venerdì 11 aprile 2008

Parte IX Perchè Bruto è un uomo d'onore.









Alla maniera di un Templare in procinto di espugnare Gerusalemme per riavere la santa reliquia il nostro guerriero guardò l’austero edificio, poi ne pesò i muri spessi e anonimi che lo separavano dal suo agognato documento.
Niente avrebbe potuto fermarlo, ma ancora una volta il destino lo avrebbe messo sotto scacco.
La mattina era insolitamente calda e, una volta entrato nella cittadella nemica, aspettò il suo turno fra gli astanti in fila allo sportello comunale cominciando a sudare.
Si tolse allora la maglietta in cerca di refrigerio e la appoggiò su una sedia per poi dimenticarsene per sempre.

L’impiegato dietro il bancone osservò con un’occhiata scostante questo singolare individuo a torso nudo che gli si parava davanti.
“Sono Z…” e subito si corresse “sono (Bip), mi hanno rubato la carta di identità, mi faccia un duplicato” così dicendo passo sotto il vetro macchiato di impronte una copia stazzonata della denuncia stilata dalla Guardia Civil spagnola.

Secondi interminabili trascorsero, mentre il pubblico dipendente osservava la carta e poi il richiedente, come una partita di tennis interminabile, palleggiava il suo sguardo ora su di lui e poi sul foglio (imbrattato di alcune gocce di pomodoro fresco).
Il nostro beniamino gonfiò il petto in un respiro profondo e proferì a mezza bocca: “Che palle”. Il commento cadde sul pavimento senza sortire né effetto né rumore, mentre il suo occhio attento lesse il nome dell'impiegato sul cartellino appeso al bavero della giacca "Salvatore Lo Bruto".

L’uomo dietro il vetro cominciò in maniera quasi “autistica” a scuotere la testa in un cenno di diniego. Scuoteva e guardava, guardava e scuoteva, aggiungeva sempre nuovi strani movimenti e pareva affetto da un numero sempre crescente di tic.
Quando a questi culminarono in saltuarie alzate di spalle e una tosse nervosa che ogni tanto faceva da contrappunto ad un tocco rapido al lobo sinistro dell'orecchio, Il nostro ineffabile eroe fu sul punto di detonare.
Ormai contagiato dalla tensione dell’impiegato provava un prurito irrefrenabile in tutto il corpo.

Alla fine di questa “melina sgradevole” il pallido funzionario emise il suo inappellabile verdetto.
“Non si può” e aggiunse “Senza due testimoni non possiamo darle il documento” e concluse con alcune strizzate simultanee degli occhi, mentre il corpo era divorato dai movimenti ormai senza controllo.

“Come pensa che trovi due testimoni a quest’ora?” disse il nostro irritato eroe, grattandosi con forza un gluteo in un’ultima recrudescenza pruriginosa “Sono appena arrivato da Ibiza, dopo un viaggio allucinante e manco dall’Italia da due anni”.

Ormai era tutto arrossato dal livore e dalle sue stesse unghie.

I suoi denti numerati scintillarono come scimitarre saracene al sole di Damasco e riflessero il bianco candore dei neon perennemente accesi nel salone.
Ancora una volta le sue proteste non sortirono alcun effetto, in questa occasione il muro era troppo alto anche per lui.
Urgeva una richiesta di aiuto ovvero due amici che testimoniassero che: lui era lui.

Purtroppo il suo ultimo cellulare sembrava funzionare male.
La linea andava e veniva secondo i movimenti del suo capo e quindi in pochi attimi sperimentò ogni situazione possibile per avere una comunicazione stabile.
L’unico modo per usare il telefono era dunque correre lungo un cerchio ideale abbassando e alzando il suo busto con ritmica sincronicità e facendo assomigliare la sua telefonata ad una danza riturale Siux.
L’impiegato, fra una timbratura e una fotocopia osservò questo strano pellerossa in blue jeans che scalzo e mezzo nudo intonava, ballando, una lunga comunicazione (pareva che parlasse con Manitù stesso).
La gente nella attesa per ingannare il tempo batteva le mani a ritmo di questa arcaica danza propiziatoria, qualcuno udì in lontananza un rombo di tuono.

