giovedì 10 aprile 2008

Misere ricchezze e sfavillanti povertà.


Curiosamente la nostra vita non è mai come appare.
Non facciamo fatica ad arrivare ad un altro giorno, ma non è mai un giorno veramente nuovo.
Persi nelle nostre ambizioni, nelle nostre abitudini, pascoliamo nell’attesa della chiamata al mattatoio senza mai veramente domandarci cosa sia importante, cosa sia vera ricchezza.

Evito con un plastico salto i discorsi buonisti, triti e ritriti, dalla favola del “buon selvaggio” a “si stava meglio, quando si stava peggio”, parole che lasciano il tempo che trovano e non mettono in discussione il nostro odierno, l’oggi, l’adesso, che è l’unico tempo reale nel quale possiamo fare affidamento per una comprensione e poi successivamente un piano di attuazione per tracciare una nuova rotta di vita.
Nuova perché? E soprattutto per dove?

Un piccolo doveroso preambolo.
A me sembra, guardandomi in giro, che la nostra esistenza sia un po’ strana.
La nostra società, pretenziosamente additata come moderna, civile, progredita, mi sembra grandemente sopravvalutata.

La solitudine, almeno per chi vive in città, è veramente desolante.
Al di fuori della cerchia ristretta (quando va bene) delle amicizie e dei conoscenti, dei colleghi di lavoro, le possibilità di un incontro significativo, di uno scambio intelligente di esperienze ed opinioni “fuori dal coro” appaiono precluse.
Manca un centro al nostro mondo, un’agorà, una piazza, una panchina almeno.
Abbiamo venduto la nostra umanità, intesa come la capacita vibrante di vivere con i nostri simili e con la natura, per un televisore da 42 pollici. Splendido contenitore tecnologico per programmi privi di sostanza.
Abbiamo messo all’incanto il nostro senso di collaborazione, per vivere in condomini disumani, ove il vicino di casa appare più lontano della terra degli unicorni.
La nostra dignità barattata per la ricerca di un parcheggio per l’automobile.
Che affarone! Direbbe il mio commercialista.

L’uomo primitivo impegnava due ore della sua giornata per il proprio sostentamento, oggi se va bene non meno di 8 per il lavoro, ma a questo dobbiamo aggiungerci i trasferimenti (2 ore), la spesa (30 minuti), le faccende di casa (1 ora) il pranzo e la cena (2 ore), gli impegni burocratici (30 minuti), il sonno (7 ore) restano se va bene 3 ore, che generalmente investiamo in palestra, amici, televisione, lettura di libri.
Se va bene 3 ore di cosiddetto tempo libero, ma libero veramente? Mica tanto, perché è imperativo divertirsi, e anche quello è un bel daffare, mica si può star seduti a guardare il cielo (che non c’è più è coperto dallo smog!).
Nei fine settimana non va meglio e lo sappiamo tutti, alè in colonna per il mare e la montagna.

Ecco che fagocitati da continue seduzioni pubblicitarie viviamo nell’attesa di 20 giorni di ferie per andare tutti a divertirci alla stessa maniera. E’ imperativo apparire felici, pensare positivo, perché?
Perché mai dovrei pensare positivo? Cosa c’è di positivo in tutto questo?
La promessa della nostra società è questa: integrati, lavora come uno schiavo, paga ogni cosa più del suo valore intrinseco, corri sempre per arrivare in nessuno posto e così facendo “sarai felice”.
Ma voi ci credete? Ci riuscite?
Ma poi è veramente quello che voglio?
A me sembra che ci hanno, tutti, rimbambiti così tanto che se non abbiamo un vestito alla moda, la casa, la macchina, gli amici di circostanza, la moglie/marito e l’amante (ogni tanto per trasgredire) e non si va in ferie in una località esotica ci si deve sentire dei disadattati.
Quelli che per nascita o per rapace capacità sono ricchi non stanno meglio degli altri, alla fine nei loro super attici, per far vedere che sono contenti, “arrivati”, vanno avanti a Xanax, Prozac e qualche striscia di Cocaina, atterriti dal mettere alla prova le persone che gli stanno vicino per conoscere se veramente gli vogliono bene o magari vogliono bene solo al loro super attico e striscioline varie.
Che condanna, pure la loro, questa domanda li tormenta più di un motivo di successo dell’estate: “Ma se non avessi quello che ho, questo persona starebbe ancora con me?’”

