovo anche a riflettere da dove provenga questo benessere e penso che la ricchezza non si crea, ma si sposta da una persona all'altra; Quindi se uno diventa ricco da qualche parte qualcuno diventa più povero.
Penso anche a quanto seguito abbia il cosiddetto successo d'alcune persone: Bill Gates possiede 44 mila miliardi, Silvio Berlusconi due mila miliardi e via di seguito, ma il loro segreto?… è semplice, saper vendere agli altri ciò che costa 1 a 10…100…10.000 volte il suo costo e più alto è il rincaro, più la persona è di valore.
Molti ammirano questo modo di fare chiamandolo "iniziativa imprenditoriale", "alta finanza", "economia". Quante volte si giustifica la cinica spregiudicatezza del guadagno con la legge di mercato, tante parole per nasconderne una che ripugna: avidità.
Una malattia da cui non siamo vaccinati, ma semplicemente contagiati in stadi diversi.Paghiamo ogni cosa in termini di libertà personale. Al lavoro uso il mio cervello, le mie mani, la mia schiena e quel tempo più o meno valutato da qualche altro, lo spendo attraverso il denaro, per comprare cose di un certo valore, fatte da altri cervelli, mani, schiene, ma ciò che spendo in realtà è in definitiva la mia vita.
Se non esistesse la smisurata avidità di alcuni, che fa costare tutto troppo, quanto tempo in più avremmo per vivere la nostra esistenza facendo quello che ci pare.
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La prestigiosa rivista Forbes ogni anno stila la classifica degli uomini più ricchi del pianeta, seguono di solito nel giornale, le belle foto di un pugno d'uomini "soddisfattissimi", generalmente ritratti nelle loro case lussuose o sullo sfondo di ville immense, ma da dove viene la spinta ad accumulare quest'illimitata fortuna che potrebbe bastare ad otto generazioni successive e che suscita in molti ammirazione ed invidia, ma non lascia nessuno indifferente? Perché, mi domando ancora, se un giorno mentre esco dal supermarket con i sacchetti della spesa si fermasse una limosine per strada e ne scendesse Gianni Agnelli che guardandomi dritto in faccia mi rivolgesse un commento qualsiasi, probabilmente ne sarei colpito profondamente, ma se la stessa cosa la dicesse il mio portinaio non passerebbe neanche un secondo per finire nella memoria delle cose inutili.La domanda che mi pongo infine dopo questa semplice riflessione è: cosa ci spinge a desiderare di avere? Cosa ci seduce nell'entrare in questo gioco di società accettandone tout court le regole?
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Si dice che è l'inestinguibile fame d'amore che spinge gli uomini nel desiderare senza posa il denaro, il sesso, il potere quest'ultimo poi la più raffinata delle droghe, che appare in forme subdole, come ad esempio: l'approvazione degli altri, la santità, l'affermazione di sé e il desiderio di manipolare gli alti.
Leggendo la biografia di alcuni di loro (i potenti, sic!) ci sarebbe da crederlo.Emotivamente sono dei disabili, lo testimoniano i loro matrimoni d'apparenza, i figli snaturati, la schiera di leccapiedi che li accompagnano e che gli fanno il coro applaudendo ogni volta che si schiariscono la voce.
E la nostra vita è diversa? Con crudezza non mi sento di escluderlo, cambiano le prospettive, la posta in gioco, ma le motivazioni, scava-scava, sono le stesse.
Quanti di noi alla prima promozione non devono più fingersi compagnoni con i colleghi? Quanti dimenticano un'amicizia appena le circostanze non la rendono più utile? Gli esempi magari diversi in ogni occasione dell'esistenza si sprecano.
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Se sono depresso mi compro un vestito, ma se guardo i miei amici vedo che: meno si sentono amati più si circondano d'oggetti e tentano di colmare il vuoto aperto da chi sa chi o cosa, magari avvenuto nell'infanzia.Perché invece, non dedicare più tempo alle persone con cui stiamo bene o con i figli e guarire il fuoco con l'acqua invece di vivere lontani impegnati a lavorare 8/10 ore ogni giorno.A volte torno a casa la sera, dopo l'ufficio, le terapie, la palestra e sono così stanco che guardo negli occhi le persone che amo e penso al letto.E' mai possibile che releghiamo in pochi ritagli scoloriti ciò che possiamo fare in libertà e il resto dell'esistenza la trascorriamo malvolentieri a fare ciò che dobbiamo, ma è veramente così? Siamo veramente vittime di questo stato di cose, di una società crudele che ci ha snaturato sin da bambini?
Mi verrebbe da replicare che siccome ho finito di pulire il bagno non ho più tempo per dare una risposta, ma sarebbe un comodo "escamotage" per sottrarmi alla realtà che è evidente: viviamo come ci piace o ancora peggio, non vogliamo vivere in modo diverso perché non concepiamo dentro di noi un mondo diverso.
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La vita del Buddha storico (per esempio) è emblematica: bello, ricco e intelligente lascia tutto la notte della nascita del suo primogenito mentre il palazzo reale è avvolto da una nebbia soporifera, per vivere senza il peso di quella ricchezza.Mentre gli altri giacciono addormentati egli si risveglia al vero modo di essere.
Poche parole per riassumere uno slancio dal coraggio grandioso, la ricerca di un'illusione che mette fine alle illusioni ovvero una contraddizione meravigliosa, il cui eco risuona ancora nel cuore dei praticanti sinceri.
Penso a me stesso, che se non posso andare al lavoro in macchina mi sento defraudato di un diritto, e il paragone che sorge mi mostra un me stesso immerso in una desolante meschinità. Può capitare però, che quando mi siedo semplicemente e sono solo in me stesso, il peso di quest'immenso moto della vita si sgrava e allora mi basto, svincolato dal richiamo ipnotico dell'ego non ho bisogno di casa, vestiti, patria, reputazione, fidanzata, e questa è una realtà non solo per me, ma credo per tutti.
Poi nel tran-tran quotidiano che mi riprende il seme di questa consapevolezza, a volte inaspettatamente, germoglia ed è l'unica grande speranza d'emancipazione.
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Si racconta che Alessandro il Macedone, giunto a 33 anni, poco prima di morire, dopo aver conquistato tutto il mondo civilizzato del suo tempo, volle che il suo funerale si svolgesse davanti all'esercito schierato.
Quando morì, il feretro aperto sfilò davanti a tutti lasciando uscire le mani che pendevano ai lati; Ai suoi uomini con cui avevano condiviso la frenesia e l'ebbrezza della conquista volle dare un segno: perfino lui, che in vita ebbe tutto, lasciava questo mondo con il vuoto nelle mani.

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