Alla fine riuscì a lanciare nell’etere il suo richiamo, giungendo a contattare alcuni dei suoi amici, nell’ordine: Maffo, Diffo, Beffo, Pigiu, Mino, Simo, Ringi, Lula e Giovan Antonio Battista Locorotondo, quest’ultimo il cane del Maffo, che prontamente abbaiò al telefono confermando il suo aiuto.

Il nostro fine stratega pensò però che se mai la sua “chiamata” fosse in qualche modo disattesa sarebbe bastato semplicemente cambiare le regole del gioco per vincere.

Cos’è la genialità? Essenzialmente estro, improvvisazione e rapidità di esecuzione.

Raccolse due cassette per la frutta vuote dimenticate in un angolo del grande ufficio e vi salì sopra per parlare alla folla incuriosita da questo strano figurante.



“Amici” disse con voce baritonale appoggiando un lungo fazzoletto nell’incavo del braccio come la toga di un antico senatore capitolino, “Romani” e nel frangente colse una nota di stupore nel gruppo di persone che lo osservavano, “Emm…compatrioti, dicevo” riprese con disinvoltura “io sono qui per dare sepoltura a me stesso, non già per farne le lodi", che il Comune dice che io sia un uomo senza memoria e senza passato, e il Comune parla per bocca del suo funzionario, e il suo funzionario Lo Bruto è uomo d'onore”.
V’ha detto, il Lo Bruto, che io sono stato un uomo distratto: se tale era, fu certo grave colpa, ed io gravemente l'ho scontata.

Un brusio inquieto serpeggio nel gruppo di ascoltatori “Chi è che è morto?” domandò una vecchietta in fondo “Stttt!” la zitti una signora con un bambino per mano e con voce trattenuta aggiunse “Non si capisce, ora lo spiega”.

Il suo sguardo profondo colse in ognuno degli ascoltatori il cuore e continuò: "Il male fatto sopravvive agli uomini, il bene è spesso con le loro ossa sepolto; e così sia anche di me".
"Io vengo innanzi a voi a celebrare di me stesso le esequie. Di me fui amico, e sono sempre stato con me stesso giusto e leale; ma il Comune dice ch’io fui senza memoria, e Lo Bruto è certamente uomo d’onore.

"Ho addotto alla città molti denari, con multe per divieto di sosta e tasse per i rifiuti e mora, e il loro riscatto ha rimpinzato le casse dell’erario: sembrò questo in me ambizione? Quando i poveri han pianto, io, ha lacrimato: l’ambizione è fatta, credo, di più dura stoffa; ma Lo Bruto è uomo d’onore.".



Proferì queste commoventi parole accompagnandole da un gesto ampio e maestoso del braccio e indicando così l'impiegato dietro al vetro che stava mordendo un panino approfittando della pausa.
Il poveretto rimase a bocca aperta trafitto dagli sguardi torvi dei contribuenti che gli bloccarono la digestione, mentre alcune briciole caddero sulla tastiera del suo pc.

Giunse in soccorso di Lo Bruto un altro impiegato che già presagiva il peggio, tale Girolamo De Cassio e puntualmente in nostro senatore né carpì il nome e predispose la sua oratoria acciocché sortisse il danno maggiore.

Poi il nostro Marco Antonio riprese "Non sto parlando, no, per contraddire a ciò che ha detto Lo Bruto e De Cassio: son qui per dire quel che so di me stesso".
Scusatemi…il mio cuore giace là nella bara con me stesso, e mi debbo interrompere di parlare fin…. quando non sia tornato in petto".
Represse un singhiozzo e facendo appello a ciò che vi era di migliore in lui proseguì, mentre già alcuni, fra i molti, trattenevano a stento il pianto.

Egli così dunque proseguì.

"Ma ho qui con me una pergamena scritta, è il mio testamento".

Un cittadino – “Il testamento lo vogliamo udire. Leggilo, Marcantonio!”
E tutti – “Il testamento! Il testamento! Vogliamo sentire quali sono le tue ultime volontà”.
E il nostro demagogo, ancora – “È bene non sappiate che i miei eredi siete tutti voi”.
E tutti- "E’ colpa di Lo Bruto che gli nega l’identità, facciamogli il culo, però leggi, ti prego il testamento".

