venerdì 11 aprile 2008

Parte VI La Salamandra nel Fuoco

Lui conversava amabilmente con due partecipanti alla festa appena conosciuti, di eleganza e di stile in controtendenza. La strana coppia era “divinamente ben vestita”, entrambi di età indefinita (potendo spaziare dai trenta ai quaranta anni con la massima incertezza).
Con loro aveva casualmente scambiato qualche battuta per poi inoltrarsi in una divertente discussione.
Il primo di questi era un nero alto quasi quanto lui con un viso regolare e il naso insolitamente stretto per la sua razza, aveva i capelli quasi completamente rasati su un cranio perfetto.
Vestiva una maglietta nera che sembrava dipinta sul busto asciutto e sopra di questa indossava una giacca di ottimo taglio sartoriale. Jeans scurissimi sapientemente adagiati sulle creste iliache cadevano perfettamente su un paio di “converse” dorate.
L’altro invece era un caucasico, più basso di statura, aveva un viso molto curato tanto da sembrare appena alzato dopo un ottimo sonno ristoratore. I cappelli neri tagliati cortissimi risultavano essere quasi rasati lungo la base della nuca e sui lati vicino alle orecchie, come un “marine” molto “trendy”. Era vestito in maniera casual chic, tono su tono e irradiava dalla sua persona una “nuance” blu oltremare che lo differenziava dal gruppo di figuranti dark.
Quest’ultimo interveniva moderatamente nella conversazione con brevi e sagaci battute, la sua voce era dolce e lievemente strascicata, lasciando dietro di se un lieve accento toscano.

Il nostro esteta si sentiva in loro compagnia perfettamente a suo agio.

Il nero, in un perfetto italiano, raccontava dei propri gusti in fatto di “fashion, mentre il nostro raffinato viveur non poté fare a meno di osservare che sul bavero della sua giacca era appuntata una piccola medaglietta elettorale raffigurante Barack Obama (che anche il candidato presidenziale fosse un vampiro?).
L’altro invece in quel preciso momento rideva e basta, mollemente appoggiato ad un cassonetto della raccolta differenziata con un bicchiere flute ricolmo di Champagne Krug.
L’atmosfera era prodigiosamente tranquilla come l’occhio di un ciclone nella tempesta.

Entrambi raccontarono di essere stati invitati a questa festa da amici occasionali, ma senza sapere nulla di nulla, a parte che l’evento gli era stato presentato come: “La festa a sorpresa più esclusiva del mese”.
Il nostro perspicace detective comprese allora che forse i suoi nuovi amici non fossero della stessa razza degli attori gotici, si domandò ancora: “Se non sono dei commensali, che forse sono da considerarsi una pietanza?”.
Era un pensiero funesto che allontanò da se stesso con un gesto annoiato della mano come per mandar via una mosca insistente che sciupa una siesta nel sole del primo pomeriggio. In quel modo si riappropriò dell’attimo presente.

In quel particolare angolo e momento avrebbe potuto essere in uno qualsiasi dei tanti “party” alla moda ai quali aveva partecipato, ma che ultimamente eludeva con ritrovata semplicità.

La conversazione era scivolata non si sa come sulla sincronicità, il curioso legame fra fisica e psiche, con riferimenti precisi alla Cabala (argomento molto caro al nero), il quale stranamente poneva al nostro campione continue operazioni aritmetiche da eseguire.
Complice la stanchezza, i cocktail, le neuro-tossine non ancora completamene smaltite risultò oltremodo difficile al nostro vivace matematico dare un risultato esatto a queste difficili interrogazioni, le quali fra le tante, concernevano per esempio i secondi che ci sono in anno solare divisi per il numero di volte che un oggetto qualsiasi, una volta lanciato, ruota su se stesso.
Decisamente domande cruciali, ma che richiedevono almeno una calcolatrice o una mente fresca.
L’infinita sequenza di addendi (continuamente aggiunta con nuove moltiplicazioni sottrazioni e divisioni, dal novello Cabalista) ai quali stava cercando di dare corpo fu interrotta dalla ricomparsa del "perfito Tankerdi".
Per la verità la sua infausta venuta fu preceduta da un effetto stroboscopio che dava ai loro movimenti una sequenzialità a scatti. L’effetto non era prodotto da una lampada di discoteca, ma neanche a dirlo, dai flash della macchina fotografica del vampiro in accappatoio che si avvicinava sempre più al loro angolo filosofico.

Il molestatore era accompagnato da un gruppo di energumeni che giunto in prossimità del serafico trio li indicò (con il solito dito umido) e disse: “Ecco la nostra cena”.

Le circostanze in pochi secondi precipitarono.
I due simpatici amici furono assaliti vigliaccamente dal drappello ostile e mentre gridavano come facoceri evirati furono presi di viva forza e tradotti verso il pentacolo.
Il nostro cavaliere abbozzò invece una difesa disperata. Rispolverò dalla sua memoria una mossa di judo (arte marziale che aveva praticato in gioventù con profitto sino alla cintura arancione) contro il più grosso degli assalitori, una sorta di “grizzly” umano.


La tecnica spettacolare di lotta giapponese che si apprestava a compiere consisteva in una cosiddetta “tecnica di sacrificio”, ove l’artista marziale sacrifica appunto il suo equilibrio e la sua posizione per ottenere la completa vittoria. Questo colpo lo aveva sempre affascinato. In senso filosofico in quanto il nostro eroe era antropologicamente vicino a questo concetto di “bel jeste” e in senso estetico perché era, tra le tecniche mortali, la più scenografica e anche la più rivelatrice della sua innata nobiltà.

Nonostante le sue migliori intenzioni però, quando il gesto atletico andò a concretizzarsi, riuscì solamente una volta afferrato il braccio del suo antagonista a strappargli una manica della camicia.
Con questa poi, avvolta come un peplo al suo busto si produsse in una piroetta rotolando a terra.
La lotta continuò inesorabile per qualche minuto dove il nostro campione, completamente avulso dalla realtà esterna, fu impegnato contro la manica di tessuto in un litigio dalle sorti alterne e sotto gli occhi perplessi degli assalitori che, fermi intorno a lui, aspettarono con pazienza la fine della micidiale tenzone.
Il nostro emulo Jigoro Kano, proferiva dei piccoli, ma decisi, urli, mentre continuava a rotolare sul selciato con il suo straccio ormai ridotto ad un brandello lacero.
“ Uè! Uè! Ah-uè!” Erano queste le esternazioni del suo “Ki” (sprito-forza) guerriero.

Si risollevò quindi una volta ridotto a dei coriandoli il pezzo di camicia e ripulendosi i palmi delle mani sulle cosce, aggiunse: “E non riprovarci mai più!”.
Grande fu il suo stupore nel ritrovare ancora integri i suoi nemici (fatto salvo per uno di loro che in modo bizzarro era senza una manica).
Senza por tempo in mezzo questi bruti lo sollevarono di peso da terra afferrandolo per le 5 (cinque) membra e lo portarono verso i suoi amici già legati come un salame felino.
Nel divincolarsi dalle strette ferree dei suoi assalitori anche l’ultima scarpa superstite con annesso calzino fu lanciata lontano dal suo legittimo proprietario a “velocità warp”, andando, con grande senso di giustizia, ad infrangersi contro le gonadi del crudele delatore visagista che stramazzò a terra con un barrito.

Continua…

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