In sostanza è proprio vero che questo modello di esistenza è ok?
Nessuno criticamente si mette in discussione e sempre colpa di qualche altro.

La soluzione che viene data dalla nostra società è: continuare a correre.
Chi si ferma è perduto. Eh certo! Se ti fermi tutto lo zaino che ti porti sulle spalle ti arriva addosso, ti schiaccia, ti stritola.
I media dicono che l’Europa non fa figli, per fortuna dico io., Non viene da pensare che forse ci si sente nella pelle che non c’è futuro per un mondo così?
Giusto gli arabi, gli africani, gli asiatici si riproducono come conigli. Non hanno manco le mutande e via a mettere al mondo altri come loro, preparano l’esercito per dar l’assalto alla zuccheriera, vogliono il nostro inferno, perché la televisione gli ha garantito che è bello.

Noi ci sentiamo talmente sfigati che non vogliamo lasciare in eredità a degli innocenti il nostro piccolo penitenziario a misura disumana. Abbiamo toccato il benessere e ci siamo accorti che puzza, almeno quello che ci è stato presentato sino ad ora.

I “convinti”, poi, cioè quelli che per loro va tutto bene, mi fanno ancora più pena.
Il condizionamento per loro ha raggiunto il parossismo, sono talmente anestetizzati che non sentono neanche più male, sono così ciechi che per loro splende sempre il sole, guardateli negli occhi questi prototipi umani, guardateli camminare, ma veramente.
Zombettini, conchiusi nel loro tran-tran.
Potenzialmente degli angeli vivono come, come…non mi viene manco la parola.
Certo che Dio con noi ha fatto proprio un bel lavoretto!
Quando mi chiede un consiglio, Lui, io gli dico: “Manda giù i quattro cavalieri dell’impresa di pulizie e chiudiamo sta sconcezza”. Lui ride e mi dice: Ma dai! Aspetta, che fretta c’è? Faranno tutto da soli.
Che adorabile figlio di p… Lui ha l’eternità, ma io no, porca zozza, io ho la clessidra che scorre inesorabile. Fa sempre così, mi chiede, e poi decide come gli pare, d'altronde ha un superego così ingombrante, mica è perfetto (lasciatemelo dire che lo conosco molto bene).

Se si pensa ad una nuova rotta, come tratteggiavo all’inizio ora ve lo devo confessare: non c’è.
Almeno non c’è per tutti, cioè c’è per me, anche per te, ma per te non può essere la stessa, poiché ogni uomo desidera cose diverse, ma se anche desiderassimo le stesse cose le dovremmo comunque raggiungere in modo diverso.
C’è però un dato comune, un indizio che ci accomuna tutti, quello che definirei un “principio guida” (parolone): “Desidera ciò che vuoi ma ciò che desideri deve sempre essere vero, reale, tuo”. Provate e vedrete che non è mica facile realizzare le tre condizioni.

Dove andare dunque?
In nuova Guinea? In Papuasia? In Patagonia? Al Giambellino? Mah!
Non dove ma come, con che spirito, questa potrebbe essere la chiave.
Che ognuno cerchi la sua ricetta per il suo piatto preferito, ma per amore di quanto è sacro non andate più al ristorante, non fidatevi degli chef.
Nutriamoci di ciò che veramente ci sazia.

Il resto sono solo sogni e poi, immancabilmente, incubi.

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