Egli ancora, con tono sommesso e sguardo rapito, parlò: “Ora, se avete lacrime, Milanesi, preparatevi a spargerle. Oh, Guardate qua: sollevò in alto la pergamena di frate Elia" (quella con John Holmes per intenderci).
E’ continuò ieratico: “Miei buoni amici, i responsabili di quest’azione sono gente d’onore… Quali private cause di rancore possano averli indotti, ahimè, a compierla non so: essi son saggi ed onorevoli e vi sapranno dire le ragioni".

I cittadiniI - Insorgeremo! Daremo fuoco alla casa di Lo Bruto!
La vecchietta mezza sorda - Via, dunque, a caccia dei cospiratori!

Egli di rimando -
“Ecco dunque il mio testamento: lascio alla cittadinanza la mia collezione completa di verrucid in scatole da 100 mg e al Pio Albergo Trivulzio la mia raccolta di Satanik insieme alla serie di Dvd “sex in japan”, più alcune videocassette betamax con Alvaro Vitali e Lilli Carati.
La mia auto, una citroen DS “squalo” nera con interni di pelle rossa alla vecchietta non udente in terza fila, il mio letto sopraelevato su tubi innocenti a quel signore con i baffi, infine i miei vestiti griffati al deposito bagagli dell’aeroporto di Linate. I pupazzetti dei Simpson ai bimbi. Ecco questo è quanto”.
Concluse con un respiro liberatorio.



La folla ormai ebbra di tanta generosità come un sol uomo si lanciò all’assalto.



Sembrava una scena del Signore degli Anelli, torme di contribuenti scavalcavano gli alti cancelli di Isengard facendo scaletta gli uni con gli altri. Fra i primi a prendere per il collo Lo Bruto fu un manipolo di coraggiosi capeggiati dalla vecchietta sorda che ormai era divenuta il loro leader naturale.
De Cassio abbozzo una difesa scomposta, lanciando ciò che aveva a portata di mano contro la schiera di assalitori, alcuni di loro caddero colpiti da una salva di timbri auto-inchiostranti. Esauriti gli oggetti, il vile, lanciò anche la donna delle pulizie peruviana che travolse il fianco sinistro dello schieramento.




Il centro però tenne, grazie al comando di un valoroso Geometra di Affori il quale giunse infine, fra il fumo della battaglia, ad ammainare la bandiera del Comune ed ergere quella dei rivoltosi (costruita alla bella e meglio con un asciugamano in cui campeggiava il logo del Top Motel di Corsico).
La vittoria era ormai conseguita.
I due impiegati ormai prigionieri, furono costretti ad inginocchiarsi al cospetto del nostro innocente perseguitato e celermente gli preparano l’agognato documento.
La vecchietta sorda, che ormai aveva preso coraggio, mentre masticava il panino di Lo Bruto, gridava a bocca piena: “Vendetta, vendetta, eviriamoli”.
Ma il nostro magnanimo eroe sedò i facinorosi con un gesto pacato della mano e concesse solo che fossero inchiodati alle loro scrivanie con le graffette di una pinzatrice per volumi, ma prima Lo Bruto, affamato e pieno di lividi, chiese: Manca solo la dicitura sulla professione, cosa scrivo?

Il nostro condottiero scrutò l’orizzonte in cerca di un segno. Il silenzio nell’ampio edificio era totale. Finalmente disse: “Scivi... Divinità” e così fu in apoteosi di “Urrà!”.
Il resto è accademia…
Usci dagli uffici fra le ultime ovazioni dei rivoluzionari non accorgendosi minimamente che si facevano largo fra la folla il Maffo e alcuni suoi amici, primo fra tutti il pastore tedesco Locorotondo che abbaiava come un segugio prossimo alla preda.

Era stato un giorno magnifico pensò, mentre i suoi piedi nudi sfioravano il selciato, fra poche ore sarò di nuovo all’aeroporto e da lì eiaculerò verso Parigi…”Ah! Parigi” disse, mentre un principio di incendio appiccato dai guerriglieri andava a consumare l’austero palazzo.
Egli rivolse solo uno sguardo indietro e pareva proprio Steve Mc Queen in “Papillon", quando alla fine volgeva il viso all’isola del diavolo, mentre fuggiva nell’oceano sulla sua zattera di noci di cocco .
La stessa battuta del film scivolò senza sforzo dalla sua bocca increspata dal disprezzo: “Sono ancora vivo, bastardi!”.




Continua...















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